- I Nibelunghi
- Anonimo
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- I
- NIBELUNGHI
- POEMA EPICO GERMANICO
- traduzione
- in versi italiani
- DI
- ITALO PIZZI
- ULRICO HOEPLI
- libraio-editore della real casa
- MILANO
- A
- GIOSUÈ CARDUCCI
- Indice
- Introduzione
- Avventura Prima
- Avventura Seconda
- Avventura Terza
- Avventura Quarta
- Avventura Quinta
- Avventura Sesta
- Avventura Settima
- Avventura Ottava
- Avventura Nona
- Avventura Decima
- Avventura Undecima
- Avventura Dodicesima
- Avventura Tredicesima
- Avventura Quattordicesima
- Avventura Quindicesima
- Avventura Sedicesima
- Avventura Diciassettesima
- Avventura Diciottesima
- Avventura Diciannovesima
- Avventura Ventesima
- Avventura Ventunesima
- Avventura Ventiduesima
- Avventura Ventitreesima
- Avventura Ventiquattresima
- Avventura Venticinquesima
- Avventura Ventiseesima
- Avventura Ventisettesima
- Avventura Ventottesima
- Avventura Ventinovesima
- Avventura Trentesima
- Avventura Trentunesima
- Avventura Trentaduesima
- Avventura Trentatreesima
- Avventura Trentaquattresima
- Avventura Trentacinquesima
- Avventura Trentaseesima
- Avventura Trentasettesima
- Avventura Trentottesima
- Avventura Trentanovesima
- Indice
- INTRODUZIONE
- ella leggenda eroica, che trovasi raccontata nel poema germanico «I Nibelunghi», si vedono congiunti e confusi insieme due elementi essenzialmente diversi, uno mitico e uno storico. Dei quali il primo discende da tempi antichissimi e ha stretta parentela con altri cicli di altre mitologie indo-europee, laddove il secondo è assai più recente e risguarda alcuni fatti storici del Medio Evo. Il primo, se si considera quale e in qual misura esso è entrato a far parte del poema, si riconnette agli antichi miti degli eroi uccisori di mostri e di dragoni, dei quali sono piene le mitologie indiana e persiana, greca e italica, perchè racconta di Sifrido, il bello e giovane eroe dagli occhi rilucenti, che uccide un drago ai piedi di una montagna e si bagna nel sangue e diventa invulnerabile. Egli è, come tale, il nobile e fatato guerriero che muore tradito nel fiore degli anni, una lontana, ma pur sempre vivace reminiscenza del mito del sole che disperde la nuvola tenebrosa e le potenze demoniache dell’aria. Tale almeno, senza esaminarla, è l’interpretazione che secondo la mitologia vuolsi dare alla storia dell’eroe. Non a caso abbiam detto di sopra quale e in qual misura il mito di Sifrido è entrato nella narrazione dei Nibelunghi, perchè appunto nei Nibelunghi esso non è che esposto come episodio e fuggevolmente, e molti particolari che pur servono a far meglio risaltare la figura del fatato eroe, o vi sono oscuramente notati o taciuti del tutto. Nè si potrebbe ora conoscerli, nè ci sarebbe ora dato di considerarne l’importanza storica, se essi non venissero dichiarati ampiamente da un altro poema epico che è strettamente affine a quello dei Nibelunghi e abbraccia un maggior numero di leggende mitiche ed eroiche. Questo poema si è l’Edda scandinava, nella quale ad un ampio ciclo di leggende divine, succede un ciclo di leggende eroiche, laddove si narrano le avventure strane e nuove, sanguinose e truci e misteriosamente cupe di molti eroi di quel gran mondo leggendario. Tra i quali eroi, è pure il Sifrido dei Nibelunghi, col nome di Sigurdh, uccisore del drago Fafnir; e di lui si narrano molte avventure che precedono quelle raccontate nei Nibelunghi, mentre in questi soltanto con la debita ampiezza vengono narrati gli amori suoi con la bella Nriemhilde a Worms e la sua fine miseranda procurata dai cognati invidiosi. Anche questa parte, benchè con differenze non lievi, trovasi narrata nell’Edda, ma l’Edda dell’altra parte precedente possiede e reca una narrazione compiuta, laddove nei Nibelunghi la narrazione n’è fatta soltanto per via di episodio.
- Ma, sebbene l’Edda sia scandinava quanto all’origine dei suoi canti, e la forma nella quale essa è pervenuta a noi, sia dovuta all’Islanda, tutta quella parte di leggenda eroica che tocca di Sifrido, venne all'Edda dalla Germania settentrionale. E ciò è attestato dall’Edda stessa, laddove i suoi cantori si riferiscono sovente e accennano a sorgenti germaniche; oltre di che e il Grimm e il Lachmann che furon tanto benemeriti degli studi di questi poemi, s’accordano nel riconoscere nella leggenda di Sifrido una leggenda franca, del tempo che i Franchi abitavano non lontani dal mare del Nord.
- L’altro elemento entrato nella composizione dei Nibelunghi è un fatto che sembra storico e tale dev’essere certamente. Ora, mentre quel primo elemento mitico ha informata di sè tutta quanta la prima parte del poema dei Nibelunghi, dal canto primo al decimonono, questo secondo elemento storico, invece, informa tutta la parte seconda del poema, cioè dal canto ventesimo al trentesimonono. E vi si racconti lo sterminio di una famiglia di principi borgognoni avvenuto alla Corte di Etzel re degli Unni, fatto storico raccontato anche da Prospero d’Aquitania, secondo il quale il re Attila (Etzel nel poema) avrebbe vinto e sterminato un re di Borgogna con tutta la sua famiglia nell’anno 435 dell’era volgare. Ancora, nel poema di Eckehardo I, abate di San Gallo, nel Waltharius manu fortis, si ricordano alcuni principi borgognoni i cui nomi somigliano assai a quelli che essi recano nell’Edda e nei Nibelunghi, e questi stessi nomi di re sono pur ricordati da re Gundebaldo di Borgogna, allorquando, nella sua raccolta delle leggi, volle parlare dei suoi predecessori. Attila poi, il terribile re guerriero che fu detto flagello di Dio e intorno al cui nome si raggruppano tante leggende paurose, tanto occupa di sè la scena del quinto secolo, che la sua figura terribile e grande era bene appropriata per entrare a far parte dei grandi racconti epici.
- Ora questi due elementi, uno mitico e l’altro storico, e lo storico composto di due momenti, quello dei re borgognoni e quello del re Attila, erano già acconciamente accoppiati e intrecciati insieme prima ancora che fossero composti i canti dell’Edda, ai quali non si può dare un’antichità maggiore del nono o tutt’al più dell’ottavo secolo (e ciò per i più antichi soltanto), e perciò prima ancora che fosse composto il poema dei Nibelunghi quale lo abbiamo noi, e a cui non si può assegnare un’età che vada più indietro del dodicesimo. Che anzi, mentre nell’Edda scandinava, come abbiam detto, la parte mitica che risguarda Sigurdh o Sifrido, è più ampiamente svolta e le avventure tutte si seguono in tanti canti staccati e indipendenti, nel poema dei Nibelunghi tutto è bellamente coordinato, tutte le parti sono ben disposte e poste in reciproca armonia fra loro. E sebbene nei Nibelunghi sia manifesta differenza tra la prima e la seconda parte, ciò che, del resto, procede dalla natura stessa della leggenda, pure il poeta (qualunque esso sia stato) ha saputo far corrispondere queste parti in modo fra loro che la prima non avrebbe esito senza la seconda, e la seconda non avrebbe ragione di essere senza la prima. Ovvero, per dir con chiarezza maggiore, la morte di Sifrido, che si narra nella prima parte del poema, domanda vendetta e l’infelice sua sposa la compirà, e la compirà nella seconda, quando, alla corte di Etzel, potrà averne in sua mano gli uccisori.
- Del resto, il soggetto del poema è il seguente, brevissimamente esposto. Sifrido, figlio di Sigemundo e di Sigelinde e signore di Niderland o dei Paesi Bassi, avendo udito vantar la bellezza di Kriemhilde, figlia di Dancrat e della ricca Ute, si reca a Worms a chiederne la mano. A Worms regnava Gunther fratello di Kriemhilde, il quale, minacciato di guerra dal re dei Sassoni e dal re dei Danesi, trova un potente aiuto in Sifrido. Cessata però la guerra, egli con Sifrido si reca in Islanda a chiedervi la mano di Brünhilde regina dell’isola; e perchè Sifrido voglia assisterlo nella difficile impresa, gli promette la mano di sua sorella Kriemhilde. Ritornato Gunther a Worms con la sposa, tra costei e la cognata Kriemhilde, che frattanto si era sposata a Sifrido, nasce una grave contesa, perchè ciascuna di esse crede di avere uno sposo più forte e valoroso dell’altra; e Brünhilde che si crede mortalmente offesa, sollecita Hagen di Tronega, il più fido amico di Gunther, a vendicarla. Hagen allora, accordatosi con Gunther, uccide a tradimento il prode Sifrido mentre stava bevendo a una fontana, e ne fa portare il cadavere dinanzi alla porta di Kriemhilde. La quale, nell’immenso suo dolore, mentre fa celebrar splendide esequie all’estinto sposo, giura di vendicarlo, fatta ormai certa da non dubbie prove chi sia stato il traditore.
- Passano frattanto alcuni anni, ed essa va sposa ad Etzel re degli Unni, dopo essersi fintamente riconciliata co’ suoi fratelli. Ma poi, non potendo dimenticare l’atroce offesa e molto meno scordar l’amor suo per Sifrido, manda ad invitare i fratelli, acconsentendovi Etzel, alla corte. Da principio essi concepiscono qualche sospetto per tale invito; ma poi, dietro consiglio di Hagen, partono armati per difendersi con valore, ove necessità lo voglia. Alla corte di Etzel però sono essi accolti assai freddamente da Kriemhilde e poi, dopo un fiero combattimento suscitato nella sala stessa del convito, scannati tutti con tutte le loro genti. Kriemhilde stessa, alla fine, è uccisa d’un colpo di spada dal vecchio Hildebrando.
- Ora, il racconto dell’Edda e il racconto dei Nibelunghi sono in gran parte eguali, ed eguali sono pure i personaggi che v’entrano, quantunque alcuno dei loro nomi differisca, sebbene di poco. Al Sifrido pertanto e alla Kriemhilde dei Nibelunghi, corrispondono il Sigurdh e la Gudruna dell’Edda, ma Gunther è Gunnar, e Hagen è Högni, ed Etzel è Atli, re degli Unni. Soltanto, mentre in tutte le altre parti del racconto i due poemi s’accordano fra loro, nell’ultima differiscono non poco. Perchè, laddove nei Nibelunghi Kriemhilde fa scannare tutti i suoi fratelli per comprendere nella strage anche Hagen, uccisore del suo Sifrido, nell’Edda trovasi che Gudruna, fatta da senno la pace con Gunnar e con Högni, come essi con gli altri fratelli entrano nella reggia di Atli, per invito di costui, vorrebbe salvarli e v’adopra ogni suo potere. Atli però, frustrato nel suo disegno di possedere il tesoro che quelli avevano nascosto nel Reno, tutti li manda a morte, e Gudruna, per vendicare i fratelli, appresta allo sposo un’orribile convito facendogli mangiare il cuore dei due suoi figli, Erp ed Eitil, e incendiando poi la sala del convito per perir poi essa stessa nell’immane incendio con lo sposo e i convitati. Nè di tal mutamento si può assegnare alcuna plausibile ragione, se non forse che nell’Edda, più antica e pagana, prevale e vince il sentimento di famiglia, vivissimo presso le antiche stirpi germaniche, laddove nei Nibelunghi, più recenti, prevale e vince l’amor di sposo.
- Ma, se non nella sostanza del racconto, nel modo di condurlo e nelle idee che accompagnano e informano il racconto, trovasi tra i due poemi differenza assai maggiore. Perchè l’Edda è ancora pagana, come ora si diceva, e spira ancora tutta la fierezza del paganesimo, e i Nibelunghi, sebbene rechino ancora molti elementi pagani, resti cioè e frammenti di miti antichi, hanno accolte le idee cristiane. E il poeta narra e descrive di uomini e di cose molto lontane da lui, almeno per l’età, allo stesso modo che narrerebbe e descriverebbe cose e uomini del tempo suo. E però il suo fare è più placido e gentile, laddove i cantori dell’Edda sembrano aver sempre, e hanno, un certo impeto lirico; e i suoi cavalieri sono veri cavalieri di corte, con tutti i costumi gentili e raffinati del tempo, ciò che contrasta con la fierezza e la durezza di certi fatti che pure nella natura loro non si potevano mutare. La qual cosa ha fatto sì, forse, che tutto ciò che di mitico si trova nella figura del fatato Sifrido, nei Nibelunghi, o inscientemente o di proposito deliberato, è detto e rappresentato in modo fuggevole e oscuro, come elemento non più atto ad acconciarsi alle nuove idee alle quali viene informandosi il poema. Pare che su questi miti il poeta si soffermi poco volentieri e condottovi soltanto da necessità, riserbandosi poi di dire e di ridire altre cose, anche con soverchia ampiezza, più vicine ai tempi suoi e ai costumi dei tempi.
- Onde avviene che molti punti del racconto dei Nibelunghi rimarrebbero per noi oscuri per sempre, se non ci fossero di valevole aiuto i canti dell’Edda, nella quale l’elemento mitico campeggia in ogni parte, anzi vi sembra esser trattato con predilezione particolare. Ora, tra i punti più oscuri dei Nibelunghi, trovasi la leggenda dell’oro che porta sventura a chi lo possiede, e la conoscenza o amicizia che ebbero tra loro Sifrido e Brünhilde, prima che questa fosse sposa di Gunther e quello impalmasse la bella Kriemhilde.
- Quanto alla leggenda dell’oro, appare dai Nibelunghi che Sifrido s’insignorì di un gran tesoro un giorno ch’egli trovò Nibelungo e Schilbungo a piedi d’una montagna, intenti a spartirselo. Perchè essi lo pregarono di farne la spartizione e perchè erano riottosi e superbi, egli li uccise e si insignorì del tesoro che poi, morendo, lasciò alla sposa sua Kriemhilde. Ma Hagen l’ebbe poi nelle sue mani, e da ciò e dal desiderio di vendicar la morte di Sifrido procede l’odio implacabile che Kriemhilde aveva per costui. E appare più volte che l’oro dei Nibelunghi è possesso fatale che reca sventura a chi lo possiede; e tutti sel contendono. Sel contendono primi Schilbungo e Nibelungo, poi Sifrido lo toglie a questi due; morto Sifrido, il tesoro è trasportato in Niderland presso di Sigemundo, padre dell’estinto eroe, donde poi Hagen lo toglie per nasconderlo nel Reno. Sul finire del tragico poema, Kriemhilde ne reclama il possesso, e giunge per un istante a prometter salva la vita ad Hagen, purchè manifesti il luogo nel quale egli l’ha nascosto. Hagen si ricusa ed è colpito a morte dalla inferocita donna.
- Questo nei Nibelunghi. Ma perchè l’oro porti con sè sventura e di qual natura sia questo tesoro misterioso, non è detto. L’Edda invece vien raccontando come un giorno tre Dei, Odino, Loki e Hönir, giungesserò viaggiando ad una cascata d’acqua, laddove trovarono una vipera. Essa fu uccisa da uno di loro con una pietra, e la pelle ne fu tratta e mostrata poi a Hreidmar, presso il quale i tre viandanti, la sera di quel giorno, si erano ridotti ad albergare. Ma la vipera uccisa era il figlio stesso di Hreidmar, trasformato; e però il padre, chiamati a sè gli altri due suoi figli, Fafnir e Regin, e raccontata loro la morte del fratello, fa prigionieri i tre. I quali, convenuti di coprir d’oro la pelle dell’uccisa vipera per fare ammenda e riscattarsi, mandano fuori Loki a cercar l’oro. E l’oro è trovato, rapito, insieme ad un fatato anello, al nano Andvari trasformato in pesce. Il nano derubato, scaglia la sua terribile maledizione dietro al tesoro, e tosto la maledizione fa il suo effetto. Perchè, all’atto di ricoprir d’oro la pelle della vipera, Hreidmar si accorge che una squama sola ne resta scoperta. Loki allora aggiunge l’anello di Andvari. I fratelli dell’ucciso vogliono aver parte della preda, e Hreidmar è ucciso da loro; la maledizione insegue i parricidi, perchè Fafnir, trasformatosi in dragone, si porta via l’oro e si nasconde con esso nella selva di Gnitaheide, e Regin ricorre a Sigurdh (il Sifrido dei Nibelunghi) perchè l’aiuti a ripigliarsi la parte del tesoro che gli è dovuta. E Sigurdh uccide il drago Fafnir e con Regin ne arrostisce il cuore per farsene cibo; ma poi, avendo toccato quel cuore col dito per provar s’era al punto d’esser mangiato e postosi alle labbra il dito, scottato dal grasso ardente, acquista la facoltà di intendere il linguaggio degli uccelli, e ode intanto certe aquile che discorrevano tra loro del come Regin meditasse la morte del suo compagno e aiutatore. Sigurdh allora, con quella stessa spada che Regin gli aveva fabbricata per uccidere Fafnir, tanto sottile che, immersa nell’acqua del fiume, tagliava a mezzo i fiocchi di lana portati giù dalla corrente, uccide il traditore e si porta via il tesoro, montato sul suo cavallo Grani.
- Tutto ciò non si trova nei Nibelunghi, nei quali si legge soltanto della spartizione del tesoro e della uccisione del drago, ma nulla della natura di esso tesoro e della maledizione che l’accompagna.
- L’Edda ancora ci fa sapere la precedente amicizia di Sigurdh e di Brynhilde, alla quale i Nibelunghi confusamente accennano. Perchè Sigurdh, ucciso Regine e tolto con sè il tesoro, prosegue il suo viaggio finchè giunge ad una casa posta sopra una montagna laddove egli vede un guerriero addormentato. Quel guerriero, chiuso nella sua corazza e addormentato, altri non è che la bella Brynhilde (la Brünhilde dei Nibelunghi) che il dio Odino aveva immersa in un profondo sonno in pena di una colpa commessa da lei. All’appressarsi di Sigurdh, la fiera e bella Valkyrie, poichè Brynhilde è tale, cioè una dea guerriera, si desta dal sonno, e con l’avvenente eroe che l’ha sorpresa nel sonno, impegna la sua fede. Sigurdh sen va alla casa di Gunnar (il Gunther dei Nibelunghi), e allora che Gunnar salperà per l’Islanda per domandarvi Brynhilde in isposa, Sigurdh lo accompagnerà. Ma Brynhilde abita un castello circondato dalle fiamme, e Gunnar non è tanto ardito da superarle per guadagnarne la soglia; e però Sigurdh, col suo destriero Grani, supera il difficile passo, entra nel castello e si posa accanto a Brynhilde senza però toccarla, perchè la sua spada Gram si sta sguainata nel mezzo. Brynhilde, allora, va sposa a Gunnar che ella crede essere l’ignoto guerriero che si è posato accanto a lei la notte. Ma quando Sigurdh ha sposata Gudruna (la Kriemhilde dei Nibelunghi) e tra Brynhilde e Gudruna sorge quel sentimento di gelosia che conduce le due regine a contendere fra di loro quale dei due sposi rispettivi sia il più valoroso, come Brynhilde ha potuto sapere che l’uomo che le è stato a fianco nel suo castello non è già Gunnar, ma Sigurdh, quel Sigurdh che già con lei aveva impegnato la sua fede molto tempo prima, un implacabile desiderio di vendetta tutta la prende. Sette giorni essa si sta senza cibo e senza sonno, finchè, incitati col marito gli altri cognati, essa fa uccidere a tradimento per uno di loro il suo antico amante. Ella poi, compiuta la bramata vendetta, sale volenterosa sulla pira e là si uccide di un colpo di spada accanto al cadavere di Sigurdh.
- Quello poi che è rimasto e rimarrà sempre oscuro senza che l’Edda ci possa dar qualche lume, si è il nome dei Nibelunghi. I quali, nel poema, sono da principio i due figli di Nibelungo, del possessore primo del tesoro, uccisi da Sifrido allorquando essi lo chiamarono a spartir fra loro quel tesoro del padre; anzi i loro nomi sono appunto Nibelungo (come il padre) e Schilbungo (Avvent. III). Ma poi, al tempo della morte di Sifrido, i Nibelunghi sono mille guerrieri fedelissimi a lui, che pur avrebbero acerbamente vendicata la morte del loro signore, se Kriemhilde e Sigemundo con preghiere non li avessero trattenuti. Al contrario, nell’ultima parte del poema, sono detti Nibelunghi gli stessi Borgognoni che con Gunther e Hagen si recano presso re Etzel nella terra degli Unni. Donde si vede che il poema stesso non sa nulla di certo di questi Nibelunghi che pur gli formano il titolo; nè l’etimologia del nome, quantunque certa e sicura, ci aiuta. Il nome tedesco die Nibelungen, in scandinavo Niflungar (l’Edda è scritta in questa lingua), deriva certamente dal nome nebel, la nebbia (in scandinavo nifl), e accenna al lontano e buio settentrione donde esso, lontano e buio nel suo significato, è venuto a noi.
- Non v’è alcun dubbio che il poema dei Nibelunghi, quale al presente l’abbiamo, non sia una forma molto recente rispetto non solo all’origine della leggenda e ai tempi ai quali essa si riferisce, ma anche rispetto ai primi canti che la dovettero raccogliere. Perchè, quanto alla parte mitica, essa leggenda risale a tempi antichissimi, e quanto alla parte storica essa deve esser riferita al più oscuro tempo del Medio Evo, allorquando la storia del terribile Attila dovette cominciarsi a narrare in forma di leggenda. Ma quale sia stato il poeta che ha ridotta essa leggenda alla presente forma, è questione che tratteremo fra poco; laddove qui è necessario vedere se dai secoli precedenti si ha memoria d’altre forme o redazioni poetiche del medesimo racconto epico. Perchè, lasciando stare la forma che questo racconto dovette prendere nei paesi nordici sino alla presente raccolta dell’Edda, trovasi per testimonianza di Eginhardo che Carlomagno compiacevasi di trascrivere e d’imparare a memoria antichissimi canti barbarici che celebravano guerre e imprese d’antichi re. «Item barbara, egli dice, et antiquissima carmina quibus veterum regum actus et bella canebantur, scripsit memoriæque mandavit.» Trovasi che al principio del nono secolo l’abate Waldo, nel monastero di Reichenau, faceva trascrivere dodici canti in lingua tedesca, e che Saxo grammatico ricorda che nel 1157 già si narrava come Kriemhilde avesse traditi i fratelli, e che nel 1130 un bardo sassone aveva cantato in pubblico lo stesso fatto. Queste testimonianze prendiamo dal libro del Laveleye, che con tanta lode si è occupato degli studi dell’Edda e dei Nibelunghi; ma nè il Laveleye, nè alcun altro ci sa e ci può dire che fossero questi canti antichi, mentre il poema dei Nibelunghi quale al presente lo abbiamo, per ragioni di lingua e di forma poetica e per il colorito cavalleresco e cortigiano dato al racconto, non può esser posto prima del dodicesimo secolo.
- Al qual proposito osserva il Bartsch, accurato editore e illustratore dei Nibelunghi, che i sentimenti cavallereschi e cristiani e le descrizioni frequenti delle corti e del vivere cortigiano e quella consuetudine vanitosa di descrivere ad ogni momento vesti e abbigliamenti di dame e di cavalieri, tutte cose contrarie per natura al racconto antico e barbarico, non possono che additarci di lontano e in maniera al tutto incerta un poeta cortigiano, un elegante cavaliere delle corti tedesche del dodicesimo secolo, esperto in ogni arte gentile e forse più atto a cantar d’amore che a celebrar gli eroi del tempo antico. E sembra che il poeta cavaliere sia vissuto intorno al 1140 e appartenesse alla nobile famiglia austriaca dei Kürenberger del territorio di Linz, presso al Danubio. Ma, in qual misura egli abbia adoperate le fonti dei canti precedenti, non è dato a noi di sapere. Sembra soltanto che, mentre la forma che egli diede o trovò già data al racconto, è rimasta e tale e quale è pervenuta a noi nella sostanza, altri più tardi, forse intorno al 1170, abbia introdotto maggior regolarità di rime, laddove quello, al modo della lirica del tempo, si appagava di assonanze soltanto. E questo lavoro si continuò, a quanto pare, fin verso la fine del milleduecento, nel qual tempo il poema si sarebbe arrestato e fissato nella forma nella quale ora l’abbiamo. E questa forma è quella che porta il titolo: Der Nibelunge liet, che significa: la Canzone dei Nibelunghi, quella stessa che qui diamo tradotta col titolo: I Nibelunghi. Ma v’è un’altra redazione del poema, più raramente conservata dai manoscritti, che, partendosi da quella del 1170, cerca togliere certe contraddizioni e tenta, in sulla fine, di legare il racconto ad un altro componimento, detto il pianto dei Nibelunghi, composto, esso pure, intorno al 1170. Quest’altra redazione porta il titolo: Der Nibelunge nôt, cioè: La rovina dei Nibelunghi, titolo preso dall’ultimo verso del poema:
- Daz ist der Nibelunge nôt,
- cioè:
- Questa dei Nibelunghi è la rovina.
- Ma, qualunque sia il poeta al quale è dovuto il poema, credesi che il maggior pregio dell’opera sua consista nell’aver magistralmente delineato i caratteri dei suoi personaggi. Che se egli non li inventò, come è naturale, ma gli vennero essi piuttosto con le memorie del racconto dei secoli passati, è certo però che egli li ha conservati con molta arte, e tali quali erano, li ha presentati ancora. E tra questi, primo si fa innanzi Sifrido, il bello e valoroso Sifrido, al quale aggiungono venustà alcuni tratti non del tutto cancellati dell’antica natura mitica, ond’egli appare più splendido e più ideale e lontano dalla verità dura e volgare della vita. Come è valoroso e avvenente, sì che egli è il sospiro d’ogni fanciulla in qualunque luogo si rechi, così egli è rapido di pensiero e di mano, onde, non appena si affaccia qualche nobile impresa che possa arrecar gloria a chi s’accingerà a compierla, ed egli tosto vi si sobbarca; nè dal pensiero del sobbarcarsi al mettersi di tutta lena all’opera corre per lui gran tratto di tempo, ma concepire e fare sono per il fatato eroe una sola e medesima cosa. E però gli amici e i creduti amici sempre lo trovano pronto a conceder l’aiuto suo fortissimo, ed egli non solo promette e porge l’aiuto richiesto, ma ancora fa volentieri ciò che altri dovrebbe fare. La qual cosa procede in lui non tanto da generosità innata, quanto anche da una certa infantile e ingenua credulità, che, del resto, è propria di tutti questi eroi primitivi e non di rado s’incontra ancora in uomini di cuor generoso e magnanimo. Era un’età fanciulla quella che concepiva questi eroi, e la natura fanciullesca dell’età s’imprimeva in essi tanto profondamente da non cancellarsi mai più, anche dopo che il racconto delle loro imprese ebbe attraversate molte età e molte generazioni.
- Anche Sifrido, in forza di questo suo carattere particolare, appartiene a quella schiera d’eroi, dei quali ogni tradizione popolare ha l’esempio, e che, mentre sanno compiere una grande e gloriosa impresa laddove si richiedano forza di mano, ardire di propositi e impeto di cuor generoso, cadono poi miseramente vinti quando sono assaliti con armi che essi non conoscono. L’animo loro è troppo semplice e ingenuo, troppo alto e nobile, per comprendere che siano e voglian dire la calunnia, la menzogna, il tradimento e il parlar finto e subdolo, e restano al di sotto come appena siano presi da queste arti perfide. Ecco, uno dei più noti esempi sì è Otello, su le cui sventure la musa dello Shakespeare, del Rossini e del Verdi ci ha fatto lagrimare. Anche Otello sa vincere con armi leali e tocca però splendide mête; ma, alla prima parola subdola, perchè egli crede leali al par di lui quanti l’attorniano e circondano, s’abbandona quasi da sè stesso e di animo deliberato alla sua rovina. Allo stesso modo, nella più vasta leggenda epica che si conosca, l’epopea persiana di Firdusi, il Libro dei Re, Rustem e Siyâvish, vincitori di mille battaglie, vincitori di draghi e di fiere, beneficatori del loro re e della terra dove son nati, cadranno per nulla e moriranno miseramente, il primo, tradito dal fratello Sheghâd, un maligno e spregevole omiciattolo, e il secondo, per le calunnie dei principi turani, presso i quali egli, fuggendo l’ira del padre, aveva chiesto e trovato rifugio. E Achille, vincitore di Ettore e di Troia, non cadrà forse per un colpo assestatogli a tradimento da Paride, imbelle ed effemminato? E Orlando non perirà forse per il tradimento di Gano di Maganza? Anche Sifrido, per placar la voglia di Brünhilde, sarà ucciso a tradimento da Hagen, perfido e crudele e d’animo truce; anzi, nel bosco dove sarà vibrato il colpo traditore, dopo aver date mille prove di destrezza nella caccia delle fiere, egli accoglierà con animo festante l’invito alla corsa, senza sospettare dopo tanti ammonimenti della sposa, presaga di qualche sventura grave, che quello era per lui un invito di morte. Perchè Hagen, fatta la prova del gareggiar correndo, trafigge di pugnale l’infelice che erasi chinato ad una fontana per spegnervi la sete. — Se Kriemhilde si mantenesse nella seconda parte del poema quale si mostra nella prima, cioè fin dove essa piange la morte del suo Sifrido, il carattere di lei sarebbe uno dei più dolci e soavi e tale da star degnamente accanto a quello dello sposo, col quale mirabilmente risalterebbe sui due caratteri opposti, foschi e diabolici, di Hagen e di Brünhilde. Ma Kriemhilde, la dolce e ingenua fanciulla che, ammonita da un sogno funesto, mostrasi schiva d’amore a principio e poi s’invaghisce di Sifrido e, divenutane la sposa, vive soltanto per l’amor suo, nella seconda parte del poema si fa truce e terribile, ributtante nella sua fierezza che rasenta l’insania. Nè la scusano il dolore per la perdita dello sposo e il desiderio della vendetta, perchè ogni moto dell’animo, anche fiero e tremendo, deve avere i limiti suoi e l’arte che vuol rappresentarlo, i suoi freni. Ma, e per la meditata vendetta e per il desiderio di riaver l’oro dei Nibelunghi che Hagen le ha tolto con violenza, sembra che, morto Sifrido, il cuore di costei si chiuda d’un tratto ad ogni affetto umano. Perchè essa con poche parole e poche lagrime si distoglie dall’unico figlio suo natogli da Sifrido, e presto se ne dimentica e l’abbandona per sempre allorquando, chiesta in isposa da re Etzel, si toglie da Worms per recarsi all’amplesso del novello sposo. Il quale è compiaciuto da lei nella sua domanda non perchè ella speri di ricambiarlo d’amore e di consolarsi della morte del primo sposo, ma soltanto perchè il potente signore le agevolerà la vendetta e il riacquisto dei perduti tesori. Anche un secondo figlio, nato da lei e da Etzel, essa perde più tardi, anzi in guisa crudele, allorquando Hagen inferocito gliel’uccide sotto gli occhi, ed essa non se ne dà per intesa. Ma Hagen è il vero autore della uccisione di Sifrido, e però su lui soltanto deve scatenarsi il furor della vendetta di Kriemhilde. Eppure costei assiste impassibile alla morte de’ suoi fratelli innocenti, anzi ne procaccia la morte e promette oro e favori a chi li scannerà sotto gli occhi suoi. Nella quale efferatezza ella è anche codarda e vile, trovandosi ch’essa teme di essere uccisa da Hagen e prega d’aiuto Dietrico perchè la difenda (Avvent. XXXIII). Ancora, essa sembra misurare il sangue de’ suoi nemici a goccia a goccia, e gode e si compiace di vederne rosseggiar le vesti di Hagen (Avventura XXXV), al quale tuttavia ella sarebbe disposta di perdonar la vita (scordando così la vendetta del suo Sifrido), qualora egli le volesse manifestare il tesoro nascosto. — Nella ferocia stessa e nel barbaro costume può qualcuno, come abbia anima grande, serbare una certa maestà che incute rispetto e venerazione, e il Vico già disse che la barbarie va d’accordo col grande ; ma in Kriemhilde che patteggia sangue, oro e vita, maestà e grandezza non si trovano, molto meno la maestà dei tempi eroici.
- Brünhilde invece è carattere odioso nei Nibelunghi, fattovi fastidioso anche perchè rimpicciolito dal poeta. Il quale, perchè gli della storia di Brünhilde, perchè storia mitica, e però ne lasciò monco in alcuna sua parte il carattere. Nell’Edda questo carattere è integralmente conservato, e la tragica morte della fiera Valkyrie, che si uccide e si fa ardere sulla pira accanto all’uomo ch’ella ha amato e non ha potuto possedere, è una vera apoteosi, e tale la rappresenta l’Edda nella sua magnificenza barbarica. Ma, nei Nibelunghi, tuttoché la fiera voglia di costei si manifesti e nell’occasione delle sue nozze con re Gunther, e più ancora nella procacciata morte di Sifrido, essa, morto Sifrido, scompare d’un tratto dal poema, e sembra che il poeta l’abbia del tutto dimenticata, laddove l’Edda prosegue di era necessità di far così, tacque tanta parte tanto amore la sua eroina da raccontarne e descrivere la discesa, quale un trionfo, alle sedi dei morti.
- Quarto viene Hagen di Tronega, che la Edda dice fratello del re di Borgogna e il poema dei Nibelunghi attesta esserne soltanto il più fido amico. Come tale, esso è l’anima dannata, se cosi può dirsi, del suo signore, per il quale egli non esita ad affrontare arditamente qualunque pericolo e a commettere qualunque opera, anche la più rea e trista. Il prode Sifrido, perciò, cadrà per sua mano, e del gravissimo misfatto, mentre gli altri tutti pensano qualche finto racconto per discolparsi nel cospetto di Kriemhilde, come saranno tornati a Worms, e già s’argomentano di dirle che ignoti ladroni le hanno ucciso lo sposo nella selva, egli stesso, Hagen, dice di pigliar per sè tutto l’odio e la colpa, perchè egli non è avvezzo a tener conto di pianti di femmine. Dal qual fatto abbastanza s’intende che Hagen è essenzialmente feroce e spietato, spietato talvolta senza ragione vera, o almeno plausibile, come quando d’un tratto, sotto gli occhi di Kriemhilde e di Etzel, loro uccide il figlio Ortlieb che s’aggirava fanciullescamente attorno alla tavola del convito. Anche qualche tratto demoniaco è nella natura di Hagen, e in ciò egli disvela una grandezza maestosa e una fierezza grande, e pare che egli ricuopra e protegga della sua potenza quasi diabolica quel suo re Gunthèr che sembra pupillo inetto dinanzi a lui, come Roberto di Normandia dinanzi al cavalier Bertramo e il dottor Faust dinanzi a Mefistofele.
- Ora, nella relazione in cui stanno fra loro i caratteri di Hagen e di Gunther nei Nibelunghi, è bellamente e pienamente osservata una legge costante di queste antiche epopee, dovute in gran parte al genio popolare. Nelle quali fu già osservato che accanto all’eroe principale sta sempre un altro eroe di grado secondario, che è come fedele e alacre esecutore di ogni disegno del primo; ma appunto perchè egli è tale e col braccio fa quanto il primo ha pensato, e risplende più per valor personale che per vigore di mente e di consiglio; così, nelle tradizioni popolari, avviene che la figura del secondo eroe si mostri più splendida e con più magnifica arte delineata, laddove la figura del primo, nel confronto, sbiadisce di non poco e quasi si perde. La quale arte è dovuta al popolo, primo autore e compositore dei veri canti epici, perchè egli non intende quale e quanto sia il merito di chi guida un’impresa col senno e col consiglio, ed essendo preso d’ammirazione maggiore per i bei colpi di mano e gli ardimenti rischiosi del secondo eroe, questo ama di più e preferisce al primo e con maggior compiacenza ne racconta e descrive le imprese. Che anzi di tanto cresce l’importanza del secondo eroe rispetto a quella del primo, che il primo, anche con tutto il suo senno d’autorità, non potrebbe, senza l’aiuto del secondo, condurre a termine l’impresa in cui s’è messo. E però, senza di Achille, Agamennone non vincerebbe; e veggasi intanto di quanto sia meno luminosa la figura di costui dinanzi a quella del gran figlio di Teti. Nè i re dell’epopea persiana potrebbero o saprebbero ributtare gli assalti dei Turani riottosi, sempre irrequieti ai confini dell’Iran, se Rustem, il maggiore eroe di quella grande leggenda epica, non li aiutasse. Nella maggiore epopea indiana, Râma nulla può senza di Hanumant, e nell’epopea francese, Carlomagno imperatore spesso si troverebbe a mal partito se con lui non fosse Orlando, e nei Nibelunghi, Hagen tutto fa e in ogni impresa arditamente si mette, non lasciando altro a Guntlier che di volere e di comandare.
- E però Gunther, nei Nibelunghi, è il personaggio più inetto e insipido, tanto da bastar poche parole per tratteggiarlo. Di suo, veramente, egli nulla fa, perchè egli non può conseguir la mano della fiera Brünhilde se Sifrido non l’aiuta, poi, nella seconda parte del poema, se abbiam detto che Hagen è il suo cieco senatore, l’anima sua dannata, ora possiam dire che egli si riduce ad essere inerte e impassibile spettatore di ciò che l’altro fa per lui. Anche possiamo aggiungere che la fantasia popolare s’è non poco divertita nell’inventare un episodio comico per questo re dappoco. Il quale, come fu entrato la sera delle nozze nella stanza nuziale, non potè valersi dei diritti suoi di marito, perchè Brünhilde l’afferrò, lo sospese a un chiodo della stanza e lo tenne in quello stato doloroso e di vergogna finchè non apparve il giorno (Avvent. X).1
- Anche Etzel, nei Nibelunghi, è ben lontano dal mostrarsi quel terribile re guerriero che da noi meritò d’esser detto flagello di Dio. Alla vista dell’uccisione dell’unico figlio suo per mano di Hagen, egli non si commuove, e nella orribile carneficina in cui si termina il poema, egli sta più volentieri a parlamentar lungamente e mostrasi inetto nel tentativo fiacco di sedar le passioni tumultuanti. In parte lo scusa il dovere d’ospitalità, non tanto però da concedergli di poter essere codardo e imbelle, tanto più che gli ospiti suoi sono ospiti che troppo baldanzosi corrono al sangue. In verità, ogni uomo che abbia dignità di sè stesso, vorrebbe essere l’Attila delle nostre cronache, flagello di Dio e figlio d’un cane, piuttosto che l’Etzel dei Nibelunghi, in quella sua natura fiacca e orba di valore!
- Tutti gli eroi fin qui ricordati, oltre ad alcuni altri pochi secondari, dei quali qui si tace, si trovano anche nell’Edda. Ma nei Nibelunghi trovansi altri due personaggi che all’Edda non appartengono, e sono Rüedgero, margravio di Bechelara sul Danubio, e Pellegrino, vescovo di Passavia. Il primo è un vero modello di cavaliere e di gentiluomo, al quale tuttavia la perfetta integrità del costume nuoce non poco come nuoce al Buglione del Tasso l’esser troppo perfetto cavaliere. Il vescovo invece, del quale il carattere ha ben lieve significato, pare che sia stato introdotto dal poeta dei Nibelunghi a far parte del suo racconto soltanto perchè si è risaputo che Pellegrino, personaggio storico, fece trascrivere in latino, togliendole dalla tradizione orale dei menestrelli, le leggende dei Nibelunghi. Forse a queste versioni latine ha fatto ricorso il poeta dei Kürenberger, e, senza badare all’anacronismo, s’è pensato di potere agevolmente, come ha fatto, render contemporaneo de’ suoi eroi il vescovo di Passavia, farlo anzi fratello della regina Ute e però zio materno di Gunther e di Kriemhilde. Anche un altro personaggio storico, ben più grande e illustre del buon vescovo Pellegrino, Teodorico re degli Ostrogoti, sotto il nome di Dietrico da Verona, a dispetto di più di mezzo secolo che separa Attila da lui, è detto vivere esule alla corte di Etzel e di Kriemhilde, alla quale egli dà molte prove di rispetto e di devozione. Ciò tuttavia non è proprio dei Nibelunghi soltanto, ma ancora dell’Edda, laddove il re Thiodrek (Teodorico) è più volte ricordato siccome consigliere intimo di Gudruna che già sappiamo essere la Kriemhilde dei Nibelunghi. Donde s’intende che per tempo assai un elemento gotico è pure entrato nella composizione di questa grande leggenda epica, nella quale il mito e la storia, anche con inevitabili anacronismi, trovano il loro posto acconciamente.
- Ma, lasciando i personaggi dei Nibelunghi e i loro caratteri, notisi che uno dei più bei pregi di questo poema per il quale a buon dritto vanno orgogliosi i Tedeschi, si è l’economia di tutto il piano e l’armonia delle sue parti, anche se tutto il racconto è pur stato così architettato prima che il poeta dei Kürenberger pensasse a versificarlo. Il quale seguì bellamente la traccia segnata e riuscì a rendere attraente la sua narrazione e a dipingere con calore e con una certa evidenza le passioni de’ suoi eroi e i loro contrasti. Anche quel fare patetico e sentimentale che colorisce tutta quanta l’esposizione sua, sia ch’egli narri o descriva o faccia parlar qualcuno, inducono nell’animo del lettore un sentimento di mestizia soave che piace. E quell’incessante accennare alla lontana e pure inevitabile rovina che travolgerà tutti, un giorno, gli eroi, intanto che fa presentire la forza ineluttabile del fato, come avviene nelle tragedie greche, suscita anche nell’animo un certo sentimento di rassegnazione, non vile, non codarda, ma quale può essere di colui che sereno e calmo, non però spavaldo e spensierato, vede il suo fine, lo attende e deliberato l’affronta. In ciò, più di tutti gli altri, Hagen si distingue. E forse è questo un raddolcimento indotto nella fiera leggenda dal Cristianesimo, mentre che nell’Edda il cantore, qualunque sia, non pensa che all’azione del momento, anzi sembra affrettarla, molte cose tacendo e le cose dette toccando rapidamente con impeto che s’avvicina al lirico.
- La qual cosa significa che i cantori dell’Edda non hanno quella calma serena e tranquilla, maestosa nella sua tranquillità, che è propria delle epopee antiche. La calma poi che, al contrario, si trova nei Nibelunghi, sembra essere calma di rassegnazione placida, non già di equilibrio dello animo; tranquillità voluta, non nata da sè, perchè il poeta anche troppo si compenetra dei sentimenti che animano i personaggi suoi. Perciò i Nibelunghi sono ben lontani dalla serenità dei poemi omerici, nè hanno la maestà del poema di Firdusi che contempla dall’alto e descrive la lotta secolare tra Irani e Turani, immagine terrestre, viva perciò ed efficace, della gran lotta cosmica tra Ormuzd e Ahrimane, tra il bene e il male, nè spirano l’aura mistica del Râmâyana indiano, dove gli eroi, altrettante incarnazioni di Dei, malamente e a stento si muovono in quell’atmosfera sacerdotale. I Nibelunghi, adunque, hanno carattere tutto loro speciale, e perchè furon versificati da poeta cristiano che vi trasfuse idee e pensieri del tempo e ve ne aggiunse anche i costumi, diversi assai da quelli dei veri tempi epici, mostrano d'esser discesi, almeno d’un gradino, da quell’altezza in cui ne aveva concepito il racconto il cantore dell’Edda, allora che l’antichità pagana e mitica, madre feconda di epopee, glielo alimentava di un fuoco vitale.
- Donde si vede che non del tutto è giustificato l’entusiasmo che per il loro poema nazionale hanno i Tedeschi, i quali vollero anche, almeno tempo fa, dirlo e considerare eguale in importanza e bellezza ai poemi omerici, massime allorquando esso, dopo un lungo obblio, fu ritratto felicemente alla luce. Ma ora i caldi entusiasmi d’un tempo sono alquanto calmati, sebbene a quegli entusiasmi molto si debba condonare, perchè nati da amor di patria. E però anche dai Tedeschi si vede e si riconosce che molti difetti trovatisi nei Nibelunghi. Uno dei quali, anzi uno dei più gravi, si è che in alcuni punti il poema sembra una povera cronaca messa in versi, perchè lo studio di non lasciare indietro nessun particolare e di toccar tutti i momenti intermedi dell’azione, ha indotto il poeta anche a narrare e a descriver cose che non sono molto atte alla poesia, laddove l’Edda, rapida e concitata, tutte destramente le tace. Però, in alcune parti del poema, v’è aridità, e la narrazione sembra che ristagni con danno grande dell’effetto.
- Ma quella maestà e interezza epica vengono meno ai Nibelunghi anche per il metro è che la strofa di quattro versi che rimano due a due. Ora, di quanto questo metro, infelicemente scelto, sia per nuocere a una narrazione epica, si giudichi dalle seguenti parole del Bartsch, che più egregiamente e lucidamente non poteva farne conoscere i difetti: «Io non credo punto, scrive egli nella sua Introduzione al testo, da lui pubblicato, dei Nibelunghi (p. XXI-XXII), io non credo punto che, per quanto sia bella di per sè la strofa dei Nibelunghi e faccia egregia prova di sè adoperata nella lirica, sia stato un pensiero felice quello di adoperarla nell’epica. All’epopea ripugna sopra o una spartizione in strofe regolari. La tranquilla corrente della narrazione epica ha bisogno, essa pure, di qualche pausa, ma non ad intervalli determinati; anzi, ad intervalli liberi. La qual cosa universalmente vediamo osservata laddove una epopea vera si è svolta, cioè presso gl’indiani, presso i Greci, presso i Francesi. E la strofa sforza con violenza il poeta o a dipannare senza necessità ciò ch’egli vuol dire, per riempire la strofa, o a calcarlo insieme a forza, perchè trovi posto nella cornice di essa, quando però, ciò che avviene ancora, ma più raramente, non si trapassi l’argomento da una strofa all’altra; la qual cosa, alla sua volta, è contraria alla natura della strofa stessa. La circostanza poi che spesse volte l’argomento epico del momento che doveva esser trattato in una data strofe, nel terzo verso è già a sufficienza trattato, ha fatto sì che il quarto verso, allora, contiene soltanto qualche pensiero generale, o qualche accenno a ciò che verrà dopo o a qualche altra cosa, un che di superfluo veramente, per cui l’insieme va scapitando quanto a vero contegno epico.» Alle quali parole del Bartsch questo può aggiungere per conto proprio il traduttore in versi sciolti, cioè che nel verso sciolto, seguitato non interrotto per lunghi tratti, questi che nel testo sono artificiali compimenti della strofa, appaiono inutili ripetizioni e interruzioni fastidiose. Al qual difetto si sarebbe anche potuto ovviare col fare, traducendo, tante strofe quante sono nel testo; ma la strofa domanda la rima, e all’obbligo della rima si sarebbe congiunto l’altro, non meno tirannico, di non dire in una strofa italiana nè più nè meno di quello che si trova nella tedesca corrispondente. E poi, quale strofa dovevasi o potevasi scegliere? Non una di fattura italiana, perchè male si sarebbe accomodata alla tedesca; e rifar la tedesca, sarebbe stata cosa impossibile e, quando mai, ridicola. D’altra parte, il traduttore che traduce in versi, non deve mai dimenticare che egli fa opera con intento d’arte, e l’arte è delicata assai e bisogna trattarla bene; anche deve pensare che egli non decompone, ma ricompone, dopo averlo fatto suo, il libro ch’egli va traducendo, e però bisogna ch’egli lo renda nella sua lingua con tutto quel decoro e quella proprietà che la nuova veste domanda, pur tenendosi fedele al testo quanto più può. Quanto a me, dirò ch’io ho fatto ciò che ho potuto per esser fedele e dar veste conveniente nella mia lingua alla canzone dei Nibelunghi; e altri giudicherà. Aggiungo soltanto, per finire, che io, come in altra mia traduzione di maggior lena, traducendo i Nibelunghi non ho voluto punto soddisfare alle pretese miserabili di quei pedanti che d’un poeta che s’ha da tradurre, vogliono resa e ritratta la parola materiale e non lo spirito, e mostrano di preferire alla divina traduzione del Monti la stentata e sciancata, ler cia e rattoppata traduzione (se tale si può dire), che uno scolaretto di Liceo può fare, in prosa bastarda, di un brano di Omero. Ma di questi pedanti quanti, pur troppo! non si trovano disseminati per le nostre scuole! Io scommetto che se un poeta potesse tornare al mondo, ringrazierebbe di gran cuore il suo traduttore che ha cercato d’indovinarne lo spirito e l’idea, e manderebbe al diavolo i pedanti cornuti che, nell’aria morta delle biblioteche, ne vanno tormentando il testo per cercarne le varianti e queste portano in dono agli scolari, come unico e sovrano frutto dei loro studi.2
- Ma, tornando ai Nibelunghi, poichè vogliamo considerarne anche la parte manchevole, ci sia permesso qui di esporre liberamente ciò che notammo nel farne la lettura e nel tradurli. E prima di tutto ci pare che vi manchi qualunque descrizione della natura. Anche una descrizione breve, quale Omero ha talvolta, anche in certe sue immagini, non si trova nei Nibelunghi, ai quali manca ancora quell’arte del dare e appropriar gli aggettivi che fa così belli i canti d’Omero e di ogni altra epopea antica, più ancora se gli aggettivi sono composti. Nè si vuol dir con ciò che gli aggettivi manchino nei Nibelunghi; vogliam dire soltanto che pochi aggettivi, ovvii e semplici e d’uso molto comune, tutto fanno e a tutto servono, posti molte volte, non per interna necessità, ma soltanto per compiere il verso e per far la rima. O forse ciò si deve attribuire non del tutto al primo poeta, ma in parte anche a quelli che dopo di lui, come abbiam visto, hanno voluto ridurne la strofa a regolarità maggiore di rime. Anche è da notare, e ciò in forza della strofa, la narrazione spezzata, a cui manca quella continuità che è propria della narrazione epica, e quell’artificio abusato troppo spesso o del ripetere o del riassumere o del dir cose fuor di luogo, massime in fine della strofa. Ma di cotesto ha egregiamente parlato il Bartsch, citato di sopra. Riesce poi noioso e fastidioso di là da misura quel frequente descrivere gli abiti pomposi e gli abbigliamenti delle dame e dei cavalieri, fatto con la vanità di cortigiano elegante che bada di cuore a queste cose frivole, e non ha alcuna idea di ciò che possa e debba descrivere col suo verso potente un grande e vero poeta epico. E non è da poeta epico, sempre sereno e sicuro conoscitor delle cose, ma da cronista del Medio Evo, quel dir frequente che egli non sa cosa si facesse o non si facesse nella tale o tale altra occasione, e che non conosce certi luoghi, ciò che induce una incertezza impropria nel racconto. Ma che talvolta il poeta dei Nibelunghi sembri più cronista che epico cantore, abbiam detto più sopra; ora aggiungiamo soltanto che molte volte, come il cronista, egli è umile e pedestre, rigido e spicciantesi con poche parole, mancandogli quella vena abbondante e quella pastosità molle e pur solida che fa così belli in tutte le parti loro i canti di Omero.
- Ma il punto, nel quale il poeta ha maggiormente fallita la prova (e qui meno che altrove doveva fallirla), pensiamo che sia nella catastrofe del poema, laddove una mano più esperta della sua avrebbe potuto fare un quadro grandiosissimo e stupendo. Incendiata la sala nella quale stanno a banchettare i principi borgognoni, e impegnata la zuffa tra essi e i troppo fedeli seguaci di Kriemhilde, la catastrofe, dopo alcuni tocchi maestri del poeto, doveva precipitare, come precipita rapida e terribile nel canto di Atli nell’Edda, laddove l’ignoto, e pur grande cantore racconta e descrive lo stesso avvenimento. Ma il poeta dei Nibelunghi non ha saputo, come ha fatto il poeta dell’Edda, abbracciar d’uno sguardo la terribile scena, e alla descrizione dell’orribile tumulto e della sanguinosa carneficina non ha saputo dar la movenza e la vita che Omero le avrebbe date. Del quale non avendo l'arte, l’arte alata, come dice Pindaro, egli doveva esser più sobrio e più presto sbrigarsi, come ora si diceva, laddove egli inettamente diluisce il racconto e fa che gli eroi lungamente stiano a contendere fra loro a parole, bisticciandosi in modo da togliere quasi ogni effetto. I colloqui poi che, non si sa per qual canone d’arte, colloqui quasi platonici, sono incastrati nel momento più terribile della azione, collocati uno dietro l’altro, alternati con tenzoni e duelli, carneficine e morti d’ambe le parti, come ritardano lo scioglimento e son di nocumento all’effetto, mostrano anche che il poeta (se pur da lui procede tale disposizione e ordine del racconto) è impacciato nel dire e descrivere qual fu la sorti; di ciascuno dei suoi personaggi. Che se fosse lecita una comparazione un poto volgare, io direi che il poeta dei Nibelunghi, con tanta folla di personaggi da far morire, trovasi a disagio come il giocoliere che dovrebbe far muovere una dozzina di burattini e non ha che due mani a sua dispozione.
- I Nibelunghi, che pure, anche con le loro imperfezioni, sono sempre uno dei più solenni monumenti della letteratura germanica del Medio Evo, restarono lungamente ignorati fino alla metà del secolo passato, intanto che la letteratura tedesca servilmente imitava la francese. Dicono che il Lessing per primo ne rinfrescò la memoria nello stesso tempo che il Bodmer, svizzero, avendo ritrovati i manoscritti dei Nibelunghi, pensò di farne una edizione, che egli disegnava di dedicare a Federico di Prussia, quando il gran re, invasato d’ammirazione per le cose francesi, gli dichiarò che gli avrebbe gettato dalla finestra il libro, perchè assolutamente inutile. Ma poi, destata la curiosità e conosciuto il merito vero dell’antico poema nazionale, esso ebbe edizioni infinite, commenti e chiose e scritti, intesi a dichiararne l’origine, l’importanza e la composizione, a stabilirne il testo. Una ricca letteratura critica si schiera bellamente dattorno a questo monumento antico della letteratura germanica e gli fa degna corona, i lavori, sovra gli altri tutti, del Lachmann, di Guglielmo Grimm e del Bartsch. I manoscritti più autorevoli, poi, sono tre, nè vanno più in là del secolo decimoterzo, e sono : uno di Monaco, un altro di San Gallo, e un terzo che appartenne già ad un ricco e dotto signore tedesco, Giuseppe Lassberg, che volle far dipingere sulle pareti delle sale del suo palazzo i fatti dei Nibelunghi, togliendoli com’erano miniati dal manoscritto da lui posseduto.
- La lingua del poema dei Nibelunghi è il medio-alto-tedesco, incerto molte volte nelle sue forme grammaticali, nella sua sintassi e nella espressione spesse volte troppo elittica e concisa. Perciò i Tedeschi stessi ebbero bisogno di qualche traduzione, tra le quali (anche a rischio di dimenticarne qualche più recente e migliore) ricorderemo quella del Simrock, valente traduttore dell’Edda, del Döring, del Braunfels. La migliore traduzione francese è giudicata esser quella del Laveleye; e noi Italiani finora abbiamo avuto due traduzioni del poema, una del Cernezzi, l’altra del Gabrielli, alle quali, per colpa mia, ora si aggiunge la terza.
- La traduzione del Cernezzi è in versi sciolti,3 dedicata ad Andrea Maffei. A me, che pure ho tentata una traduzione in versi sciolti dei Nibelunghi, non è lecito giudicare dei versi del Cernezzi; dirò soltanto che la traduzione non sempre è fedele e che talvolta lascia indietro e trascura troppe cose. Si giudichi da questo esempio, scelto quasi a caso. All’Avventura XII, strofa 739 e seguenti, secondo l’edizione del Bartsch, il Cernezzi traduce:
- Cavalcando
- venti giorni, al castel de’ Nibelongi
- nella marca eran giunti di Norvegia,
- stanchi essendo cavalli e messaggeri
- dal vïaggio. Sigfredo nel castello
- era presso a Crimilda, quando nuova
- dei messaggeri seppero allor giunti,
- che all’uso di Borgogna cingean vesti
- ed armature
- E il testo dice: «In tre settimane essi vennero cavalcando nella terra. Al castello di Nibelungo, laddove essi erano inviati, nella marca di Norvegia trovarono essi l’eroe (Sifrido). Per la lunga via erano stanchi i cavalli dei messaggieri. Allora a Sifrido e a Kriemhilde, ad ambedue, fu detto che erano venuti cavalieri che portavano tali vesti quali in Borgogna si avea costume di portare.» — Nel qual luogo, tra le altre inesattezze che il lettore può notare, il Cernezzi ha dimenticato l’inciso: dar wâren si gesant, laddove essi erano inviati, e non ha inteso il verso: Sifride und Kriemhilde warl beiden dô geseit, a Sifrido e a Kriemhilde, ad ambedue, allora fu detto, perchè egli traduce: Sigfredo nel castello era presso Crimilda. — Ancora, seguitando, il Cernezzi traduce:
- Dal suo letto sorse
- tosto Crimilda, e ad un’ancella impose
- di recarsi al balcone. Allor veduto
- fu nella corte Gero e i suoi compagni,
- ond’essa al re dicea: Vedi coloro
- nella corte con Gero? Qui mandati
- li avrà Gontero, il fratel mio.
- E il testo dice: «Ella balzò da un letto dove giacea riposando. Pregò allora un’ancella di andare a una finestra; e costei vide l’ardimentoso Gere starsi nella corte, lui e i compagni suoi che là erano stati mandati. Per l’angoscia del cuor suo, deh! qual dolce nuova ella (Kriemhilde) ricevè allora! Al re ella disse: Ora vedete che là si stanno quelli che son venuti a corte col prode Gere, quali giù pel Reno ha mandati a noi il fratel mio Gunthero.» — Nel qual luogo notiamo che il Cernezzi ha lasciato indietro, oltre ad altre cose di minor conto, tutto il verso: gegen ir herzeleide wie liebiu maere si bevant! per l’angoscia del cuor suo, deh! qual dolce nuova ella ricevè allora! — che è uno di quei versi riempitivi che, come più sopra notava il Bartsch, servono a compiere la strofa. — Per finire, citiamo l’ultima strofa del poema che dal Cernezzi è resa così:
- Ciò che poi fu, dirvi non m’è concesso.
- Garzoni illustri e cari amici pianti
- furon colà da cavalieri e donne:
- qui fine ha la novella, e questi fûro
- dei Nibelongi i dolorosi eventi.
- E il testo dice: «Io non posso dirvi ciò che là avvenne dipoi, eccetto che cavalieri e donne, e oltre a ciò nobili garzoni, furon visti piangere la morte dei loro cari amici. Qui ha un fine il racconto. Questa dei Nibelunghi è la rovina.» — Nel qual luogo il Cernezzi ha commesso l’errore di fare che siano pianti da cavalieri e donne i garzoni illustri, die edeln knehte, mentre essi sono tra i piangenti. Il testo è chiaro: wan ritter unde wrouwen weinen man dâ sach,
- dar zuo die edeln knehte, ir lieben friunde tôt.
- Di tali inesattezze troppo spessi esempi si trovano nella traduzione del Cernezzi, al quale tuttavia non si può togliere il merito e il nobile vanto d’aver per il primo fatto conoscere agli Italiani il poema germanico.
- E veniamo alla traduzione del Gabrielli.4Il quale, giovane animoso e nutrito di buoni studi, ha data una traduzione in prosa, bella, spigliata e spontanea, e tale che, a dir il vero, molto volentieri si legge e senza fatica. Soltanto mi pare che egli abbia abbassato di non poco il tono dei Nibelunghi, i quali non hanno la grandiosità dei grandi poemi, come l’Iliade o il Libro dei Re, ma non sono nemmeno di stile tanto umile e depresso quanto quello dei Reali di Francia.
- Se il Gabrielli avesse tradotto in versi il poema, io molto facilmente avrei lasciato stare, sebbene avessi cominciata la mia traduzione molto tempo prima. Ma poichè egli ha tradotto in prosa e ha creduto di dare al poema quella intonazione che di sopra ho notato, senza che io pretenda di aver fatto meglio, ma soltanto per seguire una mia propria convinzione, con un tono che ho cercato di mantener più sostenuto, e in versi, ho pensato di condurre a termine la incominciata traduzione. Da parte mia poi credo che le due traduzioni possano stare accanto l’una dell'altra, essendo differenti di modo e di concetto. Della mia traduzione, dopo aver appresa la lingua del testo sotto la guida dell’illustre prof. Emilio Teza a Pisa negli anni 1870 e 1871, diedi già un saggio nella mia Antologia Epica,5 inserendovi la morte di Sifrido. Ma quella traduzione era soverchiamente libera, e però la disfeci, ricominciando da capo allorquando il lungo lavorìo intorno alla traduzione del poema di Firdusi m’ebbe lasciato un poco di quiete. Ora la traduzione del poema di Firdusi è pubblicata,6 e questa dei Nibelunghi si licenzia per le stampe. Chi sa che, terminato che io abbia un lungo lavoro che ho fra le mani intorno alla storia della poesia persiana, non mi accinga ancora, se potrò far tanto, a tradur l’Edda, della quale manca ancora una versione italiana.
- Torino, Marzo 1889.
- Italo Pizzi.
- ↑ In un poema persiano, che fa seguito al Libro dei Re, di Firdusi, si trova che la figlia di Rustem, la bella Bânûgushasp, una eroina vincitrice di fiere, di mostri e di eroi, è data in isposa a Ghêv. La prima notte essa lega suo marito e lo nasconde sotto una panca, finchè giunge Rustem per rimproverare la figlia e ristabilir l’ordine in quella casa.
- ↑ Un bello spirito ha definito la Biblioteca Laurenziana la macelleria delle varianti. Troviamo un poco impertinente, ,a giustissima la definizione, perchè non vi si fa altro.
- ↑ Il Canto dei Nibelongi, antico poema tedesco. Prima traduzione italiana di Carlo Cernezzi, Milano, Pirotta e C., 1847.
- ↑ La rovina dei Nibelunghi, traduzione dal tedesco di Annibale Gabrielli. Città di Castello, S. Lapi, 1887.
- ↑ Torino, E. Lœscher, 1878 (pag. 256-301).
- ↑ Firdusi, Il Libro dei Re, poema epico, recato dal persiano in versi italiani da I. Pizzi. Torino, Bona, 8 vol., 1886-88.
- Note
- Avventura Prima
- kriemhilde
- Nelle antiche leggende a noi ben molte
- Cose si narran prodigiose, d’incliti
- Eroi si parla e di gagliarde imprese
- E di gioie e di feste e di lamenti
- 5 E di pianti pur anco. Oh! voi dovrete
- Udir cose ridir meravigliose
- Di battaglie di prodi arditi e forti!
- In Borgogna crescea nobil donzella,
- Tal, che cosa più vaga in ogni loco
- 10 Essere non potea. Costei Kriemhilde
- Era nomata; era costei leggiadra,
- E per essa dovean molti gagliardi
- Perder la vita. All’amorosa donna
- Ben s’addicea l’essere amata, e lei
- 15 Disïâr molti prodi e niuno a lei
- Fu avverso mai. Leggiadra la gentile
- Persona avea costei più che misura,
- E ogni altra donna avrìa fregiata e adorna
- Nobil virtù de la fanciulla. Intanto
- 20 Aveanla in cura tre potenti regi,
- Nobili, Gùnther e Gernòt, eroi
- Degni di laude, e Giselhèr garzone,
- Un prode eletto. Suora la fanciulla
- Era di questi, e i principi l’avièno
- 25 In lor custodia. Liberi in lor doni
- Fûr questi re, d’inclita stirpe nati,
- Eroi di gran possanza, elli, di tutti
- I gagliardi gli eletti. E la lor terra
- Borgogna si dicea. Ma poi ben grandi
- 30 Meraviglie operâr là nella terra
- D’Etzel un dì. Soggiorno in lor possanza
- A Worms elli tenean prossimi al Reno,
- E lor servian superbi cavalieri
- Della lor terra, con pregiato onore,
- 35 In fino al tempo de la morte. A morte
- Elli ne andâr miseramente un giorno
- Di due donne per l’odio, inclite e illustri.
- Donna Ute, ricchissima regina,
- Lor madre si dicea, diceasi il padre
- 40 Dancràt, che al fin di sua terrena vita
- Lor lasciava il retaggio, egli magnanimo,
- Che onor ben grande procacciossi al tempo
- Di sua giovane età. Questi tre prenci
- Eran, com’io già ’l dissi, di ben alta
- 45 Forza e virtù. Soggetti anche si avièno
- I gagliardi migliori, onde la gente
- Molto parlò, forti e avveduti assai
- E in fieri assalti intrepidi. Fra questi
- Hàgen fu di Tronega, e il suo fratello,
- 50 Dancwart veloce, e Ortwin da Metze, e i due
- Margravi, Gère ed Ekkewàrt, Volkèro
- D’Alzeia, adorni d’ogni pregio. Mastro
- Alla cucina fu Rumòldo, un prode
- Eletto, e v’era anche Sindòlto e Hunoldo,
- 55 E questi prodi in cura avean la corte
- E le feste e gli onori, ei di tre prenci
- I fidi amici. Ed elli avean pur anco
- Altri prodi con sè, ch’io qui non posso
- Tutti nomar. Dancwarto era preposto
- 60 A le stalle, e il nepote, Ortwin da Metze,
- Era scalco del re; Sindòlt coppiero,
- Il fior d’ogni gagliardo, e ciambellano
- Era Hunòldo, e sapean nobili uffici
- Tutti compir. Ma degli addetti a questa
- 65 Inclita corte e della sua possanza,
- Ampia all’intorno, e dell’alta virtude
- E del valor de’ cavalieri, in tutta
- La vita lor con molta gioia addetti
- A questi re, nessun veracemente
- 70 Al fin giunger potrìa de le novelle.
- In tanto onor, sognava Krïemhilde
- Com’ella già nutrito aveasi un falco,
- Fiero e leggiadro assai, cui due sbranavano
- Aquile innanzi agli occhi suoi. Non mai
- 75 Avvenir le potea più dolorosa
- Cosa quaggiù! Ma il sogno ella narrava
- Ad Ute madre sua, nè alla sua buona
- Figlia esplicar potea meglio colei
- Il sogno. Un nobil uom, disse, gli è il falco
- 80 Quale allevasti; e se guardar nol vuole
- Iddio signor, tu il perderai ben tosto.
- D’uom che parlate voi, dolce mia madre?
- Senz’amor di guerrieri io vo’ pur sempre
- Così restar. Bella così vogl’io
- 85 Fino alla morte rimaner, perch’io
- D’uom da l’amor non tocchi mai rancura.
- Ma la madre le disse: Oh! la tua fede
- Non impegnar sì ratto! Ove tu debba
- Sempre alla terra esser di cor beata,
- 90 D’uom per l’amor ciò avviene. E tu sarai
- Sposa leggiadra un dì, quando ti aggiunga
- Al fianco Iddio gagliardo veramente
- Un cavaliero. — O donna mia, rispose,
- Questo detto lasciate! E ben sovente
- 95 Manifesto si fece a donne assai
- Che alfine alfine ricompensa amore
- Con doglia acerba. Or io l’amor, la gioia,
- Evitar bramo, onde avventura trista
- Mai non m’incolga. — E Krïemhilde in core
- 100 Si fè schiva d’amor; quindi ella visse,
- Ella sì dolce, molti giorni assai
- Lieti e sereni, sì che niuno in terra
- Ella sapea cui porre amor volesse.
- Eppur, d’un prode cavaliero un giorno
- 105 Con molto onore ella fu sposa; e quello
- Era il falco medesmo che nel sogno
- Veduto già si avea, qual la sua madre
- Annunziavale in pria. Sovra i congiunti
- Più prossimi di lei che aveanlo ucciso,
- 110 Ella deh! come il vendicò! Per quella
- Sola morte di lui molti periro
- Di madri dolorose incliti figli!
- Avventura Seconda
- sifrido
- Di nobile signor crebbe frattanto
- In Niderlànd un figlio (erane il padre
- Nomato Sigemundo, era la madre
- Sigelinde), a un castel lungi ben noto
- 5 Ed opulento, laggiù in riva al Reno,
- Che Santèn si dicea. Sifrido il nome
- Del valente guerrier. Ben molti regni
- Ei visitò con poderoso ardire,
- Di sua persona col vigor per molti
- 10 Paesi cavalcò. Deh! quanti eroi
- Ei ritrovò gagliardi in fra i Burgundi!
- Nel suo tempo miglior, ne’ giorni suoi
- Giovani ancora, meraviglie assai
- Dir di Sifrido si potrìano e quanto
- 15 Onore attorno gli cresceva e quanto
- Egli era bello di persona. L’ebbero
- Perciò in amor molte leggiadre donne.
- Con molta cura ci fu allevato, quale
- Bene a lui s’addicea; ma quanti pregi
- 20 Aggiungervi ei potè dal suo medesmo
- Eletto spirto! Andavane per lui
- Adorna ancor del padre suo la terra,
- Chè in tutte cose il rinvenìa ciascuno
- Grande e perfetto. Egli crescea frattanto,
- 25 Fin che alla corte cavalcò. La gente
- Il guardò allor con occhio amico, e tosto;
- Molte fanciulle e molte donne in core
- Molto bramâr che il suo desio pur sempre
- Alla corte il recasse. A lui propensi
- 30 Eran tutti dell’alma, e il cavaliero
- Cotesto anche sapea. Ma raro assai
- Senza custode il nobile garzone
- Altri lasciava cavalcar. Le vesti
- Omar gli fean Sigmundo e Sigelinde,
- 35 E sapïenti, a cui note le leggi
- Eran d’onore, anche l’aveano in cura,
- Si ch’egli poi d’un tratto e genti e terre
- Acquistar si potea. Al grado intanto
- Egli venìa di portar l’armi; e allora
- 40 Di quanto ei bisognò, bastevol copia
- Ebbesi innanzi. Incominciò con senno
- Vaghe donne ad ambir, che la persona
- Del pro’ Sifrido amavano ad onore,
- E Sigemundo intanto, il padre suo,
- 45 Fe’ noto a’ suoi che coi diletti amici
- Una festa indicea. Ratto l’annunzio
- D’altri regnanti ne la terra andava,
- E una vesta e un destrier donava il sire
- A famigliari ed a stranieri. Dove
- 50 Rinvenir si potea chi, de la stirpe
- De’ suoi congiunti, cavalier si fea,
- Là per tal festa i nobili garzoni
- Tutti di Sigemundo aveano invito
- Alla terra; col giovane signore
- 55 La prima volta ei presero la spada.
- Meraviglie narrare altri potrìa
- Di quella festa. Molto onor per doni
- Ottener potè allor con Sigelinde
- Re Sigemundo, e ne spartì ben molti
- 60 Lor destra liberal; molti stranieri
- Fûr visti cavalcar verso la terra.
- Quattrocento i gagliardi che la veste
- Dovean portar di cavalier gentile
- Con Sifrido, e in quell’opra affaccendate
- 65 Eran molte fanciulle adorne e belle,
- Inchinevoli a lui del cor, dell’alma.
- Fermavano su l’or le vaghe donne
- Molte nobili gemme, esse che al fiero
- E giovinetto cavalier la vesta
- 70 Fregiar volean, nè v’era scampo all’opra,
- Di fulgidi ricami. Attorno intanto
- Fea por gli scanni l’ospite regale
- Per molti prodi, allor che ad un solstizio
- Nome di cavalier Sifrido ottenne.
- 75 Al monastero andavano frattanto
- Molti ricchi garzoni e molti ancora
- Nobili cavalieri; e giusto ufficio
- Aveano i savi di giovar col senno
- I garzoncelli, come già per essi
- 80 Altri adoprava un dì. Feste e tripudi
- Ebbero allora e dolce speme assai
- D’altra gioia pur anco. E si cantava
- Una messa di Dio santo ad onore,
- E affollavasi attorno in ampia turba
- 85 La gente accolta, ratto che i garzoni,
- Con molto onor quale più mai non fue,
- Cavalieri fûr detti, ai santi riti
- Di cavalier conforme. Elli gittârsi
- Là ’ve trovâr sellati i palafreni,
- 90 E nel castello di Sigmund sì forte
- Fragor levossi che palagio e sale
- Echeggiar se ne udian. Grande un tumulto
- Que’ prodi fean d’altere voglie; assai
- Colpi s’udian di vecchi e di garzoni,
- 95 Sì che le schegge andavano dell’aste
- All’etra con fragor. Vedeansi attorno
- Dalle destre volar de’ cavalieri
- Lungo il castel tronconi infranti; e questo
- Con fiero ardor si fea. Ma fe’ comando
- 100 L’ospite regio di cessar. Fûr tratti
- Di là i destrieri, e vidersi ben molti
- Forti pavesi là spezzati e molte
- Gemme pregiate su l’erba cadute,
- Tolte de’ scudi a le coregge fulgide;
- 105 Tanto accadea nell’urto impetuoso!
- Allor, là ’ve al sedersi ebbero invito,
- Dell’ospite regal vennero insieme
- I commensali, e molte dapi elette
- E vin prescelto che fu addotto in copia,
- 110 Li disciogliean da lor stanchezza. Ancora
- A famigliari ed a stranieri assai
- D’onor fu fatto; e poi che tutto il giorno
- Ebber molto tripudio, a l'ampia folla
- Che attorno andava, ogni posar fu tolto.
- 115 Questa, per doni aver, le ricche genti
- Che là trovò, servìa. Così di lode
- Tutta di Sigemùnd la nobil terra
- Andava adorna. L’inclito signore
- A Sifrido garzon terre e castella
- 120 Donava in feudo, come già per lui
- Un dì si fece ; e la sua mano egregi
- Doni fe’ ancora a’ nobili compagni
- Nell’armi al figlio suo. Quel lor vïaggio.
- Ond’erano venuti alla sua terra,
- 125 Gradito al cor così gli venne. Intanto,
- Fino al settimo di ne andâr le feste,
- E Sigelinde ricca, ad un antica
- Legge conforme, per l’amor del figlio
- Fulgid'oro spartì, ch’ella volea
- 130 Tanto ottener che fossergli le genti
- E benevole e amiche. E là nessuno
- Si vide errar mendico, e dava intanto
- Vesti e destrieri liberal la mano
- Dei due regnanti, come se di vita
- 135 Lor non restasse un dì. Credo non mai
- Verso famigli e amici altri adoprasse
- Maggior grandezza. Con pregiato onore
- Si disciolse la festa, e da vassalli
- Ricchi e potenti bene udiasi allora
- 140 Che il giovane guerriero elli bramavano
- Aver signore. Ma di ciò desio
- Prence Sifrido non avea, quel prode
- Leggiadro e bello. Fin che visser ambo
- E Sigemundo e Sigelinde, il figlio
- 145 A lor diletto mai non volle in capo
- Recar corona; disïò soltanto,
- Ei prode e baldo cavalier, di sire
- E nome e potestà per ogni assalto
- Ch’egli temea per la natia sua terra.
- Avventura Terza
- In che modo sifrido andò a Worms
- Raro davver turbavano del core
- Gli affanni il giovin sire! Eppure udìa
- Sovente raccontar come pur fosse
- In Borgogna una vergine leggiadra,
- 5 Bella quant’uom può disïar. Da quella
- Egli ebbe poi ben molte gioie e ancora
- Molto travaglio! Ma di lei frattanto
- La singolar beltà lungi era nota,
- Noti gli alteri sentimenti a un tempo,
- 10 Quali in lei ritrovâr molti fra i prodi,
- Onde tratti eran molti ospiti illustri
- Di Gunthero alla terra. Oh! se ben molti
- Fosser visti cercar colei d’amore,
- Kriemhilde a sè medesma in suo pensiero
- 15 Non concedea per ch’ella mai volesse
- Alcuno amante. Ancor straniero a lei
- Era il garzon, cui fu sommessa un giorno.
- A quell’inclito amor pensava intanto
- Di Sigelinde il figlio, e tosto sparvero
- 20 Gli altri amadori innanzi a lui qual vento,
- Ch’ei si merlava la leggiadra e bella
- Giovinetta, e più tardi al pro’ Sifrido
- La nobile Kriemhilde ivane sposa.
- Ma i suoi congiunti e molti degli amici
- 25 Il consigliâr, poi che recar volea
- Sopra un fidato amor la sua speranza,
- Ch’ei cercasse cotal che più di lui
- Esser degna potesse, e il valoroso
- Sifrido rispondea: Kriemhilde adunque
- 30 Pigliar mi vo’, della burgundia terra,
- Per sovrana beltà, la giovinetta
- Avvenente e leggiadra. È a me ben noto
- Che imperator non è sì ricco e grande,
- Cui, s’egli brami donna aver, costei
- 35 Per amor non convenga, inclita donna.
- Cotal novella udì Sigmùnd. La disse
- La gente sua. Quando il voler del figlio
- Così noto gli venne, alto un affanno
- Fu pel suo cor, che l’illustre fanciulla
- 40 Quei disïasse dimandar. Sentore
- Pur n’ebbe Sigelinde, inclita donna
- Del nobil sire, e grande in cor n’avea
- Pel viver del suo figlio affanno e cura,
- Ch’ella ben conoscea Gunthero e tutte
- 45 Le genti sue. Principio allor fu posto
- L’amoroso desio dal cor del prode
- A sradicar. Diletto padre mio,
- Il pro’ Sifrido favellò, per sempre
- Senza l’amor di nobil donna in terra
- 50 Io mi vivrò quand’io, là 've il mio core
- Ha grande amor, non volgessi il desire.
- Qualunque cosa altri dir possa, nullo
- Consiglio fia. — Se ritrarti non vuoi,
- Dissegli il prence, al voler tuo con fermo
- 55 Desìo m’acconcerò; meglio ch’io possa,
- Aita ti darò fino alla meta,
- Ben che molti superbi e riottosi
- Abbia con seco re Gunthero. E s’anche
- Niun altro fosse fuor d’Hàgene prode,
- 60 Qual ben potrà per disdegnoso vampo
- Opre altere compir, sì ch’io d’assai
- Temo nel core, ciò soltanto a noi
- Esser potrà cagion d'affanno, allora
- Che per noi si volesse la regale
- 65 Fanciulla dimandar. — Che mai potrìa
- Toglierci questo? rispondea Sifrido.
- Cosa che d’essi per amica via
- Non ottenessi, la mia man con forza
- Aver potrà. M’affido io sì con essa
- 70 Di vincerne le genti e l’ampia terra.
- E prence Sigemùnd così rispose:
- M’è doglia il tuo parlar. Quando sul Reno
- Altri vorrà ridir queste parole,
- Tu non potresti mai col tuo destriero
- 75 In quella terra entrar. Da lungo tempo
- Noti mi son Gunthero e il fratel suo
- Gernòt, nè alcun potrìa per vïolenza
- La fanciulla acquistar. — Sì di cotesto
- Altri mi favellò, prence Sigmundo
- 80 Soggiunse ancora. Ma se tu con prodi
- In quella terra cavalcar presumi,
- Se alleati abbiam noi, questi ben tosto
- Qui ne verranno. — In mio pensier tal cosa
- Già non è, rispondea Sifrido allora,
- 85 Che per far guerra seguanmi sul Reno
- (Ciò mi saria dolor) li miei gagliardi,
- Per ch’io la donna illustre al voler mio
- Costringa e pieghi. La mia destra sola
- Conquistarla dovrà. Ma dodicesmo
- 90 Fra’ miei compagni scenderò alla terra
- Là di Gunthero, e tu mi porgi aita,
- Diletto padre Sigemundo. — Allora
- Vesti grigie e dipinte a’ suoi guerrieri
- Fûr date in copia. Ma cotal novella
- 95 Anche la madre Sigelinde apprese.
- Incominciò pel figlio suo diletto
- A dolersi, chè perderlo temea
- Di Gunthèr per la gente. Oh! la regina
- Inclita e illustre cominciò un gran pianto!
- 100 Prence Sifrido là ’ve ancor potea
- Vederla, andava, e a quella madre sua
- Dolce a parlar si fea: Deh! non piangete,
- Donna, sul mio voler, ch’io già presumo,
- Senza cura o pensier, starmi dinanzi
- 105 Ad ogn’altro campion. Sol m’aitate
- Nel mio vïaggio alla burgundia terra,
- Per ch’io co’ prodi miei vesti cotali
- Aggia con me, quali recar soltanto
- Possono con onor campioni alteri.
- 110 Di tanto a voi dirò con molta fede
- Grazie veraci. — Poi che tu ritrarti
- Da ciò non vuoi, regina Sigelinde
- Così rispose, aita in tuo vïaggio,
- Unico figlio mio, con le migliori
- 115 Vesti che cavalieri unqua recaro,
- A te darò, darò a’ compagni tuoi.
- Copia che basti, voi recar potrete.
- Inchinavasi innanzi alla regina
- Sifrido allora giovinetto. Ei disse:
- 120 Più che dodici eroi nel mio vïaggio
- Aver meco non vo’; per questi soli
- S’approntino le vesti. Io volentieri
- Bramo veder ciò che a Kriemhilde accade.
- Allor, vaghe fanciulle e notte giorno
- 125 Stettero assise, nè fu lor concesso
- Alcun riposo, fin che di Sifrido
- Fûr le vesti apprestate. Ei già non volle
- Contro al viaggio suo consiglio alcuno.
- Ma la tunica sua di cavaliero
- 130 Il padre ornar gli fe’, poi che volea
- Di Sigemundo abbandonar la terra,
- E i molti si apprestâr fulgidi arnesi
- Pur anco e forti gli elmi e le lor targhe
- Ampie e leggiadre. Ed ecco! che vicino
- 135 Era il vïaggio alla burgundia terra,
- E incominciarno allor uomini e donne
- A ripensar se ancora al suol natìo
- Sarian tornati i valorosi. Intanto
- Sovra i giumenti indissero gli eroi
- 140 D’ammontar vesti ed armi. Eran leggiadri
- Lor palafreni, e in fulgid’or le ricche
- Lor bardature. Nè timor fu mai
- Che altri vivesse allor più fiero e ardito
- Di Sifrido e de’ suoi. Chiedeva intanto
- 145 Vènia al vïaggio appo i Burgundi il prode.
- Vènia gli concedean con molto affanno
- Il prence e la sua donna, ed ei con molto
- Amor li consolò. Pel mio desire
- Pianger, dicea, voi non dovete. Sciolti
- 150 Per la persona mia sempre da cura
- Esser possiate voi! — Ma ciò fu doglia
- A molti prodi e lagrimâr pur anco
- Molte fanciulle, e cred’io sì che il core
- Del ver lor favellò, perchè poi molti,
- 155 Del giovinetto amici, in terra estrana
- Giacquero estinti. Lagrimavan quelli
- A ragione così, duol veritiero
- Così a tutti incogliea. Nella mattina
- Che settima spuntò, già su la sponda
- 160 Arenosa di Worms i valorosi
- Cavalcavano insieme. Ogni lor vesta
- Era di fulgid’or, le bardature
- Con molt’arte composte, e i palafreni
- De’ compagni a Sifrido inclito e prode
- 165 Camminavano placidi. Lor targhe
- Ampie e lucenti erano nuove e gli elmi
- Leggiadri assai, quando alla corte andava
- Sifrido ardimentoso in quella terra
- Di re Gunthero. Oh no! vesti più ricche
- 170 Mai non fûr viste indosso a valorosi!
- Ma discendean le punte di lor spade
- Fino agli sproni, e cuspidate lancie
- Recavano gli eletti cavalieri,
- E Sifrido una spada ampia recava
- 175 Di ben due spanne, qual con la sua lama
- In terribile guisa alto fendea.
- Le redini dorate elli reggeano
- Con la destra, e di seta i pettorali
- Eran de’ palafreni. In questa foggia
- 180 Ei vennero alla terra, e intorno intorno,
- Da tutte parti, incominciò la gente
- A rimirarli a bocca aperta. Allora
- Molti ai venienti eroi corsero incontro
- Uomini di Gunthero. I prodi illustri,
- 185 Cavalieri e garzoni, ai prenci incontro
- Così venian (dritto sovrano è questo)
- E ne la terra del lor sire i nobili
- Suoi ospiti accogliean, togliean di mano
- I palafreni con loro ampi scudi.
- 190 Di là essi volean fino a le stalle
- Addur lor palafreni, allor che ratto
- Sifrido ardito favellò: I destrieri
- Di me, de’ miei compagni, in questo loco
- Lasciateci restar. Di qui ben tosto
- 195 Andremo noi, che abbiam leale e giusto
- Intendimento. Ma colui fra voi
- Che sa le cose, non mi taccia ov’io
- Possa il prence trovar (ciò mi si dica),
- Gunthèr possente del burgundio regno.
- 200 Tale gli disse allor, cui fu ben noto
- Il vero: Se trovar bramate il sire,
- Ciò ben farsi potrà. Co’ suoi gagliardi
- In quell’ampie sue sale or io l’ho visto,
- E andar là voi potrete. Ivi appo lui
- 205 Molti voi troverete incliti prodi.
- Ma le novelle furon dette intanto
- Al burgundio signor, molti aitanti
- Cavalieri venir che bianchi arnesi
- E vesti si recavano sfarzose.
- 210 Niun però ne la terra di Borgogna
- Li conoscea. Di questo al prence incolse
- Alto stupor, donde venisser mai
- I nobili guerrieri in sì sfarzose
- Vesti dipinte, con sì forti scudi
- 215 E nuovi ed ampi. Ma perchè nessuno
- Ciò ridir gli potea, n’avea rancura
- Prence Gunthero. Al suo signor rispose
- Ortwin da Metze, nobile e gagliardo:
- Se noti a voi non son, fate che venga
- 220 Hàgen mio zio qui avanti e ch’ei li vegga.
- I regni a lui son noti e le straniere
- Terre pur anco. Se cotesti prodi
- Son noti a lui, ce ne dirà novelle.
- Fe’ cenno il re che lui con le sue genti
- 225 Fossegli addotto, e ratto egli fu visto
- Ire alla corte fra’ suoi molti eroi
- Con fiero incesso. Che volea da lui
- Il suo prence e signore, Hàgen chiedea.
- Sono in mie case ignoti cavalieri,
- 230 Disse, che niuno qui conosce. Quando
- Visti gli abbiate voi, con leal core,
- Hàgen, il vero mi direte. — Questo
- Io ben farò. — Ciò disse. A una finestra
- Hàgen andava e gli occhi suoi su gli ospiti
- 235 Lasciava spazïar. Molto gli piacquero
- E le vesti e i compagni; e molto invero
- Di Borgogna nel suol parvergli strani.
- Ei disse poi: Qualunque sia la terra
- Donde vennero al Reno esti gagliardi,
- 240 O son principi ei stessi ovver di prenci
- Son messaggieri. I lor destrier son belli,
- Buone d’assai le vesti lor. Ma d’alti
- Sensi e gran core ei son, donde che vengano.
- Hàgen ancor disse cotesto: Cosa
- 245 Io dir vorrei quantunque il pro’ Sifrido
- Io mai visto non abbia; e forse ancora,
- Come ciò sta, creder vorrei che quello
- Appunto ei sia che maestoso incede.
- Novelle ei reca in questa terra. Un giorno
- 250 I Nibelunghi ardimentosi uccise
- La man di questo eroe, d’un re potente
- Figli, Schilbungo e Nibelungo. Grandi
- Meraviglie operò con sua gran forza
- Sifrido allora. Poi che senza scorta
- 255 Soletto cavalcò l’eroe gagliardo,
- Dinanzi a un monte, e ciò ben mi fu detto,
- Appo il tesor di Nibelungo molti
- Uomini egregi ei ritrovò. Cotesti
- Gli erano ignoti, ma ben tosto ei n’ebbe;
- 260 Esperienza. Fuor da un cavo monte
- Di Nibelungo fu portato un giorno
- L’ampio tesoro. Or voi di meraviglie
- Udrete favellar, come spartirlo
- Voleano allora i Nibelunghi. Questo
- 265 Sifrido eroe vedea, sì che a stupirne
- Quel prode incominciò. Tanto si fece
- Vicino, ch’ei vedea gli ignoti eroi
- E gli eroi vedean lui. Ma di cotesti
- Uno dicea: Di Niderlànd il prode,
- 270 Sifrido valoroso, ecco sen viene!
- Là presso ai Nibelunghi oh! molti e nuovi
- Casi il prode incontrò! — Liete accoglienze
- Schilbungo e Nibelung feano a quel prode,
- Ei fean preghiera per concorde brama
- 275 Al giovin prence illustre ond’ei, leggiadro,
- Il tesoro spartisse, e ciò con molta
- Voglia e studio chiedean, sì che già il sire
- Cotesto promettea. Sì come noi
- Udimmo a raccontar, tante egli vide
- 280 Lucenti gemme, che ben cento plaustri
- Smuover non le potrìan; ma il fulgid’oro
- Del suol de’ Nibelunghi in maggior copia
- V’era pur anco, e tutto ciò dovea
- Spartir la man del pro’ Sifrido. Allora
- 285 In premio gli donâr di Nibelungo
- L’inclita spada. Eppur, da tal servigio,
- Qual Sifrido prestò, buon cavaliero,
- Male d’assai lor venne poi. Al fine
- Condur l’impresa ei non potò, ch’egli erano
- 290 D’alma riottosa. Dodici gagliardi
- Eglino avean de’ loro amici, ed erano
- Forti giganti inver. — Ma che potea
- Giovar cotesto? — In suo disdegno, tutti
- Di Sifrido la destra li colpìa,
- 295 Ed ei ben settecento eroi gagliardi
- Vinse, ch’eran del suol dei Nibelunghi,
- Con quella che Balmùng era appellata,
- Spada possente. Ond’è che per timore
- Alto che avean del ferro e dell’eroe,
- 300 Molti giovani prenci a lui sommisero
- La lor terra natìa co’ suoi castelli.
- Ambo atterrati i due potenti regi,
- Morti così, grave distretta a lui
- D’Alberico venìa. Sul loco istesso
- 305 Disïava costui de’ regi suoi
- Pigliar vendetta, fin che da Sifrido
- Colpo fatal toccò. Già non potea
- Resistere a quel prode il forte nano;
- Come feri leoni, ambo salìano
- 310 Di corsa al monte, ove la sua Tarnkappe1
- Tolse al nano Sifrido. Ei, l’uom tremendo,
- Fu del tesoro allor prence e signore.
- Ma quei che di pugnar con seco ardirono,
- 315 Tutti giacquero uccisi. Egli il tesoro
- Fe’ ratto addurre e carreggiar sul loco
- La 've il tenean di Nibelùng le genti,
- E n’ebbe ufficio di custode il forte
- Alberico animoso. Un giuramento
- 320 Forza fu ch’ei giurasse, onde qual servo
- Servisse al prode. E in ogni cosa invero
- Ei fu giusto e leal. — Questo ancor disse
- Hàgene di Tronega: Ei fe’ cotesto,
- E niun altro guerrier si acquistò mai
- 325 Maggior possanza. Ed altre cose molte
- Io so di lui che mi son note. Un drago
- La mano uccise dell’eroe. Nel sangue
- Ei si bagnò, sì che qual duro corno
- La cute gli si fea; perciò niun’arma
- 330 Incidere la può, tanto ella appare
- E densa e spessa. Or noi cotanto sire
- Accoglier qui dobbiam per quella guisa
- Che fia migliore, onde per noi corruccio
- Non si merti del giovane guerriero.
- 335 N’è avvenente il bel corpo, e ognun l’ha caro
- Veracemente, ch’egli oprò ben molte
- Col valor suo meravigliose cose.
- Il re possente favellò: Tu al vero
- Ti apponi. Vedi tu come superba-
- 340 mente ei si tien quale in atto di pugna,
- Ei, possente guerrier, con tutti i suoi
- Prodi seguaci. Or dobbiam noi discendere
- Fino all’incontro dell’eroe. - Rispose
- Hàgene allor: Ciò ben potete voi
- 345 Con vostro onore. Egli è di stirpe illustre,
- Figlio di re possente. E in atto ei tiensi
- (Parmi, e Cristo lo sa!) qual di chi giunse
- Qui cavalcando per non lieve cosa.
- Disse il re della terra: Il benvenuto
- 350 Egli ci sia. Gli è nobile e gagliardo,
- Ed io già il seppi. Giovigli pertanto
- Alla terra burgundia esser venuto.
- Così ne andava principe Gunthero
- Là 've rinvenne il pro’ Sifrido. Allora
- 355 Il regal sire e i prodi suoi di tale
- Foggia accogliean quell’ospite novello,
- Che in loro atti cortesi alcun non fue
- Mancamento o difetto. Il giovinetto
- Avvenente e gentil chinava il capo,
- 360 Da che fatto gli avean gli ospiti suoi
- Sì bel saluto. Meraviglia, disse
- Il prence allor, di ciò mi tocca, o nobile
- Sifrido, perchè mai giunto qui
- A questa terra; o che cercar vogliate
- 365 Sul Reno, a Worms. - E l’ospite a quel sire
- Così parlò: Mai non sarà che questo
- A voi si taccia. A me, del padre mio
- Là nella terra, venne dato annunzio
- Che son qui presso a voi (questo già intesi
- 370 Con gran desìo) gli eroi più valorosi
- (Questo già seppi), quali un re da presso
- Aver si può. Per ciò men venni. Ancora
- Odo narrar che siete voi medesmo
- Di tal valor, che niuno un re giammai
- 375 Vide cotale. Parlano di tanto
- Le genti in tutta questa terra; ed io
- Non vo’ partir se ciò non mi è ben noto.
- Un cavaliero anche son io, corona
- Un giorno porterò. Con ferma voglia
- 380 Questo bramo toccar che altri dicendo
- Di me poi vada ch’io posseggo a dritto
- Popoli e terre. In questo e l’onor mio
- E il capo mio pegno saranno. Intanto,
- Che siate voi, così come fu detto,
- 385 Prodi e gagliardi, non mi curo, sia
- Che ciò caro vi torni o vi dispiaccia.
- Io vo’ rapirvi ciò che avete in terre
- Ed in castella, fin che poi sommessi
- Tutti mi siate. - Meraviglia s’ebbe
- 390 Il prence (e i prodi suoi l’avean pur’anco)
- All’annunzio che intese, onde Sifrido
- Di toglier la sua terra avea disìo.
- I prodi che l’udian, n’ebber disdegno.
- Mertar come potei, disse a quel prode
- 395 Gunthero allor, che quanto il padre mio
- Lunga età possedea con molto onore,
- Per vïolenza di chiunque perdere
- Per noi si debba? Male inver faremmo
- Apparir noi che pur da noi si cura
- 400 Di cavalieri dignità! — Partirmi
- Io già non vo’, Sifrido ardimentoso
- Gli rispondea. Che se pel valor tuo
- Pace non ha questa tua terra, tutta
- Conquistarla vogl’io. Se tu l’acquisti
- 405 Con tua forza e valore, anche il retaggio
- Ch’è pur di me, ti fia soggetto. Giacciano
- Eguali in mezzo il mio retaggio e il tuo,
- E a quel di noi che l’altro vinca, tutto
- Sommesso resti, e la terra e le genti.
- 410 Ed Hàgene e Gernót gli rispondeano
- All’istante. Davver! che alcun disegno
- Non abbiam noi, disse Gernòt, estrane
- Terre di conquistar, perchè per esse
- Giaccia trafitto da la man d’un forte
- 415 Alcun de’ nostri. Opima terra abbiamo;
- Quei che per dritto a noi son ligi, mai
- Non avriano appo alcun sorte migliore.
- Con anima crucciosa ecco! là stavano
- Gli amici suoi; v’era pur anche Ortwino
- 420 Da Metze. Egli dicea: Cotesto patto
- Grave doglia è per me. Disdisse a voi
- Senza ragion Sifrido oltracotante
- L’amistà. Che se voi forza ed ardire
- Già non avete co’ fratelli vostri,
- 425 Anche s’ei qui trarrà d’un re sovrano
- Tutta una gente in guerra, io sì m’affido
- Tanto con l’armi d’ottener, che questa
- Fiera alterezza sua debba il superbo,
- A dritto, abbandonar. — Forte crucciossi
- 430 L’eroe di Niderlànd. La mano tua,
- Gridò, con meco misurar non puossi.
- Re potente son io, l’uomo tu sei
- Servo d’un re; non dodici de’ tuoi
- Potriam giammai starmi di contro in guerra.
- 435 Alle spade! gridò con fiera voglia
- Ortwin da Metze, ed era sì quel prode
- Figlio alla suora d’Hàgen di Tronega.
- Ma perchè lungamente Hàgen tacca,
- Cotesto al sire fu dolor. Là in mezzo
- 440 Gernòt allora, il nobil cavaliero
- Di gran valor, si pose. Il vostro sdegno,
- A Ortwin ei disse, deh! lasciate! Cosa
- Prence Sifrido a noi non fea da tanto;
- E sì possiam per guise oneste e amiche
- 445 La lite definir (tale il mio avviso)
- E amico averlo ancor. Di maggior lode
- Ci fia cagion cotesto. — Hàgen valente
- Parlava allor così: Grave corruccio
- Egli è per noi, per questi tuoi guerrieri,
- 450 Che cavalcando fino al Reno ei giunga
- Per contrastar. Lasciar dovrìa tal voglia,
- Chè di tanto un’offesa i regi miei
- Fatta non gli hanno. — Rispondea Sifrido,
- L’uom gagliardo, così: Quando vi crucci,
- 455 Hàgen signor, ciò ch’io vi dissi, lascio
- Che scelgasi da voi se le mie mani
- Esser denno valenti in fra i Burgundi.
- Questo sol io torrò, Gernòt rispose. —
- Indi a tutti i suoi prodi ci fea precetto
- 460 Di nulla dir con tracotanza e ardire,
- Ciò che duol grave gli sarìa. Ma intanto
- Alla vergine illustre il suo pensiero
- Sifrido rivolgea. Perchè dovremmo,
- Gernòt soggiunse, contrastar con voi?
- 465 Se morti giacer denno in fra la pugna
- Alcuni prodi, poco onor ne avremmo,
- Voi scarso frutto. — Gli rispose il figlio
- Di prence Sigemund, Sifrido, allora:
- Hàgene e Ortwino e perchè mai cotanto
- 470 Fanno indugio e non scendono in battaglia
- Coi tanti amici quanti egli hanno seco
- Qui fra i Burgundi? — Ma tacer doveano;
- Tal di Gernòt era il consiglio. Voi,
- Disse d’Ute il figliuol, coi vostri amici
- 475 Che qui venner con voi, tutti ci siete
- I benvenuti. E vi farò servigio,
- Io co’ parenti miei. — Mescere allora
- Si fè agli ospiti il vin di re Gunthero.
- Ogni cosa che abbiam, l’ospite disse
- 480 Di quella terra, se da voi richiesta
- È con onor, vi fia sommessa; vosco
- Dividansi di noi beni e persone
- In giusta guisa. — E principe Sifrido
- Si fè alcun poco di più lieto core.
- 485 Fu indetto allor che altri prendesse cura
- D’ogni suo arnese, e alloggi si cercaro,
- Quali più acconci l’uom trovò, pei servi
- Di Sifrido, e per lui furo apprestate
- Elette stanze. Da quel giorno in poi
- 490 Volentieri fu visto in fra i Burgundi
- L’ospite illustre. Grande onor gli fecero
- Per molti giorni poi, ben mille volte
- Più che dirvi poss’io. Ciò si mertava
- L’inclito valor suo. Creder dovete
- 495 Che niun fu visto là che odio gli avesse.
- I re co’ lor compagni a’ lor sollazzi
- Davan pensiero, e Sifrido pur sempre
- Era il migliore in tutto che da quelli
- S’incominciava. Niun potea seguirlo
- 500 (Tanto grande sua forza!) allor che pietra
- Lanciavasi per essi o acuto dardo
- Via si scagliava; e allor che innanzi a donne
- A’ lor sollazzi con nobil costume
- Attendean lietamente i cavalieri,
- 505 L’eroe di Niderlànd volenterosa
- Stava la gente a riguardar. Ma il prode
- A un alto affetto già rivolto il core
- Avea. De la persona era pur sempre
- Ad ogni cosa che altri incominciava,
- 510 Pronto Sifrido. Nel cor suo recava
- Un’amorosa vergine, e costei,
- Che visto ancora ei non avea, nel petto
- Recavalo pur anco. Ella in secreto
- Dolci parole avea per lui. Ma quando
- 515 Là ne la corte a’ lor giochi venièno
- I giovani, famigli e cavalieri,
- Ciò sovente Kriemhilde, inclita donna.
- Per la finestra riguardava. Allora
- Altro sollazzo non chiedea. Saputo
- 520 S’egli avesse però che il contemplava
- Quella che in core avea, gaudio bastante
- Avuto sempre egli ne avrìa. Se lei
- Veduto avesser gli occhi suoi, ben questo
- Io vo’ saper che miglior cosa mai
- 525 Toccar non gli potea su questa terra.
- Quando, presso agli eroi, nell’ampia corte
- Ei si tenea, come pur fan le genti
- Per lor sollazzi, in tale atto d’amore
- Stava il figliuol di Sigelind, che a lui
- 530 Molte fanciulle eran devote ornai
- Per affetto del cor. Ma quei pensava
- Molte fiate ancor: Come potrìa
- Tanto avvenir che con questi occhi miei
- Vegga l’inclita vergine ch’io tanto
- 535 Amo del cor da tanto tempo? Ancora
- Ella m’è ignota, e rimaner qui deggio
- Dolente e tristo! — Quando per la terra
- Andavan cavalcando i re possenti,
- Tutti ad un punto i cavalieri ancora
- 540 Dovean partir, con essi anche Sifrido.
- Questo era duol per le fanciulle, ed ei
- Molto affanno recavasi nel core
- Per l’amor suo. Così (gli è questo il vero)
- Appo que’ prenci un anno ei si tenea
- 545 Là, nella terra di Gunthèr, nè mai
- In alcun tempo l’amorosa donna
- Veder potè, colei, donde più tardi
- Molto amor, molto affanno incolse a lui.
- ↑ Corazza del nano Alberico che rendeva invisibile chi la portava.
- Note
- Avventura Quarta
- In qual modo Sifrido combattè coi Sassoni.
- Di Gunthero alla terra ecco s’approcciano;
- Novelle strane, e ciò per messaggieri
- Che da lungi mandavangli alla corte
- Ignoti prenci che in odio l’avièno.
- 5 Come udian tale annunzio, alto cotesto
- Fu per tutti un dolor. Ma i prenci ignoti
- Vogl’io nomarvi. Elli erano Liudgero
- Della sassone terra, un sire illustre
- E ricco molto, e quel di Danimarca
- 10 Re Liudegasto. In lor viaggio molti
- Ei menavan con sè forti campioni.
- Di Gunthero alla terra i messaggieri
- Vennero intanto, quali i suoi nemici
- Gl’invïavan così. Di lor novelle
- 15 Gli nomini ignoti fûr richiesti allora,
- E tosto innanzi al re gli strani messi
- Altri adducea. Cortese fè un saluto
- Il prence e favellò: Voi benvenuti!
- Ma chi voi qui mandò, non io per anche
- 20 Ho ben compreso. Udir questo mi fate.
- Così disse il buon re, ma quelli assai
- Temean di re Gunthero il grave sdegno.
- Date licenza voi, prence, elli dissero,
- Che le novelle vi diciam che intanto
- 25 Qui vi rechiamo, quali noi per nulla
- Dobbiam tacervi? E i re direnivi ancora
- Che a voi qui c’invïâr. Liudgast, Liudgero
- Son essi, che veder bramano in core
- La vostra terra. Meritaste voi
- 30 Il lor disdegno, e bene udimmo noi
- Che ambo v’odiano i prenci. Ei cavalcando
- Salir vonno frattanto in fino al Reno,
- In fino a Worms, e molti in loro aita
- Vengon possenti cavalieri. Questo
- 35 Sappiate voi su la mia fede. Intanto,
- Avverrà lor vïaggio dopo due
- E dopo dieci settimane; amici
- Se buoni avete voi, ratto vederli
- Piacciavi qui perchè porganvi aita
- 40 A difender la terra e i borghi vostri.
- Molte celate e molti scudi infranti
- Qui saran da’ nemici! O se v’è caro
- Trattar con essi, fate allor che alcuno
- A lor favelli. E ben sarà che tante
- 45 Di nemici gagliardi accolte schiere
- Cavalcando non vengano appo voi
- Per darvi cruccio, onde perir qui debbano
- Molti e valenti cavalieri in guerra.
- E il buon prence rispose: Or concedete
- 50 Alcun tempo, perch’io meco pensando
- L’alma raccolga e manifesti poi
- L’avviso mio. Che se qui alcun fedele
- Ho veramente, a lui già non vogl’io
- Cosa celar di tale annunzio fiero,
- 55 E vo’ lagnarmi appo gli amici miei.
- Al possente Gunthero aspra un’angoscia
- Fu ben cotesta. Nel secreto core
- Con sè recando la novella cura,
- Hàgene ei fè chiamar co’ suoi fedeli
- 60 E indisse ancor che per Gernòt corresse
- Altri al castel rapidamente. Allora
- Tutti si raccogliean quanti trovârsi
- Più gagliardi campioni, ed egli disse:
- Con sue forte falangi in nostra terra
- 65 Visitarci altri vuol. Questo vi sia
- Pensiero e cura. — E Gernòt rispondea,
- Nobile e forte cavalier: Cotesto
- Impedirem co’ nostri ferri, ei disse.
- Muore soltanto chi è devoto a morte;
- 70 Morto giacer noi lascieremlo! Intanto
- Scordar non deggio l’onor mio; e questi
- Nostri nemici benvenuti a noi
- Esser pur dènno! Buon consiglio, disse
- Hàgene di Tronèga, a me cotesto
- 75 Davver non sembra. Tracotanza assai
- Mostran Liudgasto e Liudegero, e noi
- In pochi dì raccoglier non possiamo
- I nostri amici. — Disse poi: Di tanto
- A Sifrido perchè non farem cenno?
- 80 Ai messaggieri indetti fûr gli alberghi
- Per la città. Ben che nemici a lui
- Fosser cotesti, re Gunthèr possente
- Volle che cura altri di lor si desse
- Per accoglienze oneste (e ciò si fèa),
- 85 Per che gli amici intanto ei ragunasse
- Che aitarlo dovean. Ma in tal pensiero
- Aspro affanno si avea l’inclito sire.
- Il vide così mesto un cavaliero
- E nobile e gentil, che niuna cosa
- 90 Sapea di quanto gli avvenìa. Preghiera
- Ei fece sì perchè di tanto a lui
- Desse novella re Gunthero. Prendemi
- Alto stupor, dicea Sifrido al prence,
- Come di tanto il gaio aspetto vostro
- 95 Mutato abbiate voi, quel gaio aspetto
- Che lungo tempo usaste aver con noi.
- Gunthèr, l’inclito eroe, gli rispondea:
- Non a tutte le genti il grave affanno
- Poss’io ridir qual deggio entro al mio core
- 100 In secreto portar. Del cor l’angoscia
- Lamentando svelar si dee soltanto
- A fidi amici. — A Sifrido si fea
- Pallido e rosso il color dello gote.
- Ei disse al prence: Nulla i’ vi negai,
- 105 E ben deggio aitarvi ogni dolore
- A discacciar da voi Se vi cercate
- Amici attorno, un d’essi qui son io,
- E si m’affido che farò cotesto
- Fino alla morte con onor. — Mercede
- 110 Rendavi Iddio, prence Sifrido! Sembrami
- Onesto il vostro dir. S’anche di nulla
- Il valor vostro in ciò m’aita, lieto
- Del dir vostro men vò, perchè di tanto
- Mi siate voi propenso. E allor ch’io viva
- 115 Per alcun tempo ancor, premio saravvi
- Di ciò renduto. Or vo’ che udiate voi
- Per ch’io tristo mi sto. Da messaggieri
- De’ miei nemici intesi io si ch’ei vonno
- Qui visitarmi con armate squadre;
- 120 Alcun guerriero ciò non fè giammai
- Fin qui venendo a questa terra. — Disse
- Allor Sifrido: Per cotesto, lieve
- Pensiero abbiate voi. Pace rendete
- All’alma vostra, e quel che v’accomando
- 125 Tutto eseguendo, fate ch’io procacci
- Onore a voi con frutto e a’ prodi vostri
- Dite che vengan per aita. S’anche
- Trentamila campioni in lor sostegno
- Avessero cotesti sì gagliardi
- 130 Nemici vostri, sempre a lor di contro
- Io resterei, mille soltanto avessi
- De’ miei guerrieri. E a me questo si lasci.
- Sempre di ciò grazie vi rendo, disse
- Prence Gunthero. — Fate adunque ch’io
- 135 Abbia mille de’ vostri; ecco, di dodici
- Più non ho qui de’ miei. La vostra terra
- Così difenderò, chè di Sifrido
- Sempre con fè vi servirà la mano.
- Hàgene ancor ci aiuti, Ortwin pur anco
- 140 E Dancwarto e Sindòlt, cotesti vostri
- Cavalieri cortesi. Anche ne venga
- Cavalcando con noi Volkero ardito,
- Regga il vessillo ad altri io nol potrei
- Meglio fidar. Ma, intanto, i messaggieri
- 145 Fate voi che cavalchino a lor case
- Nella lor terra; rendasi lor noto
- Che ratto ei ci vedranno, onde la pace
- Abbian pur sempre li castelli nostri.
- E congiunti e guerrieri il nobil sire
- 150 Adunar fece allor. Ma di Liudgero
- Vennero intanto i messaggieri in corte,
- E perchè ritornarsi alla lor terra
- Elli dovean, n’avean letizia grande.
- Ricchi doni lor fea prence Gunthero,
- 155 D’alma gentile, e scorta anche fornìa
- Per lor vïaggio, ond’elli andavan fieri
- E gioiosi del cor. Dite frattanto,
- Dicea Gunthero, a que’ nemici miei
- Ch’elli, per tal vïaggio, a le lor case
- 160 Meglio potrian restar. Che se pur vonno
- Qui visitarmi, ove attorno dispersi
- Non vadano gli amici, alto travaglio
- Parassi noto a lor. — Pei messaggieri
- Altri apportava ricchi doni, e molti
- 165 A darne avea prence Gunthero. Quelli,
- Di Liudgero fidati, ardir non ebbero
- Di ricusarli, e preser lor commiati
- E di là si partîr gioiosi e lieti.
- Quando giunsero i messi in Danimarca
- 170 E prence Liudegasto annunzio s’ebbe
- Come tornati eran di là, dal Reno,
- Quando ciò gli fu detto, ecco! che tanta
- Oltracotanza de’ Burgundi prenci
- Duol verace gli fu. Dissero i messi
- 175 Che aveano i prenci assai gagliardi seco,
- Fra cui visto elli avean starsi un campione,
- E Sifrido era detto, un uom possente
- Di Niderlànd. Liudgasto ebbe rancura,
- Il vero annunzio come intese. Allora,
- 180 Quando cotesto udian ridìr gli eroi
- Di Danimarca, s’affrettâr lor fidi
- Tutti a raccôr quanti più a lor fu dato,
- Finchè tra i prodi suoi re Liudegasto
- Ventimila gagliardi ebbesi pronti
- 185 Per suo vïaggio. Intorno a sè pur anco
- Prence Liudgero di Sassonia molti
- Prodi raccolse, e n’ebbero quaranta-
- mila e più assai. Con essi, cavalcando,
- De’ Burgundi alla terra andar bramavano.
- 190 Del fratel suo le genti e i suoi congiunti
- Anche prence Gunthero alle sue case
- Fece allora invitar, quanti ebber voglia
- Di partir per assalti; anche fûr chiesti
- D’Hàgene i valorosi, e que’ gagliardi
- 195 Alta spingea necessità. Ma intanto
- Gustar dovean ne’ giorni che venièno,
- Molti prodi la morte. — Egli al vïaggio
- Solleciti apprestârsi, e allor che accinti
- Eran tutti a partir, Volkero ardito
- 200 Regger dovea fra tutti alto il vessillo,
- Allora sì che da Worms fino al Reno
- A cavalcar stavansi pronti. Duce
- All’ampia schiera esser dovè quel forte
- Hàgene di Tronèga. Anche Sindolto
- 205 Cavalcava con essi, Hunoldo ancora,
- Quali mertar potean di re Gunthero
- L’or degnamente. D’Hàgene il fratello
- Dancwàrt fu di tal schiera, Ortwin pur anco,
- Elli sì, che potean con molto onore
- 210 Annoverarsi in quel drappel d’eroi.
- Prence signor, restate al vostro ostello,
- Sifrido favellò, da che me vonno
- I vostri prodi seguitar. Restale
- Appo le donne e fate cor d’assai,
- 215 Ch’io sì m’affido e le dovizie e i beni
- Di guardarvi con fè. Quei che hanno brama
- Di vedervi qui a Worms appo del Reno,
- Meglio d’assai potrìan, di ciò la cura
- Vogl’io, restarsi alle lor case. Noi
- 220 Tanto di cavalcar dentro a lor terra
- Abbiam desìo, che ratto in grave duolo
- Si volgerà lor tracotanza stolta.
- Dal Reno allor, pei campi d’Assia, seco
- Cavalcaron gli eroi verso la terra
- 225 Ch’è di Sassonia, e furo assalti poi
- E battaglie, e la terra ei devastare
- Con incendi e rapine. Ai due nemici
- Prenci davver! che con lor doglia poi
- Ciò si fè noto! E quei veniano intanto
- 230 Là sul confine, e gli scudieri innanzi
- Andavano per essi. A far dimandi
- Sifrido, l’uom gagliardo, incominciava:
- Chi de’ compagni qui sarà di noi
- A difesa? Davver! che non si fece
- 235 Più fiera entrati in suolo di Sassonia!
- Dissero gli altri: Fate sì che guardi
- I giovani guerrieri in su la via
- Dancwarto ardito. Egli è d’ogn’altro eroe
- Il più prestante, e noi però minore
- 240 Avrem iattura da le genti armate
- Di re Liudgero. Fate sì che restino
- Alle schiere da sezzo egli ed Ortwino.
- Io sì cavalcherò disse l’eroe
- Sifrido allora, e vo’ esplorar ben molto
- 245 Questi nostri nemici, in fin ch’io sappia
- Veracemente ove son lor campioni.
- Della leggiadra Sigelinde il figlio
- Rapidamente allor s’armò. La gente
- Ad Hàgen di Tronèga egli affidava,
- 250 Affidava a Gernòt, l’uom fiero e ardito,
- Ch’ei partir si volea. Di là ne andava
- De’ Sassoni alla terra cavalcando,
- E furono per lui ne’ dì che vennero,
- Rotte le guigge a molti caschi. Ei vide
- 255 L’ampia schiera de’ Sassoni pel campo
- Vasta giacer, vegliar con ardimento
- Contro a lo stuol de’ suoi gagliardi. Elli erano
- Quarantamila e più d’assai, ma intanto
- Gioiosamente e con animo altero
- 260 Stava Sifrido a riguardar. Fra quella
- Gente nemica un valoroso ancora
- Era posto a la guardia; e con gran cura
- Armato egli era. Principe Sifrido
- Ratto il scoverse, e lui scoverse il fiero
- 265 Prode pur anco, e l’un l’altro con ira
- Gelosa imprese a rimirar. — Chi fosse
- Io vi dirò costui, che vigilando
- Stavasi intento, cui dinanzi al braccio
- Stava uno scudo in fulgid’or. — Costui
- 270 Era prence Liudgasto, ei, che de’ suoi
- La schiera difendea. L’uom fiero e ardito
- Superbamente e con nobil destrezza
- Il palafreno fea balzar pel campo.
- Anche Liudgasto con nemico sguardo
- 275 Stavasi l’altro a sogguardar. Ma poi
- Ambo gli sproni conficcâr ne’ fianchi
- De’ lor destrieri e contro l’ampie targhe
- L’aste inclinàr di tutta forza. Allora
- De’ Sassoni il signor, ricco e possente,
- 280 Oppresso fu da grave cura. Intanto,
- Nel fiero cozzo, l’uno all’altro accanto,
- I due figli di re dai palafreni
- Lungi fûr tratti, come se bufera
- Là spirasse improvvisa. Or, poi che a dietro
- 285 Fûr per le briglie, con maestra mano,
- Ritratti i palafreni, ambo provârsi
- I due crucciosi con le spade in pugno.
- Di tal guisa colpì prence Sifrido
- Che tutto il loco n’echeggiò. Dall’elmo,
- 290 Come da vasto incendio, ecco che uscivano
- Sotto la mano dell’eroe scintille
- D’igneo color. Ciascun nell’avversario
- Emulo degno ritrovò. Sferrava
- Anche prence Liudgàst colpi tremendi,
- 295 E vigor di ciascun forte si urtava
- Nell’opposto pavese. E già cotesto
- Trenta guerrieri di Liudgàst notato
- Avean da lungi, ma là scesi ancora
- Non eran elli, che la sua vittoria
- 300 Già toccava Sifrido, con le sue
- Gravi ferite a re Liudgasto inflitte
- La candida corazza attraversando;
- Ottimo arnese ell’era. Il sangue allora
- Dalle piaghe profonde eruppe al sommo
- 305 Della spada nemica, e re Liudgasto
- N’ebbe fiero dolor. Pregò che a lui
- Fosse lasciata la sua dolce vita
- E la sua terra offerse ancora e disse
- Che Liudegasto ei s’appellava. Accorsero
- 310 I prodi suoi, che chiaramente visto
- Avean da lungi quanto fra que’ due
- Accadde al loco de la guardia. Volle
- Sifrido trar con sè l’eroe caduto,
- Ma ratto ben da trenta di que’ prodi
- 315 Ebbe un assalto. Il ricco prigioniero
- Con fieri colpi difendea la mano
- Di quel gagliardo, e più d’assai fè ad altri
- Offesa e danno l’uom valente e forte.
- A morte i trenta egli colpìa con molta
- 320 Forza e vigor; soltanto uno lasciava
- Alla sua vita, e quei rapido assai
- Via cavalcando, le novelle a’ suoi
- Recò di quanto là ne accadde. E il vero
- Apprender si potea dall’elmo suo
- 325 Rosso di sangue. A quei di Danimarca
- Grave dolor fu ben cotesto, allora
- Che s’annunziò giacersi ormai captivo
- Il lor prence e signore. Al suo fratello
- Ciò ancor fu detto, e quegli incominciava
- 330 Per gran disdegno a conturbarsi; grave
- Fu rancura per lui. Ma di Sifrido
- Per volontà, Liudgasto eroe fu addotto
- Di Gunthero ai gagliardi. Ei l’affidava
- Ad Hàgen prence, e come detto fue
- 335 A quelli sì ch’egli era il sire, molto
- Non ebbero dolor, ma gaudio e gioia.
- D’avvincer le bandiere ecco fu ingiunto
- A’ Burgundi campioni. Innanzi! disse
- Prence Sifrido, chè più assai da noi
- 340 Qui si farà prima che il giorno cessi,
- Pur ch’io mi resti in vita. Oh! molte assai
- Donne leggiadre avran cordoglio e duolo
- De’ Sassoni nel suol! Ma voi, del Reno
- Incliti eroi, a me volgete il guardo,
- 345 Ch’io ben posso a le squadre di Liudgero
- Tutti condurvi. Là vedrete voi
- Di forti eroi da le possenti mani
- Lor cimieri colpiti, e pria che indietro
- Ne ritorniam, grave rancura e doglia
- 350 Lor nota si farà. — Balzava in sella
- Gernòt con tutti i suoi; rapidamente
- Il vessillo ghermìa prence Volkèro,
- Bardo valente, e innanzi alle sue squadre
- Veloce cavalcò. Superbamente
- 355 Tutti i compagni suoi furono allora
- Accinti e pronti; eppur, non più di mille
- Adduceano con sè quei di Borgogna,
- Oltre ai dodici eroi del pro’ Sifrido,
- Forti campioni. Ma la polve intanto
- 360 Già cominciava a turbinar per l’ampie
- Strade a l’intorno, e quei nella nemica
- Terra ne andavan cavalcando. Allora,
- Si videro da lungi in bella guisa
- Luccicar molte targhe. Anche venuti
- 365 Eran con le lor genti e con lor spade
- Acute in mano i Sassoni guerrieri,
- Com’io seppi dipoi. Fendean con forza
- Nella man degli eroi gli acuti brandi,
- Ch’ei sì volean difendere lor terre
- 370 Contro i nemici e lor castelli. Innanzi
- La falange venìa del maggior duce
- De’ Burgundi campioni, e già venuto
- Era Sifrido ancor co’ suoi guerrieri
- Quali con sè recati avea da quella
- 375 Terra di Niderlànd. Nella battaglia
- Di quel giorno, davver! che molte mani
- Furon tinte di sangue! Hunòlt, Sindolto
- E Gernòt, nell’assalto, a molti eroi
- Sferrâr colpi mortali in pria d’assai
- 380 Che fosse noto a’ miseri di quanto
- Eran valenti que’ gagliardi. Molte
- Ebbero a lagrimar donne leggiadre.
- Hàgen, Volkero, Ortwin da Metze ancora,
- Di molti caschi, nell’orrenda mischia,
- 385 Offuscarno il fulgore, essi gagliardi,
- E grandi fûr le oprate meraviglie
- Da principe Dancwarto. E prova intanto
- Fean di lor man di Danimarca i prodi,
- E s’udian risuonar pei fieri colpi
- 390 Molti scudi compatti e acute spade
- Che altri forte vibrò. Grave sterminio
- I Sassoni facean valenti in guerra.
- Ma quando s’avventâr ne la battaglia
- Quei di Borgogna, fûr da loro aperte
- 395 Ampie ferite assai. Videsi allora
- Sangue colar sovra gli arcioni; in questa
- Guisa così pugnavan per l’onore
- I buoni e forti cavalieri. Intanto
- Alto in pugno s’udian de’ valorosi
- 400 Risuonar l’armi aguzze, e quelli tosto
- Di Niderlànd fra le compatte schiere
- Dietro al lor prence s’avventâr. Veniano
- Con fermo core di Sifrido al fianco;
- Ma seguirli nessun fu visto allora
- 405 Di quei del Reno, e scorger si potea
- Scorrer di sangue un rio su gli elmi fulgidi
- Sotto la mano di Sifrido, innanzi
- A’ suoi compagni principe Liudgero
- Fin ch’ei rinvenne. Per tre volte avea
- 410 Impeto fatto per l’avversa schiera
- Fino a l’estremo; ed or venìa con lui
- Hàgen, che aita gli recò, la sua
- Ira a sfogar ne la battaglia. Molti
- Dovettero perir nel tristo giorno
- 415 Cavalieri pugnaci. Or che Liudgero
- Forte e valente rinvenia Sifrido
- E vedea come in alto entro la mano
- Ei recava Balmùng, la buona spada,
- Onde molti ei colpìa, cruccioso e tristo
- 420 Si fè d’assai, il fiero prence. Un impeto
- Era intanto selvaggio e un alto strepito
- Di ferri, chè fra lor forte si urtavano
- I combattenti, e più d’assai provavansi
- Ambo gli eroi. Ma già le schiere Sassoni
- 425 A cedere cominciano e là destasi
- Ira maggior con odio. E detto allora
- Fu de’ Sassoni al re ch’era captivo
- Il fratel suo. Grave dolor cotesto
- Al cor gli venne, ed ei sapea che l’opra
- 430 Del figlio questa fu di Sigelinde,
- Che di Gernòt altri dicea; ma il vero
- Si riseppe dipoi. Di re Liudgero
- Venìano i colpi si possenti e forti,
- Che a Sifrido piegò sotto la sella
- 435 Il palafreno; ma poichè novella-
- mente levossi il nobile destriero,
- Assunse ne la pugna il pro’ Sifrido
- Spaventoso un aspetto. E gli porgeva
- Hàgene aita, anche Gernòt, ancora
- 440 E Volkero e Dancwarto, e però molti
- Giacquero estinti. Ed eravi Sindolto
- Ed Hunoldo ed Ortxwin l’eroe gagliardo,
- Elli sì, che nell’orrida battaglia
- Molti uccisi potean stendere al suolo.
- 445 Ma nella pugna i due prenci guerrieri
- Non separârsi mai. Fûr visti allora
- Sovra gli elmi volar molti lanciotti,
- Da la man degli eroi, le targhe fulgide
- Attraversando; e fûron visti assai
- 450 Ricchi pavesi colorati in rosso.
- Nell’aspra mischia molti eroi giù caddero
- Da’ lor destrieri, e l’un dell’altro incontro
- Correansi intanto e Sifrido valente
- E re Liudgero. Giavellotti acuti
- 455 Si videro volar con aste molte.
- Dello scudo le fibbie a re Liudgero
- Via schiantâr sotto a un colpo che la mano
- Di Sifrido scagliò, sì che pensava
- De’ Sassoni gagliardi, in cui ben molti
- 460 Feriti si vedean, toccar vittoria
- Il sir di Niderlànd. Oh! quante furo
- Le maglie che spezzò lucenti il forte
- Dancwarto allora! Ma poichè sull’ampio
- Scudo, alla mano di Sifrido innanzi,
- 465 Vide prence Liudgero una dipinta
- Corona, tosto s’avvisò che quello
- Era l’uom sì gagliardo. A’ suoi compagni
- Alto a gridar si fè l’eroe: Deh! voi
- Tutti, compagni miei, da la battaglia
- 470 Vi ritraete! Di Sigmundo il figlio
- Ho visto qui. Sifrido valoroso
- Io riconobbi. Il diavolo maligno
- Fra i Sassoni il mandò! — Fece i vessilli
- Nella battaglia declinar. La pace
- 475 Chiese, e la pace gli fu data poi;
- Ma dovea rimanersi di Gunthero
- Prigioniero alla terra. A ciò la mano
- Di Sifrido gagliardo avealo astretto.
- Di comune consiglio essi la pugna
- 480 Così lasciâr. Forati caschi ed ampi
- Scudi in mano recâr; tinta di sangue
- De’ Burgundi pei colpi avean quell’armi,
- Quante si rivenian. Ma quale ei vollero,
- Fêr captivo i Burgundi; elli ne aveano
- 485 Ampio poter. Via carreggiar frattanto
- Ed Hàgene e Gernòt, gli eroi valenti,
- Feano i trafitti; ei trassero sul Reno
- A cinquecento i valorosi in ceppi.
- Ma i vinti eroi tornaron cavalcando
- 490 In Danimarca. I Sassoni guerrieri
- Già non avean con tal valor pugnato,
- Che altri lodarli anche potesse. Ai forti
- Grave duol fu cotesto; ebbero intanto
- Lagrime di dolor dai dolci amici
- 495 I caduti campioni. Al Reno indietro
- Fean riportar da’ lor valletti l’armi
- Di Borgogna gli eroi, quali Sifrido
- Gagliardo e forte conquistate avea
- Co’ suoi compagni valorosi, oprando
- 500 Cose leggiadre inver. Ciò ben fu d’uopo
- Che di Gunthero ogni uom là confessasse.
- A Worms prence Gernòt altri invïava,
- Indicea di ridir nella sua terra
- Ai dolci amici qual toccata a lui
- 505 i Fosse e a’ compagni lieta sorte. Egregie
- Opre davver! che avean gli eroi compiute
- Per onore acquistar! Corsero intanto
- Giovani messi, e i casi intravvenuti
- Da lor fûr detti, e chi s’avea dapprima
- 510 Doglia nel core, giubilò di gaudio
- Per queste che lor vennero improvvise
- Liete novelle. Molte inchieste ancora
- Da nobili si fean donzelle intanto
- Qual fosse degli croi del re possente
- 515 Esito lieto. E vollesi pur anco
- Un de’ messi a Kriemhilde innanzi addurre;
- Ma in secreto si fè, chè apertamente
- Ella già non osò, poi che del core
- Il suo amico diletto era fra i prodi.
- 520 Venirne a le sue stanze il messaggiero
- Allor che scorse, dolcemente disse
- Kriemhilde bella: Lieto annunzio adunque
- Or dammi tu, ch’io ti darò del mio
- Oro; e se tu il farai senza menzogna,
- 525 Amica sempre ti sarò. Deh! come
- Dalla pugna uscì fuori il fratel mio
- Gernòt e gli altri amici miei? Qualcuno
- Là moriva de’ nostri? Ovver, chi fece
- Il meglio là? Dirmi dêi tu cotesto.
- 530 Rapido il messaggier così rispose:
- Nessun codardo avemmo noi. Nell’aspro
- Assalto e nella pugna, o nobil donna,
- Non cavalcò, poi che ciò dirvi io deggio,
- Niun sì valente come lo straniero
- 535 Di Niderlànd illustre. Alti prodigi
- La destra fè colà del valoroso
- Sifrido, e ciò che fatto han nella pugna
- Tutti i più forti, ed Hàgene e Dancwarto
- E altri campioni del re nostro, ancora
- 540 Ch’ei combattean per gloria e onor, fu lieve
- Cosa qual’aura innanzi al pro’ Sifrido,
- Figliuol di re Sigmundo. Elli atterraro
- Morti ben molti valorosi; eppure
- Ridirvi io non potrei le prodigiose
- 545 Cose che fè Sifrido, allor ch’ei venne
- A pugnar cavalcando. Alto cordoglio
- Ei fè a le donne de’ nemici invero
- E a’ lor cognati. Anche restarvi estinti
- Di molte donne là dovean gli amanti;
- 550 E i colpi suoi si udian sì forte agli elmi
- Urtar di contro, che scorrente il sangue
- Fean spicciar da le piaghe. In ogni pregio
- Egli è davver, Sifrido, un cavaliero
- Eletto e forte. Ma per ciò che oprava
- 555 Ortwin da Metze, quei che col suo brando
- Egli giugnea, tutti dovean sul campo
- Cader feriti, morti i più. Di tutti
- Il fratel vostro la maggior rancura
- Fe’ che in battaglia mai far si potesse
- 560 A cor nemico. E dire il ver n’è duopo
- De’ nostri eletti cavalieri. Opra
- I Burgundi superbi hanno compiuta,
- Onde seppero ei sì guardar l’onore
- Dall’ignominia. E vidersi deserte,
- 565 Per lor colpi di man, di cavalieri
- Molti le selle, e tutta risonava
- La terra intorno de le spade fulgide
- All’urto fiero. Oh sì! gli eroi sconfitti
- Di tal foggia tornavansi dal Reno
- 570 Su lor cavalli, ch’evitar per loro
- I lor nemici era miglior fortuna.
- Ma di Tronòga i valorosi un’alta
- Fecer rancura ai prodi avversi allora
- Che s’incontrâr, come irrompente folla,
- 575 Le falangi nemiche; e morti assai
- D’Hàgen possente fè la mano, e invero
- Molto a narrar di ciò qui, de’ Burgundi
- Nella terra, sarìa. Sindolto, Hunoldo,
- Le genti di Gernòt, Rumoldo il prode,
- 580 Tanto oprâr che per sempre alto cordoglio
- Avrà Liudgero che a’ congiunti vostri
- Venne sul Reno d’amistà l’antico
- Patto a disdir. Ma l’assalto più fiero
- Che là si fè, l’ultimo e il primo assalto
- 585 Che là si vide allor, con fiera voglia
- Di Sifrido compia l’inclita mano;
- Ricchi perciò alla terra di Gunthero
- Captivi ei trae con sè. L’uom bello e forte
- Col suo vigor li fè soggetti, e danno
- 590 Perciò n’avrà sire Liudgasto ancora,
- Ancor n’avrà quel fratel suo Liudgero
- De’ Sassoni dal suol. La mia novella
- Udite adunque, o nobile regina.
- Ambo la mano di Sifrido in ceppi
- 595 Li pose, nè giammai tanti captivi
- Altri condusse a questa terra, e solo
- Di lui per l’opra fino al Reno ei scendono.
- Non mai più dolce simile novella
- A Kriemliilde venia. — Ma qui s’adducono,
- 600 Aggiunge il messo, cinquecento in ceppi,
- O più, captivi, intatti ancora, e ottanta
- Traggonsi di feriti onuste bare,
- Tinte di sangue (ciò sappiate, o donna,)
- A questa nostra terra. I più trafitti
- 605 Ha la man di Sifrido valoroso;
- E quei che oltracotati in riva al Reno
- Disdicean l’amistà, di re Gunthero
- Or prigionieri star si dènno. Addotti
- Con nostra gioia in questa terra ei sono.
- 610 Allor, com’ella udì verace annunzio,
- Qual porporino fior della fanciulla
- Il color si accendea candido in prìa.
- Il suo bel volto d’un color di rosa
- Copriasi ratto poi che dal tremendo
- 615 Fra l’armi perigliar, di lei per gaudio,
- Uscìa così l’eroe gagliardo e bello,
- Sifrido giovinetto. Anche gioia
- Pe’ suoi più cari, e con ragion cotesto.
- Bene parlasti a me, così dicea
- 620 L’amorosa fanciulla, e per mercede
- Avrai però da me pomposa veste
- E dieci marchi d’or, ch’io qui ben tosto
- A te recar farò. — Davver! che a ricche
- Donne con pronta voglia in cotal guisa
- 625 Ridir si ponno simili novelle!
- La sua mercede gli fu data, l’oro
- E la veste pur anco. Alle finestre
- Corsero allor molte fanciulle vaghe,
- Guardavan elle in su la via; fûr visti
- 630 Molti allor de’ più nobili e gagliardi
- In quella terra di Borgogna a dietro
- Cavalcando tornar. Venìan gl’intatti,
- I feriti venìan, che dagli amici
- Potean senza vergogna ed ignominia
- 635 Udir saluti. E l’ospite regale,
- Prence Gunthero, a quegli ospiti suoi
- Incontro venne con gran gioia. In festa
- Il suo grave dolor così finia.
- Oneste a’ suoi fè le accoglienze, ancora
- 640 Le fè oneste agli estrani. A ricco sire
- Null’altro s’addicea fuor che sue grazie
- Render cortese a chi per lui venia,
- Chè presa quei si avean con molto onore
- La lor vittoria nella pugna. Intanto
- 645 Volle Gunthero che de’ suoi fidati
- Altri dicesse le novelle e quale
- Andando colpo ebbe mortal. Ma soli
- Sessanta prodi egli perdea. Fûr pianti
- Questi sì, come suolsi incliti eroi
- 650 Pianger caduti. Incolume chi venne,
- Molte portò con sè targhe squarciate
- Là, nella terra di Gunthero, e molti
- Elmi infranti e disfatti. Ecco, scendea
- Da’ suoi destrieri, innanzi dal palagio
- 655 Regal, la gente, e udironsi gioiose
- Grida colà per le accoglienze oneste.
- Ma gli alloggi apprestarsi a’ cavalieri
- Si fean per la città. Volle Gunthero
- Che quegli ospiti suoi con molta cura
- 660 Altri guardasse, e cenno fè che intento
- Altri attendesse a ogni ferito e il tutto
- Agevole rendesse ed approntasse;
- E videsi qual fosse alta di lui
- Verso i nemici suoi virtù sincera.
- 665 Egli disse a Liudgasto: E siete voi
- Il benvenuto a me! Per cagion vostra
- Ebb’io gran danno, di cui poscia, lieta
- Se fia la sorte, avrò l’ammenda. Intanto
- Ricompensimi Iddio gli amici miei,
- 670 Chè per me con amore elli operaro.
- Bene a ragion, risposegli Liudgero,
- Render dovete lor grazie cortesi.
- Niun re giammai vincea, sì come voi,
- Tanti illustri captivi. Or noi ben grande
- 675 Per onesto trattar darem compenso,
- Perche voi de’ nemici abbiate cura
- Intenta e buona. — Liberi vogl’io,
- Rispondea re Gunthero, ambo lasciarvi
- Andar di qui. Ma perchè meco resti
- 680 Chi m’è nemico, sicurtà mi bramo,
- E non mai senza vènia e piacimento
- Lasci ’l nemico prigionier la terra.
- Porse Liudgero allor la mano. Intanto,
- Fûr recati i trafitti a’ lor riposi,
- 685 Agevole ogni cosa a lor con cura
- Altri rendea. Giacenti allor si videro
- I feriti su letti acconciamente,
- E agli incolumi tutti un vin gagliardo
- E idromele fu dato. Or, quella gente
- 690 Mai aver non potè maggior letizia.
- Altri portò lor trapassati scudi
- Per custodirli, e v’erano pur anco
- Molte selle di sangue intinte assai,
- Quali s’ingiunse di celar, le donne
- 695 A lagrimar perchè non fosser tratte,
- Mentre, stanchi dell’armi, fean ritorno
- Molti gagliardi cavalieri. Il sire
- Con grandezza ed onor gli ospiti suoi
- Tutti curava, e di ben note genti
- 700 Era piena la terra e di straniere.
- Ei sì, con molto amor, volle che cura
- De’ più gravi feriti altri prendesse;
- E tracotanza lor, qual cosa vile,
- Umilïata fu. Ricca mercede
- 705 Anche fu data a chi di medic’arti
- Perito si dicea, copia d’argento
- Senza peso notarne, oltre a lucente
- Oro, perchè agli eroi, dopo distretta
- Della battaglia, guarigion recata
- 710 Fosse per essi. Anche a le genti sue
- Colà raccolte fè gran doni il sire,
- E a quei che ritornarsi a lor dimore
- Voleano ancor, pregando altri si volse,
- Come suol farsi a’ dolci amici, ond’elli
- 715 Rimanesser pur anche; e il re venìa
- A consigliarsi per qual foggia mai
- Dovrebb’ei compensar le genti sue,
- Ch’elle con molto onore il suo comando
- Avean compiuto inver. Ma disse allora
- 720 Sire Gernòt: Lasciarli è d’uopo omai
- Cavalcando partir. Noto si faccia
- A tutti lor, fra settimane sei,
- Che a una gran festa elli tornar qui dènno,
- Poiché allor fia guarito ognun che intanto
- 725 Giace dolente per sue fonde piaghe.
- Vènia al partir cercavasi pur anco
- Sifrido re di Niderlànd. Ma tosto
- Che re Gunthero il suo desìo comprese,
- Con molto amore sì ’l pregò che seco
- 730 Ancor restasse; nè ciò fatto avrìa
- Re Sifrido giammai, se di Gunthero
- Stato non fosse per la suora. Ed ei
- Tanto era ricco, che nessuna cosa
- Tolta si avrìa, ben che mertato assai
- 735 Egli avesse cotesto. Eragli il sire
- D’animo grato, e grati eran con lui
- I suoi congiunti. Aveano elli già visto
- Ciò che per suo valor nella battaglia
- Avvenne da que’ dì. Ma quei soltanto,
- 740 Della vaga fanciulla per desìo,
- Di restar si pensò, quando pur dato
- Di vederla gli fosse. E fu che poscia
- Ei vederla potè; qual fu sua brama,
- Nota gli fu la giovinetta, e allora
- 745 Di Sigemundo alla paterna terra
- Con molta gioia potè far ritorno.
- Ospite regio, principe Gunthero,
- A tutte l’ore armeggiamenti in cura
- Di cavalieri avea; giovani prodi
- 750 Ciò fean con molto amor. Ma, per que’ giorni,
- Dinanzi a Worms per la mobile arena
- Ei fè seggi elevar per genti ancora
- Che de’ Burgundi al suol sarìan venute;
- E intanto, poi che tosto elle venièno,
- 755 Kriemhilde vaga certo annunzio s’ebbe
- Che nobil festa per i dolci amici
- Re Gunthero indicea. Grande e solerte
- L’opra fu allora di leggiadre donne
- Per vesti e cuffie da recarsi a quella
- 760 Festa regale. Ute, possente e ricca,
- Novelle udia ridir di croi superbi
- A venirne vicini, e furon molte
- Splendide vesti dagl’involti tratte.
- Ed ella ancor pei dolci figli suoi
- 765 Vesti fece apprestar. Ne andâr fregiate
- Molte fanciulle e molte donne e molti
- Giovani eroi della burgundia terra;
- Anche per genti estrane Ute regina
- Splendide fè apprestar le vestimenta.
- Avventura Quinta
- In che modo Sifrido vide Kriemhilde
- Cavalcar si vedea di giorno in giorno
- Là, fino al Reno, chi venìa bramoso
- Alla festa regal. Molti destrieri
- E molte vesti prezïose intanto
- 5 Con mano liberal fûr date attorno
- A quanti discendeano a quella terra
- Per amor di tal re. Seggi fûr pronti,
- Come fu detto a noi, per maggiorenti
- E per illustri e per ben trenta e due
- 10 Prenci famosi della festa al tempo;
- E di rincontro con industre gara
- Molte si ornâr vaghe donzelle. Stanco
- Gislhero giovinetto unqua non fue;
- Egli e Gernòt e d’ambo esti gagliardi
- 15 I valorosi gli ospiti e gli amici
- Accoglieano cortesi, e come suolsi
- Per onore adoprar, lor fean saluti
- Ambo i due prenci. Aurifulgenti selle
- Recavan quelli ne la terra, e targhe
- 20 Dipinte e vesti prezïose al Reno
- Recavan seco per la festa. Molti,
- Ancor feriti, vidersi a que’ giorni
- Lieti e festanti, e chi giaceasi ancora
- In letto e per sue piaghe avea rancura,
- 25 Veramente obbliò quanto è la morte
- E dura e trista. Gli egri ancor cessaro
- Da’ lor lamenti, e pei giorni alla festa
- Regale indetti ebbero gaudio e gioia
- Alle novelle. Oh sì! dolce la vita
- 30 Trarre ei volean nell’ospitai dimora;
- E di là da misura alta letizia
- Con gioia superante ebber le genti,
- Che là trovârsi, tutte. In quella terra
- Di re Gunthero fùr sollazzi molti.
- 35 Ad un mattin di Pentecoste in folla
- Fûr visti uscir gagliardi e valorosi
- In vesti ricche, cinquemila e ancora
- Più di cotesti assai, mossi alla regia
- Festa bramosi, e in molti lochi a gara
- 40 Incominciâr sollazzi allegri. Il regio
- Ospite inver questo vedea nel core
- (Ciò gli era noto) con qual fè costante
- Amava il sir di Niderlànd la sua
- Suora Kriemhilde, ben che ancor non vista,
- 45 In cui ben si dovea su tutte l’altre
- Giovinette notar beltà sovrana.
- Al re cosi parlò principe Ortwino:
- Se d’onor con pienezza a vostra festa
- Esser volete voi, fate che ammiri
- 50 Altri le vaghe giovinette nostre,
- Che ben degne d’onor sono in Borgogna.
- Dell’uomo qual piacer, che la sua vita
- Gli allegri, vedi tu, che inclita donna
- O vaga giovinetta a lui non faccia?
- 55 Deh! fate sì che a’ vostri ospiti innanzi
- Passi vostra sorella! — E tal consiglio
- Fu dato inver di molti eroi con gioia.
- Questo consiglio seguirò, dicea
- Prence Gunthero. E chi n’avea l’annunzio
- 60 Molto in cor ne gioìa. Ma donna Ute
- Ebbe con la sua figlia per messaggio
- Cortese invito, ond’ella pur venisse
- Con le sue ancelle a corte. E ne’ forzieri
- Tosto si ricercâr le ricche vesti,
- 65 Quante sì di tal gente e grande e illustre
- Si rinvenian riposte. Armille assai
- Con lor fermagli eranvi pronte; e intanto
- Molte leggiadre giovinette adorne
- Si fean con cura, e molti giovinetti,
- 70 Gagliardi in guerra, da que’ di pensavano
- Che gioiosi ei sarian le vaghe donne
- In rimirar, sì che ciascun per nulla
- Stimato avrìa di un gran signor l’impero.
- Bramosamente assai venian cotesti
- 75 Le non conte fanciulle a rimirare.
- Il nobile signor volle che mille
- De’ suoi gagliardi con la sua sirocchia,
- A servirla condotti, a lui cognati,
- Cognati a lei, venisser tostoe questi
- 80 Avean lor spade strette in pugno. Questo
- Era di corte l’inclito servigio
- Là nella terra di Borgogna. Intanto
- Con cotesti venirne Ute fu vista,
- La possente regina. Ella con seco
- 85 In compagnia vaghissime matrone
- Aveasi prese, mille o più, che ricche
- Avean lor vesti, e dietro alla sua figlia
- Venìan pur anco molte giovinette
- Leggiadre e vaghe. Tutte da una stanza
- 90 Uscir fûr viste da la gente, e grande
- Affollarsi fu allor di cavalieri
- Che speme aveano in cor che tanto almeno
- Lor potesse accader, le giovinette
- Illustri di mirar gioiosamente.
- 95 L’amorosa donzella ecco s’avanza
- Come l’aurora fa da fosche nubi;
- E ratto chi l’avea recata in core,
- E recata l’avea lunga stagione,
- Da molto affanno or si disciolse. Ei vide
- 100 L’amorosa fanciulla in tutta sua
- Bellezza là restar. Dalle sue vesti
- Molte splendean nobili gemme, e il suo
- Color di rosa delle guance avea
- Tanto splendor che insinuava amore;
- 105 Per quanto brama un uom quaggiù, nessuno
- Dir già potea che più avvenente cosa
- Avea vista pel mondo. E come innanzi
- Agli astri sta la bianca luna allora
- Che tra le nubi mostrasi più chiaro
- 110 Il suo splendor, così, pari alla luna,
- Ella stava dinanzi all’altre donne
- Tutta leggiadra. D’avvenenti eroi
- In petto il cor balzò. Venirne a lei
- Vedeansi innanzi le sue ancelle adorne
- 115 E gli altezzosi eroi non desisteano
- Dall’affollarsi per vederla intenti,
- Amorosa fanciulla. Oh! ma dolore
- E d’amor gioia avea prence Sifrido!
- Egli pensava nel suo cor: Deh! come
- 120 Avvenir ciò potea ch’io mi dovessi
- Accendere di te? Speme fu questa
- D’inesperto garzon. Ma s’io dovessi
- Da te partirmi, con desio più dolce
- Io mi morrei. — Per questi suoi pensieri
- 125 Più fiate ei si fe’ rapidamente
- Acceso in volto e pallido. E si stava
- In tale atto d’amor di Sigemundo
- Il vago figlio, qual se immagin fosse
- D’abil maestro dalla man dipinta
- 130 Su pergamena ad arte. E si dicea
- Da la gente di lui che sì leggiadro
- Mai non fu visto armigero guerriero.
- Ma chi venìa con le matrone, ratto
- Scender fea dalla via da tutte parti
- 135 I circostanti; e fecero cotesto
- Molti guerrieri. Le donzelle adorne,
- Di fiero cor, di gioia e di contento
- Furon cagione, e furon viste allora
- Donne leggiadre assai pomposamente
- 140 Di vesti ornate. Di Borgogna intanto
- Dicea sire Gernòt: Quei che vi offerse,
- Gunthèr, dolce fratello, il suo servigio
- Tanto cortese, cortesìa da voi
- Abbiasi agli altri cavalieri innanzi,
- 145 Tutti, ned io giammai di tal consiglio
- Avrò vergogna. Fate sì che venga
- Da mia sirocchia principe Sifrido,
- Perchè il saluti la fanciulla. Sempre
- Gioia avrem noi di ciò. Lei che guerrieri
- 150 Unqua non salutò, costui saluti;
- E noi quel prode valoroso e bello
- Acquistato ci avrem per tal favore.
- Dell’ospite regai vennero allora
- Tutti i congiunti là ’ve l’uom gagliardo
- 155 Rinvennero. Ei dicean questa parola
- Di Niderlànd al valoroso: Invito
- Il re vi fa perchè venirne in corte
- Tosto vi piaccia. Vi farà un saluto
- La sua sirocchia. Ad onor vostro è questo!
- 160 Di ciò ben fu gioioso in fino all’alma
- Il giovinetto sire; ei ne recava
- Gioia nel cor senza rancura, intanto
- Che vicino a mirar d’Ute leggiadra
- Era la figlia, ed ella sì dovea
- 165 Sifrido salutar con un dolce atto.
- Quand’ella innanzi a sè vide arrestarsi
- L’altero garzoncel, ratto del viso
- Le si accese color. Voi benvenuto,
- Prence Sifrido, la fanciulla disse
- 170 Avvenente e leggiadra, o cavaliero
- Nobile e prode! - L’alma del garzone
- A quel saluto si elevò. Dinanzi
- A lei chinossi con bramoso intento
- Il giovin sire ed ella con la destra
- 175 La destra gli prendea. Con la fanciulla
- In quale atto d’amor costui ne andava!
- E allor, con riguardar d’occhi amorosi,
- Miravansi l’un l’altro i giovinetti,
- Il sire e la donzella; e ciò si fea
- 180 Nascostamente inver. Ma se talvolta,
- Per dolce amor del cor, la bianca mano
- In caldo atto d’amor fu stretta al seno,
- A me noto non è. Non però credere
- Anche poss’io che ciò si tralasciasse,
- 185 Che tanto ei far potean rapidamente
- In lor dolce desìo. Ma nella estate
- E nei giorni di Maggio egli in suo core
- Mai non portò così gran gioia, quale
- Ebbesi allora, poi che accanto a lui
- 190 Quella appunto venìa ch’egli d’amore
- Bramava posseder. Molti gagliardi
- Fean tal pensiero in cor: Deh! m’accadesse
- Ch’io pur anco venissi a lei da presso,
- Come Sifrido ho visto or or! Posarmi
- 195 Accanto a lei deh! potess’io! Davvero!
- Che far ciò lascierei senza rancura!1
- A regal donna mai non fe’ migliore
- Servigio un cavalier. Ma da qualunque
- Terra di prenci gli ospiti venièno,
- 200 Tutti egualmente a rimirar soltanto
- Stavano intenti i due garzoni. A lei
- Vènia fu data di baciarsi in fronte
- L’uom sì avvenente, e in terra mai non fue
- Per lui più dolce cosa e più gradita.
- 205 Di Danimarca il principe dicea:
- In questi alti saluti, e tristi e grami
- Già molti stanno (e ben di ciò m’avveggo)
- Per la man di Sifrido. Oh! nella terra
- Del regno mio non voglia mai l’Eterno
- 210 Che ritorno egli faccia! — In tutte parti,
- In tutte parti allor via dal passaggio
- Di Kriemhilde leggiadra a ognun fu indetto
- Di sgomberar. Molti campioni arditi
- Fûr visti allor con atti onesti andarne
- 215 Alla chiesa con lei. L’uom sì avvenente
- A quell’ora da lei si separava.
- Così ella andava al monastero, e dietro
- Molte donne seguian. Della regina
- Tanto era adorna la persona bella,
- 220 Che andavane frustrato ogni più alto
- Desìo d’altrui. Veracemente nata
- Era costei qual pascolo di molti
- Prodi guerrieri agli occhi. A stento attese
- Allor Sifrido che le sante preci
- 225 Fosser cantate. Egli potea pur sempre
- Alla fortuna sua render sue grazie,
- Che tanto fosse a lui quella propizia
- Ch’ei recava nel cor. Ma, con ragione,
- Inchinevole ei pur ver la leggiadra
- 230 Era per caldo amor. Quand’ella uscìa
- Dal monastero (uscito erane primo
- Il giovinetto), a lui, gagliardo e prode,
- Fu indetto ancor di porsele daccanto;
- E l’amorosa giovinetta a rendergli
- 235 Ratto sue grazie incominciò la prima,
- Ch’egli con tal valor dinanzi ai forti
- Pugnato avea. Prence Sifrido, disse
- La bella giovinetta, Iddio signore
- Vi ricompensi, chè mertato aveste
- 240 Che ogni più forte, d’ora in poi, com’io
- Sento narrar, fedele a voi si serbi
- Con anima leal. — Con molto amore
- Donna Kriemhilde ei cominciò intento
- A riguardar. Degg’io sempre servirvi,
- 245 Disse quel prode, e a questo capo mio
- Riposo non darò, fin ch’io non aggia,
- Per quanto mi vivrò, la grazia vostra
- Mertata, o donna mia. Per compiacervi,
- Ciò si faccia da me, donna Kriemhilde.
- 250 Dodici giorni ancora, e in ciascun giorno,
- Degna di tutta laude accanto al prode
- Starsi fu vista la fanciulla, intanto
- Ch’ella andarne solea, dinanzi a’ suoi
- Congiunti, in corte; e al giovane guerriero
- 255 Con molto amor prestavasi dagli altri
- Fedel servigio. Così fu che innanzi
- Di Gunthero alle sale, ad ogni giorno,
- E dentro e fuori ancor, gioia e tripudio
- Ed echeggiar d’allegre voci assai
- 260 Per molti si sentîr valenti e prodi,
- Ed Hàgene ed Ortwin meravigliose
- Opere incominciar. Gli eroi gagliardi,
- Con vigor pieno e piena voglia, a tutte
- Cose eran pronti quante alcun mortale
- 265 Osa tentar quaggiù. Questi, e valenti
- E prestanti in virtù, fûr noti allora
- A’ lor ospiti, e tutta e sol per essi
- La terra di Gunthèr si fea più bella.
- Chi ferito giacea, fu visto allora
- 270 Venirne innanzi. Ognun volea co’ suoi
- Soci e compagni aver sollazzi e feste,
- Farsi difesa con le targhe e molti
- Giavellotti avventar. Molti in aita
- Venìan per essi, chè gran gente seco
- 275 Avean pur anco. Ma nei dì giocondi
- Di tante feste, con elette dapi
- Tutti fe’ intrattener l’ospite regio,
- Chè ogni biasmo evitar, quanti si prende
- Un re talvolta, egli volea. Fu visto,
- 280 Amico in atto, a quegli ospiti suoi
- Venir dinanzi. O nobili guerrieri,
- Disse, i miei doni di pigliar vi piaccia
- Pria d’andarne di qui. Sta in me pur sempre
- Questo pensier, perch’io vi serva sempre.
- 285 Non disdegnate il mio possesso, ch’io
- Vo’ spartirlo con voi. Questo sol bramo.
- Quelli parlâr di Danimarca allora:
- Pria che di qui tornarne ai nostri tetti
- In nostra terra cavalcando, ferma
- 290 Una pace vogliam. D’uopo è di pace
- Ai nostri prodi, e noi qui morti abbiamo
- Pei vostri eroi molti diletti amici.
- Fra Liudgasto di sue piaghe ornai
- Venuto a guarigion; dopo la pugna
- 295 De’ Sassoni guarìa pur anco il duce,
- E davver! che sul campo alcuni morti
- Egli ebbero a lasciar. Là ’ve Sifrido
- Rinvenne, andava allor prence Gunthero.
- Ei disse al prode: Ciò che far degg’io,
- 300 Tu mi consiglia. Cavalcar dimani
- Al primo albor, di qui partendo, vonno
- Questi nostri nemici, e ferma pace
- Chiedon con meco e con le genti mie.
- Or mi consiglia, eroe Sifrido, quale
- 305 A te in questo parrassi opera bella
- Ch’io far mi deggia. Quanto a me offerendo
- Vanno i prenci, vo’ dirti. Ei volentieri
- A me daranno quanto in oro han possa
- Di carreggiar, se liberi li sciolgo,
- 310 Cinquecento cavalli. — Oh! ciò sarìa
- Opra non bella assai! disse quel forte
- E valente Sifrido. E sì v’è d’uopo
- Via lasciarli partir liberamente
- Da questa terra; e per che i prenci illustri
- 315 Guardinsi bene un dì che da nemici
- Ei non vengan più mai qui cavalcando,
- Fate sì che di ciò d’ambo que’ prenci
- Vi dia la mano sicurezza e pegno.
- Questo consiglio seguirò. — Con questo
- 320 Andavan elli, e a’ lor nemici intanto
- Noto si fe’ che niun volea quant’essi
- Oro offrivano in pria. Ma i lor diletti
- E cari amici, nel paterno ostello,
- D’essi, di pugne stanchi, avean desire.
- 325 Colme targhe recavansi frattanto
- Dal tesoro del re. Senza bilancie
- Spartiva in copia a’ suoi diletti il sire
- Fin cinquecento, e più ne dava ancora,
- Fulgidi marchi. A re Gunthèr cotesto
- 330 Gernòt ardito consigliava. Intanto
- (Elli andarne volean) prendean commiato
- Tutti, e fûr visti allor gli ospiti innanzi
- A Kriemhilde venirne, anche ove assisa
- Donna Ute si stava. Oh! mai non ebbero
- 335 Miglior commiato cavalieri e prenci!
- Ma quand’ei si partîr, vuoti rimasero
- Tutti gli ostelli, e sol restò co’ suoi,
- Nobili invero e valorosi, il sire
- Gentil di Niderlànd. Egli co’ suoi
- 340 Andarne si vedea di giorno in giorno
- Appo donna Kriemhilde. Eppur, volea
- Chieder vènia al partir Sifrido ancora,
- L’eroe valente. Di ottener colei
- Che in core ei si recava, oh! non avea
- 345 Fidanza certa; ma poichè già udìa
- Prence Gunthero, per ciò che altri disse,
- Che partirsi ei volea, dal suo vïaggio
- Giselhèr giovinetto a dietro il tenne.
- Sifrido inclito assai, dove pertanto
- 350 Volete cavalcar? Qui vi restate
- Appo i nostri gagliardi (oh! fate voi
- Ciò ch’io vi chieggo!), presso a re Gunthero,
- Presso i campioni suoi. Donne qui sono
- Leggiadre assai, quali vorrà ciascuno
- 355 Volentieri mostrarvi. — I palafreni,
- Disse Sifrido valoroso, voi
- Lasciate adunque. Cavalcando volli
- Di qui partir, ma da cotal disegno
- Mi traggo a dietro. Anche i pavesi nostri
- 360 Dentro portate. Alla natal mia terra
- Io tornarmi volea, ma Giselhero
- Impegnando sua fè vinsemi ’l core.
- Per amor degli amici, in questa guisa
- Là si rimase il valoroso. In altra
- 365 Terra giammai non fe’ soggiorno il prode
- Con tanta gioia; e da quell’ora in poi
- Avvenne sì che ad ogni giorno sempre
- La leggiadra Kriemhilde egli vedea.
- Così, per tal beltà che non avea
- 370 Misura, il sire in quella terra ancora
- Restava a soggiornar. Fra molti e vari
- Sollazzi l’ore trapassar que’ prodi
- Vedeano intanto, e sol amor di lei
- Era cruccio a Sifrido. Aspro tormento
- 375 Amor gli dava; e per l’amor quel forte
- Giacquesi poi miseramente estinto.
- ↑ Detto con ironia. Cioè con gran dispiacere.
- Note
- Avventura Sesta
- In che modo Gunthero andò in Islanda per Brünhilde
- Nuovi racconti levansi sul Reno,
- E si dicea che v’erano leggiadre
- Fanciulle assai. Di queste una pensava
- Di far sua donna il buon prence Gunthero,
- 5 Sì che al prode signor l’anima tutta
- Esaltavasi. E inver, di là dal mare,
- Una regina fea soggiorno, e niuno
- Altra che l’uguagliasse, in nessun loco
- Vedea giammai. Più in là che da misura
- 10 Era leggiadra, grande il vigor suo,
- Ch’ella solea con agili guerrieri,
- Accesi in lei d’amor, dardi e saette
- Lungi avventar. Lungi le pietre ancora
- Ella scagliava, e dietro poi gittavasi
- 15 A le pietre d’un balzo. Or, chi l’amore
- Di tal donna si ambìa, vincer tre giochi
- Senza fallo dovea su cotal donna
- D’inclito nascimento, e il capo suo
- Perdea l’audace, se in un sol de’ giochi
- 20 Fallìa la prova. Ma ciò fatto avea
- Molte fïate la fanciulla, quante
- Contar non si potean. Ciò seppe ancora
- Là presso al Reno un cavalier valente1
- Che volse l’amor suo ver la fanciulla
- 25 Vaga e leggiadra. E per costei la vita
- Perder dovean dipoi molti gagliardi.
- Disse il prence del Reno: Io giuso al mare
- Discender vo’ fino a Brünhilde, avvenga
- Ciò che avvenir mi può. Per l’amor suo
- 30 Vo’ rischiar la mia vita; e perderolla,
- Se quella non si fa la donna mia.
- Io da ciò vi sconsiglio, rispondea
- Prence Sifrido. Sì crudel costume
- Ha la regina, che chi cerca e ambisce
- 35 L’amor di lei, grave n’ha poi la pena.
- Tal vïaggio evitar, prence, v’è d’uopo.
- Questo i’ consiglio a voi, Hàgen soggiunse,
- Che il grave carco a sostener preghiate
- Prence Sifrido. Il mio consiglio è questo,
- 40 Da che ben noto gli è come van cose
- Appo Brünhilde. — E vuoi tu darmi aita,
- Nobil Sifrido, disse il re, la donna
- Amorosa a cercar? Se ciò mi fai
- Di che ti prego, e se di me amante
- 45 Si fa per te l’innamorata donna,
- Pel tuo dolce piacer l’onor, la vita,
- Io rischierò. — Di Sigemundo il figlio,
- Sifrido, rispondea: Se tu mi dai
- La tua sirocchia, ben farò cotesto,
- 50 La tua sirocchia, l’inclita regina,
- Kriemhilde bella. Per la mia fatica
- Più in là di questa altra mercè non bramo.
- Sifrido, in la tua man, disse Gunthero,
- Io ti prometto; e se Brünhilde adorna
- 55 In questa terra a me verrà, la mia
- Sirocchia a te darò per donna tua.
- Con lei, si vaga, possa tu per sempre
- Viver beato! — E fean lor sacramento
- Ambo gli eroi molto prestanti. Allora
- 60 Ben più d’assai maggior fu lor travaglio
- Pria di menar del Ren fino a le sponde
- La fiera donnai giovani gagliardi
- Grave a portarsi in cor n’ebber la cura.
- E Sifrido recar dovea la cappa
- 65 Con sè, qual già l’eroe, prestante, ardito,
- A un nano tolta avea con gran travaglio,
- Quale Alberico si dicea. Ma intanto
- Al viaggio apprestavansi gli eroi
- Possenti, ardimentosi. Allor che seco
- 70 La cappa avea Sifrido valoroso,
- In essa avvolto, tanta forza avea,
- Oltre al suo corpo ancor, quanta pur n’hanno
- Dodici prodi. E fu perù ch’ei vinse
- L’inclita donna con molt’arte. Ancora
- 75 Di tal foggia composta era la veste,
- Che ogn’uom ravvolto in lei fea quante cose
- Ei più bramava, e niun vedealo. Intanto
- Così vinse Brünhilde il valoroso,
- Onde gl’incolse poi grave sventura.
- 80 Eroe Sifrido, pria che avvenga questo
- Viaggio mio, perchè possiam discendere
- Là fino al mare con perfetto onore,
- Dimmi tu se dobbiam nosco menarne
- Alquanti eroi di Brünhilde alla terra.
- 85 Trentamila campioni in breve tempo
- Qui chiamati saranno. — E sia qualunque
- La schiera che vogliam nosco menarne,
- Sifrido rispondea, tale ha costume
- La regina e selvaggio e paventoso,
- 90 Che per sua tracotanza ognun de’ nostri
- Perir dovrà. Degg’io cosa migliore
- Consigliarvi però, buono e prestante
- Campione in guerra. Scendere da noi
- Si dee pel Reno, costume serbando
- 95 Di cavalieri, ed io dirò pur anco
- Chi nosco esser dovrà. Giù fino al mare
- Quattro discenderem valenti e prodi,
- Conquisterem, qualunque cosa poi
- Accader voglia, la fanciulla. Uno
- 100 Io sarò de’ compagni esser tu dêi
- L’altro ed Hàgene il terzo (oh n’usciremo
- Incolumi!) e Dancwàrt, l’uom prode assai,
- Il quarto sia. Davver! che non potranno
- Altri mille resisterci in battaglia!
- 105 Io volentieri apprenderei, soggiunse
- Prence Gunthero, pria che là ne andiamo
- (E ben lieto n’andrei), quali dinanzi
- A Brünhilde avrem noi che ben si addicano,
- Le vestimenta. Ciò ridir dovete
- 110 A re Gunthero. — Vesti che fra tutte
- Rinvengonsi migliori, ad ogni tempo
- Di Brünhilde in la terra usa la gente.
- Ricche vesti perciò dinanzi a lei
- Recar dobbiam, sì che disdoro alcuno,
- 115 Quando s’udrà narrar cotesta istoria,
- Noi non ne abbiamo. —
- Il buon guerrier soggiunse:
- Così vogl’io dalla mia dolce madre
- Andarne tosto, se poss’io da lei
- 120 Tanto ottener che ci porgano aita
- Sue vaghe ancelle in apprestar le vesti,
- Quali recar vogliam con molto onore
- Per l’inclita fanciulla. In cortese atto
- Hàgene di Tronèga allor dicea:
- 125 Perchè vorreste di cotal servigio
- Vostra madre pregar? Fate che intenda
- Ciò che bramate la sorella vostra,
- E tal servigio in buon punto vi fia
- Per che n’andiate a quella corte. — Allora
- 130 Alla sirocchia sua fe’ dir quel prence
- Ch’ei di vederla avea desìo, che ancora
- Ciò disïava principe Sifrido.
- E quella, prima che cotesto fosse,
- Avvenente e leggiadra, erasi ornata
- 135 Con arte molta. Oh! fu per lei di doglia
- Parca il venir di questi ardimentosi! 2
- Le compagne di lei, qual s’addiceva,
- Erano ornate; e come quella intese
- Che ambo i prenci venìan, ratto levossi
- 140 In piè dal seggio, e con atto cortese
- La s’avanzò ’ve nell’ospite illustre
- E nel fratello s’incontrò. Deh! sia
- Benvenuto il fratello e il suo compagno,
- Disse la giovinetta. Io volentieri
- 145 Intendere vorrei ciò che da voi,
- Prenci, si brama, da che andar volete
- Ad altra corte. Udir mi late adunque
- Di voi, nobili eroi, che son novelle.
- O donna, io vel dirò, prence Gunthero
- 150 Allor rispose. Ben che grande sia
- Animo in noi, è d’uopo a noi ben grave
- Una cura portar. Lungi, a una terra
- Straniera andremo noi, vaghe fanciulle
- A corteggiar. Per tal vïaggio è d’uopo
- 155 Che vesti abbiamo noi pompose e belle.
- Dolce fratello mio, deh! v’assidete,
- Disse colei, figlia di prenci, e fate
- Ch’io bene ascolti quali son fanciulle
- Che bramate cercar, per l’amor vostro,
- 160 D’altri monarchi nella terra. — Intanto
- Ambo gli eletti cavalier per mano
- La fanciulla prendea. Con essi al loco
- Andava in che seduta ell’era in pria,
- Su guanciali pomposi (io ben cotesto
- 165 Conoscer bramo), di leggiadre immagini
- Adorni tutti, e con bei fregi in oro.
- Daccanto a la fanciulla ebbero i prodi
- Gioia e sollazzo; e furono amorosi
- Sguardi e un mirarsi con amor per gli occhi,
- 170 E fu cotesto in ambo i giovinetti
- Sovente assai. Recava lei nel core
- Prence Sifrido, e qual la dolce vita
- Kriemhilde era per lui. Fu da quel tempo
- Donna eletta a Sifrido valoroso
- 175 La leggiadra Kriemhilde. Il re possente
- Le disse allor: Dolce sorella mia,
- Senz’aita di te nulla da noi
- Potrà compirsi. Aver sollazzi e feste
- Vogliamo noi di Brünhilde in la terra,
- 180 E dinanzi a colei vesti pompose
- Recar ci è d’uopo. — E a lui la giovinetta:
- Dolce fratello mio, quanto per l’opra
- Di me può farsi in tale intento, a voi
- Offro del core e a ciò pronta son’io;
- 185 S’altri vi niega alcuna cosa, grave
- Dolor saria per Krïemhilde. Voi,
- Qual chi un affanno ha in cor, me non dovete
- Pregar così, prestanti cavalieri,
- Ma con atto cortese un cenno farmi
- 190 E comandar. Per ciò che piaccia a voi
- Nell’opra mia, per voi son pronta e farlo
- Volentieri vogl’io. — Così dicea
- L’avvenente fanciulla. — E vogliam noi,
- Cara sorella mia, leggiadre nosco
- 195 Portar le vesti. In ciò compir, soccorso
- Porti la vostra man nobile e sperta;
- Finiscan l’opra, sì che a noi le vesti
- Leggiadramente stian, le ancelle vostre,
- Chè di ritrarci da cotal vïaggio
- 200 Alcun desìo non abbiam noi. — Quel ch’io
- Or vi dirò, notate voi, rispose
- La giovinetta. Serici broccati
- Ho qui con meco; or fate voi che targhe
- Altri ci porti ricolme di gemme,
- 205 E noi le vesti comporrem. — Gunthero
- E Sifrido pur anco assentimento
- Diero al desio de la fanciulla. E quali,
- La regina dicea, sono i compagni
- Che a quella corte in tali vesti ornate
- 210 Verranno vosco? — Ei disse: Il quarto io sono,
- E a quella corte due de’ miei verranno,
- Hàgen, Dancwàrt, con me. Voi ben dovete,
- Donna, ciò ch’io dirò, notarvi in mente.
- Io quarto vo’ portar ne’ quattro giorni
- 215 Tre di vesti, e leggiadre sian le vesti,
- Mute diverse ad ogni dì, chè noi
- Senza vergogna qui tornarci a dietro
- Dalla terra vogliam ch’è di Brünhilde.
- Per cortese commiato ambo que’ prenci
- 220 Di là partian. E tosto fra le ancelle
- Trenta fanciulle da lor stanze interne
- A se chiamò regina Krïemhilde,
- Quante sì per tali opre aveano ingegno
- E destrezza d’assai. Sì come neve
- 225 Bianche sete d’Arabia e ben composte
- Sete di Zazamànc, d’un color verde
- Qual di trifoglio, di lucenti gemme
- Adornar le fanciulle, indi fûr tratte
- Buone le vestimenta, e Krïemhilde,
- 230 Essa medesma, l’inclita donzella,
- Tagliar le volle. I soppanni con arte
- Composti in pelli di stranieri pesci,
- Quali venian dal mar d’estranie genti,
- Quante aversi potean, coprian le ancelle
- 235 Di rilucenti sete, e i cavalieri
- Tali dovean recarle. — Udite intanto
- Meraviglie narrar d’este sì belle
- Vestimenta da eroi. — Serici drappi,
- I più belli che mai figli di regi
- 240 Possedessero un giorno, aveansi in copia,
- Di Marocco e di Libia; e ben lasciava
- Krïemhilde apparir che buon volere
- Ella pei prenci avea. Poi che bramato
- Avean essi così l’alto vïaggio,
- 245 Indegne anche estimâr le bianche pelli
- Degli ermellini, e neri quanto è scheggia
- Di carbon fosco poser le fanciulle
- Altri velli sui primi. Ai baldi eroi
- Bene ciò s’addicea per tanta festa.
- 250 E d’Arabia su l’or molte brillavano
- Gemme lucenti, e non picciolo invero
- Fu de le ancelle il faticar. Le vesti
- Di sette settimane entro a lo spazio
- Furon compiute e l’armi ancor fûr pronte,
- 255 Tutte, per questi eroi buoni e gagliardi.
- Ratto ch’ei furon pronti, e fu costrutto
- Subitamente a navigar sul Reno
- Un forte navicel che fino al mare
- Dovea recarli. Ma stanchezza molta
- 260 Alle nobili ancelle era venuta
- Per l’opra assidua. Ai cavalieri intanto
- Altri dicea che le pompose vesti
- Ch’elli recar dovean, eran compiute,
- A lor desio conforme. Ei rimanersi
- 265 Più lungo tempo non volean sul Reno.
- A’ lor compagni di vïaggio un messo
- Fu allor mandato, s’elli mai le nuove
- Lor vestimenta rimirar voleano,
- Sia che lunghe agli eroi fosser soverchio,
- 270 Sia di soverchio brevi. Oh! ma in perfetta
- Misura ell’eran tutte, e reser grazie
- I valorosi a le fanciulle. A quanti
- Per le vesti venian, d’uopo fu allora
- Asseverar che miglior cosa in terra
- 275 Veduta ei non avean; però alla corte
- Volentieri potean recarle attorno,
- Chè niuno favellar di più pompose
- Vesti potea di cavalieri. Grazie
- Grandi d’assai non fûr niegate allora,
- 280 E i baldi eroi chieser commiato, e questo
- In atto ei fean di cavalier ben degno.
- Ma di pianto ad alcun torbidi e molli
- Si fêr gli occhi lucenti, e Krïemhilde
- Così dicea: Diletto fratel mio,
- 285 Deh! che potreste ancor qui rimanervi
- E altre donne cercar (questa i’ direi
- Opra ben degna!), nè in sì gran distretta
- Vostra vita saria. Ben più vicino
- Nobil fanciulla ritrovar potreste.
- 290 Io credo sì che lor diceva il core
- Ciò che avvenne dipoi. Tutti e in eguale
- Maniera elli piangean, per quante cose
- Altri dicesse, e impallidia sul petto
- A le lagrime lor l’auro lucente,
- 295 A le lagrime sì, che giù dagli occhi
- Cadeano in copia. Disse allor Kriemhilde:
- Prence Sifrido, e per fede e per grazia
- Lasciate voi che a voi si raccomandi
- Il caro fratel mio, perchè nol tocchi
- 300 Di Brünhilde in la terra alcuna offesa.
- Ne fè promessa di Kriemhilde in mano
- L’uom destro e baldo. Fin che il viver mio
- Mi resti, favellò quel valoroso,
- Donna, dovete voi libera e sciolta
- 305 D’ogni pensiero andar. Qui fino al Reno
- Incolume addurrollo ancora a voi;
- Ciò per certo v’abbiate. — Ella inchinavasi,
- L’avvenente fanciulla. E gli aurei scudi
- Altri frattanto su le aperte arene
- 310 Andò recando e là portò le vesti,
- Tutte a quel loco. I palafreni ancora
- Furono addotti, chè partir voleano
- Disïosi gli eroi, sì che da donne
- Leggiadre allor si fè gran pianto assai.
- 315 Le fanciulle amorose alle finestre
- Stavano intente, e ratto un’aura forte
- Mosse la nave con la vela. Tutti
- Posâr del Reno sovra l’onde insieme
- I baldanzosi, e re Gunthero disse:
- 320 Chi nocchiero sarà? — Vogl’io cotesto,
- Disse Sifrido, ch’io su l’onde posso
- (Nobili eroi, questo sappiate) al loco
- Addurvi ratto. Bene a me son note
- Le dritte vie dell’acque. — Ecco! gioiosi
- 325 Elli partìan dalla burgundia terra.
- Rapidamente un legno si pigliava
- Prence Sifrido, e l’uom gagliardo e forte
- A puntar cominciò sovra la sponda;
- Gunthèr medesmo arditamente in mano
- 330 Si tolse un remo, e abbandonâr la spiaggia
- I cavalieri baldanzosi e forti,
- Degni di laude. Elli recaron seco
- Eletti cibi e vin gagliardo ancora,
- II miglior vino che dal Reno intorno
- 335 Rinvenìr si potea. Lor palafreni
- Bene si stanno, ch’elli han tutti gli agi,
- E lor nave sen va rapida e piana,
- E niun travaglio han quelli. E di lor vele
- Forti furono allor stese le sarte,
- 340 Ed essi andarno, pria che notte fosse,
- Con buon vento scendendo inverso al mare
- Ben venti miglia. Ma cagion di duolo
- Fu poscia il faticar per que’ gagliardi.
- Al mattin dodicesmo, in quella guisa
- 345 Che udimmo raccontar, laggiù recaronli
- Rapide l’aure ad Isenstein di contro,
- Di Brünhilde in la terra, e niun quel loco,
- Se ne togli Sifrido, conoscea.
- Ma re Gunthèr, quando il castello vide
- 350 E suoi ampi ricinti, oh! come è tosto
- Gridò: Mi dite voi, Sifrido amico,
- Se pur v’è noto, di chi son le mura,
- Ancora di chi son le ricche terre.
- Sifrido rispondea: Ciò mi è ben noto.
- 355 Genti son queste e terra di Brünhilde,
- Isenstein è il castel, quale soventi
- Mi udiste ricordar. Potrete voi,
- Oggi pur’anco, rimirar leggiadre
- Fanciulle assai. Un mio consiglio intanto,
- 360 Eroi, darovvi, perchè abbiate voi
- Un sol pensiero, perchè ognun di voi
- Egual favelli. E buona cosa intanto
- Parmi cotesto. Poi che andremci innanzi
- Oggi a a Brünhilde, alla regina illustre
- 365 Starci innanzi dovrem guardinghi e intenti.
- Ratto che vedrem noi co’ suoi consorti
- L’amorosa fanciulla, un motto solo,
- Incliti eroi, per voi si dica; e sia
- Mio signore Gunthero, io suo vassallo.
- 370 Così, com’egli vuol, tutto farassi.
- A prometter conforme ch’egli volle,
- Essi fûr pronti, e d’assentir nessuno
- Allor lasciò, benchè superbo; tutti,
- Com’ei volea, disser concordi. Intanto
- 375 Bene ciò avvenne, c principe Gunthero
- Veder potè Brünhilde bella. Tanto,
- Dicea Sifrido allor, nè fo nè dico
- Per l’amor tuo, ma sol per la tua suora,
- L’avvenente fanciulla. A me colei
- 380 È qual l’anima mia, quale pur anco
- La mia persona. E volentieri in questo
- Io vo’ servir, perch’ella sia mia donna.
- ↑ Il re Gunthero.
- ↑ Detto con leggiera ironia. Essa ne ebbe gran dolore perchè il suo Sifrido stava per partire.
- Note
- Avventura Settima
- In che modo Gunthero vinse Brünhilde
- Divenuti frattanto era lor nave
- Là di sotto al castello, e già vedea
- Prence Gunthero in alto a le finestre
- Molte leggiadre giovinette. E cruccio
- 5 Era questo per lui che a lui ben nota
- Nessuna fosse. Ei dimandò a Sifrido,
- Al suo compagno ei dimandò: Di queste
- Fanciulle che di là guardano in basso
- Ver noi su l’onde, conoscenza alcuna
- 10 Forse che avete voi? Qualunque dicasi
- Lor prence, sì davver! che alti han gli spirti!
- Accortamente sogguardar dovete
- A le fanciulle, principe Sifrido
- Allor rispose, e dirmi poi qual d’esse
- 15 Pigliar volete voi, se pur di tinto
- Avete potestà. — Farò cotesto,
- Disse Gunthero, il cavaliere ardito
- E baldanzoso. E veggo a una finestra,
- In vesti bianche come neve intatta,
- 20 Una donzella. È d’inclite fattezze,
- E lei, per l’aitante sua persona,
- Scelgono gli occhi miei. S’io di cotesto
- Avrò possanza, ella sarà mia donna.
- Ben giustamente fe’ per te la scelta
- 25 Degli occhi tuoi la luce. Essa è la nobile
- Brünhilde, la leggiadra giovinetta,
- A cui l’anima tua, la mente e il core
- Anelano pur sempre. — E gli atti suoi
- Piacquer d’assai a re Gunthero. Intanto
- 30 Volle sì che le nobili sue ancelle
- Da le finestre si levasser tutte
- La regina, chè niuna a riguardare
- Restar dovea gli estrani prodi. In questo
- Ad obbedirle eran sì tutte pronte,
- 35 Ma quanto feano allor, più tardi a noi
- Altri narrava. Per gl’ignoti eroi
- Elle si ornâr della persona in quella
- Guisa così secondo hanno costume
- Leggiadre donne ognor. Vennero poscia
- 40 Là da le feritoie, i prodi estrani
- A rimirar, chè per veder soltanto
- Ciò per esse si fea. Ma quattro soli
- Scendean di quelli a terra, e su l’arena
- Trasse un destrier Sifrido ardimentoso,
- 45 E ciò vedean da le finestre anguste
- Le vezzose donzelle. Onor pensavasi
- D’aversi in questo principe Gunthero1.
- Sifrido inver per le ritorte briglie
- Tenea del sire il nobile destriero,
- 50 Buono e leggiadro e forte e grande assai,
- Fin che prence Gunthero alto in arcioni
- Assidero potè. Cotal servigio
- Sifrido gli prestò; ma troppo il sire
- Ciò si scordò di poi. Dal navicello
- 55 Il suo destriero si adducea pur anco,
- E tal servigio rade volte assai
- Compiuto avea, perch’ei si stesse mai
- Presso la staffa d’alcun prode. Intanto
- Da lor finestre ciò vedean le donne
- 60 Leggiadre e fiere. E veramente, ad una
- Foggia soltanto, i prodi alteri e baldi
- Simili avean fra lor lor bianche vesti
- E lor cavalli come neve bianchi
- E lor pavesi ben costrutti. Lungi
- 65 Essi lucean de’ prodi ardimentosi
- Da le destre possenti. E le lor selle
- Eran di gemme adorne, e i pettorali
- Piccoli, e quei venìan verso a le sale,
- In cavalcando, di Brünhilde. In fulgido
- 70 Oro pendean dai colmi pettorali
- I sonagli; e frattanto elli venièno
- Di Brünhilde alla terra, in quella guisa
- Che l’ardir li spingea, con le lor lancie
- Novellamente cuspidate e i brandi
- 75 Ben costrutti, che agli uomini leggiadri
- Fino agli sproni discendcan. Que’ brandì
- Recavano gli eroi ardimentosi
- E acuti ed ampi. E ciò vedea Brünhilde,
- La nobile fanciulla. Appo Gunthero
- 80 Venian pur anco ed Hàgene e Dancwarto.
- Noi udimmo ridir come esti eroi
- Recavano pomposa, e d’una tinta
- Qual di penna di corvo, ogni lor veste,
- Come buone e leggiadre ed ampie e grosse
- 85 Eran lor targhe. Si vedean que’ prodi
- Gemme portar d’indica terra, e questo
- Diceasi ancor che rilucean le gemme
- Su le lor vesti. Là su l’onde azzurre
- Il navicello abbandonâr gli eroi
- 90 Senza custodia, e mossero al castello
- Su’ lor destrieri, essi gagliardi e buoni.
- Ottanta elli vedeano e sei pur anco
- Erigersi là dentro altere torri
- E tre grandi palagi ed una sala
- 95 Ampio costrutta in nobil marmo, verde
- Come un’erba virente. Ivi co’ suoi
- Avea sua stanza l’inclita Brünhilde.
- Fu dischiuso il castello, ampie le porte
- Furon dischiuse, e corsero all’incontro
- 100 Di Brünhilde le genti e ne la terra
- Di cotal donna gli ospiti venuti
- Accolsero. Fu detto i lor destrieri
- Di governar, di togliere gli scudi
- Da la man degli eroi. Disse un valletto:
- 105 Darci dovete i brandi e le lucenti
- Corazze ancora. — Ciò non fia concesso,
- Hàgen rispose di Tronèga; noi,
- Noi medesmi portar vogliam quest’armi.
- Ma il vero incominciò prence Sifrido
- 110 Così a ridir: Costume in tal castello
- È questo sì, questo vogl’io narrarvi,
- Che niun ospite qui l’armi si rechi.
- Via lasciate portarle; e ciò per voi
- Sarà ben fatto. — Assai di mala voglia,
- 115 Hàgen, l’uom di Gunthero, un tal consiglio
- Seguiva; e intanto agli ospiti novelli
- Altri indisse recar giocondo un vino
- E tutte cose provveder. Fûr visti
- Molti leggiadri eroi, con vesti attorno
- 120 Degne di prenci, accorrere da tutte
- Partì alla cortema d’assai più grande
- Era agli ospiti arditi il riguardare2.
- A regina Brünhilde allor fu detto
- Che ignoti prodi in veste signorile,
- 125 Scorrendo sovra l’onde, eran venuti,
- Ed ella sì, l’avvenente fanciulla,
- Incominciava a dimandar. Mi fate,
- Udir mi fate, la regina disse,
- Chi mai esser potranno esti campioni,
- 130 Ignoti assai, che fieramente stannosi
- Nel mio castello, e di che mai per voglia
- Fin qui venian gli eroi. — De’ suoi consorti
- Uno allor favellò: Poss’io ben dirvi,
- Donna, che niun di loro unqua non vidi,
- 135 Se pur togli che un v’è che di Sifrido
- Ha somiglianza. A lui v’è d’uopo intanto
- Liete far le accoglienze. È questo il mio
- Consiglio in tutta fè. L’altro compagno
- È pur degno di lode, e s’egli avesse
- 140 Poter di ciò, di principi su molte
- Ampie terre ei sarìa signor possente,
- Quando acquistar se le potesse, tanto
- Ei si vede appo gli altri in signorile
- Atto restar. Ma de’ compagni il terzo
- 145 È tremendo d’assai, ben che leggiadro,
- Regina illustre, della sua persona,
- Tremendo in ver pel volger degli sguardi
- Ch’ei fa sovente. D’indole feroce
- Egli è nell’alma sua, com’io mi penso.
- 150 Il più giovane d’essi è degno assai
- Di molta lode. Inver, di giovinetta
- Costume ei serba, e vegg’io sì restarsi
- L’uom possente e gagliardo in amoroso
- Atto con dolce il portamento. Noi,
- 155 Tutti dovremmo noi di ciò temere
- Che altri l’offenda in cosa alcuna. Eppure,
- Ben che sì dolce abbia costume e rechi
- Tanto avvenente la persona, a piangere
- Addurre ei ben potrà, quand’ei s’adiri,
- 160 Molte donne leggiadre. È di tal guisa
- Suo vago aspetto, ed egli, in tutti pregi,
- È baldo e ardito cavalier d'assai.
- Disse allor la regina: Or mi si porti
- La mia corazza, e se venuto è il prode
- 165 Sifrido qui nella mia terra, amore
- Da me cercando, va della sua vita.
- Tanto nol temo inver per ch’io diventi
- La donna sua. — Rapidamente allora
- Brünhilde bella si vesti l’arnese,
- 170 E seco ne venian leggiadre assai
- Molte donzelle, cento e più, di fregi
- Ornate attorno alla persona. Queste
- Donne vezzose ben volean gli strani
- Ospiti rimirar. Ma con le donne
- 175 Venian pur anco i principi d’Islanda,
- Di Brünhilde gli eroi, quali nel pugno
- Recavan spade, ed eran cinquecento
- Elli e di più. Ciò fu rancura agli ospiti,
- E da’ lor seggi si levâr d’un moto
- 180 Arditi e baldi i cavalieri. Intanto,
- Ratto che la regina il pro’ Sifrido
- Scoverse, volentieri udrete voi
- Ciò che a lui disse la regal fanciulla:
- Sifrido, in questa terra il benvenuto
- 185 Mi siete voi. Ma che vuol dir cotesto
- Viaggio vostro? Volentier da voi
- Intenderlo vorrei. — Grazie d’assai,
- Donna Brünhilde mia, che vi degniate,
- Voi sì, di prenci liberal figliuola,
- 190 Me salutar pria di costui che innanzi
- A voi si sta, nobil guerrier. Chè sire
- Egli è di me. Cotesto onor pertanto
- Ricuso volentier. Nato sul Reno
- È cotal sire. Or che di più dirovvi?
- 200 Solo per l’amor tuo siam qui venuti,
- Ed ei ben volentier, venga qualunque
- Cosa da ciò, porrebbe in te l’amore.
- Or tu frattanto con te pensa. Nulla
- Fia che il mio prence ti condoni. Detto
- 205 Egli è Gunthero ed è monarca illustre,
- E nulla in più desia, se l’amor tuo
- Acquistarsi potrà. Volle che seco
- Io qui venissi il nobile guerriero;
- Ma s’avess’io di tanto ricusarmi
- 210 Potere avuto in me, ben volentieri
- Lasciato avrei cotesto. — Ed ella disse:
- Poi ch’è tuo sire e tu se’ l’uom di lui,
- Nel gioco ch’io gli pongo e ch’egli ardisce
- Di sostener, s’egli ha vittoria certa,
- 215 Io son la donna sua ma se ch’io vinca
- Avvien, per tutti voi ne va la vita.
- Hàgene allora di Tronèga disse:
- Donna, fateci almen questi tremendi
- Vostri giochi veder pria che vittoria
- 220 Gunthero, il mio signor, confessi a voi,
- Chè ciò male sarìa. Ma sì avvenente
- Giovinetta davver! ch’ei vincer spera!
- La pietra ei dee scagliar, dietro la pietra
- Avventarsi d’un balzo e lanciar meco
- 225 Lanciotti acuti. Ma di tanto voi
- Non v’affrettate! Perder qui potreste
- E la vita e l’onor; di ciò pertanto
- Pensier vi date, — favellò in tal guisa
- L’amabil donna, e al suo signor frattanto
- 230 Si fea da presso principe Sifrido
- Ardimentoso e gl’indicea sommesso
- Ch’ei volesse dinanzi a la regina
- Tutto ridire il suo voler, del core
- Sè da ogni affanno disciogliendo: A lei,
- 235 A lei dinanzi voi degg’io difendere
- Con l’arte mia. — Dicea prence Gunthero:
- Regina illustre, c’impartite adunque
- Ciò che più v’attalenta. E se maggiore
- Cosa fosse pur anco, io mi sobbarco
- 240 A tutto sì per cotesta persona
- Di voi leggiadra. E perdere vogl’io
- Questo mio capo, se mia donna voi
- Non divenite. — Come queste sue
- Parole intese la reina, il gioco
- 245 Indisse d’affrettar qual s’addicea;
- Cenno fe’ di recar la sua di guerra
- Veste leggiadra, splendida lorica
- In fulgid’oro e d’un pavese il disco.
- Tutta di seta una guerresca veste
- 250 La fanciulla si pose, e in niuno assalto
- Arma nessuna non avea tal veste
- Squarciata mai, di libica leena
- Inclita spoglia. Acconciamente ell’era
- Composta ad arte, di bei fregi adorna
- 255 Che scintillar vedeansi lunge. Intanto,
- Agli eroi mo’ venuti alte minaccie
- Si fean per vano ardir; n’eran turbati
- Ed Hàgene e Dancwarto, e questo in core
- Avean grave pensier quale del sire
- 260 Esito avrìa l’ardita impresa. A noi,
- Elli pensâr, non fia giocondo assai
- Questo nostro viaggio in questa terra.
- Ma l’uom leggiadro, principe Sifrido,
- Pria che alcun s’avvedesse, era frattanto
- 265 Tornato al navicello in che la sua
- Cappa rinvenne alto riposta. Ratto
- Alla persona ei la gittava attorno,
- E niun di ciò s’avvide. Ei ritornavasi
- Rapido a dietro e molti prodi accolti
- 270 Là rinvenìa dove a’ suoi aspri ludi
- Già s’apprestava la regina. Venne
- (Per sottil’arte ciò accadea) di tutti
- Invisibile al guardo, e niun di tanti
- Là intorno accolti lo scoverse allora.
- 275 Già segnato era il cerchio ove dinanzi
- A molti arditi eroi, che furo addotti
- Questo a mirar, dovea compirsi ’l gioco,
- Ed eran più d’assai che settecento
- Che si vedean l’armi portar. Cotesti
- 280 Incliti eroi di qual de’ contendenti
- Esito avesse il periglioso gioco,
- Asseverar dovean. Ma già venuta
- Era Brünhilde. Armata ella fu vista
- Come se per la terra d’un gran sire
- 285 Ell’avesse a pugnar. Sovra la seta
- Molti recava in or fregi lucenti
- Intrecciati con arte; eppur, sott’essi
- Nobil candor del volto si mostrava
- Meraviglioso. Gli alleati suoi
- 290 Venian pur anco. D’un pavese il disco
- Tutto di fulgid’or portavan elli
- Alto nel pugno, con fibbie d’acciaio,
- Ampio e grande d’assai; sotto quel disco
- Volea suoi giochi la leggiadra donna
- 295 Così compir. Ma dell’ampio pavese
- Era su la correggia un nobil fregio
- Di passamano, e su quel fregio stavano,
- Verdi com’erba, prezïose gemme,
- Che contro a l’or, con inclito splendore,
- Luceano in varie guise. Oh! ben gagliardo
- Esser colui dovea cui simil donna
- 280 Saria propizia e amica! Era la targa,
- Come fu detto a noi, là sotto al culmo
- Di tre spanne in grossezza, e la fanciulla
- Sorreggerla dovea, d’oro e d’acciaio
- Ricca e grave d’assai; con tre consorti
- 285 Carreggiarla poteva un de’ valletti
- A stento inver. Ma come l’ampio scudo
- Hágene il forte là recarsi vide,
- Ei, l’eroe di Tronèga, in corrucciata
- Anima disse: o re Gunthero mio,
- 290 Dove siam noi? Noi qui perdiam la vita!
- Quella che amar cercate voi, del diavolo
- È la mogliera! — Questo udite ancora
- Delle sue vesti, ch’ella avea sì ricche.
- Di seta d’Azagouc ella portava
- 295 Nobile e forte un arnese di guerra,
- Su cui splendean le gemme prezïose
- Fra un luccicar di tinte. Alla donzella
- Altri portava ponderoso e grande
- E cuspidato un giavellotto, quale
- 300 In ogni tempo ella scagliar solea,
- Immane e forte, sposso ed ampio. In guisa
- Orrenda inver con la sua punta acuta
- Squarci inferìa l’arma tremenda. Intanto
- Udrete voi del pondo di quest’arma
- 305 Cose narrar meravigliose. In essa
- Ben quattro masse in fulgido metallo
- Furon battute, e la recarno a stento
- Tre de’ valletti di Brünhilde. Allora
- Grave cura ad averne incominciava
- 310 Gunthero illustre, onde in suo cor:
- Deh! questo
- Che mai sarà? pensò. Come, deh! come
- Di qui scampar, ben che d’inferno uscito,
- Il diavolo potria? Che s’io ritorno
- 315 Di Borgogna nel suol con la mia vita,
- Lunga stagione assai dovrà costei
- Libera andar dall’amor mio! — Quel prode
- Dancwarto allora, d’Hàgene fratello,
- Cosi parlò: Mi tocca un pentimento
- 320 Del cor per questo mio vïaggio in corte.
- 325 Forti noi sempre ci chiamammo; e intanto
- Di qual mai foggia perderem la vita,
- Noi, cui trarranno in manifesto esizio
- In questo suol le donne! E mi corruccia
- L'alto dolor che addotto qui mi sia.
- 330 Che se avesse nel pugno l’armi sue
- Hàgen fratello ed io m’avessi l’armi,
- Con dolcezza dovrian in loro orgoglio
- Di Brünhilde le genti comportarsi
- Tutte davver! Sappiate voi di certo
- 335 Che in guardia elli starian. S’anche ben mille
- Giuramenti avess’io per questa pace
- Giurati qui, pria che morir vedessi
- Il mio dolce fratli, dovria la vita
- Perder cotesta sì leggiadra donna.
- 340 Liberi e sciolti questa terra noi
- Potremmo abbandonar, così rispose
- Hàgen fratello, se gli usberghi nostri
- Avessimo, di cui, nella distretta,
- Abbiam necessità, coi nostri brandi
- 345 Acuti e buoni. Mansueto allora
- Di tal virago si farìa l’orgoglio.
- Ciò che disse il guerrier, l’inclita donna
- Bene ascoltar potè, sì che rivolta
- Indietro alquanto, con ridente bocca,
- 350 Poi che sì forte ei si presume, disse,
- L’usbergo suo sì gli recate. In pugno
- Date agli eroi lor armi acute assai.
- Tosto che racquistati aveano i brandi
- Sì come indisse la fanciulla, in volto
- 355 Per molta gioia si fè rosso il prode
- Dancwarto. Or qui si giochi, ei disse allora,
- L’uom baldo e ardimentoso, or qui si giochi
- Ciò che più si desia. Gunthero è invitto,
- Poi che abbiam noi quest’armi nostre. —
- 360 Grande
- Virtù mostrossi di Brünhilde. A lei,
- Là dentro al cerchio, ponderosa e immane
- E grossa e tonda e smisurata assai
- Fu recata una pietra, e la recavano
- 365 Dodici a stento valorosi e prodi
- Guerrieri suoi. Scagliato il giavellotto,
- Ad ogni tempo ella solca l’immane
- Pietra avventar; così avvenìa che grande
- Fu corruccio ai Burgundi. Oh! per le mie
- 370 Armi, Hàgene disse, il mio signore
- Qual donna mai si fece amante! Certo
- Ch’ella dovea laggiù, nel buio inferno,
- Al diavolo maligno andarne sposa!
- Alle candide braccia ella frattanto
- 375 I bracciali si cinse, e incominciava
- L’ampio scudo a brandir, levava in alto
- Il giavellotto, e l’orrida tenzone
- Al principio venìa. Già di Brünhilde
- Temean lo sdegno e Sifrido e Gunthero,
- 380 E se accorso in aita allor non fosse
- Prence Sifrido, a re Gunthèr la vita
- Ella rapita avrìa. Furtivamente
- Ei s’accostò, la man toccògli, e il sire
- Con suo sgomento assai di tale astuzia
- 385 S’avvide allor. Chi mi toccò? pensava
- L’uom valoroso e guardavasi attorno
- Da tutte parti, nè vedea che alcuno
- Là si stesse davver. Disse Sifrido:
- Sifrido mi son io, l’amico tuo
- 390 Diletto e caro. Ben dêi tu, dinanzi
- Alla regina, da ogni affanno e cura
- Andar disciolto. Porgimi lo scudo,
- Lascia ch’io ’l rechi e nota con tua cura
- Ciò che dir m’udirai. Tu del trar colpi
- 395 Fa i gesti e gli atti, ch’io la gran faccenda
- Da solo compirò. — Come s’accorse
- Chi veramente quei si fosse, n’ebbe
- Prence Gunthero molta gioia. — Questa
- Astuzia mia tu dêi celar, soggiunse
- 400 Prence Sifrido, e nulla dirne. E poco
- Vampo davver potrà su te menarne
- Questa regina, anche se il voglia. Vedi
- Ch’ella innanzi ti sta senza paura!
- L’inclita giovinetta un fiero colpo
- 405 Sferrò contro uno scudo ampio e di nuova
- Foggia ed immane, cui recava in braccio
- Di Sigelinde il figlio, e ratto il fuoco
- Scintillò dall’acciar come se vento
- Entro soffiasse. Del lanciotto immane
- 410 L’acuta punta attraversò lo scudo,
- Sì che la fiamma lampeggiar fu vista
- Là per gli anelli. Vacillâr di sotto
- Al fiero colpo gli uomini gagliardi,
- E morti elli sarìan, se ivi mancata
- 415 Fosse la cappa di Sifrido. Il sangue
- Dalla bocca del prode usciva in copia;
- Ma tosto ei rilevossi. Il valoroso
- Il lanciotto afferrò che attraversando
- L’ampio pavese già scagliò la donna,
- 420 E la man di Sifrido inclito e forte
- L’arma le rese. Ma pensava in pria:
- Non vo’ ferir la bella giovinetta!
- Così la punta del lanciotto immane
- Egli a dietro rivolse, e sol con l’asta
- 425 L’usbergo a lei colpì. Sotto a quel colpo
- Della man poderosa, alto di lei
- L’armi guerresche risuonâr. Schiantaro
- Vive scintille dagli anelli, come
- Se vento là soffiasse, e forte invero
- 430 Mandò quel colpo di Sigmundo il figlio,
- Nè quella già potè l’impeto fiero,
- Con sua fermezza, sostenerne. Tanto
- Fatto mai non avrìa prence Gunthero!
- Ma rilevossi rapida la bella
- 435 Brünhilde e disse: Nobil cavaliero,
- Gunthero prence, grazie di tal colpo!
- Ella credea che in suo vigor scagliato
- Re Gunthero l’avesse. Oh! ma d’accanto
- Furtivamente s’era posto a lui
- 440 Uom d’assai più valente! Ella n’andava
- Rapidamente, e n’era il cor sdegnoso.
- Una pietra levò l’inclita donna
- E lungo assai dalla sua man gittolla
- Con forza immane. Alla rotante selce
- 445 Ella dietro avventossi, e l’armi sue
- Tutte su lei romereggiâr. Caduta
- Più che dodici braccia era lontana
- L’immane pietra, ma con un sol balzo
- L’agii fanciulla superato avea
- 450 Della pietra il gittar. N’andava intinto
- Prence Sifrido ov’essa giacque, e un poco
- La smosse re Gunthèr, ma chi gittolla
- Fu Sifrido gagliardo. Era Sifrido
- Ardimentoso ed alto e forte assai,
- 455 E più lunge d’assai lanciò la pietra
- E dietro le balzò più lunge ancora,
- E per l’arti sue belle ebbe di tanto
- In sè vigor, che nell’ardito salto
- Prence Gunthèr portò con sè. Ma il salto
- 460 Era compiuto, ma la pietra immane
- Là si giacea, ne altri si vide allora
- Fuor che Gunthero valoroso e prode,
- Ond’è che in volto si fè rossa e accesa
- Per disdegno Brünhilde. Allontanata
- 465 Di re Gunthero avea l’acerba morte
- Per tal’arte Sifrido; e la fanciulla,
- Ratto che vide a l’estremo del cerchio
- Incolume l’eroe, con alta voce
- A’ suoi consorti così disse: Voi
- 470 Rapidamente v’accostate, voi
- Congiunti e amici miei. Tutti dovete
- Farvi soggetti a principe Gunthero.
- Gli ardimentosi dalla man lasciaro
- Cader loro armi, ed uomini valenti
- 475 A’ piè gittârsi di Gunthero illustre,
- Della burgundia terra. Elli credeano
- Che compiuto egli avesse il fatal gioco
- Col vigor di sua mano. E il nobil prence,
- E cortese e gentil, pieno d’affetto
- 480 Li salutava, e lui prendea per mano
- L’inclita giovinetta e concedea
- Che là sire egli fosse. Oh! ne gioia
- Hàgene allora, l’uomo ardito e baldo.
- Ella pregò che il nobil cavaliere
- 485 Seco ne andasse all’ampio suo palagio.
- Fatto cotesto, altri apprestò servigi
- Al nobil re migliori assai. Dancwarto
- Ed Hàgene con lui senza rancura
- Dovean di ciò piacersi. Oh! ma d’assai
- 490 Accorto era Sifrido agile e bello!
- La sua cappa egli avea lunge recata
- Per riporla, e tornavasi a quel loco
- La ’ve sedute eran donzelle molte,
- E al suo sire dicea (questo egli fece
- 495 Accortamente assai): Deh! che attendete,
- O mio prence e signor? Perchè non date
- Principio al gioco omai quale v’imparte
- Qui la regina? Deh! veder ci fate
- Ratto in qual foggia il compirete voi.
- 500 Come se nulla ei ne sapesse, l’uomo
- Comportavasi accorto, e la regina
- Cosi parlò: Deh! come avvenne adunque
- Che visto il gioco non abbiate voi,
- Prence Sifrido, quale or qui compia
- 505 Di Gunthero la man? — Così rispose
- Hàgene allor della burgundia terra:
- Poi che, o donna, egli disse, a noi turbata
- L’anima avete e mentre al navicello
- Sifrido si tenea, l’uom buono e forte,
- 510 Del Reno il sire sopra voi si vinse
- Il fatai gioco; ed è per ciò ch’è ignoto
- Questo a Sifrido. — Così l’uom parlava
- Di re Gunthero; e principe Sifrido:
- Ben mi vien questo annunzio,
- 515 onde abbassata
- Sia di cotanto l’alterezza vostra
- Che tal viva quaggiù che di voi sia
- Prence e signor. V’è d’uopo in fino al Reno
- Di qui seguirci, nobile fanciulla.
- 520 L’inclita donna rispondea: Non questo
- Ancora esser potrà. Dènno di tanto
- Aver contezza li congiunti miei,
- Li miei consorti nè poss’io per lieve
- Ragion così lasciar questa mia terra.
- 525 È d’uopo sì che i miei più fidi amici
- Qui sian raccolti in pria. — Da tutte parti
- Ella fe’ cavalcar suoi messaggieri,
- Gli amici suoi raccolse ed i congiunti
- Ed i consorti suoi. Volle che ratto
- 530 E senza indugi ad Isenstein venissero,
- E ricche a tutti fe’ donar le vesti
- E pompose d’assai. Ad ogni giorno
- Quelli venìan, venìan da mane a sera
- Di Brünhilde al castello a torme a torme.
- 535 Ah! ah! che fatto abbiam qui noi, gridava
- Hàgene intanto! Male assai che gli uomini
- Venisser qui da la vaga Brünhilde,
- Noi stemmo ad aspettar! Che s’elli vengono
- Con lor schiere alla terra (ignota è a noi
- 540 La volontà della regina, e tutti
- Perduti siam s’ella s’adira), è nata
- Per il nostro dolor, per nostra cura
- Grave ed acerba l’inclita fanciulla!
- Io questo impedirò, dicea Sifrido,
- 545 Eroe gagliardo; nè vogl’io che avvenga
- Che cruccio alcuno abbiate voi. Recarvi
- In questa terra di campioni eletti,
- Ignoti ancora a voi, bramo l’aita.
- Nulla di me per voi si cerchi, ed io
- 550 Di qui ne andrò. Per questo tempo Iddio
- Custode sia dell’onor vostro! Intanto,
- Ritornando fra breve, io mille prodi
- Qui v’addurrò, di tutti i forti in guerra
- I migliori d’assai ch’io mi conosca.
- 555 Non v’indugiate lungo tempo, allora
- II prence favellò. Di vostr’aita
- Lieti siam noi veracemente. — Disse:
- Fra pochi giorni assai farò ritorno.
- Che m’inviaste voi, dite a Brünhilde.
- ↑ Dell’essere servito da Sifrido che voleva passare per suo vassallo. Vedi più sopra.
- ↑ Più che agli altri eroi, si guardava agli stranieri allora venuti.
- Note
- Avventura Ottava
- In che modo Sifrido si recò presso i Nibelunghi
- Di là ne andava al porto in su l’arena,
- Dove rinvenne il navicel, ravvolto
- Nella sua cappa eroe Sifrido. Il figlio
- Di Sigemundo vi scendea non visto
- 5 E ratto indi partìa come se vento
- Dietro soffiasse. Niun vedea chi fosse
- Il nocchier di quel legno, e il navicello
- Agil scorrea per vigor de la mano
- Sol di Sifrido, chè vigor possente
- 10 Era ben quello. Or, chi vedea, pensava
- Che vento impetüoso il navicello
- Via sospingesse. Oh no! di Sigelinde
- Leggiadra il sospingea l’inclita prole!
- Nel tempo che restò di tal giornata,
- 15 E nella notte che seguì, divenne
- A regïon Sifrido inclita e forte,
- Ampia di mille miglia e più d’assai,
- (Abitatori i Nibelunghi), dove
- Ei possedea tesori ingenti. Solo
- 20 Venne quel forte ad un’isola, ed ampia
- Era l’isola assai. Rapido il forte
- E nobil cavalier legò alla sponda
- Il navicello e venne al monte, dove
- Stava un castello, e chiese ospizio, come
- 25 Fanno le genti dal vïaggio stanche.
- Venne adunque alle porte, ed eran chiuse,
- Difendenti l’onor, sì come fanno
- Oggi ancora le genti. Or, l’uomo ignoto
- Incominciava di sonanti colpi
- 30 Le imposte a tempestar, ma ben difese
- Eran le imposte, e l’inclito guerriero
- S’avvedea che da sezzo era un gigante
- Che guardava il castello, e sempre l’armi
- Teneasi a lato, qual dicea: Chi dunque
- 35 È costui che sì forte i colpi mena
- Sovra le imposte? — Là dinanzi il prode
- Sifrido, allor, mutò la voce e disse:
- Un cavalier son io. Deh! voi m’aprite
- Le porte, ch’io potrei crucciarvi assai
- 40 Oggi qui innanzi, e crucciar chi si giace
- Soffice e molle ed ha sue stanze acconce.
- Ebbe disdegno il guardian de le porte,
- Come Sifrido favellò. Ma intanto
- L’armi vestite avea, l’elmo sul capo
- 45 Erasi posto ardimentoso e fero
- Il gigante, e quest’uom gagliardo e forte
- Rapidamente tratto avea lo scudo
- Spalancando le porte. Oh! com’ei venne
- Impetuoso allor contro a Sifrido!
- 50 Chi dal sonno destar, gridava il fero,
- Tanti gagliardi osò? — Furono allora
- Molti rapidi colpi di sua mano,
- E l’inclito stranier studio ponea
- In ripararli. Ma d’un colpo solo
- 55 una sbarra di ferro a brani attorno
- Fe’ de le porte l’orrido custode
- I gheroni cader, sì che all’eroe
- Grave distretta era cotesta; e in parte
- Incominciava a paventar la morte
- 60 Sifrido inver, chè forti i colpi suoi
- Di quelle porte il guardïan menava;
- Eppure, ei n’era ancor nel suo desire
- Satisfatto, chè all’orrido custode
- Sifrido era signor. Pugnaron elli
- 65 Di cotal foggia che il castello intorno
- Tutto ne risuonò. De’ Nibelunghi
- Tutta echeggiar s’udìa la sala, e il prode
- Di tanto superò quel de le porte
- Ardito guardïan, che di catene
- 70 Il fe’ carco. Davver! che la novella
- Per la terra n’andò dei Nibelunghi!
- Lungi, per la montagna, udì frattanto
- L’orrida pugna un selvatico nano,
- Alberico animoso. Ei vestì l’armi
- 75 Velocemente e là correndo scese
- Ove rinvenne l’ospite, l’illustre,
- Inclito assai, che avea di ceppi carco
- Il gigante gagliardo. Era Alberico
- Fiero e forte davver. L’elmo ei portava
- 80 E la corazza alla persona e in pugno
- Una sua sferza grave e di molt’oro
- Lucente. Ei corse là, ratto e veloce,
- Dove in Sifrido s’incontrò. Pendeano
- Da quella sferza sette nodi gravi,
- 85 E con essi Alberico all’uom valente
- Colpì sì forte innanzi da la mano
- L’ampio pavese, che in frammenti attorno
- Il fe’ cader. Già l’ospite gagliardo
- Viene in rancura per la dolce vita.
- 90 Via gittò dalla man l’infranto scudo,
- Il brando, lungo assai, nella guaina
- Rimandò ancor, chè a morte ei non volea
- Trarre il suo servo. Gli atti suoi contenne,
- Nobil costume suo come allor volle.
- 95 Con le forti sue mani egli avventossi
- Ad Alberico. Per la barba ei prese
- L’uom vecchio assai e trasselo di foggia
- Ruvida sì, che quei le voci sue
- Alte d’assai levò. Quel trar feroce
- 100 Del giovinetto eroe fe’ ad Alberico
- Rancura grave; e il nano ardimentoso
- Così gridava intanto: Oh! mi lasciate,
- Oh! mi lasciate illeso! E s’io potessi
- Farmi d’altrui senza un altro guerriero
- 105 Al qual già feci sacramento io stesso
- D’essergli schiavo, prima ch’io morissi
- Vostro servo sarei. — Così dicea
- L’astuto, e quegli incatenava intanto
- E Alberico e il gigante, e grave doglia
- 110 Lor fea la forza di Sifrido. Il nano
- Fe’ tal principio alle domande sue;
- Qual nome avete voi? — Detto son io
- Sifrido, ei disse, e credo ancor che noto
- Io ben vi sia. — Disse Alberico, il nano:
- 115 Buona per me questa novella, ed io
- Esperienza fei per l’opre vostre
- Di cavalier ch’esser dobbiate voi
- Di buon diritto in questa terra il sire.
- Ciò che bramate, io vi farò, illeso
- 120 Pur che voi mi lasciate. — Ora v’è d’uopo,
- Disse prence Sifrido, irne veloce
- E qui addurmi gli eroi, quali abbiam noi
- Migliori in guerra, mille Nibelunghi.
- Ei dènno qui vedermi. — E niuno intese
- 125 Allor da lui perchè gli eroi bramasse.
- Così disciolse ad Alberico i ceppi
- E li sciolse al gigante, ed Alberico
- Rapido corse ove rinvenne i prodi.
- Ei, con gran cura, i Nibelunghi eroi
- 130 Destando, disse: Eroi, sorgete! Voi
- Tutti a Sifrido andar di qui dovete.
- Balzaron dai giacigli e furon presti
- Rapidamente; mille si vestirò
- Agili cavalieri e sceser tosto
- 135 Là ’ve Sifrido ei rinvenian. Cortesi
- Furon saluti, anche con opre in parte,1
- E furo accese molte lampe e indetta
- Fu la bevanda attorno, e perchè ratto
- Elli eran giunti, a tutti il valoroso
- 140 Rendea sue grazie. Ora v’è d’uopo, ei disse,
- Di qui partirvi sovra l’onde. — Accinti
- E pronti ei ritrovò gli eroi valenti.
- Ben tremila gagliardi eransi attorno
- Là in brev’ora adunati, e furon presi
- 145 Mille soltanto de’ migliori. A questi
- Fûr portati lor elmi e loro arnesi,
- Da che alla terra di Brünhilde insieme
- Andarne elli dovean. Disse quel prode:
- O buoni cavalieri, ecco vogl’io
- 150 Dirvi sol questo, perchè voi pompose
- Vesti d’assai rechiate a quella corte,
- Da che d’uopo è che vegganci ben molte
- Amorose fanciulle. Or, la persona
- Ornar v’è d’uopo di assai vesti buone.
- 155 Ad un mattino, al primo albor, levârsi
- D’un moto. Sì davver! che agili e pronti
- I compagni rinvenne il pro’ Sifrido!
- Buoni destrieri e vestimenta ricche
- Elli portâr con sè; così ne andavano,
- 160 Di cavalieri in nobile costume,
- Di Brünhilde alla terra. Agli sporgenti
- Merli del borgo si vedean fanciulle
- Amorose guardar, ma la regina,
- Qualcun sa forse, dimandò, chi mai
- 165 Son cotesti ch’io veggo là sul mare
- Così da lungi navigar? Egli hanno
- Ampie le vele, che più assai d’intatta
- Neve son bianche. — Così disse allora
- Del Reno il prence: Ei sono i prodi miei
- 170 Ch’io nel viaggio prossimi lasciai,
- A’ quali or feci invito; ed elli, o donna,
- Son giunti intanto. — Agli ospiti preclari
- Grandi fecersi allor segni d’onore.
- Videsi ancor con sue vesti pompose
- 175 Sifrido starsi nella nave e seco
- Starsi altri prodi, e la regina disse:
- Signore il re, dir mi dovete voi
- Se accoglier deggia gli ospiti venuti
- O il saluto niegar. — Disse: A incontrarli
- 180 Fuor del palagio sì dovete voi
- Muovere, o donna. Intendan essi ancora
- Che volentier li vediam noi. — Ben fece
- Come il re volle la regina, e solo
- Con diverso saluto ella fra gli altri
- 185 Sifrido distinguea.2 Lor si apprestaro
- Acconci ostelli e di lor vesti ancora
- Altri cura si prese; e tanti in quella
- Terra allor discendean ospiti in folla,
- Che insiem da tutte parti in moto alterno
- 190 Urtavansi fra lor. Già di tornarsi
- Ai loro alberghi di Borgogna in core
- Avean desire i più gagliardi. Allora
- La regina parlò: D’animo grato
- Esser vo’ per colui che attorno a’ miei
- 195 Ospiti e a quelli del mio re pur anco
- Sappia l’argento mio spartir con l’oro
- Che in gran copia posseggo. — E le rispose
- Dancwarto allor, di re Gislhero il fido:
- Nobil regina assai, fate ch’io m’abbia
- 200 Cura alle chiavi de’ tesori, ed io
- Di spartir sì m’affido. E se, dicea
- Il nobil cavalier, vituperosa
- Cosa ne vien, ch’ella sia mia, vogliate.
- E perchè liberal ne’ doni suoi
- 205 Egli era, ei ben di ciò fe’ nobil mostra.
- Poi che a l’ufficio delle regie chiavi
- Il fratel d’Hàgen così attese, molti
- Incliti doni attorno diè la mano
- Del nobile guerrier. Chi disïava
- 210 Un marco, ebbe da lui dono in tal copia
- Che vita allegra ben potean menarne
- I poverelli tutti. Ad infiniti
- Ei donò quasi mille libbre, e molti
- Andâr per l’aula con sì ricche vesti
- 215 Che sì nobili panni unqua in lor vita
- Non recamo davver. Seppe cotesto
- La donna, e vero duol le fu cotesto.
- Signore il re, di ciò ben io vorrei,
- La regina parlò, mancanza avermi,
- 220 Che niuna di mie vesti a me reliquia
- Il vostro servo lasciar voglia. Tutto
- Egli disperde l’oro mio. Per sempre
- D’alma riconoscente io per colui
- Sarò, che questo cessi. Ei sì copiosi
- 225 I doni spande, che pensar mi sembra,
- Questo guerrier, ch’io m’abbia fatto invito
- Alla mia morte.3 Or io più lungo tempo
- L’oro mio vo’ curar; penso che ancora
- Spender poss’io ciò che lasciommi il padre.
- 230 Davver che la regina unqua non ebbe
- Più liberale camerlingo! — Disse
- Hàgene di Tronèga: A voi sia detto,
- Donna regai, che tant’oro sul Reno
- E tante vesti da donarsi attorno
- 235 Ha il nostro re, che bisogno non tocca
- A noi di qui recarci alcuna veste
- Che di Brünhilde sia. — No! la regina
- Così rispose; pel mio amor lasciate
- Ch’io venti scrigni facciami di drappi
- 240 Serici e d’or ricolmi, onde poi doni
- Questa mia man ne dia, ratto che giunti
- Saremo noi di Gunthero alla terra!
- Altri frattanto le colmò gli scrigni
- Di preziose gemme, e seco andarne
- 245 Dovean gli stessi camerlinghi suoi,
- Ch’ella fidanza non avea nell’uomo
- Di Giselhero. A rider di cotesto
- Gunthero ed Hàgen fer principio allora.
- Ma la regina disse: A chi frattanto
- 250 Lascierò la mia terra? E la mia mano
- E la vostra pur anco ordine in pria
- In ciò porranno. — Or fate voi, rispose
- Il nobil sire, che qui venga alcuno
- Che a tal fin più vi piaccia, e noi faremlo
- 255 Vostro vicario qui. — La donna allora
- Vide al suo fianco un de’ congiunti suoi
- Più prossimi (fratello era alla madre
- Costui della regina), e la fanciulla
- Disse al congiunto suo: Vogliate voi
- 260 Che affidati vi sian questi castelli
- E la mia terra ancor, fin che comando
- Abbia quaggiù di re Gunthèr la mano.
- Da’ suoi consorti venti volte cento
- Uomini scelse, quali fra i Burgundi
- 265 Seco andarne dovean. Mille guerrieri
- De’ Nibelunghi de la terra aggiunti
- Furon pur anco; ed al vïaggio tutti
- S’apprestâr, chè fûr visti in su le arene
- Cavalcando partir. Menaron seco
- 270 Ottanta donne e sei, cento pur anco
- Fanciulle, di cui molto era avvenente
- La persona leggiadra. Ecco, indugiârsi
- Non molto tempo ancor, ch’elli partirne
- Volean; ma quelli che restâr, deh! quanto
- 275 Feron principio al lagrimar! Lasciava
- La patria terra l’inclita fanciulla
- In nobile costume, e tutti intanto
- Gli amici suoi più prossimi baciava,
- Quanti a sè accanto ella trovò. Sen vennero
- 280 Con onesti commiati al mar su l’onde,
- Ma la fanciulla non tornò più mai
- De’ suoi padri alla terra! — Ecco, s’udivano
- Lungo l’andar vari concenti; egli ebbero
- D’ogni sorta sollazzi. Al lor vïaggio
- 285 Vento di mar si aggiunse amico, ed elli
- Dalla sponda partîr con molta gioia.
- Ma la regina il suo signor non volle
- Nel suo vïaggio compiacer d’amore,
- Ch’ella volea sì gran contento in fino
- 290 A l’ostello serbar, di Worms in fino
- Al castel, di sue nozze in fino al tempo,
- Quand’elli vi giugnean ricchi di molta
- Gioia e letizia co’ lor prodi in guerra.
- ↑ Cioè anche con atti di ossequio, inginocchiandosi.
- ↑ Lo salutò diversamente, perchè Sifrido si era detto servo di Gunthero, ovvero perchè essa l’aveva conosciuto prima. Intorno a ciò, vedi l’Introduzione premessa da noi al Poema.
- ↑ Cioè come se io volessi morire e perciò donassi tutto ciò che posseggo.
- Note
- Avventura Nona
- In che modo Sifrido fu mandato a Worms
- Poi ch’elli vïaggiâr per nove interi
- Giorni sul mare, così disse primo
- Hàgene di Tronèga: Ora ascoltate
- Ciò ch’io dirovvi. Troppo lungo indugio
- 5 Avemmo noi con le novelle nostre
- A Worms, al Reno, da invïarsi. Eppure
- I vostri messi già dovrian la terra
- Aver toccata de’ Burgundi. — Allora
- Prence Gunthero così disse: Voi
- 10 Detto m’avete il ver. Ma niun più acconcio
- Per tal vïaggio ne sarìa di voi,
- Hagèn diletto. Alla mia terra adunque
- Piacciavi cavalcar. Niuno agli amici
- Meglio potria di voi questo vïaggio
- 15 A quella corte render noto. — Acconcio
- Ed atto messaggier, no, non son io,
- Hàgene rispondea. Fate che ufficio
- Io curi sol di camerlingo, ch’io
- Qui rimaner su l’onde vo’, d’accanto
- 20 A le donzelle, e custodir lor vesti,
- Fin che addurle potrem là ne la terra
- Ch’è di Borgogna. Voi pregate intanto
- Prence Sifrido che il messaggio rechi.
- Ei tale ufficio con virtù sovrana
- 25 Adempier vi potrà. Che s’egli a dietro
- Da tal vïaggio si ritrae, con dolce
- Atto ed amicamente e per l’amore
- Il dovete pregar di vostra suora.
- Così del prode fe’ ricerca il sire,
- 30 E venne il prode, ratto che qualcuno
- Rinvenirlo potè. Disse Gunthero:
- Poi che vicini a casa, alla mia terra,
- Ci facciam noi, degg’io miei messaggieri
- Alla diletta mia sirocchia, a mia
- 35 Madre ancora, invïar, che noi pel Reno
- Ci avviciniamo. E di cotesto voi
- Prego, o Sifrido. Questo mio desire
- Deh! mi compite, perch’io sempre poi
- Vi sia devoto. — Così disse il prence,
- 40 Eletta spada. Ma Sifrido, ei forte
- Ardimentoso, ricusando stette,
- Fin che Gunthero a supplicar d’assai
- Incominciò. Per l’amor mio, dicea,
- E di Kriemhilde per l’amor, la vaga
- 45 Fanciulla, perchè poi meco devota
- Ella vi sia, la nobile donzella,
- Partir v’è d’uopo cavalcando. — Ratto
- Che udì cotesto principe Sifrido,
- Accinto e pronto fu al vïaggio il prode.
- 50 Or m’imponete ciò che più v’è a grado,
- Chè nulla a voi si negherà. Cotesto
- Io volentier farò per la fanciulla
- Leggiadra tanto. Ricusarmi a quella
- Che porto in cor, come potrei? Qualunque
- 55 Cosa per lei chieggiate voi, d’un tratto
- Sarà compiuta. — Alla mia madre adunque,
- Ute regina, dite voi che in questo
- Nostro viaggio d’animo giocondo
- Ed alto siamo noi. Fate che sappia
- 60 Il fratel mio come per noi raggiunta
- Sia la meta; e v’è d’uopo esta novella
- A’ nostri amici anche ridir. Nascondere
- Nulla dovete a mia sirocchia bella,
- A lei la servitù di me dovete
- 65 E di Brünhilde annunziar. Ancora
- A’ miei consorti, a le mie genti tutte,
- Narrate voi qual esito felice
- Ebb’io per quello, a cui questo mio core
- Forte anelava. E dite al mio diletto
- 70 Nipote, Ortwino, che gli scanni appronti
- A Worms, là presso al Reno. Ad altri miei
- Congiunti ancora udir si faccia ch’io
- Celebrar vo’ con tutta pompa queste
- Nozze mie con Brünhilde. Anche direte
- 75 Alla mia suora ch’ella sì, nel tempo
- Che appreso avrà ch’io son giunto alla terra
- Con questi ospiti miei, la donna mia
- Diletta accolga con amor sollecito,
- Con molta cura, per ch’io poi devoto
- 80 A Kriemhilde mi sia per tutto il tempo.
- Sifrido, il sire ardimentoso, ratto,
- Come a lui s’addicea, prese da donna
- Brünhilde allora e da’ consorti suoi
- Commiato e cavalcò lunghesso il Reno.
- 85 Esser già non potea messo migliore
- Su questa terra. A Worms ei cavalcava
- Con ventiquattro valorosi; e detto
- Poichè fu allor che Sifrido redia
- Senza il suo re, ciò fu rancura a tutti
- 90 Li suoi consorti con dolor. Temeano,
- Temeano ei sì che là rimasto fosse
- Il lor prence e signor. Ma quei balzaro
- Da’ lor destrieri, e superba per gioia
- Lor alma era d’assai. Rapido corse
- 95 Incontro a lor Gislhero, il buono e giovane
- Prence, e Gernòt, fratello a lui. Deh! quanto
- Ei concitato favellava, ratto
- Che appo Sifrido re Gunthèr non scorse!
- Il benvenuto siate voi, Sifrido.
- 100 E farmi udir dovete voi il mio
- Fratello, il re, dove lasciaste. Tolto
- Ce l’ha Brünhilde vigorosa, credo!
- Così saria quell’amor suo superbo
- Addivenuto in nostro danno assai!
- 105 Ogni affanno lasciate! A voi, a tutti
- Li suoi congiunti esti compagni miei
- Recano il suo saluto. E illeso e incolume
- Io pur anco il lasciai. Qui m’invïava
- Per ch’io con le novelle in vostra terra
- 110 Gli fossi messaggier. Ma d’uopo è intanto
- Che voi ratto di questo abbiate cura,
- Onde sì avvenga che veder concesso
- La regina mi sia con la sorella
- Vostra pur anco. Annunzïar degg’io
- 115 Ciò che per me lor chiedono pregando
- E Gunthero e Brünhilde. Alto e giocondo
- È stato d’ambedue. — Così rispose
- Giselhèr giovinetto: E però è d’uopo
- Che a lor ne andiate voi, chè a mia sirocchia
- 120 Cosa feste ben cara;1 ed ella intanto
- Grave porta dolor pel fratel mio.
- Volentier la fanciulla (io ve ne sono
- Mallevador) vi rivedrà. — Per quanto
- Io servirla potrò, prence Sifrido
- 125 Allor soggiunse, ciò sarà di piena
- Voglia fatto e con fè. Ma chi a le donne
- Or dirà che da lor vogl’io recarmi?
- Gislhero, l’uom leggiadro ed avvenente,
- Fu allora il messaggiero. — Alla sua madre
- 130 Aitante Gislhero e alla sirocchia,
- Là 've ambo ei le vedea, così parlava:
- A noi venne Sifrido, il forte eroe
- Di Niderlànd, e qui mandollo al Reno
- Gunthero il fratel mio. Novelle intanto
- 135 Egli ci apporta come va faccenda
- Del nostro prence. Or d’uopo è sì che voi
- Gli concediate ch’egli venga in corte.
- Le novelle veraci egli d’Islanda
- Qui vi dirà. — Grave dolor toccava
- 140 Le donne illustri ancora, ond’elle tosto
- A lor vesti balzâr, le cinser tosto,
- E pregâr che venisse incontanente
- Sifrido in corte. Ed ei ben fea di buona
- Voglia cotesto, ch’ei vedea le donne
- 145 Volentieri d’assai. Kriemhilde illustre
- Grazïosa gli disse: Oh! benvenuto,
- Sifrido, siate voi, buon cavaliero
- Degno di lode! Ov’è il fratello mio,
- Gunthero, il nobil re, possente e ricco?
- 150 Di Brünhilde per man, la vigorosa,
- Perduto l’abbiam noi, credo. Fanciulla
- Misera che son io, qual venni al mondo!
- L’ardimentoso cavalier rispose:
- Or la mercè di messaggier mi date!
- 155 Voi, leggiadra donzella, oh! voi per nulla
- Vi state a lagrimar. Illeso e incolume
- Il lasciai; e cotesto io qui vi rendo
- E manifesto e noto. A voi con queste
- Novelle m’invïaro. Egli e la sua
- 160 Donna diletta con amor del core,
- Nobil regina, v'ofiron grazïosa
- Lor servitù. Lasciate adunque il pianto,
- Che giunger tosto ei vonno. — In lungo tempo
- Più gioconda novella unqua non ebbe
- 165 La giovinetta. Con un lembo, candido
- Quant’è la neve, di sue vesti, i begli
- Occhi, dopo le lagrime, tergea,
- Indi, per tale annunzio che venìa,
- A render cominciava al messaggiero
- 170 Sue grazie molte. L’alto suo cordoglio
- Allor cessò col lagrimar costante.
- Ella pregò che il messaggier sedesse,
- E volentieri egli si assise. Allora
- L’amorosa fanciulla così disse:
- 175 Grave non mi saria s’io vi dovessi,
- Qual guiderdon di messaggiero, il mio
- Oro donarvi. Ma soverchio voi
- Ricco siete per ciò. Grata sarovvi
- Per sempre adunque. — S’io soltanto avessi
- 180 Trenta terre, ei dicea, dalla man vostra
- Io pur sempre torrei ben volentieri
- Un vostro dono. — E ciò si faccia, disse
- Quella, ricca di pregi; e fe’ comando
- Che ne andasse un valletto incontinente
- 185 Pel guiderdon del nobil messaggiero.
- Con pietre buone ventiquattro anelli
- Ella gli dava in guiderdon. Ma l’alma
- Di quel gagliardo anche era tal, che nulla
- Ei tener volle. A’ suoi consorti prossimi
- 190 Che nell’aule ei trovò, tutto ci donava
- Ratto, a l’istante. Suoi servigi ancora
- Grazïosa gli offria di lei la madre,
- E l’uomo ardito le dicea: Più assai
- I’ vi dirò di quanto il re vi prega
- 195 Tosto che al Reno ei giunga. E se voi, donna,
- Ciò gli farete, in ogni tempo a voi
- Devoto egli sarà. Udii che questo
- Egli desìa che agli ospiti suoi ricchi
- Facciate oneste le accoglienze; ancora
- 200 Conceduto gli sia che a Worms innanzi
- Uscir vogliate cavalcando voi
- Al loro incontro su le sabbie. Intanto
- Di ciò voi siete con fede perfetta
- Ammonite dal prence e supplicate.
- 205 A ciò pronta son io, gli rispondea
- L’amorosa fanciulla. E diniegata
- Cosa non gli sarà, di che servigio
- Io far gli possa; e con amica fede
- Ciò per lui si farà. — S’accrebbe in lei
- 210 Color del volto, qual per gioia assunse.
- Accolto mai non fu messo regale
- Me’ di prence Sifrido. E s’ella osato
- Baciarlo avesse, ben ciò fatto avrìa
- L’inclita donna. In qual atto d’amore
- 215 Vero e perfetto da le donne il prode
- Prese commiato allor! Ma di Borgogna
- Facean gli eroi quanto indicea Sifrido.
- Sindolto e Hunoldo e Rumoldo guerriero,
- Quali dovean d’assai pensieri e cure
- 220 Aver l’incarco, su le sabbie, innanzi
- A Worms, drizzarno i seggi, e allor si videro
- Molti del prence maggiordomi intenti
- A molti uffici. Ortwin e Gere, e questi
- Nulla volean lasciar, per loro amici
- 225 Mandar da tutte parti, e a’ loro amici
- Annunzïâr le nozze che ben tosto
- Esser dovean. Per queste s’adornaro
- Molte leggiadre giovinette. Allora,
- Per gli ospiti venienti, in ogni parte
- 230 Il palagio adornossi e le pareti
- Pur anco s’adornâr. Di re Gunthero
- L’aula con arte s’impalcò da molti
- Artefici stranieri, e con gran gioia
- Cominciavan cosi l’inclite nozze.
- 235 Corsero cavalcando ogni sentiero
- Di quella terra dei tre re i congiunti,
- Che altri invïò perchè aspettar dovessero
- Chi là venir bramava; e da’ forzieri
- Vesti fùr tratte assai pompose. Allora
- 240 Dato fu annunzio che vedeansi omai
- Cavalcando venir gli amici tutti
- Di Brünhilde regina, e si levava
- Del popol fra le turbe alto un tumulto
- Per la burgundia terra. Oh! quanti eroi
- 245 Vidersi allor d’ambe le parti accolti!
- Kriemhilde bella favellò: Voi tutte,
- Ancelle mie, che meco esser bramate
- Là ’ve accôrrem gli ospiti nostri, fuori
- Da’ cofani traete ogni migliore
- 250 Veste che abbiate. E dagli ospiti intanto
- Laude con molto onor darassi a noi.
- Vennero i prodi ancora. Elli fean cenno
- Di là recar dipinte in fulgid’oro
- L’inclite selle, che montar le donne
- 255 Doveano a Worms, là presso al Reno. Oh! mai
- Veder non si potean più belle e acconcie
- Equine barde! Oh! quant’oro lucente
- Sui palafreni sfavillò! Splendeano
- Molte nobili gemme in su le briglie,
- 260 E i dorati sgabelli in su lucenti
- Strati di seta2 altri a recar fu pronto
- Per le fanciulle. D’anima gioiosa
- Ell’erano davver! Già stavan pronti
- In corte, per le nobili fanciulle,
- 265 Com’io v’ho detto, i palafreni, e questi
- Recar là si vedean piccoli e belli
- Lor pettorali nel più bello e ricco
- Drappo di seta che alcun dir vi possa.
- Anche fûr viste ottantasei matrone
- 270 Uscir, che avean ghirlande. Appo Kriemhilde
- Venìan coteste assai leggiadre e vesti
- Recavano lucenti. Anche venièno
- Molte vezzose giovinette, adorne
- In ricca foggia, ed eran di Borgogna,
- 275 Cinquantaquattro. Ell’eran le più vaghe
- Che altri veder potea. Con lor capelli
- Biondi sotto a fetuccie aurifulgenti,
- Avanzar si vedean. Fatto fu allora
- Con cura inver ciò che bramava il sire.
- 280 E recavan le nobili fanciulle
- Pomposi drappi, che trovar migliori
- Poteansi allor, dinanzi a’ cavalieri
- Estrani che venìan, molte magnifiche
- Vesti pur anco, quali a lor bellezza
- 285 Grande ben s’addicean. — D’anima vile
- Sarìa colui che acerbo e rïottoso
- Contro ad alcuna fosse stato! — E molte
- Si rinvennero allor vesti pregiate
- Di zibellino e d’armellin ben molte
- 290 E braccia e mani s’adornâr d’anelli
- E di smanigli in sui drappi di seta
- Ch’elle recar dovean. Ma niuno invero
- Potrìa tal cura in sino al fin narrarvi.
- Cintole molte, artificiose e ricche
- 295 E lunghe assai, su le vesti lucenti
- Furono avvinte allor da molte mani,
- I lembi a rattener nobili e ricchi
- Di ferrandina in arabica seta,
- E l’inclite fanciulle avean di tanto
- 300 Alta letizia assai. Molte leggiadre
- Fanciulle ancora, grazïosamente,
- Eran succinte in fibbie; e ciò potea
- Esser d’affanno a lor che in su le pinte
- Vesti non tanto rilucesse il vivo
- 305 Color de le lor gote. Oh! sì leggiadro
- Corteggio ora non ha di regi un figlio!
- Poi che vestite le amorose donne
- Ebber lor vesti, vennero a l’istante
- Ampio stuol di gagliardi ardimentosi
- 310 Che guidar le dovean. Molte pur anco
- Aste di legno di compatta quercia
- Altri apportava con pavesi e scudi.
- ↑ Venendo per il primo a dar novelle.
- ↑ Sgabelli per montare a cavallo (Bartsch).
- Note
- Avventura Decima
- In che modo Brünhilde fu ricevuta a Worms
- Di là dal Reno, con alquante squadre
- E con gli ospiti suoi, verso la sponda
- Il re fu visto avvicinarsi. Ancora
- I cavalier fûr visti per le redini
- 5 Le fanciulle guidar. Tutti eran pronti
- Quei che accôrli dovean. Ma quando giunsero
- Sui navicelli quei d’Islanda e quelli
- De’ Nibelunghi ancor, uomini addetti
- A principe Sifrido, elli ne andarno
- 10 Ratto alla terra (infaticata assai
- Era lor man possente), ove, su l’altra
- Sponda, gli amici si vedean del prence.
- Ora ascoltate ancor questa novella
- D’Ute, regina assai possente, in quale
- 15 Guisa ella addusse fuor da quelle mura,
- Ov’ella cavalcò, la giovinetta,
- La ’ve acquistar dimestichezza molti
- Cavalieri e fanciulle. — E per le redini
- Duca Gere guidò fino a le porte
- 20 Soltanto del castel Kriemhilde adorna,
- Indi Sifrido ardimentoso lei
- Guidar dovè più innanzi. Una leggiadra
- Fanciulla era colei. Di ciò quel prode
- Ebbesi guiderdon dalla fanciulla.
- 25 Ortwin gagliardo presso a donna Ute
- Cavalcando venìa, molti con lui
- In bella compagnia venian pur anco
- E cavalieri e giovinette. Mai,
- In accoglienze così grandi (e questo
- 30 Ci è d’uopo asseverar), non furon viste
- Donne cotante insiem raccolte. Allora
- Molti là si vedean armeggiamenti
- Guidar gli eroi degni di lode (male
- Altri cotesto tralasciato avria),1
- 35 Là, nel cospetto di Kriemhilde adorna,
- Dinanzi a’ navicelli. Altri frattanto
- Molte levò di sella a’ palafreni
- Donne leggiadre ed avvenenti assai.
- Già di qua co’ più degni ospiti suoi
- 40 Era giunto il signor. Deh! quante forti
- Aste di prodi a le donzelle innanzi
- Furono infrante! e ben s’udia nell’urto
- Fragor di molti scudi. Oh! quante colme
- Sporgenze di pavesi al fiero scontro
- 45 Alto romoreggiâr! Ma là sul porto
- Stavano le donzelle innamorate,
- E con gli ospiti suoi prence Gunthero
- Di nave discendea, guidando ei stesso
- Di sua mano Brünhilde. Allor le gemme
- 50 Vivacemente e le vesti pur anco
- L’une con l’altre scintillâr di contro.
- Donna Kriemhilde in nobile atto venne
- Là ’ve Brünhilde e li consorti suoi
- Accolse, ed altri allor gittarsi a dietro2
- 55 Vide con bianche man le lor ghirlande,
- Chè anche le donne si baciâr. Conforme
- A nobile costume era cotesto.
- E disse allora grazïosamente
- Kriemhilde giovinetta: Oh! voi dovete
- 60 Esserci benvenuta in questa terra
- Per me, per la mia madre e pei fedeli
- Amici, quanti ne abbiam noi! — Si fece
- Da Brünhilde un inchino. Ambe le donne
- Forte si strinser fra le braccia allora,
- 65 Nè mai d’altri s’udì così amorosa
- Accoglienza qual feano ambe le donne,
- Ute e la figlia, alla sposa novella.
- Forte e sovente ne la dolce bocca
- Elle baciârsi. Come poi discese
- 70 Tutte fûr su le arene di Brünhilde
- Insiem le donne, in atto grazïoso
- Fûr prese per la man da valorosi
- Eroi ben molte donne adorne e belle,
- E si vedean le vaghe giovinette
- 75 Appo donna Brünhilde. E lungo invero
- Tempo trascorse pria che lor saluti
- Ne venissero al fin. Molte toccaro
- Bocche rosate molti baci; e intanto
- Che stavansi vicine ambe le ricche
- 80 Figlie di re, molti gagliardi, degni
- Di molta lode, in contemplarle aveano
- Piacere e gioia. E chi narrar già udìa
- Che donne vaghe sì com’ambo queste
- Non vide alcun giammai, con occhi intenti
- 85 Or riguardavae l’a!Termava intanto
- Senza menzogna, nè vedea per tutta
- La lor persona alcun inganno.3 E quelli
- Che giudicar sapean donne leggiadre
- E persone avvenenti, alto lodavano
- 90 Per sua beltà di Gunthero la donna,
- Ma ognun più esperto, che miglior veduta
- Ebbesi allor, che preferir poteasi
- A Brünhilde Kriemhilde asseverava.
- Giovinette e matrone un’altra volta
- 95 Assembravansi, e molte e bene adorne
- Persone allor fûr viste. Eran dintorno
- Tende seriche apposte e molti ancora
- Padiglioni leggiadri, e n’era pieno
- Tutto lo spazio innanzi a Worms. Intanto
- 100 Impeto là si fea da’ consanguinei
- Di re Gunthero, e però cenno alcuno
- Fece a Brünhilde, il fe’ a Kriemhilde ancora,
- D’andarne in luogo, con lor donne tutte,
- Là ’ve trovar poteasi un’ombra, e i forti
- 105 Della burgundia terra ivi le addussero.
- Tutti gli ospiti intanto a’ lor destrieri
- Eran tornati, e molte giostre fecersi
- Pomposamente con gli scudi. Il campo
- A sollevar la polve incominciava
- 110 Come se tutta in un incendio ardesse
- Ampia la terra. Ma i veraci eroi
- Si conobbero allor. Molte fanciulle
- Ciò che feano armeggiando i cavalieri,
- Stavansi a rimirar; constami intanto
- 115 Che dinanzi a le tende assai ritorni
- Fe’ cavalcando principe Sifrido
- Co’ suoi guerrieri. Egli adducea ben mille
- Gagliardi eroi di Nibelunghi. Allora
- Hàgene di Tronèga, a ciò che indisse
- 120 L’ospite suo regal sè conformando,
- Là nel mezzo venìa. L’aspra tenzone
- Divise amicamente il valoroso
- Di foggia tal, che da la polve intatte
- Lasciar le vaghe giovinette i prodi,
- 125 E, da gli ospiti accolti, volentieri
- Di lui consiglio si seguìa. Parlava
- Sire Gernòt frattanto: I palafreni
- Starsi lasciate qui, fin che cominci
- L’aria fresca a venir. Potremo allora
- 130 Incominciar così le vaghe donne
- A servir noi, menandole rimpetto
- All’ampio ostel del sire. E allor che voglia
- Il sire cavalcar, siate voi pronti.
- Poi che disciolta fu per tutto il loco
- 135 L’aspra tenzone, sotto a molti vennero
- Eccelsi padiglioni a sollazzarsi
- I cavalieri, ei sì, d’alta letizia
- Appo le donne per desìo. Ma quando,
- Poco prima del vespro, allor che il sole
- 140 Già tramontava e fresca già si fea
- L’aria a l’intorno, perchè a lungo ancora
- Altri là non restasse, ecco! levârsi
- Al borgo per tornar uomini e donne,
- E con occhi guardavasi amorosi
- 145 Di cavalieri, di leggiadre donne
- L’avvenente persona. E molte vesti
- Fûr da valenti eroi, qual è costume
- Di quella terra, in cavalcar squarciate,
- Fin che dinanzi dal palagio il sire
- 150 Scendendo si fermò. Così a le donne
- In quella guisa che d’anima altera
- Fanno gli eroi, prestavasi servigio.
- Anche si separâr le due possenti
- Regine allora, e donna Ute e quella
- 155 Figlia sua, con le ancelle, in ampie stanze
- Insieme ritornar. S’udiano intorno
- Da tutte parti altissimi di gioia
- Strepiti e voci. Furon pronti i seggi,
- E con gli ospiti suoi volle accostarsi
- 160 Alla mensa il gran re. Vista fu allora
- Starsi daccanto a lui vaga Brünhilde,
- E portavasi in fronte in quella terra
- Di re Gunthero un dïadema. Assai
- Ricca e possente ell’era. Anche ben molti
- 165 Seggi fûr posti per la gente umìle
- E deschi ampi d’assai colmi di cibi.
- Di ciò ch’ei dènno aver, deh! quanto poco
- Allor fu manco! E si vedeano attorno,
- Daccanto al re, molti ospiti possenti,
- 170 E dell’ospite regio i famigliari
- In coppe in fulgid’or l’acqua alle mani
- Recavano. Davver! ch’egli sarìa
- Leggiero fallo, se dicesse a voi
- Qualcuno mai che fu miglior servigio
- 175 D’altri principi in feste.4 Io non vorrei
- Creder cotesto inver! Ma pria che l’acqua
- Si prendesse alle man del Reno il sire,
- Ciò che a lui si addicea, fe’ prontamente
- Prence Sifrido, e a re Gunthèr la sua
- 180 Fè rammentò, quale affermò con lui
- Pria che in Islanda ei Brünhilde vedesse,
- Là, nell’ostel di lei. Cosi dicea:
- Pensar v’è d’uopo a ciò che mi giurava
- La mano vostra, che a me data avreste,
- 185 Quando venuta in questa terra fosse
- Donna Brünhilde, la sorella. Or dove,
- Dove n’è ito il giuramento? E invero
- Io mi son preso nel viaggio vostro
- Assai travaglio! — All’ospite rispose
- 190 Il prence allora: Di cotesto voi
- Ben giustamente mi ammoniste. Mai,
- Mai non sarà che in ciò spergiura sia
- Questa mia mano. Porgere vogl’io
- Aita a voi, pel meglio chi’io mi possa,
- 200 Cotesto a conseguir. — Kriemhilde bella
- Ratto fu chiesta allor, perchè dinanzi
- A re Gunthero ella venisse in corte.
- Con molte vaghe giovinette andava
- Alla sala Kriemhilde, allor che d’alto,
- 205 Dall’un de’ gradi in giù, balzò Gislhero
- E disse: Or fate voi che le fanciulle
- Tornino a dietro. Mia sirocchia sola
- Esser qui dee daccanto al re. — Fu addotta
- Kriemhilde là, dove rinvenne il sire,
- 210 E v’eran pur di molte e principesche
- Terre a l’intorno cavalieri illustri.
- Là, nella sala spaziosa, indetto
- Fu di restarsi alla regal fanciulla
- In silenzio, e venuta era frattanto
- 215 Alla mensa regal donna Brünhilde.
- Prence Gunthero così disse allora:
- Sorella mia diletta assai, deh! solvi
- Un giuramento mio con la tua stessa
- Alta virtù! Con giuramento a un prode
- 220 Io ti promisi. Ov’ei di te si faccia
- Inclito sposo, con perfetta fede
- Di me la volontà compiuta avrai.
- Disse l’illustre giovinetta: Mio
- Fratel diletto assai, me non dovete
- 225 Per nulla supplicar. Di tale io sempre
- Esser vo’, cui promesso abbiate voi;
- E ciò fatto sarà. L’uom che vi piaccia
- Darmi, o prence, a marito, io volentieri
- Per mio reputerò. — Per sguardi accesi
- 230 D’occhi amorosi, rosseggiò colore
- Di Sifrido nel volto. Il cavaliero
- A servitù sè medesmo di donna
- Kriemhilde profferìa, mentre un invito
- A lor si fea di starsene daccanto
- 235 Ambo in un chiuso giro.5 E fu richiesta
- S’ella per sè volea l’uom valoroso.
- Con tratto verginale, un cotal poco
- Si vergognò. Ma fu sorte felice
- E amico fato di Sifrido allora,
- 240 Ch’ella non volle ricusar l’uom prode
- In quell’istante. E lei qual donna accolse
- Di Niderlànd il nobile signore.
- Ratto che il prode sposa sua la disse
- E la fanciulla lui, la giovinetta
- 245 Amorosa così fu da le braccia
- Di Sifrido raccolta. Eravi pronto
- Il valoroso, e la bella regina
- Degli eroi nel cospetto ebbesi un bacio.
- La compagnia si separava. E accadde
- 250 Che fu visto sedersi appo Kriemhilde
- Prence Sifrido al seggio di rincontro.
- Molta gente il servia; vedeansi andarne
- I Nibelunghi seco. Or, là di contro
- Con Brünhilde fanciulla era seduto
- 255 Prence Gunthero, ed ella (oh! sì gran doglia
- Non le fu data mai!) appo Sifrido
- Seder vedea Kriemhilde. Incominciava
- A lagrimar; giù per le bianche gote
- Molte le discendean lagrime calde.6
- 260 L’ospite disse della terra: Oh! dunque
- Che gli è, mia donna, che splendor de’ vostri
- Occhi lucenti sì turbate? Voi
- Ben dovreste allegrarvi a bello studio
- Da che la terra mia, li miei castelli,
- 265 Sottomessi vi son con molti prodi.
- A bello studio lacrimar degg’io,
- Rispose a lui la vergine leggiadra,
- Chè intorno al cor mi sta grave un dolore
- Per la sirocchia vostra. E qui la veggo
- 270 Seder vicina a un de’ famigli. Sempre
- Degg’io pianger però, ch’ella è di tanto
- Umilïata e offesa. — E re Gunthero
- Così le disse: Or voi silenzïosa
- Restatevi di ciò. Vogl’io narrarvi
- 275 Questo racconto in altro tempo, o donna,
- Perchè mai la mia suora al pro’ Sifrido
- Io concedessi. Viversi mai sempre
- Felice ella potrà col valoroso.
- E quella disse: Cruccianmi ad ogn’ora
- 280 La sua bellezza e il far cortese. Lungi,
- Fin che dato mi fosse, io volentieri
- Fuggirei, perchè mai non dovess’io
- Starmi appo voi, quando dirmi non piaccia
- Per qual modo a Sifrido è Krïemhilde
- 285 Amante e sposa. — E il nobile signore
- Così le rispondea: Cotesto adunque
- Renderò noto. Egli ha castelli assai
- Quant’io pur anco, e vaste regïoni.
- Questo sappiate con certezza. Ricco
- 290 E possente egli è un sire. Acconsentii
- Per questo, o donna, ch’egli a l’avvenente
- Fanciulla offrisse amor con molta lode.
- Per quanto il sire a lei dicesse, torbida
- L’anima sua serbò. Molti prestanti
- 295 Cavalieri ne andar lungi dal desco;
- Tal fragor elli fean, aspro e sonante,
- Che n’echeggiò tutto il castel. Rancura
- Grave d’assai per gli ospitati suoi
- Avea l’ospite regio.7 Ei si pensava
- 300 Che appo la donna sua leggiadra e bella
- Più dolcemente avrìa posato, e in core
- Non di tanto era libero da questo
- Alto desio, che bella d’amor prova
- Venuta gli sarìa dalla sua donna.
- 305 Brünhilde sua con amoroso sguardo
- A guatar cominciò; fe’ cenno poi
- Che tralasciasse ogni ospite i graditi
- Giochi dell’armi. Con la donna sua
- Andarsi a letto volle il sire, e allora,
- 310 Là dai gradini della sala, insieme
- E Kriemhilde e Brünhilde s’incontraro.
- Odio non anche era fra lor. Convennero
- Lor consorti e famigli, e alcuno indugio
- Non fecer elli, e nobili valletti
- 315 Loro apprestâr le lampe. I cavalieri
- D’ambo gl’incliti re si separaro,
- E molti eroi con principe Sifrido
- Andarne altri vedea. Là ’ve giacersi
- Ambo dovean, sen vennero i duo prenci,
- 320 E ciascun si pensò vincer la sua
- Donna amorosa per amor. Cotesto
- Dolce d’ognun l’alma rendea; ma gioia
- Grande fu quella di Sifrido. Ratto
- Che d’accanto a Kriemhilde si posava,
- 325 L’inclito duce fea dell’amor suo,
- Nobile e grande, omaggio a la fanciulla
- In dolce atto d’amor, fu sua la bella
- Di lei persona. Oh! non avriasi prese,
- In loco d’esta sola, il giovinetto
- 330 Mille altre donne! — Più di ciò non dico
- Per qual foggia Sifrido alla sua donna
- Rese omaggio d’amore. Udite intanto
- Questo racconto, come giacque il sire,
- Prence Gunthero, appo Brünhilde. Presso
- 335 Ad altre donne l’inclito signore
- Giaciuto si sarìa meglio d’assai!
- Di là tutta la folla si sbandava,
- Uomini e donne, e le stanze secrete
- Chiudeansi tosto. Ben credette il prence
- 340 Di posseder della sua donna alfine
- La persona leggiadra. Oh! da cotesto
- Lungi egli era d’assai, pria che sua donna
- Divenisse colei! N’andava al letto
- Brünhilde in veste di candido lino,
- 345 Veste notturna, e intanto: Oh! ch’io posseggo,
- Il nobil cavalier pensava in core,
- Quanto in tutti i miei dì cercai bramoso! —
- E veramente a lui per sua beltade
- Piacer dovea la vergine leggiadra.
- 350 A celar cominciò del re la mano
- La lampada notturna, indi si mosse,
- L’ardito cavalier, là ’ve la sua
- Donna rinvenne. A lei vicin s’addusse,
- E la sua gioia fu ben grande. Il prode
- 355 Con le sue braccia ricingea colei
- D’amor ben degna, e dolci atti d’amore
- Incominciati avrìa, se ciò sofferto
- La nobil donna avesse. Ella di tanto
- S’adirò, che di questo ebbe corruccio
- 360 Prence Gunthero. Si pensò d’amanti
- Atti ed opre toccare, ebbesi invece
- Odio qual di nemici. Ed ella disse:
- Nobile cavalier, tutto cotesto
- Lasciate ornai. Ciò che bramaste voi,
- 365 Avverarsi non può. Vergine sempre
- Io vo’ restar (ben ciò saper dovete),
- Fin ch’io da voi narrar del ver non oda.
- D’anima ostil si fece a lei Gunthero. —
- Eppure ei si balzò dietro l’amore
- 370 Di lei con forza e tutta le scompose
- La veste sua notturna. Ella afferrava,
- L’ardimentosa giovinetta, un cinto,
- Ed era il cinto un forte arnese, e fibbie
- Avea, quale dintorno a’ fianchi suoi
- 375 Recar solea. Gran male assai con questo
- Ella fe’ al sire, che le mani e i piedi
- Forte e insieme gli avvinse, indi l’addusse
- A un chiodo e alla parete alto il sospese.
- Perch’egli i sonni le turbò, l’amore
- 380 A lui quella interdisse, e per la forza
- Di lei gagliarda a morte egli venìa
- Prossimo assai. Chi si credea signore,
- A far preghiera incominciò: Deh! questi
- Vincoli miei scioglietemi, regina
- 385 Inclita e illustre! A vincervi più mai,
- Donna leggiadra, più non pongo il core,
- E sì vicino a voi ben raramente
- D’oggi in avanti giacerò. — Ma quella,
- Da che molle d’assai posava in letto,
- 390 Non si curò stato di lui qual fosse,
- Ed ei tutta la notte in fino al giorno,
- Fin che mostrassi fulgida l’aurora
- Per le finestre, là dovette appeso
- Restar costante. Se vigore egli ebbe,
- 395 Poca forza or gli resta alla persona!
- Or voi mi dite, principe Gunthero,
- Disse la vaga giovinetta, alcuna
- Doglia se in voi sarebbe questa, allora
- Che i vostri paggi dalla man di donna
- 400 Vi trovassero avvinto. — Oh! male assai,
- Il nobil cavalier le rispondea,
- Sarìa per voi cotesto! — E anch’io n’avrei
- Onor ben poco veramente! aggiunse
- L’uom generoso. Ma deh! voi, per quella
- 405 Vostra stessa virtù, fate ch’io torni
- Da presso a voi! Da che sì gran travaglio
- Di me vi dà l’amor, con le mie mani
- Io mai non toccherò le vostre vesti.
- Ed ella ratto il disciogliea, ponendolo
- 410 Fermo su’ piedi suoi. Tornossi al letto
- Il cavaliere con la donna sua,
- Ma tanto lungi si tenea, che raro,
- Oh! raro assai, ne rasentò le vesti,
- E di cotesto ebbe cura e pensiero
- 415 Ella pur anco. Vennero i famigli,
- E novelle recâr le vestimenti,
- E molte assai per la novella aurora
- Eran già pronte. Allor, per quanto lieto
- Altri si fosse, de la terra il sire
- 420 Cruccioso e tristo si mostrò, corona
- Ben ch’ei portasse per quel giorno in fronte.
- Per costume che avean, quale seguièno
- Ei per giusta ragion, lungo non ebbero
- Indugio allora e Gunthero e Brünhilde;
- 425 Vennero al monastero, ove una messa
- Altri cantò. Venne Sifridó ancora,
- E gran folla adunossi. Entro la chiesa,
- Per costume regal, tutto apprestato
- Quanto recar dovean, corona e ammanto,
- 430 Stavasi in vista. E furono sacrate
- Ambo le donne, e come ciò si fea,
- Vider le genti sotto a le corone
- Con molta gioia starsi i quattro sposi.
- Molti garzoni, e furono seicento
- 435 E più di tanto, assunsero le spade,
- Dei regi per onor.8 Ciò voi dovete
- Intendere e saper. Grande levossi
- La gioia allor per la burgundia terra,
- E s’udian tintinnar l’aste lucenti
- 440 Ai valorosi in pugno. Alle finestre
- Giovinette sedean leggiadre e belle,
- Vedean di molte targhe a sè dinanzi
- La luce scintillar. Ma da sue genti
- Stava in disparte re Gunthero; il videro
- 445 Là rimanersi desolato e tristo
- Per quant’altri facesse. Era diverso
- Core in Sifrido e in lui, ma di cotesto
- Il nobil cavalier, prence Sifrido,
- Avea scïenza. Ond’ei, venendo al sire,
- 450 A dimandarlo incominciò: Deh! come
- Passò la notte a voi! Saper tal cosa
- Deh! voi mi fate! — Dell’ostello il sire
- A quell’ospite suo così rispose:
- Danno e vergogna ho in me. Nella mia casa
- 455 Il diavolo maligno ho addotto meco!
- E perch’io mi credea goder d’amore,
- Ella forte m’avvinse. Ella mi trasse
- Fino ad un chiodo e mi sospese in alto
- A una parete. Angoscïoso stetti
- 460 Di là pendente, per la notte in fino
- Al nuovo dì, pria che da’ lacci miei
- Ella mi disciogliesse. E quanto molle-
- mente colei giaceasi in letto! Oh! questo,
- Pel favor mio, da te si celi intanto
- 465 In forza d’amistà! — Vero dolore
- È cotesto per me, gli rispondea
- Sifrido, eroe valente. Eppur vogl’io
- In poter vostro addur colei, se questo
- Far mi lasciate voi senza corruccio.
- 470 Io farò sì che questa notte presso
- Tanto ella posi a voi, che l’amor suo
- Ella indugiar non faccia. — E re Gunthero,
- Dopo il travaglio suo, si fe’ per questi
- Detti e gioioso e giubilante. Ancora
- 475 Prence Sifrido gli dicea: Tu lieto
- Rimani adunque. E cred’io si che a noi
- Fu diversa la notte. A me più cara
- Fu di me stesso la sirocchia tua,
- Kriemhilde bella; e questa notte ancora
- 480 Forz’è che sposa tua facciasi al fine
- Donna Brünhilde. — Aggiunse poi: Stanotte
- Io verrò pure a le tue stanze, ascoso
- E non visto così per la mia cappa,
- Che niuno intenderà di me l’astuzia.
- 485 Lascia tu allora a le lor stanze andarne
- I tuoi famigli, ed io le lampe in mano
- Spengo a’ tuoi paggi. E perch’io son là dentro,
- Noto con ciò ti sia che a te servire
- M’accingo volentier. La donna tua
- 490 A te sommetto di tal foggia, ratto,
- Che tu stanotte ne godrai l’amore,
- O io la vita perderò. — Eccetto
- Che tu goda l’amor, dissegli ’l prence,
- Della mia donna cara, io per tutt’altro
- 495 Son felice e contento, e ciò che vuoi,
- Tu fa’, Sifrido. S’anche le togliessi
- La vita, di cotesto io non vorrei
- Darmi pensiero. Ell’è terribil donna!
- Questo mi tolgo sulla fede mia,
- 500 Sifrido rispondea, che opra d’amore
- A lei non cercherò. Prima di tutte
- Donne ch’io vidi, è sì la tua sirocchia
- Leggiadra e bella. — Piacquesi Gunthero
- Di ciò che disse principe Sifrido.
- 505 Ansia con gioia è ne’ sollazzi intanto;
- Ma dovunque vietossi ogni tumulto,
- Ogni frastuon, perchè le donne insieme
- Tornassero alle sale. Ecco! i famigli
- A le genti indicean via da’ passaggi
- 510 Di trarsi a dietro. Allor, da palafreni
- E da genti raccolte iva disgombra
- La regal corte. Un vescovo adducea
- Ogni matrona perchè là, dinanzi
- Al re sovrano, si assidesse ognuno
- 515 Alla mensa regale. Ampio seguìa
- De’ famigli il corteggio, incliti e forti
- Uomini assai. E con gioconda speme
- Prence Gunthero là si assise. A quella
- Di Sifrido promessa egli pensava,
- 520 E quel dì gli sembrò quanto son trenta
- Giorni e lento e tardivo. Al dolce amore
- Della sua donna il pensier suo costante
- Era pur sempre. Con rancura attese
- Fin che tutti lasciâr la regal mensa,
- 525 E ratto, di lor quiete ambo a le stanze,
- Furono addotte e Brünhilde leggiadra
- E Kriemhilde con lei. — Deh! quanti prodi
- Fûr visti allor, prestanti cavalieri,
- Andarne innanzi a le regine! — Intanto,
- 530 Con gioia, sciolto da ogni cruccio, assise
- Prence Sifrido appo la donna sua
- Leggiadra, ed ella con sue bianche mani
- Le mani gli stringea, fin che dagli occhi
- Ei le sparì, nè del rapido istante
- 535 Ella s’avvide. Ratto che giocando
- Ella con seco si tenea, nè poscia
- Più vederlo potè, disse a le ancelle
- La regina così: Gran meraviglia
- Toccami, dove mai ne andava il sire!
- 540 Chi tolse la sua man dalla mia mano?
- Interruppe il suo dir. Ma quegli intanto
- Ito era lungi, ove ben molti paggi
- Starsi trovò con lampade. Principio
- Ei fe’ a spegnerle in man de’ giovinetti,
- 545 E fu noto a Gunthèr che giunto al loco
- Era prence Sifrido. Ei ben sapea
- Ciò che volle Sifrido, e indisse allora
- Che uscissero di là donne e fanciulle.
- Fatto cotesto, il nobil re possente
- 550 Chiuse, ei stesso, le porte, ed a le porte
- Rapido appose due gagliarde sbarre;
- Indi, con pronta man, la lampa ascose
- Da sezzo a le cortine, ed a l’istante
- (Nè v’era scampo inver) terribil gioco
- 555 Incominciâr Sifrido ardimentoso
- E la vaga fanciulla. A re Gunthero
- Gioia e rancura insiem parve cotesto.
- Appo la giovinetta si condusse
- Prence Sifrido, e quella disse allora:
- 560 Questo lasciate, re Gunthèr, per quanto
- Esser caro vi possa, onde nessuno
- Travaglio abbiate voi sì come in pria.
- Male d’allora in poi fece la donna
- A Sifrido valente. Egli nascose
- 565 La voce sua, nè disse verbo. Intanto,
- Ben che nulla di lui chiaro vedesse,
- Gunthero udiva, chiaro udìa che cose
- Là non si fean secrete ed intime. Elli
- Scarso riposo avean sul letto! Come
- 570 Se re Gunthero ei veramente fosse,
- Gunthèr possente e ricco, il valoroso
- Comportavasi. Ei cinse de le braccia
- La leggiadra fanciulla, ed ella fuori,
- Fuor dal letto il cacciò sovra d’un banco
- 575 E di tal foggia, che la fronte sua
- Alto suonò d’uno sgabel nell’urto.
- Novellamente con le forze sue
- In piè levossi l’uom gagliardo. Ei volle
- Più assai tentar; ma com’ei fe’ principio
- 580 Vïolenza a inferirle, alto ne venne
- Malanno a lui; nè cred’io già che mai
- Maggior difesa da fanciulle o donne
- Si facesse. E poiché non volle il forte
- Dilungarsi da lei, levossi in piedi
- 585 La giovinetta e disse: Oh! non dovete
- La mia veste notturna in bianco lino
- Così scompormi! E siete voi villano!
- Ciò vi sarà cagion di duol. La prova
- Ben io darovvi! — Così disse quella
- 590 Avvenente fanciulla, e il nobil sire
- Ella frattanto ne le braccia sue
- Fortemente serrò. Volealo avvinto
- Come il re là gittar, perchè sul letto
- Dato le fosse di toccar riposo;
- 595 E perchè la sua veste aveale scissa
- Il cavaliero, alta pigliar vendetta
- La fiera donna ne volea. Che giova,
- Che giova al cavalier la sua gran forza?
- La sua molta virtù? Di sua persona
- 600 Manifestò la maestria possente
- Ella a quel prode, chè di forza il trasse
- (Accader ciò dovette) e con villano
- Impeto giù il cacciò tra la parete
- Ed un forziere. Oimè! pensava il prode,
- 605 Se per donzella perdere degg’io
- Questa mia vita, d’oggi in poi e sempre
- Contro a’ mariti lor le donne tutte
- Tracotanti e superbi avran gli spirti
- Quanto non fecer mai! — Tutto ascoltava
- 610 Prence Gunthero, e per l’uom si dolea.
- Ma Sifrido più assai si vergognava
- E a muover l’ira fea principio. A lei
- Con sua forza potente ei si fe’ incontro,
- E in estremo periglio aspra tenzone
- 615 Con Brünhilde tentò. Parve ben lungo
- A Gunthero quel tempo anzi che il prode
- La regina domasse. Ella a Sifrido
- Strinse le mani di tal foggia e guisa,
- Che da l’ugne gli uscì, per tanta forza
- 620 De la fanciulla, il sangue. Al valoroso
- Grave doglia fu questa! Oh! ma dipoi
- A smentir la sua dura volontade
- Ch’ella dissegli in pria, la fiera donna
- Da lui fu addotta. Udìa prence Gunthero
- 625 Cotesto, ben che nulla il valoroso
- Dicesse intanto. Di tal foggia incontro
- Al letto ei la cacciò, che alto diè un grido,
- Forte e grave dolor le fe’ del prode
- Il possente vigor. Ma quella intanto
- 630 Al fianco l’afferrò, là ’ve il suo cinto
- Trovò di passamano e avvinto il prode
- Cercò ratto d’aver. Di lui la mano
- Ciò ben difese, e scricchiolâr di lei
- L’ossa e con l’ossa la persona. Allora
- 635 L’aspra tenzon divisa andonne, e quella
- Fu veramente di Gunthèr la sposa.
- Deh! nobil re, disse colei, la vita
- Tu dêi lasciarmi! E ciò che ti fec’io,
- Ratto mi si perdoni! Io d’ora innanzi
- 640 Del nobile amor tuo schiva mostrarmi
- Non vorrò, chè davver! sperimentai
- Ch’esser puoi tu di donne alto signore!
- Di là si trasse, come se le vesti
- Trar si volesse, principe Sifrido,
- 645 Giacer lasciando la fanciulla. E in pria,
- Di guisa tal che l’inclita regina
- Sentore non avea, cavolle un aureo
- Anello da la man, le tolse ancora
- Il cinto, ed era con grand’arte intesto
- 650 A passamano. — Inver non so, cotesto
- S’ei fe’ per tracotanza e per ardire. —
- Alla sua donna il diè Sifrido, e poi
- Cagion gli fu di doglia il fatal cinto.
- L’uno dell’altro si giaceano al fianco
- 655 Prence Gunthero e la fanciulla adorna,
- E quei sì con l’amor la consolava,
- Come addiceasi a lui. Così dovea
- Dissimular la sua vergogna e l’ira
- La giovinetta, e pallida si fea
- 660 Un cotal poco a l’intimo e fidente
- Starsi col suo signor. Deh! per l’amore
- Quanta forza e virtù da lei disparve!
- D’altra donna più forte anche non fue
- Da quel giorno Brünhilde, e re Gunthero
- 665 Con molto amore alla bella persona
- L’accarezzava, e s’ella ancor volea
- Resistere e tentar, qual mai potea
- Toccarne frutto? Con l’amor suo grande
- Ebbesi questo re Gunthero. Oh! come
- 670 In dolce atto d’amor presso le giacque,
- Fino al chiarir del dì, con caldo affetto!
- Era tornato principe Sifrido,
- Là ’ve fu accolto da una dolce sposa.
- Ei sì l’inchiesta indovinò, che in mente
- 675 Ella pensata avea; ma lungo tempo
- Ei le volle celar quanto per essa
- Avea recato, fino al dì che, cinta
- Di corona regal, ne andò alla terra
- Di lui la bella sposa. Oh! quanto poco
- 680 Ciò che darle dovea lasciò negletto!9
- Al mattin che seguì, l’ospite regio
- D’alma più lieta che non fosse in pria,
- A tutti si mostrò. Perciò fu grande
- La gioia e buona per cotanti illustri
- 685 A cui fe’ invito alle sue case. A lui
- Incliti si prestâr servigi e ossequi,
- E fino al dì che fu quattordicesmo,
- Andâr le feste nuzïali, quando,
- Tutto quel tempo, non cessò frastuono
- 690 Di sollazzi e tripudi in ogni guisa
- Che altri volle tener. Computo in alto
- Ne andò davver de’ dispendi del sire!
- A’ congiunti di lui, ospite illustre,
- Com’egli indisse, a’ vïaggianti molti,
- 695 Oro fulgido assai, per l’onor suo,
- Fu dato e vesti, ed argento pur anco
- E palafreni; e quei che disïavano
- Doni cospicui, ne partîr beati.
- Sifrido, il re di Niderlànd, a’ suoi
- 700 Mille guerrieri10 donar volle quante
- Vestimenta ei recâr là fino al Reno,
- Anche i destrieri con le selle ei porse,
- Onde potean viversi ricchi. Intanto,
- Pria che gl’incliti doni intorno a tutti
- 705 Fossero dati, parve lungo il tempo
- A chi di ritornarsi avea desire
- Alla sua terra. Maggior cura ad ospiti
- Non fu data giammai. Venne a sua fine
- Così la festa nuzial; cotesto
- 710 Volle Gunthero, il prence ardimentoso.
- ↑ Sarebbe stato sconveniente il tralasciar questi armeggiamenti, perchè erano d’uso nelle accoglienze solenni.
- ↑ Indietro dalla fronte.
- ↑ Cioè bellezza procurata ad arte con belletto e pittura.
- ↑ Detto con ironia. Cioè sarebbe un gran fallo.
- ↑ Fu segnato un circolo in terra, entro al quale si doveano tenere i due fidanzati.
- ↑ Intorno agli antecedenti amori di Brünhilde e di Sifrido, ai quali qui oscuramente si accenna, vedi l’Introduzione al Poema.
- ↑ Perchè tardavano a partire.
- ↑ Furono armati cavalieri.
- ↑ Ironico. Cioè egli non trascurò di dare a Kriemhilde l’anello e il cinto rapiti a Brunhilde.
- ↑ I Nibelunghi.
- Note
- Avventura Undecima
- In che modo Sifrido ritornò con la sua sposa
- Ratto che si partìan gli ospiti accolti,
- A’ suoi consorti così disse il figlio
- Di Sigemundo: Anche dobbiamci noi
- Tosto apprestar nella natal mia terra
- 5 A far ritorno. — Caro fu cotesto
- Alla sua donna come ciò da lui
- Chiaro ella intese. Quando mai, dicea
- Così allo sposo, quando mai dovremmo
- Di qui partir? Ben io vorrei frattanto
- 10 Questo evitar che presto di soverchio
- N’andassimo di qui. D’uopo è che prima
- Dividano con me li miei fratelli
- La terra di Borgogna. — E fu cagione
- Questa a Sifrido di corruccio, allora
- 15 Ch’egli udì da Kriemhilde esta parola.
- Vennero i prenci a lui, tutti parlando,
- Tutti e tre. Deh! sappiate, elli diceano,
- Prence Sifrido, che sacrati a voi
- Sempre, fino alla morte, e in tutta fede
- 20 Son li nostri servigi. — Ei s’inchinava
- A’ prodi innanzi, poichè tale a lui
- Facean profferta grazïosamente.
- Anche dobbiamo noi, disse Gislhero
- Il giovinetto, spartir vosco e terre
- 25 E borghi ancor che nostri son. Di quanto
- Dell’ampio regno sta soggetto a noi,
- Egregia parte con Kriemhilde vostra
- Toccar v’è d’uopo. — A’ principi rispose
- Di Sigemundo il figlio, allor che questa
- 30 Intese e scorse volontà dei duci:
- In sempiterno lasci Iddio la vostra
- Eredità felice, insiem con quante
- Genti vi sono. Ricusar la mia
- Donna diletta l’assegnata parte
- 35 Può sì, qual darle disïate. Il serto
- Debbe recar di regnatrice, e quando
- Viver dato mi sia, ricca più assai
- D’ogni vivente ella esser dee pur anco.
- Ma per ciò che da voi mi verrà ingiunto,
- 40 Di tutti qui son io servo fedele.
- Donna Kriemhilde così disse: Allora
- Che ricusar v’è caro esto retaggio,
- Non così lieve per gli eroi Burgundi
- Sen va cotesto, perchè un re con seco
- 45 Volentier non li adduca alla sua terra.
- Così adunque dividali la mano
- De’ miei dolci fratelli. — E tu, dicea
- Sire Gernòt, quale più vuoi ti prendi.
- Mille ti darem noi di trentamila
- 50 Uomini prodi, e siano alla tua casa
- Addetti e ligi. — Incominciò Kriemhilde
- Messi a invïar da Ortwin, d’Hàgene ancora
- Ch’è di Tronèga, s’elli e lor congiunti
- Esser vorrìan ligi a Kriemhilde. Assunse
- 55 Fiero un aspetto di corruccio allora
- Hàgene e disse: Principe Gunthero
- A nessun per la terra abbandonarci
- Mai non dovrà. Ma de’ consorti vostri
- Fate che altri vi segua. Anche v’è noto
- 60 Qual di quei di Tronèga è legge e norma,
- E dobbiam noi restarci in questa corte
- Qui, presso al re. Chi ovunque seguitammo.
- Lungamente servir dobbiamo ancora.
- Cotesto allor si tralasciò; ma intanto
- 65 S’apprestò la partenza. Incliti e nobili
- I suoi consorti si prendea Kriemhilde,
- Due e trenta donzelle e cinquecento
- Uomini prodi. Seguitò Kriemhilde
- Di là conte Eckewardo, e quei si presero,
- 70 E cavalieri e fantaccini, e donne
- E fanciulle, commiato, e vènia insieme
- Cosi com’era d’uopo. Ei separârsi
- Baciandosi l’un l’altro, e da la terra
- Di principe Gunthero uscîr contenti.
- 75 Ma i lor congiunti accompagnârli assai,
- Lontano per la via. Fu indetto ovunque
- Ostelli d’apprestar là ’ve ciascuno
- Gli ebbe più cari, per la notte, in tutta:
- Di Gunthero la terra; e messaggieri
- 80 Fûro invïati a Sigemundo ancora
- Per ch’egli, e Sigelinde insiem con lui,
- Saper dovesse ormai che si redìa
- Da Worms chi’è al Reno, il figlio suo
- con quella
- 85 Di donna Ute celebrata figlia,
- L’assai bella Kriemhilde. Oh! non poteagli
- Esser più grata la novella! Ei disse:
- Felice appien, che tanto son vissuto
- Fin che qui ne verrà Kriemhilde bella,
- 90 Incoronata! Eredità ch’è mia,
- Alto onore n’avrà. Sire qui debbe
- Essere il figlio mio, nobil Sifrido!
- E donna Sigelinde assai donava
- Cose lucenti al messaggier, d’argento
- 95 E d’oro un grave pondo, e fu cotesta
- Mercè che a lui serbò. De la novella
- Ch’ebbe da lui, si rallegrava, e intanto,
- Quanto più s’addicea, le ancelle sue
- Prendean fulgide vesti. E le fu detto
- 100 Chi col figlio venìa nella sua terra,
- Sì ch’ei drizzâr le sedie al destinato
- Loco, ove innanzi ai radunati amici
- Ir dovean con corona ambo gli sposi.
- Ma di re Sigemundo i valorosi
- 105 Mossero incontro cavalcando, e cosa
- È ignota a me se alcun fu meglio accolto,
- Meglio di questi eroi, famosi ed incliti,
- Là nella terra di Sigmundo. Ancora
- Con donne assai, leggiadre e belle (e alquanti
- 110 Cavalieri seguìan, cortesi, a lei)
- Sigelinde avvenente, alta in arcioni,
- Iva incontro a Kriemhilde, in fin che lungi
- Gli ospiti si vedean, per tutto intero
- Il vïaggio d’un dì. Grave soffriro
- 115 Disagio inver congiunti e strani, in tanto
- Ch’elli giunsero alfine appo un castello
- Ampio, che detto era Santèna. Quivi,
- D’allora in poi, corona ebber gli sposi.
- Con bocca sorridente e per lung’ora
- 120 Baciaron Sigemundo e Sigelinde,
- Con molto amor, Kriemhilde bella e ancora
- Con lei Sifrido. Così fu che tolto
- Ogni affanno lor venne. E benvenuti
- Furono anche d’assai d’ambo gli sposi
- 125 I consorti novelli. Entro la sala
- Fu ingiunto allor di principe Sigmundo
- Gli ospiti di condur. Da’ palafreni
- Altri allora levò, scender fe’ a terra
- Le vaglie giovinette, e molti invero
- 130 Furon gli uomini là, ’ve incominciossi
- Con molta cura a le donne leggiadre
- I servigi a prestar. Quantunque grandi
- Fosser note le feste là sul Reno,
- Anche migliori fûr le vesti, date
- 135 Ai raccolti guerrieri, e quali al certo
- Mai non recâr del viver lor ne’ giorni.
- E si potean dir molte meraviglie
- Delle ricchezze di quei re. Ma quando
- In lor alta onoranza ebber soggiorno
- 140 Là satisfatti, quante vesti in oro
- Lor consorti recâr, quante pregiate
- Gemme puranco, sovra il panno inteste!
- Sigelinde così, la nobil donna,
- Di tutti si prendea solerte cura.
- 145 Disse agli amici suoi prence Sigmundo:
- A tutti, che a Sifrido son cognati,
- Io rendo noto che la mia corona
- Ei recar dee dinanzi a questi eroi.
- E quei di Niderlànd ben volentieri
- 150 Udìan ridir cotesto annunzio. Intanto
- Al figlio suo lasciò la sua corona
- Col suo diritto il re, con la sua terra,
- E da quel dì per tutto fu sovrano
- Prence Sifrido. Quanto giusto ei vide,
- 155 Quanto ei dovè ordinar col suo diritto,
- Tanto da lui si fece, onde le genti
- Temean d’assai di Kriemhilde leggiadra
- L’inclito sposo. In così grande onore
- Visse, egli è vero, e governò pur anco
- 160 Sotto alla sua corona in fino al decimo
- Anno, quando acquistò la sua leggiadra
- Donna un figliuol. Conforme a volontate
- De’ congiunti del re ciò accadde invero.
- A battezzarlo ei s’affrettarno e dato
- 165 Anche un nome gli fu, Gunthèr, conforme
- Al nome del suo zio. Di ciò l’infante
- Onta aver non dovea. Che se a’ congiunti
- Ei somigliava, ciò sarìa per lui
- Stata sorte felice. E quei con cura
- 170 Sì l’allevâr, ciò che si fea pur anco
- Per debito da lor. Nel tempo istesso
- E donna Sigelinde si morìa,
- E su tutto ebbe possa della nobile
- Ute la figlia, come a donne addicesi
- 175 Ricche e potenti su contrade. Assai
- Fu pianto il tristo caso, or che la morte
- Rapia colei. Ma là pur anco, al Reno,
- Così a dire udiam noi, presso il potente
- Gunthero un figlio partorì la bella
- 180 Brũnhilde, in suolo di Borgogna. Detto
- Ei fu Sifrido per l’amor del prode.1
- Con qual cura d’assai, che il pargoletto
- Si guardasse, fu ingiunto! E balii volle
- Il nobile Gunthero, ei, che allevarlo
- 185 Un uom potean destro e gagliardo. E poi
- Deh! quanti amici il rio destin gli tolse!
- Ad ogni tempo si dicean novelle,
- Novelle assai, quanto con lode piena
- Di Sigemundo ne la terra, a tutte
- 190 L’ore del dì, vivesser que’ gagliardi
- Cortesi e illustri. Ma ciò fea pur anco
- Gunthèr famoso coi congiunti suoi,
- Di simil foggia. Ancor de’ Nibelunghi
- Servìa la terra a principe Sifrido
- 195 (E niuno inver più ricco era di lui
- Fra i suoi congiunti), e gli servìan pur anco
- I valorosi di Schilbungo e tutta
- Di quelli e di costui l’ampia ricchezza;
- Per ciò più fieri e più superbi spirti
- 200 N’ebbe quel prode. L’uom gagliardo e forte
- Ebbe un tesoro più d’assai copioso
- Di quanti un prode s’ebbe mai, que’ soli
- Tolti che prima il possedean. Dinanzi
- A un monte l’acquistâr le mani sue
- 205 Forte pugnando, e molti cavalieri
- A morte egli atterrò gagliardi e illustri.
- Onore egli ebbe al suo desìo conforme;
- E se nulla accadea, dovea ciascuno
- Il nobile guerricr per vero dritto
- 210 Proclamar tale che miglior di lui
- Niun si posò su palafreni. Intanto,
- Altri temea la sua possanza, e questo
- Con giustizia d’assai facea la gente.
- ↑ L’altro Sifrido, sposo di Kriemhilde.
- Note
- Avventura dodicesima
- In che modo Gunthero invitò Sifrido alla festa
- Di Gunthero la donna in ogni tempo
- Così pensava: E perchè mai sì altera
- Porta Kriemhilde la persona? Eppure
- Sifrido, l’uom di lei, uno è de’ nostri
- 5 Servi addetti, e ci fe’ per lungo tempo
- Servigi scarsi! — E quella si recava
- Cotesto in core e si tacca pur anco;
- Grave rancura a lei che i suoi congiunti
- Sì le fossero estrani e che si raro
- 10 Altri servisse a lei da quella terra
- Di eroe Sifrido. Volentieri assai
- Conosciuto ell’avria donde cotesto.
- Al re ne fe’ ricerca onde potesse
- Questo avvenir ch’ella dovesse ancora
- 15 Veder Kriemhilde. E favellò in secreto
- Di ciò ch’ella volea. Ma i detti suoi
- Poco d’assai parvero grati al sire.
- Il re possente così disse: Oh! come,
- Come potremmo a questa nostra terra
- 20 Traggerli noi? Non possiam noi cotesto!
- Troppo lungi hanno stanza, ed io non oso
- Invitarli pur qui. — Gli rispondea
- Brünhilde allor con mente accorta assai:
- Per quanto d’alcun re gli uomini addetti
- 25 Sian forti e ricchi, tralasciar non dènno
- Ciò che il lor prence comandar si piace,
- E re Gunthero sorridea, cotesto
- Mentr’ella disse, ch’ei non volle mai,
- Quantunque volte egli vedea Sifrido,
- 30 Chieder servigi a lui. Dolce mio prence,
- Ella intanto dicea, deh! tu m’aita
- Nel piacer mio perchè alla nostra terra
- Vengan Sifrido e la sirocchia tua,
- Sì che qui noi possiam vederli. E nulla
- 35 Avvenir mi potrìa veracemente
- Di più caro e gradito. Allor ch’io penso
- Di tua scrocchia il far cortese e gli alti
- E generosi spirti, oh! quanto dolce
- A me ritorna il ricordar quel tempo
- 40 In che insieme assidemmo, al di che in pria
- Tua donna diventai! Con molto onore
- Amare ella ben può Sifrido il forte!
- Ella sì a lungo supplicò, risposta
- Fin che le diede il re: Ben voi sapete
- 45 Che ospiti non vid’io sì volentieri
- Come cotesti. E pregarmi v’è d’uopo
- Più dolcemente, ch’io gii vo’ i miei messi
- Appo quelli invïar, sì ch’elli a noi
- Vengan sul Reno. — Anche dovete voi,
- 50 La regina dicea, dirmi chi mai
- Mandar vorrete, e in quali giorni ancora
- A questa terra i dolci nostri amici
- Venir potranno. Or, chi mandar volete,
- Fate che noto anche mi sia. — Cotesto,
- 55 Rispose il prence, ben farò. De’ miei
- Trenta vogl’io che cavalcando partano. —
- E questi innanzi a sè chiamò, per essi
- Di Sifrido alla terra egli invïava
- Le sue novelle, e volentier Brünhilde
- 60 Lor diè vesti d’assai belle e pompose.
- Voi, valorosi, disse allora il prence,
- Come s’io stesso favellassi (questo
- Non si taccia da voi), per me direte
- A Sifrido gagliardo e a quella mia
- 65 Sorella ancora che nessuno in terra
- D’elli più caro esser mi può. Ancora
- Sì gli pregate ch’ambo a noi sul Reno
- Vengano, chè vogl’io con la mia donna
- Esser per sempre a’ lor servigi. Innanzi
- 70 Al vicino solstizio egli, Sifrido,
- E gli armigeri suoi molti gagliardi
- Qui potranno veder che a lui con grande
- Onor dènno venir. Li miei servigi
- Anche offerite a re Sigmundo, e ch’io
- 75 Sempre a lui, con cotesti amici miei,
- Son devoto e fedel. Dite pur anco
- Alla sirocchia mia ch’ella non lasci
- Di venir cavalcando appo gli amici,
- Che altra festa non fia di lei più degna.
- 80 Ute e Brünhilde e quante donne ancora
- Altri là rinvenìa, tutte proffersero
- Lor servigi a le donne d’amor degne
- E ai valorosi, ch’eran molti, in quella
- Di Sifrido contrada. Ecco, levârsi,
- 85 Degli amici del re dopo il consiglio,
- I messaggieri. Elli n’andar, costume
- Qual è di vïandanti, e vestimenta
- Furon fornite e palafreni. Uscirò
- Dalla terra così; bene avanzava
- 90 Il lor viaggio al loco ov’ei d’andarne
- Avean disegno, e i messaggieri suoi
- Di difendere ingiunse il nobil prence
- Con una scorta. Cavalcando vennero
- Là nella terra (e fûr tre settimane),
- 95 E nel castel di Nibelungo, in quella
- Di Norvegia frontiera, ove mandati
- Eran elli, ei trovâr Sifrido eroe.
- Per il lungo vïaggio erano stanchi
- De’ messaggieri i corridori. Intanto
- 100 A Sifrido, a Kriemhilde, altri dicea
- Ch’eran venuti cavalieri, quali
- Recavano le vesti in quel costume
- Che in Borgogna si adopra. Oh! da un suo
- letto
- 105 Ove giaceasi a riposar, Kriemhilde
- Scese balzando, e che n’andasse, volle,
- Una fantesca a le finestre; e quella
- Vide arrestarsi nella corte il prode
- Gère e i compagni suoi, quali invïava
- 110 Prence Gunthero. Contro al suo dolore
- Deh! qual gradito annunzio ella
- apprendea!1
- Al re cosi parlò: Deh! voi notate
- Là ’ve si stanno quei che a questa corte
- 115 Venìan con Gère il forte; a noi mandolli
- Giù per il Reno il fratel mio Gunthero.
- Esserci dènno i benvenuti, ratto
- Sifrido il forte così disse. — E tutti
- I famigli correan là ’ve fûr visti
- 120 I messaggieri, e ciascun d’essi a parte
- Il miglior detto che ciascun potea,
- A’ messaggieri con atto cortese
- Rivolse allora. Principe Sigmundo
- Fu lieto assai di lor venuta. Intanto
- 125 Ebbesi alloggi coi compagni suoi
- Gère, e s’indisse di prestar le cure
- Ai palafreni. Ed ecco die venièno
- Là ’ve presso a Kriemhilde si assidea
- Prence Sifrido, i messi. E fu cotesto
- 130 Concesso a lor d’andarne in corte; appunto
- Fean questo i prenci. L’ospite regale
- Ratto levossi in piè con la sua donna,
- E degnamente fu per loro accolto
- Gère dal suol ch’è di Borgogna, insieme
- 135 A’ suoi compagni, gli uomini fidati
- Di re Gunthero. Indetto fu che andasse
- Gère possente e ricco ad una sedia.
- Nostro messaggio concedete voi
- Pria che a sederci andiam, disse quel saggio.
- 140 Concedete che in piè restiamo noi,
- Ospiti stanchi, per il tempo, in cui
- Dirvi dobbiam quali v’invian novelle
- E Gunthero e Brünhilde. E loro stato
- Buono ed alto è davver. Diremo ancora
- 145 Ciò che la madre vostra impose a noi,
- Ute regina; e Giselhèr garzone
- E principe Gernòt ed i congiunti
- Vostri migliori c’invïâr. Da quella
- Burgundia terra ei v’offrono servigi.
- 150 Gli ricompensi Iddio, dicea Sifrido,
- Ch’io credo in lor bontà veracemente
- Ed in lor fede, qual pur verso amici
- L’uom deve, e questo fa di simil guisa
- La lor sirocchia. Ora dovete a noi
- 155 Novelle riferir se animo franco
- Ed alto in loro ostelli hanno que’ nostri
- Diletti amici. Da che noi partimmo,
- Nessuna offesa fece mai qualcuno
- A’ miei congiunti? Concedete voi
- 160 Ch’io mi sappia cotesto! Io vo’ pur sempre
- Loro aita recar con molta fede,
- Finché, per miei servigi, alti lamenti
- Lor nemici faran. — Gère margravio,
- Valoroso guerrier, così rispose:
- 165 Per tutte lor virtù, d’anima franca
- Ed alta ei son davver. Fannovi intanto
- Un invito, sul Reno ad una festa.
- Chè volentieri assai, siate di tanto
- Voi senza dubbio, ei vi vedranno. E pregano
- 170 Questa signora mia che venga vosco
- Ratto che tocchi l’invernal stagione
- Il termin suo. Vedervi ei dènno prima
- Del vicino solstizio. — E rispondea
- Sifrido il forte: Ciò potrìa davvero
- 175 A gran stento accader! — Ma Gère disse,
- Ei, del suol di Borgogna: Anche vi pregano
- Ute, la madre vostra, e Giselhero
- E Gernòt, nè potete in niuna guisa
- Cotesto ricusar. Perchè voi sète
- 180 Lungi cotanto, ad ogni dì li sento
- Io muover lagni. Ma Brünhilde, mia
- Inclita donna, ed ogni ancella sua
- Gioia si avran di tal novella, quando
- Possa avvenir che vi riveggan anche,
- 185 Ciò che lor donerà forza a lo spirto.
- A Kriemhilde leggiadra esta novella
- Buona e lieta sembrò. Congiunto a lei
- Era Gère, e d’assidersi gl’ingiunse
- L’ospite suo regal. Volle che fosse
- 190 Vino mesciuto agli ospiti raccolti,
- Nè ciò fu a lungo tralasciato. Intanto,
- Ratto che vide i messi, era venuto
- Anche prence Sigmundo. Amicamente
- A’ Burgundi parlò l’antico sire:
- 195 Voi benvenuti, o valorosi, voi
- Uomini di Gunthero. Oh! da quel tempo
- Che il figlio mio Sifrido ebbesi in donna
- Kriemhilde, si dovea ben più sovente
- In questa terra voi veder, se pure
- 200 Amicamente a noi parlar volete!
- Dissero ch’ei verrian, quand’ei bramasse,
- Ben volentieri, e intanto, in quella gioia,
- La grave lor stanchezza si scemava.
- Ai messaggieri di recar fu ingiunto
- 205 Il cibo, e cibo fu recato, e volle
- Sifrido sì che a quegli ospiti suoi
- Si desse in copia. Nove giorni ancora
- Là fu d’uopo restarsi, e veramente
- I cavalieri valorosi n’ebbero
- 210 Lamenti poi, ch’ei non poteano ancora
- Alla lor terra far ritorno. Intanto
- Appo gli amici suoi mandava un cenno
- Prence Sifrido. Ei richiedea che mai
- Consigliassero a lui, s’elli con seco
- 215 Laggiù al Reno verrian: Per una festa
- Gunthèr, l’amico mio, co’ suoi congiunti
- Appo me qui mandò. Se la sua terra
- Lungi tanto non fosse, io sì v’andrei
- Volentieri d’assai. Pregano ancora
- 220 Kriemhilde mia perch’io con me l’adduca.
- Or consigliate voi, diletti amici,
- Com’ella andarne là potrebbe. Ancora
- Se a trenta regïoni andar dovessi
- Per li cognati miei, ben volentieri
- 225 Di Sifrido la man li servirebbe.
- Dissero allora i suoi guerrieri: Quando
- Voglia per tal vïaggio abbiate voi
- A quella festa, ciò che far v’è d’uopo,
- Vi consigliamo. Cavalcar con mille
- 230 Vostri gagliardi fino al Ren dovete,
- E dato allor vi fia con molto onore
- Andarne fra i Burgundi. — Allora disse
- Di Niderlànd il re, Sigmundo antico:
- Se alla festa n’andate, oh! perchè mai
- 235 Ciò non mi fate aperto? E se cotesto
- Non disdegnate, cavalcando anch’io
- Fin là verronne. Cento valorosi,
- Ond’io voglio aumentar le vostre schiere,
- Io menerò. — Se cavalcar con nosco
- 240 Volete voi, diletto padre mio,
- Disse Sifrido valoroso, lieto
- Son io di tanto assai. La terra mia
- Dopo dodici giorni avrò lasciata.
- A tutti quelli che bramâr cotesto,
- 245 Furon dati cavalli e vestimenta.
- Ratto che il nobil sire ebbe desìo
- Di quel vïaggio, a’ buoni e valorosi
- Messaggieri fu indetto, cavalcando,
- Di ritornar. Ma principe Sifrido
- 250 Ingiunse loro in pria che a’ suoi cognati,
- Là sul Reno, ei dicessero che assai
- Volentieri alla festa egli verrìa.
- E Sifrido e Kriemhilde in quella guisa
- Che udimmo raccontar, tanti fêr doni
- 255 A’ messaggeri, che recar que’ doni
- Già non potean lor palafreni a casa
- Nella lor terra. Principe Sifrido
- Era ricco d’assai. Cosi que’ messi
- Spingean gioiosi innanzi a sè pel calle
- 260 Lor robusti somieri. E la lor gente
- Vestìano intanto e Sigmundo e Sifrido;
- Conte Eckewarto indisse ancor per donne
- Vesti cercar quali più belle alcuno
- Trovar potè, quali acquistar per tutta
- 265 La terra si potean di re Sifrido.
- Selle e pavesi ad apprestar frattanto
- S’incominciò. Quanto più alcun bramava,
- Perchè nulla mancasse, a cavalieri,
- A donne anche si diè, quali col sire
- 270 Dovean partirsi. Ei volle incliti gli ospiti
- Così menarsi appo gli amici suoi.
- Affrettavansi intanto i messaggieri
- D’assai per la lor via. Come ne venne
- Là fra i Burgundi Gère valoroso,
- 275 Bene fu accolto assai. Scesero tutti
- Da’ lor cavalli e palafreni al suolo,
- Di re Gunthero per entrar nell’aula,
- Così come fa l’uom, vennero allora
- Garzoni e vecchi a dimandar novelle,
- 280 E il nobil cavalier così dicea:
- Ratto udirete ciò che al mio signore
- Dirò. — Così n’andò co’ suoi consorti
- Là ’ve Gunthero ei rinvenia. Balzava
- Per molta gioia dal suo seggio il prence,
- 285 E perchè così tosto erano i messi
- Di là tornati, Brünhilde leggiadra
- Grazie a tutti rendea. Lor disse intanto
- Prence Gunthero: Oh! come sta Sifrido,
- Da cui tanta d’amor vennemi prova?
- 290 Rosso per gioia egli si fe’, rispose
- Gère avveduto, e si fe’ rossa pure
- Vostra sirocchia. Nessun uom giammai
- Cose sì belle ed amorose indisse
- Ai dolci amici, come a voi le indisse
- 300 Prence Sifrido e il padre suo pur anco.
- La sposa allor del nobile signore
- Così disse al Margravio: Ora mi dite
- Se a noi viene Kriemhilde. E serba ancora
- La persona sua bella alcun dei tratti
- 305 Ch’ella spiegar potea? — Veracemente,
- Disse Gère gagliardo, ella sen viene!
- Ute pregò che innanzi a lei venissero
- Subitamente i messaggieri. Questo
- Da sue domande agevolmente assai
- 310 Intender si potea che volentieri
- Udito avrìa se Kriemhilde leggiadra
- Era ancor sana di persona; e Gère
- Le disse allor come trovolla e come
- Fra breve tempo ella verrìa pur anco.
- 315 Nè da lui per la corte si celaro
- Doni che diègli principe Sifrido,
- E fûr recate vestimenta ed oro
- De’ tre regi dinanzi ai valorosi
- A contemplar. Per la munificenza
- 320 Grande assai di Sifrido, a lui si resero
- Inclite grazie. Ed Hàgen disse: Tanto
- Donar del suo agevolmente ei puote;
- Nulla mancar gli può, s’anche in eterno
- Egli vivesse. La sua mano ha chiuse
- 325 De’ Nibelunghi le ricchezze. Oh! un giorno
- De’ Burgundi alla terra elle venissero!
- Dopo cotesto, s’allegraron tutti,
- Perchè i prenci venissero, i famigli,
- E da mane e da sera infaticati
- 330 Fûro i consorti dei tre re. Principio
- Fecesi a collocar diversi e molti
- Seggi regali. Hunoldo ardimentoso
- E Sindolto guerrier non ebber quiete
- Veracemente. Elli doveano intanto
- 335 Questo curar che palchi si levassero,
- Elli, scalchi e coppieri. E porse aita
- Ortwin pur anco, e di ciò rese grazie
- Prence Gunthero. Oh! quanti fe’ comandi
- Rumoldo, capo alla regal cucina,
- 340 A’ suoi soggetti! E quanti là rinvennersi
- E laveggi e caldai, quante e diverse
- Pentole vaste! Cibi s’apprestavano
- Per quelli sì che vennero alla terra.
- ↑ Per il dolore di star lontano da casa.
- Note
- Avventura tredicesima
- In che modo andarono alla festa
- Or lasciam noi di questi ogni fatica
- E diciam come venner su pel Reno,
- Dei Nibelunghi dalla terra, e donna
- Kriemhilde e le sue ancelle. Unqua sì ricche
- 5 Vesti non trasportâr li palafreni.
- Ma per la via ben molti s’invïaro
- Forzier da soma; e cavalcò Sifrido
- Gagliardo, allor, co’ suoi diletti amici,
- La regina pur anco, elli che speme
- 10 Avean di gioia. Ma d’allora in poi
- Tutto per grave angoscia a lor si fece.
- A casa abbandonâr quel pargoletto
- Di Sifrido, figliuol di Krïemhilde,
- E questo esser dovea. Ma dal vïaggio
- 15 A quella corte grave la sciagura
- Nacque, e mai più non vide il pargoletto
- Il padre suo, la madre sua. Ne andava
- Fra essi ancora principe Sigmundo.
- Che se giusto ei sapea ciò che più tardi
- 20 Ne la festa gli accadde, oh! quella festa
- Veduta ei non avrìa! Doglia maggiore
- Mai non gli venne appo diletti amici.
- Furon mandati messaggieri innanzi
- Le novelle a ridir. Tosto con ampia
- 25 Schiera e pomposa incontro a chi venìa
- Mossero cavalcando amici assai
- D’Ute ed uomini assai di re Gunthero.
- L’ospite regio a darsi pronta cura
- Incominciò per gli ospiti. Sen venne
- 30 Appo Brünhilde ove trovolla assisa.
- Come v’accolse la sirocchia mia,
- Disse, allor che veniste a questa terra?
- Similemente accogliere v’è d’uopo
- Di Sifrido la donna. — E volentieri
- 35 Farò cotesto, ella rispose; a lei
- Debitamente la persona mia
- È addetta con amor. — Di gran mattino,
- Dimani, disse il nobile signore,
- Egli verranno. Or, se bramate voi
- 40 Gli ospiti accôrre, v’affrettate intanto,
- Che aspettarli non debbasi da noi
- Qui, nel castello. In nessun tempo mai
- Ospiti più graditi a me non vennero.
- All’istante indicea che le sue ancelle,
- 45 Che le sue donne, buone ricercassero
- Le vestimenta, quali era concesso
- Di rinvenir migliori, e quali innanzi
- Agli ospiti dovean li suoi consorti
- Recar. Cotesto volentier le donne
- 50 Fecero, e questa agevol cosa è a dirsi.
- Anche aflrettârsi in lor servigi tutti
- Gli uomini di Gunthero, e a sè raccolse
- L’ospite regio i valorosi suoi
- Tutti, e in gran pompa cavalcando mosse
- 55 La regina pur anco. Ai dolci ospiti
- Molti e d’assai si fecero i saluti.
- Deh! con qual gioia ei fûro accolti! Parve
- Che così lieta in la Burgundia terra
- Donna Kriemhilde non avesse donna
- 60 Brünhilde un giorno accolta. A chi non vide
- In pria cotesto, si fe’ noto allora
- Che fosse d’allegrezza un nobil senso.
- Anche venuto co’ gagliardi suoi
- Era prence Sifrido. E furon visti
- 65 Andarne qua e colà, da tutte parti
- Del campo, i prodi, con lor schiere molte
- Ed infinite, onde evitar nessuno
- Potea la polve e l’accalcarsi. Ratto
- Che l’ospite regal Sifrido scorse
- 70 E con lui Sigemundo, oh! favellando
- Quanto affetto mostrò! Deh! che voi siete
- A me, dicea, li benvenuti assai
- E a questi amici miei! Fieri e superbi
- Saremo noi per che veniste in corte!
- 75 Sigmundo, l’uom che avea l’onore in cura,
- Rispose: Iddio vi ricompensi intanto!
- Dal giorno che Sifrido, il figlio mio,
- Voi per amici s’acquistò, pensava
- Sempre l’anima mia ch’io vi dovessi
- 80 Vedere un giorno. — E re Gunthero allora
- Disse: M’avvenne in ciò cosa ben dolce!
- Come a lui s’addicea, prence Sifrido
- A grande onor fu accolto. E niuno a lui
- Mostravasi cruccioso, e con gran cura
- 85 Adoprârsi perciò Gernòt, Gislhèro,
- E credo sì che mai non si accogliessero
- Ospiti in guisa tanto onesta. Allora
- S’avvicinò dei due monarchi questa
- A quella sposa, e vuote si restaro
- 90 Subitamente molte selle, e molte
- Persone allora di leggiadre donne
- Da le man degli eroi, tolte d’arcioni,
- Furon deposte sovra l’erba. Oh! quanti
- Infaticati erano là, che donne
- 95 Volentieri servian! Moveansi incontro
- Ambe le donne d’amor degne allora,
- E molti cavalieri ebber di tanto
- Letizia assai, perchè sì bello fue
- Lor scambievol saluto. Anche fûr visti
- 100 Starsi da presso a le fanciulle molti
- De’ più gagliardi. I nobili famigli
- Per la man si prendean; ma l’inchinarsi
- In un atto cortese (e quale in copia
- Ognuno allor toccò), ma l’amoroso
- 105 Baciarsi qual si fea da donne assai,
- Cose a vedersi furon dolci a tutti
- Gli uomini di Gunthero e di Sifrido.
- Non indugiârsi lungamente, e tosto
- Vennero al borgo cavalcando. Quivi
- 110 L’ospite regio di mostrar fe’ cenno
- A quegli ospiti suoi che volentieri
- Elli eran visti alla burgundia terra,
- E molti rinvenìan torneamenti
- Pomposi e ricchi a le fanciulle innanzi
- 115 Le genti accolte. Che valenti egli erano,
- Fecero allora manifesto e chiaro
- Hàgene di Tronèga e Ortwin pur anco.
- Niuno ardìa trascurar ciò che cotesti
- Ingiugnere volean. Grandi i servigi
- 120 Furon fatti per essi ai cari ospiti,
- E intanto, da le porte di quel borgo,
- Molti s’udìan sotto punture e colpi
- Forti scudi suonar. Lungo indugiossi
- Con gli ospiti là innanzi il nobil sire,
- 125 Prima ch’entrar potessero. Ma l’ora
- Con gran sollazzo trapassò per essi.
- Alfine, ei cavalcâr con molta gioia
- Là dal palagio sontüoso, e molti
- Artificiosi e ben tagliati vai
- 130 Pendere si vedean delle matrone
- Giù dagli arcioni ben composti, in tutte
- Parti a l’intorno. Giunsero frattanto
- Gli uomini di Gunthero. Ecco, fu indetto
- Gli ospiti di menar subitamente
- 135 Ai loro alloggi, e fu vista frattanto
- Brünhilde sogguardar donna Kriemhilde,
- Che bella era d’assai. Color di lei
- Contro a l’or sostenea pomposamente
- Il suo vivo splendor. Ma già s’udìano
- 140 Di Worms per la città da tutte parti
- Vociar famigli. Principe Gunthero
- A Dancwarto indicea, suo maniscalco,
- Ch’ei di lor si curasse, ed egli tosto
- A collocar come addiceasi allora
- 145 Incominciò i famigli. Elli fûr posti
- E fuori e dentro a banchettar, nè mai
- D’ospiti estrani s’ebbe in alcun tempo
- Cura migliore. Quanto ei più bramavano
- Era pronto per essi, e di tal guisa
- 150 Opulento era il re, che nulla a nullo
- Fu diniegato allor. Si fean servigi
- Amicamente ad essi e senz’alcuno
- Astio del core, e con gli ospiti suoi
- L’ospite regio assise a mensa. Tosto
- 155 Di sedersi fu indetto a re Sifrido
- Là ’ve in prima sedette, e venner seco
- A que’ sedili molti valorosi.
- Dugento prodi a un circolo sedièro
- A quella mensa, e Brünhilde regina
- 160 Pensava intanto ch’uomo ad altri addetto
- Esser più ricco non potea. Vêr lui
- Inchinevole tanto era del core,
- Che volentieri incolume lasciollo.
- In quella sera, come il re si assise,
- 165 Molte pel vino vestimenta ricche
- Andaron molli, chè dovean gli scalchi
- Per le tavole andar. Con molta cura
- Pieno servigio si prestò. Sia quando
- Per lung’ora così da lor si attese
- 170 A quella festa, a le donne leggiadre,
- A le fanciulle, altri indicea d’andarne
- A’ lor riposi, e donde che venissero,
- Lor compiacea l’ospite regio. A tutti
- Con vero onor fu dato in copia. E allora
- 175 Ch’ebbe fine la notte e che mostrossi
- Il dì novello, fuori da’ forzieri
- Molte splendean nobili gemme e varie
- In su le ricche vestimenta, quali
- Man di donne toccò. Vesti pompose
- 180 Molte e d’assai furon cercate allora.
- Prima che appien facesse dì, sen vennero
- Là per la sala molti cavalieri
- E famigli pur anco. E si levava
- Alto un tumulto pria che mattiniera
- 185 Cantata per il re fosse una messa.
- Giovani eroi là venner cavalcando
- Sì che il nobil signor grazie dicea
- Di questo a tutti. Fieramente assai
- Molte echeggiaron trombe, e fu di corni
- 190 Tanto grande il fragor, di flauti ancora,
- Che per esso echeggiava alto a l’intorno
- Worms ampiamente spazïosa. Tutti
- Gli animosi guerrieri a’ lor cavalli
- Vennero, e tosto incominciò in la terra
- 195 Di molti e buoni eroi un fero gioco,
- A’ quali assai mirò la gente; e questo
- Dava ardimento a’ giovinetti cuori,
- Mentre sotto a’ pavesi assai gagliardi
- Buoni e valenti si vedean. Si assisero
- 200 L’inclite donne a le finestre e molte
- De le fanciulle vaghe. Adorna tutta
- La lor persona; ed elle i fieri giochi
- Degli arditi vedean. Ma il re principio
- Fe’ al cavalcar co’ suoi congiunti amici.
- 205 Così quell’ore ei trapassar, che lunghe
- Lor non parvero intanto. E già s’udìa
- Là dal duomo un frastuon di varie squille,
- E venner tosto i palafreni. Andarno
- Cavalcando le donne, e molti prodi
- 210 Seguìan da sezzo l’inclite regine.
- Sull’erba elle scendean dal monastero
- In arrestarsi, e a quegli ospiti suoi
- Inchinevol dell’alma era d’assai
- Brünhilde ancora. Con un serto in capo
- 215 Entrâr la vasta cattedrale. — Amore
- S’interruppe dipoi; ciò cagionava
- Grande un’invidia. — Poichè messa udièno,
- Con gran pompa di là si ritornaro,
- E si videro allor lieti e gioiosi
- 220 Tutti andarne alla mensa. E la lor gioia
- Per la festa regai non tacque mai,
- Fin che non venne l’undicesmo giorno.
- Avventura quattordicesima
- In che modo le regine fecero contesa
- Un dì, prima del vespro, alto levossi
- Un fragor quale accadde per alquanti
- Prodi nel regio ostello. Armeggiamenti
- Di cavalieri ei fean, di sollazzarsi
- 5 Nella speranza, ed a mirarli corsero
- Uomini molti assai e donne ancora.
- Anche là si assidean le due possenti
- Regine insieme, ad ambo i lor guerrieri
- Pensando, degni di gran lode, e alfine
- 10 Kriemhilde bella così disse: Un uomo
- Le rispondea. Se niun vivesse in terra,
- Lui sol togliendo e te, potriano allora
- Essergli i regni sottomessi. Intanto
- Che re Gunthero vive, in niuna guisa
- 15 Può cotesto accader. — Disse Kriemhilde:
- Vedi tu com’ei sta, dinanzi a’ prodi
- Com’egli vien da gran signore in quella
- Guisa che fa dinanzi a l’altre stelle
- Bianca la luna? Ora degg’io, con molta
- 20 Ragione inver, portarne alto concetto.
- Per quanto ei sia leggiadro, rispondea
- Donna Brünhilde allor, per quanto bello
- E valoroso, innanzi a lui pur sempre
- Lasciar tu dêi Gunthèr guerriero, il tuo
- 25 Nobil fratello. Intendi tu ch’ei puote
- Ir veramente a tutti i prenci innanzi.
- Ma Kriemhilde dicea: Tanto gli è degno
- Sifrido mio, che non senza ragione
- Io fei sue laudi. In molte cose assai
- 30 È grande l’onor suo. Credi, Brünhilde;
- A Gunthero egli è ugual. — Deh! che non dêi
- Intendermi così, Kriemhilde mia,
- Ho io cotal, che in mano sua dovrìano
- Star questi regni tutti. — Oh! come dunque
- 35 Accader ciò potrìa? donna Brünhilde
- In mala parte, chè la mia parola
- Non pronunciai senza ragione. Allora
- Che in pria li vidi1 e volontà del sire
- Piegossi all’amor mio, d’ambo cotesto
- 40 Io bene intesi asseverar. E quando
- Di cavalier con bel costume vinse
- Gunthero l’amor mio, Sifrido istesso
- Affermava del prence esser vassallo.
- Perciò vassallo anche l’estimo, ratto
- 45 Che ciò intesi da lui asseverarmi.
- Kriemhilde bella così disse allora:
- Male adunque m’accadde! Oh! come oprato
- Avrìan dunque così li miei fratelli
- Nobili e illustri, perch’io donna fossi
- 50 D’uom ch’è vassallo? Deh! Brünhilde mia,
- Amicamente di questo i’ ti priego
- Che per me sola e per atto cortese
- Questo sermon tu lasci. — E non poss’io
- Lasciarlo mai, la regal donna disse.
- 55 A che dovrei di tanti cavalieri
- Aver difetto, d’essi, che a’ servigi
- Sottomessi mi son con quel gagliardo?2
- A concepirne gran disdegno assai
- La leggiadra Kriemhilde incominciava:
- 60 E difetto di lui aver t’è forza,
- Chè alcun servigio in alcun tempo mai
- Appo a te non farà! Egli è più illustre
- Di Gunthèr fratei mio, l’uom grande
- e nobile.
- 65 Risparmiar mi dêi tu questo che intesi
- Da te soltanto; e meraviglia sempre
- Ancor mi prende, se, poi ch’egli è tuo
- Vassallo e poi che tanto su noi due
- Hai tu poter, sì a lungo abbia Sifrido
- 70 Il suo tributo ch’ei ti dee, tardato.
- Io con ragione assai la tua superbia
- Risparmiar mi vorrei. — Deh! che soverchio
- T’innalzi tu, la regal donna disse.
- Or io cotesto ben vedrò se tale
- 75 Alla persona tua onor si rende
- Quale alla mia tributan altri. — Assai
- Ambe le donne ebber sdegnoso il core.
- Donna Kriemhilde così disse allora:
- Cotesto esser potrà. Da che parlasti
- 80 Qual d’un vassallo del mio sposo, appunto
- Oggi dovranno d’ambo i re le genti
- Cotesto giudicar, s’io l’ardimento
- D’entrarmi in chiesa avrò dinanzi a donna
- Sposa di re. Oggi veder tu dêi
- 85 Ch’io mi son donna libera ed illustre,
- Che molto e più d’assai che non è il tuo,
- È il mio sposo valente; e per cotesto
- Non vo’ ch’altri mi oltraggi. E tu vedrai,
- In corte, innanzi di Borgogna ai prodi,
- 90 Questa ch’è tua vassalla. Assai più illustre
- Io vo’ mostrarmi di qualunque donna
- Regale altri vedea, che mai corona
- Qui un dì recasse. — Fra le donne invero
- Grande un odio e d’assai levossi allora.
- 95 Ma Brünhilde dicea: Se mia vassalla
- Esser non brami, separarti è d’uopo
- Con le tue donne da’ famigli miei
- Ratto che al monastero andremo noi.
- Davver! che ciò farassi! rispondea
- 100 Kriemhilde allor. — La donna di Sifrido,
- Or voi, ancelle mie, così soggiunse,
- Vestitevi! Restar la mia persona
- Senza scorno qui dee. Ciò voi dovete
- Chiaro mostrar, quando recar vi piaccia
- 105 Vesti pompose. Volentier Brünhilde
- Brami così smentir ciò che affermava.
- Agevolmente consigliar poteasi
- Questo a le ancelle. Ricercar le vesti
- Pompose, e tosto matrone e fanciulle
- 110 Ne fûro adorne. Venne allor la nobile
- Donna del sire co’ famigli suoi,
- Ma la persona di Kriemhilde bella
- Era pur anco adorna assai con tante
- Ancelle sue, quarantatre, che al Reno
- 115 Ella condusse. Elle recavan panni
- Lievi di seta oprati già in Arabia.
- Così venìan l’inclite donne intanto
- Al monastero, e da la casa innanzi
- Gli uomini tutti di Sifrido accolti
- 120 Aspettavan Kriemhilde. Ebbe la gente
- Meraviglia di ciò, perchè avvenisse
- Che le regine si vedean di tale
- Guisa disgiunte, che non ivan presso
- L’una dell’altra come in pria. — Da questo
- 125 A molti valorosi incolse poi
- Sventura orrenda. — Stavasi dinanzi
- Là dalla chiesa di Gunthèr la donna,
- E molti cavalieri ebbero intanto
- Sollazzo e gioia per femmine vaghe
- 130 Che accoglier là dovean. Donna Kriemhilde
- Giugneva allor con sua pomposa schiera.
- Quante recaron mai splendide vesti
- Figlie di cavalieri incliti e illustri,
- Eran, dinanzi a quelle ancelle sue,
- 135 Com’aura lieve, cosa lieve; ed ella
- Era così di assai pregiate cose
- E ricca e adorna, che di trenta regi
- Le spose non potrìan tanto mostrare
- Quanto mostrò Kriemhilde allor. Se alcuno
- 140 Bramar questo dovea, mirar le vesti,
- Anche affermar potea che unqua più ricche
- Vesti e pompose ei non mirò di quelle
- Che di Kriemhilde avean le donne. Speme
- Se pel duol di Brünhilde in lei non era,
- 145 La fiera donna ciò lasciato avrìa.
- Dinanzi al vasto monastero insieme
- Ambe venner le donne, e la regina,
- Per odio grande, fieramente indisse
- Di starsi cheta a Krïemhilde: Certo!
- 150 Non dee giammai dinanzi a regal donna
- La vassalla passar! — Rispose allora
- Donna Kriemhilde (e n’era il cor sdegnoso):
- Se tacer tu potevi, era il tuo meglio.
- Or danno festi a tua bella persona
- 155 Per te medesma! Come adunque sposa
- Esser potrìa di re la concubina
- D’ogn’uomo? — E chi di’ tu la concubina?
- Del re disse la donna. — Io questo dico,
- Kriemhilde rispondea. Quel tuo bel corpo
- 160 Ebbe Sifrido in pria, l’uom che m’è caro,
- Nè fu già il mio fratei ch’ebbesi primo
- La tua verginità. Dove n’andaro
- I superbi tuoi sensi? E fu davvero
- Un mal giuoco quel tuo! Come soffristi,
- 165 Poi ch’è vassallo a te, che l’amor tuo
- Sifrido avesse? — E aggiunse: Io però
- intendo
- Che senza ogni ragion di ciò ti lagni.3
- Davver! Brünhilde rispondea, che questo
- 170 A Gunthèr io dirò! — Deh! che men cale?
- La tua superbia t’ingannò; tentasti
- Di trarmi a te servir con tue parole,
- E ciò mi fia, veracemente il sappi,
- Sempiterno dolor. Non più inchinevole
- 180 Ad amarti son io, nè a darti fede.
- Pianse Brünhilde allor, nè s’indugiava
- Là Kriemhilde più a lungo. Ella, dinanzi
- Alla donna regal, con le sue ancelle
- Al monastero entrò. Deh! che levossi
- 185 Odio immane fra lor. Ne fûr dolenti
- E lagrimosi poi molt’occhi fulgidi.
- Per quanto a Dio là si compiesse il rito
- E la gente cantasse, alla regina
- Lungo soverchio parve il tempo. Affranta
- 190 Era d’assai la sua persona e l’alma
- Afflitta e mesta, e ne dovetter poi
- Molti eroi valorosi e di gran core
- Portar la pena. Con le donne sue,
- Andò Brünhilde al monastero innanzi
- 195 Ad aspettar. Pensava: Ora più assai
- Intender cose mi farà Kriemhilde,
- Perchè mai, con favella ardita e fiera,
- Me di tanto accusò. S’ella ne ha vanto,
- Ne va la vita di Sifrido. — Ed ecco
- 200 Ora venirne con alquanti prodi
- La nobile Kriemhilde; e a lei si volse
- Donna Brünhilde in questi detti: Voi
- Qui v’arrestate. Concubina osaste
- Appellarmi, e però fate ch’io ’l vegga.
- 205 A me grave dolor, tanto sappiate,
- Pel dir vostro toccò. — Rispose allora
- Donna Kriemhilde: Anche potreste il passo
- Cedermi innanzi, e farò chiaro il vero
- Per questo anello d’or ch’io reco al dito.
- 210 Mel porse un giorno il mio diletto sposo
- Dopo la notte che appo voi si giacque.
- Davver! che giorno più funesto e reo
- Brünhilde mai non visse! — Eppur soggiunse:
- Questo anel prezioso e in fulgid’oro
- 215 Tolto invero mi fu, lunga stagione
- Mi si tenne per mala opra nascosto;
- Or’io giungo a veder chi mel rapìa.
- Così venìan le donne in gran corruccio,
- E Kriemhilde dicea: Donna che ruba,
- 220 Io giammai non sarò. Meglio dovevi
- Tu serbarne silenzio, ove l’onore
- Stato caro ti fosse. Io vo’ mostrarti
- Che non mentii, con questo cinto istesso
- Ch’ho a’ fianchi attorno. E fu davver
- 225 l’amante
- Di te Sifrido mio. — Ella recava
- Quel cinto che di Ninive con seta
- Era intessuto in prezïose gemme,
- Chè leggiadro era inver. Come ciò vide,
- 230 A pianger cominciò donna Brünhilde;
- Oh sì! questo dovean Gunthero e gli altri
- Gagliardi tutti di Borgogna intendere!
- La regina gridò: Fate che venga
- Del Reno il prence qui. Vogl’io che intenda
- 235 Di qual foggia mi fe’ la sua sorella
- Indegno oltraggio. Apertamente disse
- Ch’io di Sifrido fui la donna un giorno.
- Giugneva il re co’ suoi gagliardi. Vide
- La sua diletta lagrimar. Deh! quanto
- 240 Amicamente ei le parlò! Mi dite,
- Donna diletta, chi vi fea cotesto.
- Al suo prence ella disse: Io corrucciosa,
- E n’ho ben donde, qui mi sto. Di tutto
- L’onor mio di gran cor la tua sirocchia
- 245 Me volle defraudar. Perciò dinanzi
- L’accuso qui. Che l’uom di lei, Sifrido,
- Ebbemi concubina, ella già disse.
- Male questo ella fea, così rispose
- Prence Gunthero. — Ma Brünhilde: Un mio
- 250 Cinto ch’io già perdetti, e l’anel mio
- Fulgido qui recò. Deh! che d’assai
- Mi fa rancura ch’io nascessi un giorno,
- Se da tanta vergogna, o signor mio,
- Non mi difendi tu. Sarà che allora
- 255 Io per sempre a te serva. — A noi ne venga
- Sifrido qui per ciò, disse Gunthero.
- S’egli di tanto si vantava, a noi
- Intender faccia, o questo a noi smentisca,
- Di Niderlànd il sire. — Ecco! a l’istante
- 260 Indetto fu che là venisse il prode,
- A Kriemhilde sì caro. Allor che scorse
- Prence Sifrido le crucciate donne,
- Poi che nulla sapea, disse repente:
- A che piangon le donne? Io volentieri
- 265 Apprenderei cotesto. Ovver, per quale
- Cagione il signor mio qui m’appellava?
- Re Gunthero dicea: Grave dolore
- È qui per me. La donna mia, Brünhilde,
- Noto fecemi qui che ti vantasti
- 270 D’averne un dì la leggiadra persona
- Goduta per amor. Disse cotesto
- La sposa tua, donna Kriemhilde. — Allora
- Disse prence Sifrido: E se tal cosa
- Ella dicea, n’avrà, pria che da tanto
- 275 Io mi ritragga, e cruccio e duol. Ma innanzi
- A tutti i prodi tuoi, col mio più grande
- Giuramento vogl’io chiaro mostrarti
- Ch’io di cotesto nulla dissi mai.
- Del Reno il prence cosi disse: A noi
- 280 Tu fa veder cotesto. E se tu avanzi
- Il giuramento e il giurar tuo s’avvera,
- Libero e sciolto d’ogni falsa accusa
- Ti lascierò. — Fu ingiunto allor che in cerchio
- Di Borgogna gli eroi si radunassero,
- 285 Superbi e fieri; e già stendea la mano
- Sifrido ardimentoso al giuramento,
- Quando il nobile re così parlava:
- Vostra grande innocenza, ecco, ben nota
- Per tal via mi si fa. Libero e sciolto
- 290 Io lascierovvi che giammai tal cosa
- Si facesse da voi quale di voi
- La mia sorella afferma. — Oh! s’ebbe gaudio,
- Sifrido rispondea, perch’ella il core
- Di Brünhilde affliggea, la donna mia,
- 295 Ciò veramente a me sarìa dolore
- Senza misura! — I buoni cavalieri
- Guardavansi l’un l’altro. E si dovrìa,
- Dicea Sifrido valoroso intanto,
- Questo a donne imparar perchè lasciassero
- 300 Lor parole oltraggiose. Alto divieto
- Fanne, Gunthero, alla tua donna, ch’io
- Alla mia donna il farò ancora. E invero
- D’atti sì tristi i’ mi vergogno assai.
- Fûr separate, al cessar di que’ detti,
- 305 Le vaghe donne, ma d’assai crucciavasi
- Brünhilde, e sì dovean pietade averne
- Di Gunthero gli amici. Ecco! venìa
- Hàgene di Tronèga. Ei s’accostava
- Alla signora sua, chiedea che mai
- 310 Avvenuto le fosse, or che piangente
- Ei la rinvenne. E gli narrava aperto
- Il tristo caso ella medesma. Allora
- Hàgen promise che n’avrìa la pena
- L’uom di Kriemhilde, o ch’egli stesso mai
- 315 Non avrìa gioia in sempiterno. Venne
- A quel sermone Ortwin pur anco e venne
- Gernòt, e già gli eroi4 si consigliavano
- Sul morir di Sifrido. Anche sen venne
- D’Ute nobile il figlio, Giselhero.
- 320 Ei, come udì parole, in questa guisa,
- Con fedel core ed innocente, disse:
- Voi, buoni cavalieri, oh! perchè mai
- Fate cotesto? E non merta Sifrido
- Odio sì grande inver, perch’ei ne deggia
- 325 Perder la vita. E son leggiere assai
- Le cose onde fra lor donne s’adirano.
- E dovrem noi bastardi, Hàgen dicea,
- Allevar dunque? E sarìa grande onore
- Che avrìano in ciò perfetti cavalieri!
- 330 Ma poi che troppo si vantò colui
- Per la diletta mia signora, morte
- Io vo’ piuttosto, se di lui la vita
- Non ne va in ciò. — Disse il re stesso: Nulla
- Sifrido fece a noi che anche non fosse
- 335 Cosa buona ed onrata, e dee pur l’uomo
- Lasciarlo in vita. A me, deh! che varrebbe
- Se odiassi il prode? Egli era a noi fedele
- E questo ei fea per volontà devota.
- E Ortwin da Metze valoroso: Oh! mai,
- 340 Disse, mai non potrà la sua gran forza
- Recargli aita. E se il mio re acconsente,
- Ogni gran mal farò a Sifrido. — A lui
- L’amistà disdicean senza ragione
- I gagliardi così. Ma niuno in questo
- 345 Pensiero seguitò, fuor che ad ogni ora
- A Gunthero possente Hàgen consiglio
- Ripetendo venìa, che se giacesse
- Spento Sifrido, sottomesse a lui
- Molte sarìan terre di prenci. Allora
- 350 A corrucciarsi incominciava il prode.5
- Cotesto intanto abbandonâr. Fûr visti
- A’ lor giochi guerreschi i valorosi,
- E là, dinanzi al monastero, oh! quante
- Aste forti d’eroi ruppersi intanto,
- 355 Sotto agli occhi di lei, donna a Sifrido,
- E fin dentro a le sale. Oh! ma d’assai
- Gli uomini di Gunthero andâr crucciosi!
- Disse il re: La mortale ira lasciate.
- Nacque Sifrido a noi per nostra gloria
- 360 E per l’onore. Anche in tremenda guisa
- L’uom prodigioso è forte. E s’ei di tanto
- Avrà scïenza, niuno a lui di contro
- Di restarsi ardirà. — Non ei saprallo,
- Hàgen rispose. In gran silenzio voi
- 365 Statevi intanto, ed io m’affido in tale
- Acconcia guisa di guidar secreta
- L’impresa mia, che di Brünhilde il pianto
- Cagion di duolo gli sarà. Davvero!
- Che d’Hàgen sempre nimistà egli avrassi.
- 370 Come avvenir potrìa cotesto? disse
- Prence Gunthero. — E quei dicea: Vogl’io
- Farlo intendere a voi. Apertamente
- L’alleanza a disdir, farem che vengano
- In nostra terra a noi stranieri messi,
- 375 Cui nessun qui conosce. Innanzi ai vostri
- Ospiti dite voi che voi con tanti
- Vostri guerrieri, per far guerra, lungi
- Andrete tosto. Fatto ciò, Sifrido
- V’offre l’aita sua, ed ei ne perde
- 380 Ratto la vita. Intendere vogl’io
- Di ciò modo e ragion del valoroso
- Dalla sposa medesma. — E seguitava
- Il nobil sire male in suo consiglio
- Hàgen vassallo. A ordir, pria che nessuno
- 385 Conscio ne fosse, l’alto tradimento
- I cavalieri eletti incominciaro,
- E avvenne sì che molti eroi, di due
- Donne per vano querelar, perderonsi.
- ↑ Sifrido e Gunthero.
- ↑ Sifrido.
- ↑ Dell’essere stata chiamata concubina.
- ↑ Hagen e Gunthero che avevano seguito Brünhilde; vedi più sotto.
- ↑ Gunthero.
- Note
- Avventura Quindicesima
- In che modo Sifrido fu tradito
- Alla quarta mattina, ecco, fûr visti
- A corte cavalcar trentadue prodi,
- E noto intanto si rendea che sfida
- Era cotesta al nobile signore,
- 5 Gunthèr possente. Al menzognero annunzio
- Crebbe a le donne un fiero duolo. I messi
- Ebbero vènia allor per ch’ei del sire
- Venissero al cospetto, e là diceano
- Ch’egli eran gente di Liudgero, cui
- 10 Di Sifrido la destra un dì già vinse
- E trasse poscia come ostaggio in quella
- Terra di re Gunthero. Il suo saluto
- Fe’ il prence ai messi e cenno anche
- di assidersi,
- 15 Ma un d’essi rispondea: Deh! ci lasciate,
- Sire, in piedi restar, fin che per noi
- Dicasi motto che per voi n’è ingiunto.
- Questo sappiate che di molte madri
- Nemici i figli avete voi. Liudgero
- 20 E Liudegasto l’amicizia omai
- Disdiconvi, chè molto, a questi giorni,
- E grave duol lor cagionaste. Ei vonno
- Con lor squadre venirne in questa terra.
- Contro a voi cavalcando. — Incominciava
- 25 Gunthèr, poi che ciò seppe, a corrucciarsi.
- Fu indetto allor che i falsi messaggieri
- Fosser tratti agli alberghi. Oh! di qual guisa
- Sifrido, o chi altri mai, potea guardarsi
- Da questo ch’elli ordìan? Ma tutto poi
- 30 Si volse in grave duol de’ rei medesmi!
- Segretamente con gli amici suoi
- Consigliavasi ’l re, nè gli lasciava
- Hàgene di Tronèga alcun riposo;
- E ben che molti, fidi al re, ritrarsi
- 35 Volessero da tanto, il reo consiglio
- Hàgene abbandonar non volle mai.
- E un dì Sifrido a consigliarsi accolti
- Li ritrovò, sì che principio a chiedere
- Fece l’eroe di Niderlànd: Oh! il sire
- 40 E questi amici suoi, deh! perchè vanno
- Di tal guisa crucciosi? A vendicarlo,
- Se alcun gli fece alcuna cosa, aita
- Io sempre gli darò. — Doglia ho nel core
- Per cagion grave, disse re Gunthero.
- 45 Me disfidato e Liudgero e Liudgasto
- Hanno, e venirne apertamente ei vonno
- Alla mia terra cavalcando. — In questo,
- Disse quel prode ardimentoso e fiero,
- Di Sifrido la man, per l’onor vostro,
- 50 Daravvi aita con ardor. Chè a quelli
- Eroi nemici quanto feci in pria
- Anche farò. Lor campi e lor castella,
- Pria che di là mi torni, in fiera guisa
- Diserterò. Pegno vi sia di tanto
- 55 Questo mio capo. Ma restarvi intanto
- Al vostro ostello co’ gagliardi vostri
- V’è d’uopo, e ch’io, co’ prodi miei
- che ho meco,
- Parta in arcion, mi concedete. Quanto
- 60 Io volentier servigio presti a voi,
- Vo’ addimostrarvi. Incoglierà sventura,
- Ciò sappiate, per me a chi v’è nemico.
- Oh! caro annunzio a me! come se lieto
- Di tant’aita veramente ei fosse,
- 65 Re Gunthero gridò. L’uom disleale
- Giù s’inchinò con falso core, e intanto
- Prence Sifrido questo aggiunse: Voi
- Ben lieve cura di cotesto abbiate.
- Così quelli ordinâr co’ lor sergenti
- 70 Il lor vïaggio, e fean di cotal guisa
- Perchè Sifrido co’ guerrieri suoi
- Questo intanto vedesse. E d’apprestarsi
- Fe’ cenno allor di Niderlànd ai prodi,
- E ratto di Sifrido i valorosi
- 75 Guerreschi arnesi dimandâr. Deh! voi,
- Padre mio Sigemundo, eroe Sifrido
- Incominciò, qui rimanete. Ancora,
- Se Iddio fortuna ci darà, verremo
- In brev’ora tornando in fino al Reno.
- 80 Or voi, daccanto al re, qui vi restate
- Con molta gioia. — Le bandiere avvinsero
- Qual se in punto d’andarne. E v’eran molti
- Di re Gunthero che di ciò che accadde,
- Nulla invero sapean. Molti famigli
- 85 Veder là si potean appo Sifrido,
- Quali a’ destrieri lor corazze ed elmi
- Avvincean forte. A partir da la terra
- Molti gagliardi cavalieri apprestansi.
- Hàgene di Tronèga ove Kriemhilde
- 90 Rinvenne, si recò, pregò che vènia
- Ella dèsse al partir. Già da la terra
- Egli andarne dovean. Bene m’accadde,
- Kriemhilde si dicea, per ch’io tal sposo
- M’acquistai già, che ardisce a’ miei diletti
- 95 Portar soccorso, come a’ cari miei
- Suol far Sifrido, signor mio. — Per questo,
- La regina soggiunse, anima altera
- Assumere poss’io. Ma voi frattanto
- Pensatevi a cotesto, Hàgene amico,
- 100 Diletto a me d’assai, ch’io volentieri
- A voi servigio prestai sempre e ch’io
- Astio giammai non ebbi a voi. Per tanto
- Lasciate ancor che del mio caro sposo
- Io diletto mi prenda; e s’io pur feci
- 105 Cosa a Brünhilde, egli non dee di questo
- Portar la pena. Oh! di cotesto assai,
- La nobil donna aggiunse ancora, ebb’io
- Pentimento dipoi! Questa persona
- Forte Sifrido mi picchiò. Per ch’io
- 110 Così parlai, si dols’egli nell’alma,
- E quel gagliardo valoroso e ardito
- Grave l’offesa vendicò. — Deh! voi
- Riconciliate1 a questi di ben tosto,
- Hàgen dicea, sarete! Or voi, Kriemhilde,
- 115 Amabil donna, in che poss’io giovarvi
- Pel vostro, sposo, a me chiarir dovete.
- Io volentier farò tal cosa, o donna;
- Meglio che a voi far non potrei cotesto
- Ad altri mai. — La nobil donna disse:
- 120 Senz’affanno sarei che altri potesse
- Toglier la vita a lui ne le battaglie,
- Quand’egli mai dell’ardor suo la foga
- Secondar non volesse. Allor sarìa
- Sempre sicuro l’uom gagliardo e prode.
- 125 Hàgene disse allor: Poi che temenza,
- O donna, avete voi che altri vi possa
- Ferir lo sposo, fate almen ch’io sappia
- Per quali accorgimenti io sì potrei
- E guardarlo ed assistere, chè sempre,
- 130 Per custodirlo, andando e ritornando
- Vo’ cavalcargli presso. — E quella disse:
- Tu se’ congiunto a me, son io pur anco
- Una de’ tuoi. Però, con molta fede,
- Io t’accomando il mio diletto sposo,
- 135 Perchè tu guardi a me con molta cura
- L’uom che m’è caro. — E disse cose intanto
- Che meglio era lasciar. Lo sposo mio
- È ardimentoso, ella dicea, gagliardo
- Pur anco assai. Quand’ei, vicino al monte,
- 140 Il dragone colpì, l’uom generoso
- E chiaro assai bagnavasi in quel sangue,
- E da quel dì, ne le battaglie sue,
- Nessun’arma il ferisce.2 Eppur son io
- In gran temenza quand’ei sta fra l’armi
- 145 E da la mano degli eroi continui
- Volan gli strali, ch’io mi perda allora
- L’uom che m’è caro. Deh! qual doglia grave
- Ebb’io sovente per Sifrido! Intanto,
- Con fiducioso cor, diletto amico,
- 150 Poi che tu serbi a me questa tua fede,
- Io ti dirò dove potrìa qualcuno
- L’uom diletto ferirmi. E già cotesto
- Intender ti farò; ciò per fidanza
- Da me si fa. Come pertanto scorse
- 155 Da le ferite del trafitto drago
- Il caldo sangue e il prode ardimentoso
- In quello si bagnò, caddegli un’ampia
- Foglia di tiglio assai fra le due scapule,
- Al medio punto. Là potrìa qualcuno
- 160 Ferirlo, e m’è per ciò grave l’angoscia.
- Hàgene disse di Tronèga: A lui
- Sopra le vesti piccola una croce
- Cucite voi. Chiaro per ciò mi fia
- Dove guardarlo mi sia d’uopo, allora
- 165 Che nell’assalto noi saremo. — E intanto
- Credeasi quella di far salvo il prode,
- E ciò si fea per la sua morte sola.
- Sulle vesti di lui, disse Kriemhilde,
- Io cucirò, con poca seta, appena
- 170 Visibile una croce. E là, o guerriero,
- Dovrà la destra tua di me lo sposo
- Guardar nell’ora che accadrà la pugna,
- Ratto ch’egli starà de’ suoi nemici
- Ne la battaglia a fronte. — Oh! dolce mia
- 175 Donna, rispose, i’ ben farò cotesto!
- Fede colei si avea che al suo diletto
- Giovamento era tale, e in ciò tradito
- Iva lo sposo di Kriemhilde. Prese
- Commiato Hàgene allor. Di là partìa
- 180 Lieto e contento, e a’ compagni del sire3
- Crebbe però gioioso spirto. Credo
- Che maggior tradimento unqua non fece
- Un cavalier, come d’Hàgene allora
- Tradimento venìa, da che regina
- 185 Kriemhilde si affidava alla sua fede.
- All’altro dì, gioiosamente assai
- Prence Sifrido con suoi mille prodi
- Cavalcando partìa. Credea l’offesa
- Dovess’ei vendicar dei fidi amici,
- 190 Ed Hàgen sì daccanto gli si fece
- In cavalcar, che ne mirò le vesti.
- Come scoverse il convenuto segno,
- Nascostamente due de’ suoi, che dissero
- Altra novella, egli inviò. «Doversi
- 195 (Fu detto) in pace rimaner la terra
- Di re Gunthero, averli a ciò invïati
- Liudgero presso al re.» — Deh! quanto in mala
- Voglia tomossi principe Sifrido
- Senza che vendicata egli l’offesa
- 200 Degli amici si avesse! A gran fatica
- Di Gunthero le genti indi il ritrassero,
- Ed ei ne venne al re. L’ospite regio
- A render grazie fe’ principio allora:
- Or vi compensi Iddio, Sifrido amico,
- 205 Di vostro buon voler! Perchè di tanto
- Voi volentieri fate ciò ch’io prego,
- Vi servirò per sempre in quella guisa
- Che a ragione vi debbo. Io mi confido,
- Fra tanti amici miei, in voi soltanto.
- 210 Ma poiché dell’andar fra l’armi in giostra
- Or liberi siam noi, cinghiali ed orsi
- Io cavalcando vo’ cacciar, com’io
- Soglio sovente, in Waskenwàld. — Cotesto
- Hàgene consigliò, l’uom tristo e infido.
- 215 A tutti ospiti miei questo frattanto
- Dicasi, che partir di gran mattino
- Vogliamo noi s’appresti chi ha desìo
- Di cacciar meco; e se qualcun qui brama
- Con le donne restarsi alla mia corte,
- 220 Cotesto ancor mi sarà grato. — Allora
- Che ite a la caccia voi, con regale atto
- Disse prence Sifrido, io volentieri
- Vi seguirò. Prestatemi un bracchiero
- E alquanti cani, ed io con voi nel bosco
- 225 Cavalcherò. — Nulla bramate voi
- Fuor che solo un bracchier? subitamente
- Dissegli ’l re. Quattro darovvi, allora
- Che il vogliate, a cui son ben conosciuti
- La foresta e i sentieri in che ne vanno
- 230 Le belve attorno. Ei non vorran che lungi
- Dal loco in che s’adunan cacciatori,
- Errando andiate voi. — Il nobil sire
- Appo la donna sua ne andava allora,
- E intanto al suo signore Hàgen già detto
- 235 Ebbe di quale accorgimento vincere
- L’uom gagliardo ei volea. Deh! che giammai
- Tradimento maggiore altri non fece!
- ↑ Cioè Brünhilde e Kriemhilde.
- ↑ Per questo drago, ucciso da Sifrido, vedi l’Avventura Terza e l’Introduzione al Poema.
- ↑ Il re Gunthero.
- Note
- Avventura Sedicesima
- In che modo Sifrido fu ucciso
- Gunthero ed Hàgen, valorosi e arditi,
- Con anima infedel nella foresta
- Una caccia apprestâr. Con cuspidati
- Lor giavellotti egli volean cinghiali
- 5 Cacciar, bufali ed orsi. Oh! qual potea
- Esser cosa più ardita? — In regai foggia
- Venìa con essi anche Sifrido, e molti
- Cibi di varie fogge altri con seco
- In via recava. Ad una fresca fonte
- 10 Ei la vita perdea; ciò gli ebbe ordito
- Brünhilde in pria, di re Gunthèr la donna.
- Andava allora il nobil cavaliero
- Là ’ve trovò Kriemhilde sua. Ma intanto
- Di lui, de’ suoi compagni, altri sul dorso
- 15 Ponea de’ muli un nobile da caccia
- E ricco arnese. Andarne egli voleano
- Di là dal Reno. Oh! non dovea Kriemhilde
- Maggior doglia soffrir! La sua diletta
- In bocca egli baciò. Conceda Iddio
- 20 Che salva i’ ti rivegga, o donna mia,
- E me riveggan gli occhi tuoi! Tu dêi
- Co’ tuoi dolci congiunti a questi giorni
- Intrattenerti, che restarmi a casa,
- Qui, non poss’io. — Pensò Kriemhilde allora
- 25 (E nulla osò ridir) ciò ch’ella in pria
- Ad Hàgene ebbe detto. Incominciava
- A lamentar la nobile regina
- Perch’ella mai nascesse in vita. Pianse
- Di principe Sifrido in là da modo
- 30 La nobile mogliera. Oh! vostra caccia
- Abbandonate! al forte ella dicea.
- Male sognai la notte, e come due
- Feroci verri pel selvaggio loco
- Vi cacciavano; rossi per il sangue
- 35 Del prato i fiori. E s’io piango sì forte,
- Io n’ho vera cagion. Temo d’assai
- Qualche trama funesta ove qualcuno
- Abbia offeso chi noi possa d’un odio
- Mortale perseguir. Deh! signor mio
- 40 Diletto a me, restate! Io vel consiglio
- Con tutta fede. — O mia diletta, ei disse,
- Fra giorni brevi tornerò. Nè alcuno
- Di questa gente so, che a me del core
- Porti alcun odio. I tuoi congiunti tutti
- 45 Benevoli mi son, tutti ad un grado,
- Nè da que’ prodi inver diverso affetto
- Io mi mertai. — No, no, prence Sifrido!
- Io temo il tuo perir! Male sognai
- In questa notte, e come due montagne
- 50 Su te cadean dall’alto, e come poi
- Non ti vidi mai più. Che se tu vai,
- Intima doglia ciò mi fa nel core.
- Cinse de le sue braccia la preclara
- Donna Sifrido e la bella persona
- 55 Amoroso baciolle. Ei si prendea
- Di là commiato in breve istante. Vivo
- Ella nol vide più d’allora in poi!
- Di là, per lor sollazzi, ad una fonda
- Selva andâr cavalcando, e molti prodi
- 60 Cavalieri seguìan prence Gunthero
- E i fidi suoi; ma Gernòt e Gislhero
- A casa rimanean. Di là dal Reno
- Molti corsieri andaron carchi, e pane
- E vino elli recavano a’ compagni.
- 65 Alla caccia raccolti, e carni e pesci,
- Altre provviste e varie, onde ha dovizia
- Per suo dritto un signor possente e ricco.
- E quelli intanto per la verde selva
- Loro ostelli assegnâr contro le uscite
- 70 De le fiere selvaggio, essi, aitanti
- E baldi cacciatori, or che la caccia
- Dovean guidar per un vasto spianato.
- Anche Sifrido là discese, e questo
- Fu detto al re. Da tutte parti allora
- 75 Fûr da’ compagni della caccia attorno
- Poste le guardie, e l’uomo ardito e forte
- Assai, Sifrido, così disse: Scorta
- Chi ci sarà di voi, arditi e prodi
- Guerrieri, per la selva e sopra l’orme
- 80 Delle belve selvaggie? — Oh! vogliam noi,
- Hàgene rispondea, pria separarci
- Del cominciar la caccia qui, per ch’io
- E questi che son qui, signori miei,
- Riconoscer possiam chi fia migliore
- 85 Cacciatore in cotesto andare attorno
- Per la foresta. Spartirem le genti,
- I cani spartirem; così ne vada
- Ciascun là ’ve più vuol. Chi meglio caccia,
- Grazie avrà per cotesto. — I cacciatori
- 90 L’un presso all’altro non restâr gran tempo.
- Prence Sifrido disse allor: Di cani
- Io bisogno non ho, se un bracco togli
- Qual già in tal guisa di ferino sangue
- Gusto sentìa, che de le belve i passi
- 95 Per la foresta ben conosca. — Noi,
- L’uom di Kriemhilde soggiungea, di meglio
- Così alla caccia andrem. — Si prese allora
- Bracco sagace un vecchio cacciatore,
- E in brev’ora il suo prence in loco addusse
- 100 Là ’ve trovar parecchie fiere, e quale
- Via dal suo covo si balzava, i due
- Sozi abbattean cacciando, in quella guisa
- Che oggi anche fanno cacciatori esperti.
- Ciò che il bracco scovava, ardito assai
- 105 Di sua mano abbattea prence Sifrido,
- L’eroe di Niderlànd, e il suo destriero
- Sì rapido correa, che nulla al prode
- Potea sfuggir, sì che da tutti, in quella
- Caccia, encomi ei toccò. Destro ed esperto
- 110 Egli era assai in tutte cose, e quella
- Belva che a morte egli abbattè primiera
- Con la sua mano, un forte cinghialetto
- Fu veramente, ma ben tosto poi
- Un immane leon rinvenne il prode.
- 115 Egli con l’arco sferrò un colpo, ratto
- Che il can levò la fiera. Acuto strale
- Vibravate di contro, e dietro al colpo
- Di tre balzi soltanto il leon fero
- Innanzi si movea. Grazie rendeano
- 120 A re Sifrido i suoi compagni, ed ei,
- Dopo cotesto, un bisonte ed un alce,
- E quattr’uri gagliardi ed un immane
- Cervo atterrava, rapido. Sì forte
- Portavalo dovunque il suo destriero,
- 125 Che nulla gli sfuggìa. Davver! che a stento
- Scampo s’avean da lui damme e cerbiatti!
- Ma il can sagace ritrovò un gran verro.
- Perch’ei la fuga incominciava, il sire
- Della caccia venia su l’orme sue,
- 130 S’arrestava a l’istante, e contro al prode
- Balzava il verro in gran disdegno. Allora
- Con la spada il colpìa l’uom di Kriemhilde
- (Deh! che cotesto non avrìa mai fatto,
- In sì agevole guisa, un cacciatore!),
- 135 Ed altri il cane trattenea, la belva
- Poi che Sifrido ebbe atterrata. Assai,
- Appo quei di Borgogna, conosciuta
- Fu di Sifrido la copiosa caccia.
- Diceano i cacciatori: Ove ciò sia
- 140 In piacer vostro, deh! lasciate omai,
- Prence Sifrido, incolume di queste
- Fiere una parte! Oggi ne fate voi
- Disgombro il monte e la valle pur anco.
- Il valoroso, ardito e baldo, a ridere
- 145 Incominciò. Ma d’ogni parte intorno
- S’udìan strepiti e grida. Era il fragore
- Grande così di genti e di mastini,
- Che la montagna e la foresta ancora
- Con gli echi rispondean. Venti con quattro
- 150 Mute di cani aveano allor disciolte
- I cacciatori; e molte belve intanto
- Perdere là dovean la cara vita,
- E quelli avean pensier che tanto invero
- Fatto avrìan, che in quel di sarìa lor dato
- 155 Il premio del cacciar, nè ciò avverossi
- Ratto che al loco in che la vampa ardea,1
- Venir fu visto il pro’ Sifrido. Intanto
- Era andata la caccia; anche non era
- Giunta al termine suo. Chi scender volle
- 160 Al loco de la vampa, ecco portava
- Molte con sè pelli di fiere e uccise
- Belve d’assai. Di ciò, deh! quanta copia
- Alla cucina de’ regi compagni
- Allora si recò! Ma re Gunthero
- 165 Noto fe’ intanto a’ cacciatori eletti
- Ch’ei cibarsi volea. Ratto, a l’istante,
- Dier fiato a un corno con sonante squillo,
- E per esso n’andava a tutti noto
- Che il nobile signore appo l’ostello
- 170 Rinvenir si potea de’ cacciatori.
- E di Sifrido un cacciator dicea:
- Prence, d’un corno dal sonar, che d’uopo
- È recarci a l’ostello, or ora ho inteso.
- Io risponder gli vo’. — Dietro a’ compagni,
- 175 Dando fiato ne’ corni, assai richiami
- Fecersi allor così. Noi pur la selva,
- Disse prence Sifrido, or lascieremo. —
- E il suo destrier portavaio leggiero,
- E quelli seco si partìan. Ma intanto,
- 180 Col romor ch’elli fean, tremenda assai
- Una fiera ei scovarno. Era cotesta
- Un orso di foresta, e vôlto a dietro
- Così dicea quel valoroso: I nostri
- Compagni ad un sollazzo io vo’ serbare.
- 185 Voi disciogliete i cani. Io qui mi veggo
- Un orso, ed ei di qui fino a l’ostello
- Verrà con noi. Se ratto egli non fugge,
- Da noi guardarsi ei non potrà. — Disciolti
- Furono i cani, e di là diede un balzo
- 190 L’orso feroce e tentò di raggiungerlo
- L’uom di Kriemhilde cavalcando. E quello
- Ad un loco venìa ’v’eran caduti
- Alberi antichi, e del prode avverarsi
- La voglia non potea. Là si credea
- 195 Da’ cacciatori incolume la forte
- Belva restar. Balzò dal suo destriero
- Il buono e ardito cavaliero e l’orrida
- Belva rincorse. Ma perchè indifeso
- L’orso si stava, non potea da lui
- 200 Sfuggir di tanto. A l’istante ei l’afferra,
- Senza ferir per niuna guisa rapido
- L’eroe l’avvince. Nè graffi, nè morsi,
- Nulla potean sul valoroso, ed ei
- A l’arcione il legò, poscia, leggiero
- 205 Tornando in sella, cosi ’l trasse al loco
- Del fuoco acceso, con sua molta lena,
- De’ compagni a sollazzo, ei valoroso
- E buono e ardito. Oh! come in tutta grazia
- Di prence e di signore ei cavalcava
- 210 All’ostello del bosco! Era assai grande
- Quell’asta sua, e grossa e forte, e un’arma
- Leggiadra gli scendea fino agli sproni.
- Un bel corno portava il nobil prence
- Con seco, in or, che forte luccicava.
- 215 Di miglior veste da cacciar non io
- Udii cose narrarmi, e si vedea
- Che un giustacuore egli recava attorno
- Di nera pelle e un casco in zibellino,
- Che ricco era d’assai. Deh! quanti fiocchi
- 220 Splendidi egli portava al suo turcasso!
- Sovra il turcasso, per il dolce odore,2
- Una coperta in pelle di pantera
- Indotta si vedea. Recava ancora
- Un arco, e per ingegni altri dovea
- 225 Incoccarlo, ove tendere il volesse,
- Mentre Sifrido il fea da solo. Tutta
- Era la veste sua di rilucente
- Pelle di lontra, e dal capo a le piante
- Su la pelliccia si vedean dispersi
- 230 D’altre pelli gli squarci, e sovra quella,
- D’ambe le parti al nobile maestro
- De’ cacciatori, molti risplendeano
- E vari fregi d’or. Portava ancora
- La sua Balmunga, un’ampia e bene adorna
- 235 Arma, ed ell'era di cotanto acuta,
- Che ove qualcuno a un elmo la vibrasse,
- Non si restava dal fenderlo. D’alma
- Era intanto gioiosa il cacciatore
- Nobile e vago. Ma poichè degg’io
- 240 Tutta esplicarvi questa istoria, l’inclita
- Faretra sua di valenti saette
- Colma era tutta, e avean le ghiere in oro
- Que’ dardi suoi, quanto d’un uom la destra
- Ampi nei ferri. Oh sì! morir dovea
- 245 Ratto colui che piaga ne toccava!
- Ne andava allora il nobil cavaliero
- Fiero d’assai qual cacciatore, e lui
- Miravano avanzar quei di Gunthero
- Uomini accolti. Ad incontrarlo ei corsero
- 250 E presergli il destrier. Deh! che a la sella
- E forte e grande un orso egli adducea!
- Quand’ei discese dal destrier, la bocca
- E i piedi egli sciogliea da le ritorte
- Alla belva feroce, e ratto e insieme
- 255 Alto i cani latrâr, quand’elli videro
- L’orso disciolto. E volea ricacciarsi
- La fiera al bosco, e le adunate genti
- Forte ne avean rancura. Al fiero strepito
- L’orso correa ver le cucine. Oh! quanti
- 260 Famigli intenti alla regal cucina
- Lungi balzâr dal fuoco, e rovesciârsi
- Molti caldai frattanto e andâr dispersi
- Tizzoni molti. Oh! quante ne la cenere
- Fûr viste poi giacersi inclite dapi!
- 265 Da’ lor seggi balzâr con le lor genti
- I prenci allora, e a concepir disdegno
- La fiera incominciò; ma il re fe’ cenno
- Di sciolti liberar quanti alla soga
- Erano cani, e se ciò a bene uscìa,
- 270 Avuto quei si avrìan beato un giorno.
- Con lancie ed archi non a lungo invero
- S’indugiâr quelli; essi correan veloci
- Là ’ve l’orso fuggivasi. Ma i cani
- Poich’eran molti, così niuno ardìa
- 275 Colpir con l’armi, e di grida di genti
- Tutto il monte echeggiava. Ecco, a’ segugi
- L’orso innanzi fuggiva, e niun potea,
- Fuor che l’uom di Kriemhilde, irgli da presso;
- Egli ’l raggiunse con la spada, a morte
- 280 Egli ’l colpì. Di là recâr le genti
- L’orso ancora appo il fuoco, e quei che videro
- L’opra gagliarda, asseverâr che forte
- Uomo era quello, e feasi cenno intanto
- A’ fieri sozi del cacciar d’andarne
- 285 Tosto a’ lor deschi. In dilettoso prato
- Acconciamente elli a seder fûr posti;
- Deh! quante ricche dapi a’ cacciatori
- Illustri furon date! Ecco! soverchio
- Venìan lenti i coppieri, essi, che il vino
- 290 Dovean recar, nè in miglior guisa eroi
- Ebbero mai tanti servigi. Falso
- Animo in cor s’ei non avean, difesi
- Erano i forti da ogni danno sempre!
- Prence Sifrido allor dicea: Mi prende
- 295 Meraviglia di ciò, perchè se tanta
- Provvigione s’invia dalla regale
- Cucina a noi, non portano del vino
- I coppieri. Oh, davver! se a’ cacciatori
- Miglior pensiero non si dà, compagno
- 300 Non sarò più a cacciar con voi. D’assai
- Degno son io che alcun di me si curi.
- Con mente falsa dal suo desco allora
- Il re gli disse: Poi che abbiam disagio,
- D’uopo è che a voi si faccia volentieri
- 305 Dovuta ammenda. Ciò avvenìa per colpa
- D’Hàgen soltanto. Ei volentier ci lascia
- Qui di sete morire. — Hàgene allora
- Di Tronèga dicea: Dolce mio sire,
- Io mi credea che oggi dovea la caccia
- 310 Ire in Spehtsharte, e il vino io là mandai.
- Se oggi sarem senza bevanda, oh! quanto
- Ad altra volta eviterò cotesto!
- Disse prence Sifrido: Oh! per cotesto
- Grazie da me voi non avrete! Sette
- 315 Carchi di vin claretto e d’idromèle
- Qui recar si dovean. Che se non era
- Modo a far ciò, allogarci alcun dovea
- Là presso al Reno. — Cavalieri illustri
- E ardimentosi, di Tronèga disse
- 320 Hàgene allora, qui vicin d’assai
- Conosco un fonte d’acque fresche, in ira
- Per che andar non vogliate. Or là dovremmo
- Correr noi tutti. — Per acerba cura
- Di molti prodi inver si diè il consiglio!
- 325 Ma rancura di sete il pro’ Sifrido
- Forte crucciava, e però volle il desco
- Rimuovere più presto. Egli volea,
- Per la fontina, andarne al monte, e dato
- Sol per inganno fu dal cavaliere3
- 330 Questo consiglio. Sopra i carri allora
- Ingiunto fu di trasportar per quella
- Terra le fiere che colpite e sfatte
- Avea la mano di Sifrido, e intanto,
- Quando alcun le vedea, molte eran dette
- 335 D’onor parole a lui; ma la sua fede
- Hàgen, duro soverchio, a lui rompea.
- Poi che andarne volean là, sotto ai tigli
- Della fontana: Mi fu detto assai,
- Hàgene disse di Tronèga intanto,
- 340 Che niuno inseguir può, s’egli andar vuole,
- L’uom di Kriemhilde. Ei voglia almen
- cotesto
- Qui lasciarci veder! — Disse quel forte
- Sifrido allor di Niderlànd: Cotesto
- 345 Provar voi ben potete, ove con meco
- Sino alla fonte correre vi piaccia,
- Gareggiando con me. Ciò di tal guisa
- Facciasi, che si dia sua giusta laude
- A chi si vegga vincere la prova.
- 350 Anche di ciò farem la prova, disse
- Hàgene, inclita spada; e questo aggiunse
- Sifrido il forte: Ed io, per ciò, dinanzi
- A’ vostri piedi, sovra l’erba verde,
- Posar mi vo’.4 — Come cotesto udìa
- 355 Prence Gunthero, quanto dolce cosa
- Questa venne al suo cor! Ma il valoroso5
- Arditamente disse: Io più d’assai
- Anche vo’ dirvi. Le mie vesti tutte
- Vo’ con meco portar, l’asta e la targa
- 360 Insieme e del cacciar l’arnese mio.
- Rapidamente assai la sua faretra
- Egli avvinse alla spada, e quelli,6 intanto,
- Le vesti si traean dalla persona,
- E in due bianche camicie ambo vedeansi
- 365 Là rimaner. Correano poi su l’erba
- Come due fiere di selvaggia vita,
- Ma primo al fonte giungere fu visto
- Sifrido valoroso; egli toccava
- In tutte cose, innanzi agli altri tutti,
- 370 L’onor del premio. Là disciolse ratto
- La spada e là depose la faretra
- E la forte sua lancia al tronco d’uno
- Di que’ tigli appoggiò. Stava da presso
- Al zampillar de la fontana il prode,
- 375 Straniero in quella terra. Oh! ma ben grande
- Era di lui la cortesia! La targa
- Al suol depose ove scorrea la fonte,
- E ben che sete il tormentasse forte,
- L’eroe non bevve già, pria che bevuto
- 380 Non avesse Gunthero. Oh! per cotesto
- Male costui gli rese grazia poi!
- Fresca, limpida e buona era la fonte
- E Gunthèr si chinava a quel zampillo;
- Di là, poi che ne bevve, ei si rizzava,
- 385 E volentier ciò fatto avrìa pur anco
- Sifrido ardimentoso;7 egli la sua
- Cortesia pagò cara. E ferro ed arco
- Via di là gli furava Hàgene intanto
- E cacciavasi ancor là ’ve del forte
- 390 L’asta rinvenne, e sogguardava a quella
- Immagine di croce in su la veste
- Del valoroso. E poichè già bevea
- Prence Sifrido alla fontana, lui
- Di tal foggia ei colpì per quella croce,
- 395 Che d’Hàgene a le vesti, per la piaga
- Spruzzando, di quel core il sangue ascese.
- Deh! che sì gran misfatto unqua non fece
- Un valoroso! E l’asta il manigoldo
- Givi fino al cor giunger gli fea, ma poi,
- 400 Dinanzi ad uom, non volse in fuga mai
- Hàgen quaggiù sì come allora. Quando
- Si rïebbe da l’orrida sua piaga
- Prence Sifrido, si levò dal fonte,
- Egli signor, qual forsennato, e ancora
- 405 Lungo d’in fra le scapule dell’asta
- Il legno gli sporgea. Credea la spada
- E l’arco di trovar l’inclito sire,
- E allora, oh sì! toccar la ricompensa
- Hàgen potea de’ merti suoi! La spada
- 410 Poi che il ferito di profonda piaga
- Là non rinvenne e nulla fuor che l’ampio
- Giro egli avea del suo pavese, il tolse
- Dalla fontana ed Hàgene rincorse;
- Deh! che sfuggirgli l’uomo non potea
- 415 Di re Gunthèr! Ben che piagato a morte,
- Egli ’l colpì di tal vigor, che molte
- Via schiantâr dal pavese inclite gemme
- E parte d’esso anche si ruppe. Allora
- Vendicato si avrìa l’ospite illustre
- 420 Volentieri d’assai. Da quella mano
- Hàgene a terra andò, sì che al vigore
- Del fiero colpo forte risuonava
- Il loco agreste. Se alla mano avea
- Prence Sifrido la sua spada, morto
- 425 Hàgen era davver. Doleasi il forte
- Di sua ferita intanto, e già il prendea
- Veramente per essa alta rancura.
- Pallido è il suo color, nè più potea
- In piè starsi l’eroe. Già da quel corpo
- 430 Fuggìa vigor, da che i segni di morte
- Egli del viso nel color portava
- Che livido si fea. — Pianto fu poi
- Da molte donne adorne e vaghe. — Intanto
- Là, sui fiori, cadea l’uom di Kriemhilde,
- 435 E uscir fu visto dalla sua ferita
- In copia il sangue. Incominciò, chè grave
- La rancura l’astrinse, alta rampogna
- A chi la morte consigliò di lui
- Per tradimento. L’uom ferito a morte
- 440 Così dicea: Deh! voi codardi assai,
- Che mi valsero adunque i miei servigi,
- Per che ucciso m’avete? Io fui leale
- E fido a voi; perciò ne pago il fio!
- Feste gran male a’ consanguinei vostri,
- 445 E chi un dì nascerà, vergogna ed onta
- Si avrà da questo. Sulla mia persona
- Grave soverchio vendicaste voi
- Lo sdegno vostro. Discacciati un giorno
- Sarete voi da’ buoni cavalieri
- 450 Con ignominia. — Ove ei giacea ferito,
- Accorrean tutti i cavalieri intanto,
- E fu quello per lor veracemente
- Giorno scevro di gioia. Egli era pianto
- Da chi fede anche avea; di ciò era degno
- 455 Il cavalier cortese e valoroso.
- Piangeva intanto di Borgogna il sire
- Di lui la morte. Oh! dissegli il ferito,
- Non è bisogno in ciò che il grave danno
- Pianga quei che l’ordì. Merta colui
- 460 Gran vitupero, e meglio era cotesto
- Abbandonar! — Non so davver, diceva
- Hàgen feroce, a che per voi si pianga.
- Han fine insiem le nostre cure e tutti
- Li nostri affanni, e pochi d’ora in poi
- 465 Troverem che di tanto abbiano ardire
- Di resisterci in campo. E me beato!
- Da signoria di lui tutti v’ho sciolti!
- Agevolmente, disse allor Sifrido,
- Glorïarvi di ciò potete voi.
- 470 Vostra mortale intenzïon spïata
- Avess’io, chè da forte innanzi a voi
- Difesa avrei questa mia vita! Eppure
- Non mi accoro di ciò quanto per donna
- Kriemhilde, sposa mia. Misericordia
- 475 Abbiami Iddio perchè mi nacque un figlio,
- A cui, ne’ tardi tempi, altri cotesto
- Rimprovero farà che i suoi congiunti
- Un di lor sangue hanno ferito a morte,
- S’io ciò potessi (disse ancor Sifrido),
- 480 Pianger dovrei di ciò più giustamente.
- Pietosamente assai così parlava
- L’eroe ferito a morte: O nobil sire,
- S’anche vi piace a tal fede serbare
- Quaggiù nel mondo, deh! lasciate voi
- 485 Che a vostra grazia accomandata sia
- La sposa mia diletta. Ella di tanto
- Godasi almen perch’è sorella vostra.
- Con ogni pregio di regal signora,
- Con fè, si stette presso a voi. Oh! a lungo
- 490 Attender mi dovranno il padre mio
- E i miei fedeli! Oh! per diletto amico
- Maggiore affanno di cotesto a donna
- Giammai non si recò! — Da tutte parti
- Eran del sangue suo bagnati i fiori,
- 495 Ed ei lottava con la morte. A lungo
- Non fe’ cotesto, chè profonda assai
- La mortifera punta il lacerava,
- E l’uom gagliardo, valoroso e bello,
- Nulla più dir potè. Ratto che i prenci
- 500 Vider morto l’eroe, sovra una targa
- Che d’oro risplendea, sì l’adagiavano
- E a consiglio venìan di qual mai guisa
- Avverarsi potea che si celasse
- Ciò che Hàgen fatto avea. Diceano molti:
- 505 Male ci accadde! Ora celar v’è d’uopo
- Tutto e del pari asseverar che lui,
- L’uom di Kriemhilde, uccisero i ladroni,
- Mentr’egli andava per la selva, allora
- Che solo a caccia cavalcar volea.
- 510 Hàgene disse di Tronèga: Io solo
- Il recherò a la terra. È lieve cosa
- Per me che noto ciò si renda a lei
- Che di Brünhilde in così fiera guisa
- L’anima rattristò. Poco d’assai
- 515 Di quanto piangerà, davver! m’importa.
- ↑ Un fuoco acceso nella selva per comodo dei cacciatori e per cuocervi le vivande.
- ↑ Credevasi nel Medio-Evo che la pantera mandasse un odore molto soave.
- ↑ Hagene.
- ↑ Io starò seduto, mentre altri si spiccherà alla corsa, e ciò per dargli vantaggio e vincerlo ancora.
- ↑ Sifrido.
- ↑ Hagene e Gunthero.
- ↑ Di levarsi cioè come Gunthero. Ma non potè.
- Note
- Avventura Diciassettesima
- In che modo Kriemhilde pianse il suo sposo e come egli fu sepolto
- Elli aspettar fino alla notte e il Reno
- Indi passâr. Non si potea da eroi
- Di peggior guisa aver cacciato, e quella
- Nobile fiera che atterrâr, fu pianta
- 5 Da donne illustri poi. Scontar di tanto
- Dovetter poscia molti eroi valenti
- Dovuta pena. — D’un’audacia grande,
- D’orribile opra di vendetta, voi
- Udir dovete favellar. — Fe’ cenno
- 10 Hàgene allora di portar l’estinto
- Sifrido, nato in suol de’ Nibelunghi,
- Là da presso a le stanze ove Kriemhìlde
- Rinvenir si potea. Secretamente
- Ei fe’ appostarlo prossimo a la porta,
- 15 Perchè là il ritrovasse ella nel tempo
- Che per la messa mattutina uscìa,
- Pria che spuntasse il dì, chè ciò di rado
- Omettere solea donna Kriemhilde.
- Alto sonò, com’era consüeto,
- 20 La squilla al monastero, e molte ancelle
- Donna Kriemhilde, la leggiadra e vaga,
- Destava intanto. Volle si recasse
- Una lampada a lei con le sue vesti,
- Quando un famiglio suo di là passava
- 25 Dove Sifrido ei ritrovò. Di sangue
- Tinto egli ’l vide, e n’eran molli tutte
- Le vestimenta ancor, ned ei conobbe
- Ch’era pur quello il suo signor. La lampa
- Ei di sua man recava entro a le stanze,
- 30 Quella, per cui donna Kriemhilde s’ebbe
- Annunzio molto doloroso. Allora
- Ch’ella volea con quelle ancelle sue
- Andarne al monastero: Or v’arrestate,
- Disse il famiglio. Presso de la stanza
- 35 Si giace un cavalier colpito a morte.
- Senza modo o ragion, pietosamente
- Incominciava a piangere Kriemhilde.
- Prima che veramente ella cercasse
- S’era quello il suo sposo, alla dimanda
- 40 A pensar cominciò che Hàgen le fea,
- Di qual mai foggia egli potea guardarlo
- Da ogni periglio e questo fu primiero
- Dolor che la toccò. Così da lei
- Ogni gioia quaggiù si ripudiava
- 45 Per la morte del prode. A terra cadde
- E nulla disse, e là giacersi allora
- Altri vedea la vaghissima donna
- Senza conforto. Di Kriemhilde i lai
- Fûr di là da misura alti e dolenti,
- 50 Ch’ella in tal guisa, al tornar de la mente,
- Gridò, che n’echeggiâr le stanze tutte.
- I famigli dicean: Che dunque, un ospite
- S’egli è? — Ma il sangue da la bocca uscìa
- A lei, del core per lo schianto, ed ella:
- 55 Sifrido egli è, dicea, l’uom che m’è caro!
- Ciò consigliò Brünhilde e ciò compìa
- Hàgen per lei! — Si fe’ condur la donna
- Là dove il prode ritrovò. La bella
- Testa ne sollevò con le sue mani
- 60 Bianchissime, e di sangue anche se tinto,
- Ella ratto il conobbe. Ecco, giacca
- Miseramente assai l’eroe gagliardo
- Del suol de’ Nibelunghi, e con gran doglia
- Così gridava la regina, lei
- 65 Di cuor sì dolce: Ahimè! pel mio dolore!
- Ed è qui la sua targa e non di spada
- Ell’è forata, e tu cadesti ucciso.
- Deh! s’io saprò chi fe’ cotesto, sempre,
- Sempre di lui starò ad ordir la morte!
- 70 E piangeano e gemean tutti i famigli
- Con la lor donna cara; aspro dolore
- D’essi era questo per il nobil sire
- Che perduto elli avean. Forte davvero
- Hàgen lo sdegno di Brünhilde avea
- 75 Vendicato così. La dolorosa
- Diceva intanto: Di qui andar dovete
- Di Sifrido a destar subitamente
- Gli uomini tutti. A Sigemundo ancora
- Il dolor mio direte voi, s’ei pure
- 80 Vuol darmi aita a piangere del prode
- Suo Sifrido la morte. — Andava il messo
- Rapido là 've gli uomini rinvenne
- Giacersi, di Sifrido i valorosi,
- Del suol de’ Nibelunghi. Egli lor gioia
- 85 Così togliea col tristissimo annunzio,
- E quelli non volean, fin che s’udirò
- Pianti e lamenti, dargli fede. Ancora
- Andava il messo concitato al loco
- Ove il sire giacea. Non anche il sonno
- 90 Principe Sigemundo aveasi preso,
- Ch’io credo che il suo cor gli predicesse
- Ciò che gli accadde. Ei non dovea più mai
- Vivo mirar quel figlio suo diletto.
- Su, vi destate, prence Sigemundo!
- 95 Volle Kriemhilde donna mia ch’io tosto
- Qui venissi per voi. Le è dato affanno
- Quale a voi pur, dinanzi ad ogni doglia,
- Al core scenderà. Ciò v’è ben d’uopo
- Aitar altri a piangere, chè voi
- 100 Tocca vicino assai. — Rizzossi allora
- Sigmundo e disse: Che son mai gli affanni
- Di Kriemhilde leggiadra, onde tu meco
- Parola festi? — E il messaggier rispose
- Col pianto: Oh! non poss’io questo celarvi!
- 105 Certo che ucciso è il re di Niderlande,
- Sifrido ardimentoso! — Oh! lascia, lascia
- Questo gioco, dicea prence Sigmundo;
- Lascia pel cenno mio queste novelle
- Triste cotanto, per che voi diciate
- 110 Ad alcun ch’egli è ucciso. Io penso e credo
- Che cessar non potrei, fino alla morte,
- Di piangerlo. — Se a me, per quel che a dire
- M’udite qui, voi creder non volete,
- V’è d’uopo udir, voi stessi, di Sifrido
- 115 Pianger la morte Kriemhilde e con lei
- I famigliari tutti. — Alto sgomento
- Sigemundo n’avea. Di ciò il toccava
- Alta rancura, e tosto dal suo letto
- Egli balzò con cento de’ suoi fidi.
- 120 Questi in man si togliean le lunghe e acute
- Armi rapidamente e dietro a’ pianti
- Correan con molla doglia. Anche venièno
- Mille guerrieri, gli uomini fidati
- Del pro’ Sifrido. Alcuni allor, che piangere
- 125 Udîr le donne di sì fiera guisa,
- Pensâr ch’elli dovean pigliar le vesti.
- Ma non potean, per l’improvvisa doglia,
- Lor mente governar. Grave d’assai
- Era discesa in core a lor l’ambascia.
- 130 Re Sigemundo là ne andava intanto
- Ove Kriemhilde ritrovò. Dicea:
- Ahimè! per tal vïaggio in questa terra!
- E chi mai di tal guisa orrida e fera,
- Presso d’amici buoni tanto, voi
- 135 Orbar potè del vostro dolce sposo
- E me del figlio mio? — Deh! s’io potessi
- Conoscerlo, dicea l’inclita donna,
- Nè di persona, nè di cor più mai
- Benigna gli sarei! Tale un affanno
- 140 Io gli ordirei, che piangerne per sempre
- Dovrìan gli amici suoi per mia cagione!
- Re Sigemundo in braccio si togliea
- L’estinto prence, e così grande allora
- Fu degli amici suoi la doglia acerba,
- 145 Che al fiero lamentar stanza e palagio
- E di Worms la città pure a l’intorno
- Di quel pianto echeggiava. Oh! ma nessuno
- Consolar di Sifrido la dolente
- Sposa potea! Fuor da le vesti intanto
- 150 Altri del sire la bella persona
- Poi ch’ebbe tolta, ne lavò le piaghe
- E l’adagiò sovra un ferètro; e quello
- Di gran pianto fu doglia alle sue genti.
- Dissero allora que’ gagliardi suoi
- 155 Del suol de’ Nibelunghi: Ecco, lui sempre
- Vendicherà con ferma volontate
- La nostra mano. Chi ciò fea, si cela
- In questo borgo. — E correvano a l’armi
- Gli uomini tutti di Sifrido. Vennero
- 160 I prodi eletti con pavesi, ed erano
- E mille e cento eroi. Prence Sigmundo
- Aveano a capo di lor schiera, ed ei
- Volea di gran desìo punir la morte
- Del figlio suo; di ciò debito vero
- 165 Forte il toccava. Ma di quelli alcuno
- Anche non conoscea contro chi mai
- Dovea starsi pugnando e se cotesto
- Ei far dovean contro Gunthero e contro
- Gli uomini suoi, che principe Sifrido
- 170 Con essi a caccia cavalcò. Li vide
- Kriemhilde in armi, e ciò le fu dolore
- Grave d’assai. Ben che fiera la doglia
- E grave fosse la rancura, forte
- Ella temea de’ Nibelunghi suoi,
- 175 Del fratel suo per gli uomini, la morte,
- E in mezzo venne ad impedir. Con dolci
- Parole gli ammonìa sì come fanno
- I dolci amici ai loro amici. Disse
- La donna ricca di sventure: O mio
- 180 Signore Sigemundo, a qual mai cosa
- Volete voi per mano? E non è il vero
- A voi ben noto. Principe Gunthero
- Ha molti prodi valorosi, e tutti
- Vi perderete voi se con cotesti
- 185 Gagliardi e fieri contrastar bramate.
- Era in essi desìo della battaglia,
- Mentre alzavan gli scudi. Oh! ma pregava
- La nobile regina, anche ingiugnea
- Che dovesser cotesto i valorosi
- 190 Prodi evitar; perchè lasciar l’impresa
- Ei non volean, ciò fu dolor per lei
- Vero, ch’ella dicea: Prence Sigmundo.
- Tal disegno lasciate in fin che meglio
- Ciò convengasi a noi. Soltanto allora
- 195 Vendicherò con voi lo sposo mio,
- Per sempre. E se di tanto io sarò certa,
- A chi a me lo rapì, d’alta rovina
- Io cagione sarò. Qui, presso al Reno,
- Molto v’ha di spavaldo, e non vogl’io
- 200 Consigliarvi per ciò scontri e battaglie.
- Contro un solo di noi trenta gagliardi
- Hanno costoro. Faccia Iddio che tale,
- Quale mertâr, tocchino il fine! Intanto
- Voi restar qui dovete e qui con meco
- 205 Quest’angoscia portar. Tosto che aggiorni,
- Voi, cortesi campioni, il mio diletto
- Sposo a por m’aitate in sepoltura. —
- Ciò sarà fatto, rispondean gli eroi.
- Non potrìa dirvi alcuno interamente
- 210 Meraviglia di ciò, di qual mai guisa
- Udîrsi allora cavalieri e donne
- Piangere e lagrimar, sì che la gente
- Ebbe sentor di lamenti e di lai
- Anche per la città. Venìan correndo
- 215 I cittadini illustri. Ei con gli estrani
- Piangean, chè forte era di lor l’angoscia,
- E niuno intanto lor dicea ragioni
- Di Sifrido, perchè perder sua vita
- Dovesse il nobil prence. Anche il piangeano
- 220 De’ buoni cittadini insiem le spose
- Con quelle ancelle di Kriemhilde. Intanto
- A’ fabbri s’indicea d’accorrer tosto,
- D’oro e d’argento, molto forte e grande,
- Un’arca ad apprestar. Forti cerniere
- 225 D’acciaio ch’era buono, anche s’indissero,
- E l’alma intanto de le accolte genti
- Era di tanto dolorosa e mesta.
- Passata era la notte e si dicea
- Che fra poco aggiornava. Al monastero
- 230 La nobil donna di recar fe’ cenno
- Prence Sifrido, l’uom diletto assai.
- Deh! che fûr visti accorrere piangenti
- Quanti amici egli avea! Come portato
- L’ebbero al monastero, ecco che assai
- 235 Sonâr campane, e d’ogni parte udìrsi
- Molti preti cantar. Venne pur anco
- Co’ suoi gagliardi re Gunthero, ancora
- Hàgen feroce a tanto affanno corse.
- Disse Gunthero: Dolce mia sorella,
- 240 Oh! qual dolore il tuo, perchè noi tutti
- Evitar non potemmo il grave danno!
- Sempre, deh! sempre piangeremo noi
- Di Sifrido la vita! — E ciò voi fate
- Senza ragion, dicea la dolorosa.
- 245 Che s’era in voi dolor di tanto, tanto
- Accader non potea. Voi m’oblïaste
- (Questo affermar degg’io), quand’io
- per sempre
- Fui separata dal mio dolce sposo.
- 250 Dio volesse (Kriemhilde soggiungea)
- Che ciò a me fosse fatto! — E lor menzogna
- Forte quei sostenean. Kriemhilde allora
- Incominciò: Quale di voi si estima
- Scevro di colpa, ciò veder ne faccia.
- 255 Egli innanzi a la gente e presso all’arca
- Vada, perchè ciascun per via spedita
- Intenda ratto il vero. — Un gran prodigio
- È questo, e ben sovente accade ancora
- Che ove qualcuno appo l’estinto vegga
- 260 L’omicida, fan sangue le ferite.
- Anche allora ciò avvenne, e però vista
- Fu in Hàgene la colpa. Assai di sangue
- Mandâr le piaghe più che in pria non fêro,
- E più grande fu il duol di chi piangea
- 265 Sì forte in pria. Ma re Gunthero disse:
- Io vo’ che questo voi sappiate. Lui
- Hanno ucciso ladroni, e ciò non fece
- Hàgene mai. — Ben noti, ella dicea,
- Sono a me que’ ladroni. Oh! voglia Iddio
- 270 Ciò vendicar, ciò vendichi la destra
- De’ suoi amici. O Hàgene e Gunthero,
- Questo faceste voi! — Fiero un desìo
- Avean di pugna i forti di Sifrido,
- Ma Kriemhilde dicea: Di ciò con meco
- 275 Avete voi necessità. — Sen vennero
- Là ’ve trovar l’estinto, ambo cotesti,
- Gernòt, fratello di Kriemhilde, e ancora
- Giselhèr giovinetto. Ei veramente
- Piangean con gli altri il prode, elli nell’intimo
- 280 Piangean l’uom di Kriemhilde. Ora la messa
- Dovea cantarsi, e d’ogni parte intorno
- Corsero al monastero e donne e infanti
- Ed uomini con essi; anche chi poco
- Avea danno in cotesto, il pro’ Sifrido
- 285 Allor piangeva, e Gernòt e Gislhero
- Così dicean: Sorella mia, se questo
- Esser debbo così, dopo la morte
- Di lui ti racconsola, e noi di tanto
- Vendicarti vogliam per tutto il tempo
- 290 Che vivrem noi. — Ma niuno il suo conforto,
- In tutto il mondo, render le potea.
- A mezzodì fu l’arca preparata,
- E tosto da la bara ove giacca,
- Egli fu tolto. E non volea la donna
- 295 Lasciarlo seppellir, sì che gran doglia
- Di tanto aver dovean le genti tutte.
- Ma, poscia, avvolto in ricchissimo drappo
- Fa il prence estinto. Credo che nessuno
- Là si trovò che non piangesse. Ancora
- 300 Ute piangea di cuore, inclita donna,
- E tutti insieme i famigliari suoi
- Piangean con lei quella persona bella.
- Come si udì che là, dal monastero,
- Cantavasi e che il prode iva rinchiuso
- 305 Entro quell’arca, un affollar di genti
- Si fece tosto. Oh! quante, per suffragio
- Dell’alma sua, portârsi offerte! Egli ebbe,
- Oltre a’nemici, buoni amici assai.
- E Kriemhilde tapina a le sue ancelle
- 310 Così dicea: Quei che a lo sposo mio
- Aveano amore e sono a me benigni,
- Dènno rancura sopportar per questo
- Amor di me. Per l’alma di Sifrido,
- L’oro di lui dividasi frattanto!
- 315 Se v’era alcun fanciullo, anche piccino,
- Che intendimento aver potea, venirne
- Eragli d’uopo a far l’offerta. Oh! prima
- Che fosse il prode in sepoltura, assai
- Più che cento cantavansi in quel giorno
- 320 Messe per lui. Assembramento grande
- D’amici v’era di Sifrido. Allora
- Che fu cantato, si levò la gente
- Di là d’un tratto, e così disse donna
- Kriemhilde:In questa notte, oh!
- 325 non lasciatemi
- Da sola qui vegliar quest’uomo eletto
- E valoroso. È posta ogni mia gioia
- Nella persona sua. Vogl’io ch’ei resti
- Qui tre notti e tre giorni, ond’io mi sazi
- 330 Di contemplar lo sposo mio diletto
- A me cotanto. E vorrà Iddio che morte
- Me ancor si prenda, e finirà ogni doglia
- Di me Kriemhilde poveretti allora!
- La gente di città si ritornava
- 335 Alle sue case, ma volea colei
- Che sacerdoti e monaci restassero
- Co’ famigliari suoi, perch’ella intanto
- Cura si avesse dell’eroe. Ben trista
- Ebber la notte e fastidioso assai
- 340 Il dì con essa, chè a quel loco molti,
- Senza mangiare e senza ber, si stettero.
- Eppure, altri fe’ noto a chi volea
- Prendersi cibo, che in gran copia dato
- Altri gli avrìa, che questa di Sigmundo
- 345 Era la cura. Gran travaglio intanto
- Ai Nibelunghi si fe’ noto allora.
- Per quello spazio di tre dì, cotesto
- Così udimmo narrar, quanti sapeano
- Canti da chiesa, molte a sopportare
- 350 Avean fatiche; oh! quante a lor si diêro
- Copiose offerte! E ricco divenìa
- In bastante misura ognun che assai
- Era meschino, e quanti si rinvennero
- Poverelli a l’intorno, essi che nullo
- 355 Avean possesso, altri chiamò al divino
- Sacrifizio con l’or che si ritrasse
- Del morto sire dal tesoro. Vivere
- Di più non gli è concesso, e però intorno
- Molti fûr dati per l’anima sua
- 360 Marchi a migliaia. Ancora, in quella terra,
- Di campi concedea la nobil donna
- I proventi e spartìa là ’v’eran genti
- Povere e monasteri. Anche danari
- E di vesti gran copia a’ poverelli
- 365 Data fu in dono. Ella così mostrava,
- Chiaro mostrava che al diletto sposo
- Fido pensier serbò. Ma nel mattino
- Che fu terzo, e nel tempo che si cantano
- Messe, dinanzi al monaster, di genti
- 370 Di quella terra che piangeano assai,
- L’ampio sacrato si fe’ pieno. A lui
- Così servìan, dopo la morte sua,
- Come suol farsi per diletti amici.
- Ne’ quattro giorni, così allor fu detto,
- 375 A’ poverelli, per l’alma di lui,
- Marchi fûr dati, e forse più d’assai,
- A trentamila, e la sua gran beltade
- E la persona là giaceasi in terra
- Qual spregevole cosa. Allor che a Dio
- 380 Fu servito e compiessi ogni cantare,
- Con immenso dolor là s’affollava
- Molto popolo intorno; e si fe’ cenno
- Di portar ne la fossa il prence estinto
- Fuori del monastero, e chi da lui
- 385 Non volentier si separava, a piangere
- E a lamentar fu visto. Alto gemendo
- Il popolo n’andava appo l’estinto,
- E niuno inver, non uom, non donna, allegro
- Là si mostrò. Fu letto e fu cantato
- 390 Pria che quel forte in sepoltura andasse;
- Oh! quanti a quell’avello erano intorno
- Buoni cherci affollati! Or, pria che giungere
- Di Sifrido la donna a quella tomba
- Così potesse, con sì gran dolore
- 395 Ebbe a lottar quel corpo suo fedele,
- Che del fonte più volte a lei sul viso
- Furon l’acque spruzzate. Era ben forte,
- Grande soverchio, quell’angoscia sua,
- E alto prodigio fu davver che i sensi
- 400 Potesse ricovrar. Molte là presso
- Erano ancelle sue, piangenti e triste,
- E la regina così disse: Voi,
- Uomini di Sifrido, a me dovete
- Sola una grazia per la fede vostra!
- 405 Deh! concedete che piccola gioia
- Dopo il mio duol mi tocchi, ond’io quel suo
- Leggiadro capo anche una volta miri!
- Sì lungamente ella pregò con forte
- Sentimento di duol, che la pomposa
- 410 Arca infranger fu d’uopo, e là fu addotta
- Ove giacente il ritrovò costei,
- Sua sposa, che levò fra le bianchissime
- Mani quel capo sì leggiadro. Un bacio
- Ella diè ancora al nobil cavaliero,
- 415 Morto così. Que’ fulgid’occhi suoi
- Piansero per dolor stille di sangue.
- Ma doloroso il separarsi avvenne.
- Altri di là via la condusse, ed ella
- Camminar non potea; priva di sensi
- 420 L’inclita donna fu veduta, e a morte
- Parea ceder dovesse in tant’angoscia
- Quell’avvenente sua persona. Ratto
- Che fu sepolto il nobil sire, chiaro
- Si vide allora immenso duol menarne
- 425 Quanti de’ Nibelunghi eran venuti
- Dalla terra con lui. Ma Sigemundo
- Raro davver fu scorto andar gioioso;
- Anche fra quelli, per tre lunghi giorni,
- Alcuni, per la doglia acerba e grave,
- 430 Non bevvero o cibâr. Di questa guisa
- Scordar del corpo non potean la cura
- Sempre, e nutrirsi poi di qualche cibo
- Con nuovo amor, come sovente accade.
- Avventura Diciottesima
- In che modo Sigemundo ritornò al suo paese
- Di Kriemhilde lo suocero sen venne
- Là ’ve incontrolla. Ei disse a la regina:
- Noi torneremo in nostra terra. Credo
- Che ospiti disamati qui siam noi
- 5 Presso al Reno. Venite, o donna assai
- Cara, Kriemhilde, al mio paese. Un core
- Sleal poi che ci rese in questa terra
- Orbi del vostro inclito sposo, a voi
- Portar la pena anche non tocca. E voglio
- 10 Per quella vita del mio dolce figlio
- Esser fedele a voi. Su ciò v’è d’uopo
- Andar di dubbio sciolta. E la possanza
- Tutta avrete pur anco, o donna mia,
- Qual vi diè già Sifrido, ardita spada,
- 15 La corona e la terra a noi soggette;
- E volentieri serviranno a voi
- Gli uomini di Sifrido. — Ingiunto allora
- Fu a’ famigliari ch’ei partir doveano,
- E grande si fe’ un correre d’assai
- 20 A’ palafreni, chè dolor per quelli
- Era abitar presso i nemici forti
- E truculenti. A donne ed a fanciulle
- Anche fu indetto di cercar lor vesti
- Per vïaggiar. Poi che di là partirsi
- 25 Volea re Sigemundo, incominciaro
- Donna Kriemhilde a supplicar li suoi
- Congiunti, al fianco della madre sua
- Per ch’ella si restasse. E rispondea
- L’inclita donna: Egli avverrà cotesto
- 30 Difficilmente assai! Quello, per cui
- A me povera donna incolse tanto
- Aspro dolor, come potrei con questi
- Occhi sempre veder? — Dolce mia suora
- Disse Gislhero giovinetto, accanto
- 35 Alla tua madre rimaner tu dêi
- Per la tua fede. E non t’è d’uopo a quelli
- Che t’han fatto dolor, l’anima tua
- Han conturbata, dimandar servigi.
- Di mia ricchezza vivrai tu. — Cotesto
- 40 Avvenir non potrà, disse colei
- Al cavaliero. S’io veder dovessi
- Hàgene ancora, mi morrei d’affanno.
- Dolce sorella mia, sciolta di tanto
- Io ti farò. Presso al fratello tuo,
- 45 Giselliero, tu resta. Io de la morte
- Dell’uomo tuo vo’ consolarti. — E quella,
- Poverella di Dio, così rispose:
- Di Kriemhilde è cotesto alto bisogno!
- Poichè, con tal bontà, sì la pregava
- 50 Il giovinetto, Ute e Gernòt e quelli
- Suoi congiunti fedeli incominciaro
- A supplicar. Ch’ella restasse ancora,
- Pregavan essi; e niun congiunto invero
- Di Sifrido tra i prodi ella si avea.
- 55 Gernòt così dicea: Tutti là sono
- Stranieri a voi, nè tanto vive alcuno,
- Anche se forte, che non giaccia estinto.
- Pensate a ciò, sorella cara, e il vostro
- Animo consolate. Appo gli amici
- 60 Restatevi, e cotesto fia per voi
- Benefizio verace. — Ella a Gislhero,
- Che restarsi volea, promise allora.
- Di Sigemundo agli uomini i destrieri
- Già sono addotti, chè partirsi ei vônno
- 65 De’ Nibelunghi per la terra; ancora
- De’ cavalieri vanno ammonticchiate
- Su le some le vesti. Innanzi venne
- Là da Kriemhilde principe Sigmundo
- E così le parlò: Presso a’ cavalli
- 70 Di Sifrido la gente aspetta voi!
- Noi di qui partirem, chè assai di mala
- Voglia presso i Burgundi io fo dimora.
- Disse donna Kriemhilde: A me consigliano
- Gli amici miei, quelli che ho qui fedeli,
- 75 Ch’io con essi qui resti. Io, nella terra
- De’ Nibelunghi, non ho alcun congiunto.
- Dolor fu questo per Sigmundo, allora
- Che ciò scorse in Kriemhilde. Oh! non lasciate
- Che altri ciò dica, disse il nobil prence.
- 80 Dinanzi a’ miei congiunti il dïadema
- Con tal possanza quale usaste in pria,
- Voi porterete in capo, e già non vuolsi
- Che, se qui noi l’eroe perdemmo, a voi
- Tocchi averne la pena. Anche pel vostro
- 85 Picciolo infante ritornar con noi
- Piacciavi, quale non potete, o donna,
- Orfanello lasciar. Come cresciuto
- Sarà quel figlio vostro, egli dell’alma
- Conforto vi darà. Fino a quel giorno
- 90 Molti guerrieri serviranno a voi,
- Arditi e buoni. — Principe Sigmundo,
- Ella dicea, di qui partir non deggio.
- Io qui mi resterò, qualunque cosa
- Avvenir possa, appo i congiunti miei,
- 95 Che a piangere così daranmi aita. 1
- A’ buoni cavalieri incominciava
- Cotesto annunzio a dispiacer. Diceano
- Ei tutti insieme: Or sì, che possiam noi
- Questo affermar che ci accadde rancura
- 100 Di tutt’altre più grave, or che restarvi
- Qui disïate coi nemici nostri.
- Nessun gucrrier per tanto affanno mai
- Di re alle corti vïaggiò! — Partirvi,
- A Dio fidati e senza affanno o cura,
- 105 Voi sì potete. Buona scorta intanto
- Di qui vi si darà fino alla terra
- Di Sigemundo, e sì farò che altrui
- Ben vi protegga. Accomandato a voi,
- Per vostra grazia, o nobili guerrieri,
- 110 È il mio caro bambino. — Allor che udiro
- Ch’ella andar non volea, piansero tutti
- Gli uomini di Sigmundo. Oh! Sigemundo
- Con qual giusto dolor si separava
- Da regina Kriemhilde! Angoscia vera
- 115 Nota allor gli si fe’. Deh! sciagurata
- Festa! gridò l’inclito sire. Mai
- Non accade in tripudi o passatempi,
- Quanto ei accadde, a principe od a’ suoi
- Regi cognati! Appo i Burgundi alcuno
- 120 Mai più non mi vedrà. — Dissero allora
- Apertamente di Sifrido i prodi:
- A questa terra avverarsi potrìa
- Il vïaggio per noi, tosto che il reo
- Veramente ritrovisi per noi
- 125 Che il sire ci uccidea. Fra’ lor congiunti,
- Forti nemici avranno i tristi e assai!
- Baciò Kriemhilde Sigemundo. Oh! quanto
- Pietosamente ei favellò, restarsi
- Poi ch’essa volle, ed ei ciò vide ancora
- 130 Veracemente! A casa, egli dicea,
- In nostra terra, cavalcando andremo,
- Senza conforto. Qui soltanto in pria
- Ogni mia doglia mi fu nota. — Andaro
- Da Worms al Reno senza scorta. Andarne
- 135 Sicuri elli potean dell’alme loro,
- Anche sorpresi in un nemico assalto,
- Chè bastava de’ forti Nibelunghi
- A difender la mano. Ei da nessuno
- Prendean commiato, e furon visti intanto
- 140 Venir con molto affetto a Sigemundo
- E Gernòt e Gislhero. Il danno suo
- Era dolor per essi, e questi eroi,
- Magnanimi e cortesi, apertamente
- Il mostravan da l’intimo. Con dolce
- 145 Atto dicea prence Gernòt: Iddio
- Ben sa dal ciel che colpa non ebb’io
- Di Sifrido alla morte, ove ridirmi
- Udito avessi chi nemico gli era.
- Per giustizia degg’io piangerlo intanto.
- 150 A’ vïandanti buona scorta diede
- Gislhero giovinetto. Ei dalla terra,
- Con molta cura, principe Sigmundo
- Co’ suoi guerrieri, a casa, in Niderlande,
- Condusse. Oh! quanto pochi il vecchio sire
- 155 Là trovò de’ congiunti allegri e lieti!
- Ciò che allora accadea dirvi non posso.
- A Worms pianger s’udia Kriemhilde afflitta,
- Ad ogni istante, e niun poteale il core
- E l’alma confortar, se ciò non fea
- 160 Prence Gislhero. Buono, e a lei fedele
- Ei si serbò. Brünhilde bella in sua
- Oltracotanza, stava assisa, e allora
- Che Kriemhilde piangeva, erale questa
- Ignota cosa. A quella anche da lei
- 165 Più non fu data sua fidanza buona,
- Ma dolor, che le andò fin dentro al core,
- Donna Kriemhilde poi le cagionava.
- ↑ Nota il Bartsch a questo punto che il credere che le lagrime date dai congiunti ai morti siano assai più valevoli di quelle degli estranei, è una prova del saldo affetto di famiglia nella coscienza degli antichi Tedeschi. — Noi osserviamo che ciò andrà benissimo per i Tedeschi, ma dalla gente che ha sensi umani, come può approvarsi che Kriemhilde dica di non avere in Niderland alcun congiunto, mentre vi ha un figlio, che essa dimentica molto facilmente? — Vedi l’Introduzione al Poema.
- Note
- Avventura Diciannovesima
- In che modo il tesoro dei Nibelunghi fu trasportato a Worms
- Poi che in tal guisa vedova si fea
- Donna Kriemhilde, con le genti sue
- Conte Eckewardo appo lei si rimase
- In quella terra. Suoi servigi a lei
- 5 Ogni giorno prestava, egli la sua
- Donna regale a piangere il suo sire
- Aitava sovente. A Worms, accanto
- Al monastero, le fu eretto e cinto
- Ampio e grande un ostello, ingente e ricco,
- 10 Là ’v’ella stette ad abitar co’ suoi
- Consorti, senza gioia. E volentieri
- Alla chiesa ella andava, e ciò ella fea
- Di lieta voglia assai. Là ’ve sepolto
- Fu il suo diletto, con turbato core
- 15 Ogni tempo ne andava, e raro assai
- Ella questo lasciò. Pregava allora
- Iddio buono che l’anima accogliesse
- Del caro estinto, e pianto fu l’eroe
- Con fedel core assai. Ute e i consorti
- 20 Lei confortarno a tutte l’ore sempre,
- Ma quel cor di ferita sì profonda
- Era piagato, che recarle aita
- Nulla potea, per quanto le recasse
- Altri sue cure. Altissimo desìo
- 25 Ell’avea sempre del diletto amico,
- Quale donna giammai pel suo diletto
- Sposo non ebbe. La virtù di lei
- Manifesta vedersi in ciò potea,
- Ch’ella così, fino alla morte sua,
- 30 Fin che vita durò, Sifrido pianse. —
- Poscia costei, la donna di Sifrido
- Ardimentoso, la vendetta sua
- Con gran forza pigliò. — Ma (ciò gli è vero)
- Ella intanto tre anni si sedea,
- 35 Mezz’anno ancor, dell’uom suo per la morte
- In acerbo dolor, nè un motto solo
- A Gunthero ella disse; Hàgene ancora,
- Nemico suo, non vide essa in quel tempo.
- Hàgene di Tronèga allor dicea:
- 40 Forsechè tanto far concesso è a voi
- Che aver possiate la sorella vostra
- Ancora amica? In questa terra, allora,
- Di Nibelungo verrìa l’oro, e molto
- Lucro fareste voi, quando a noi fosse
- 45 La regina propizia. — E di cotesto
- Noi farem prova, disse re Gunthero.
- Accanto a lei si stanno i miei fratelli,
- E pregheremli noi che tanto adoprino
- Per ch’ella amica a noi si faccia, e tanto
- 50 Per noi si ottenga che di giusta voglia
- Ella veda cotesto. — Io non confido,
- Hàgene disse, che ciò avvenga mai.
- Fe’ cenno che venisse allora in corte
- Gere Margravio e Ortwino. E come tanto
- 55 Così si fea, Gernòt fu addotto e quello
- Giovinetto Gislhero, e amicamente
- Ei supplicâr donna Kriemhilde. Allora
- Disse Gernòt fra quelli di Borgogna:
- Donna, la morte di Sifrido assai
- 60 Troppo a lungo piangete. A voi desìa
- Il prence addimostrar ch’ei non l’uccise;
- Altri frattanto ad ogni tempo voi
- Piangere intende di gran doglia acerba.
- Nessuno, ella dicea, questo gli addossa.
- 65 D’Hàgen la destra lo colpì.1 Quand’ei
- Seppe da me dove potea qualcuno
- Lui di spada ferir, come potea
- Io creder questo, che persona in terra
- L’avesse in odio mai? — Deh! l’avess’io
- 70 Evitato, che mai la sua persona
- (La regina soggiunse) io non tradissi!
- Or io potrei, misera donna, il pianto.
- Abbandonar? Ma d’anima benigna
- Vêr chi ciò mi facea, non sarò mai!
- 75 Gislhero incominciò, l’uom sì avvenente,
- A supplicar, per ch’ella disse: Il prence,
- Io sì, saluterò. — Com’ella disse,
- Dinanzi a lei co’ suoi miglior congiunti
- Fu visto il re. Ma non osò dinanzi
- 80 Hàgene andare a lei. Come sapea
- La colpa sua, dolor le avrìa cotesto
- Recato inver. Poi ch’ella volse allora
- Lasciar suo cruccio contro a re Gunthero,
- Miglior consiglio ciò sarìa che lei
- 85 Hàgen baciasse; e quando angoscia tanta
- Non le venisse d’Hàgen per la frode,
- Andarne egli potea senza sgomento
- Là, di Kriemhide nel cospetto. Mai
- Conciliazion per lagrime cotante
- 90 Non si fe’ tra congiunti. Anche le fea
- Grave doglia il suo danno; eppur, con tutti,
- Tolto un sol d’essi, ella fe’ pace. Niuno,
- Se Hàgen nol fea, potea Sifrido uccidere.
- Lunga d’assai non fu stagione, e allora
- 95 Tanto ei fean, che di là, da quella terra
- De’ Nibelunghi, riscattò e condusse
- Donna Kriemhilde in fino al Reno il suo
- Tesoro ingente. Egli era il nuzïale
- Dono 2 di lei e il giusto suo possesso.
- 100 E Gislhero e Gernòt per esso andavano,
- E ad uomini ottocento indisse allora
- Donna Kriemhilde ch’ei dovean, celato
- Là ’ve si stava, togliere il tesoro,
- Qual custodia co’ suoi miglior consorti
- 105 Alberico gagliardo. Allor che quelli
- Pel tesoro fûr visti in su dal Reno
- Avvicinarsi, a que’ consorti suoi
- Saggio disse Alberico: Or, del tesoro
- Nulla confidiam noi di averci ancora,
- 110 Da che il richiede qual suo nuzïale
- Dono la nostra nobil donna. Eppure
- Ciò non sarìa giammai, disse Alberico,
- Ove perduto malamente noi
- Non avessimo, insieme al pro’ Sifrido,
- 315 La sua buona Tarnkappe; egli solea,
- Di Kriemhilde leggiadra il fido sposo,
- Recarla ad ogni tempo. Ora incoglieano
- Tristi mali a Sifrido.3 Il prode un giorno
- La Tarnkappe ci tolse, e questa terra
- 320 Tutta dovette a lui servir. — Ne andava
- Il tesorier così là’ ve rinvenne
- Le chiavi del tesor. Stettero innanzi
- Alla montagna di Kriemhilde gli uomini,
- Anche una parte de’ congiunti suoi,
- 325 E al mar fu carreggiato, al navicello,
- Il tesoro così. Traeanlo a monte
- Del Reno, sovra l’acque.4 — Ora v’è d’uopo
- Udir prodigi a raccontar per esso,
- Chè dodici carrette alto colmate,
- 330 In quattro notti e in quattro dì, dal monte
- Trasportarlo dovean. Tre volte al giorno
- D’esse ognuna tornava; e di null’altro
- Era il tesor fuor che d’auro e di gemme.
- Che se alcuno acquistato avesse il mondo
- 335 Così per esso, d’un sol inarco il pregio
- Scemar non ne potea; nè disïato
- Hàgen l’avea senza ragione. In esso
- Più disïata cosa si giacea,
- Una verghetta d’or. Chi a riconoscerla
- 340 Giugnea, sul mondo inter, sovra ciascuno
- Degli uomini quaggiù, potea signore
- Addivenir. — Ma con Gernòt andavano
- Molti congiunti d’Alberico assieme.
- Come quelli toccar l’ampio tesoro
- 345 Di re Gunthero nella terra e d’esso
- Ebbe possesso la regina intero,
- Colme d’esso ne andâr camere e torri,
- Nè si udì mai narrar, più di cotesto,
- Prodigio grande. Ma se mille volte
- 350 Stato fosse il tesoro anche maggiore,
- E stato fosse principe Sifrido
- Sano e forte al suo fianco, ivi appo lui
- Stata sarìa con vuote ambe le mani
- Donna Kriemliilde.5 Più fedele sposa
- 355 Deh che non ebbe mai prence guerriero!
- Poi che il tesoro ebbe in sua mano, addusse
- Molti in la terra cavalieri ignoti.
- Tanto donava di costei la mano,
- Che mai non vide alcun più assai di questa
- 360 Munificenza grande. Ella d’assai
- Esercitava sue virtudi, e tanto
- Affermar si potea della regina.
- A poveri ed a ricchi ella in tal guisa
- A far suoi doni incominciò, che questo
- 365 Hàgen iva dicendo: Ov’ella ancora
- Viva alcun tempo, tanti a’ suoi servigi
- Uomini condurrà, che a noi venirne
- Dovrà gran doglia. — Principe Gunthero
- Così rispose: È sua quella dovizia
- 370 E la persona. Or, di qual guisa mai
- Stornar potrei quant’ella fa? Con molto
- Stento, davvero! ebb’io ch’ella mi fosse
- Ancor di tanto amica, e non è d’uopo
- Rattristarci però, s’ella spartisce
- 375 L’argento suo con l’or. — Ma l’uomo accorto,
- Hàgene disse al re, sì gran tesoro
- Lasciar non debbe in potestà di donna,
- Ella, co’ doni suoi, fino a tal giorno
- Ci menerà, che di Borgogna i prodi
- 380 Assai di ciò si pentiranno. — Disse
- Re Gunthero: Io giurai un giuramento
- Per ch’io mai non le rechi alcuna doglia
- Ne’ di venturi, e ciò vogl’io d’assai
- Osservar di mia fede. Ella è pur sempre
- 385 La mia sorella. — Oh! ma di ciò colpevole
- Me, me lasciate, Hàgene disse, e solo!
- Così ne andâr di alcuni6 fra costoro
- Non osservati i giuramenti. Tolta
- Alla vedova donna incontanente
- 390 Fu l’ingente dovizia; Hàgen di tutte
- Le chiavi si fe’ sire, e n’ebbe sdegno,
- Come ciò seppe veramente, quello
- Fratel di lei, Gernòt. Hàgen, dicea
- Prence Gislhero intanto, alla mia suora
- 395 Dolor fe’ grande, e ciò stornar vogl’io.
- Che s’ei non fosse mio congiunto, oh! allora
- Di lui ne andrìa la vita! — Ora, la donna
- Del pro’ Sifrido rinnovò il suo pianto.
- Dicea sire Gernòt: Pria che dogliosi
- 400 Andarne sempre per quest’oro, noi
- Ingiungere dobbiam che tutto al Reno
- Ei sia gittata, onde in eterno alcuno
- Mai noi possegga. — Con gran doglia allora
- A Gislhero dinanzi, al fratel suo,
- 405 Kriemhilde stette e disse: Ora, o fratello
- Diletto a me, di me dàtti pensiero!
- Esser dêi tu di mia persona e ancora
- Di mia dovizia difensor. — Rispose
- Quegli alla donna: Come sarem noi
- 410 Cui di ritorno, si farà cotesto,
- Chè intanto abbiam di cavalcar desìo.7
- Prence Gunthero coi congiunti suoi,
- Quanti là si trovâr fra gli altri tutti
- I più prestanti, abbandonò la terra,
- 415 Tolto Hàgene soltanto. Ei restar volle
- Per l’odio che a Kriemhilde anche portava,
- E ciò egli fe’ ben volentieri. Innanzi
- Che di ritorno fosse il re possente,
- Hàgene, intanto, quello per sè tolse
- 420 Ricco tesoro e tutto presso a Loche
- Nel Reno l’affondò. Credea goderne
- Un giorno poi, nè ciò potè giammai
- Avverarsi per lui. Ma fean ritorno
- I prenci intanto con uomini seco,
- 425 Molti d’assai, e ratto incominciava
- Il suo gran danno a piangere Kriemhilde
- Con sue donne ed ancelle. Era cotesto
- Grave dolor per lei; ma Giselhero
- Con tutta fede era là pronto. Insieme
- 430 Elli dicean: Male egli ha fatto! — E quei8
- L’ira dei prenci ad evitar si pose
- Fin che lor grazia racquistò. Lasciârlo
- Incolume così. Ma più nemica
- Esser giammai non gli potè Kriemhilde.
- 435 Innanzi che Hàgen di Tronèga in questa
- Guisa il tesor celasse, egli e Gunthero
- Con forti giuramenti avean fermato
- Questo sì, che starìa quello nascosto
- Fin che un d’essi vivea. Così, spartirlo
- 440 Ei fra lor non potean, non darlo ad altri.
- Ma di nuovo dolor l’alma gravata
- Fu di Kriemhilde, per l’acerbo fato
- Dell’uom di lei, per che le avean rapita
- La sua dovizia, ancor. Pace non ebbe
- 445 Il suo lamento mai nel viver suo,
- Fino a l’estremo de’ suoi dì. Gli è il vero
- Ch’ella tredici anni ancor si visse,
- Dopo la morte di Sifrido, in molti
- E molti affanni, che scordar la morte
- 450 Mai non potè di quel gagliardo. A lui
- Fedel mai sempre si serbò, e cotesto
- Sen va concorde in affermar la gente.
- ↑ Gli del verso antecedente si riferisce a Gunthero; lo a Sifrido. Così nel testo, e ha maggior forza.
- ↑ Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert (Tacit. Germ. 18).
- ↑ La maledizione che pesa sul tesoro. Vedi l’Introduzione al Poema.
- ↑ Rimontavano il Reno.
- ↑ Avrebbe preferito la povertà con lui al tesoro senza di lui. Il Bartsch interpreta differentemente. Il verso che segue mi dà ragione. Anche Laveleye intende così.
- ↑ Di alcuni (nel testo: sumelîcher) è ironico, per dir di tutti, compreso lo stesso Gunthero che violò il giuramento. Il Laveleye non ha inteso bene.
- ↑ Non si sa il perchè; ma Hagene approfitta dell’assenza degli altri per celare il tesoro.
- ↑ Hagene.
- Note
- Avventura Ventesima
- In che modo re Etzel mandò in Borgogna per Kriemhilde
- Un tempo fu, che donna Hèlche morìa,
- E re Ètzel cercavasi all’intorno
- Un’altra sposa. Appo un’altera vedova,
- Là, ne la terra di Borgogna, quale
- 5 Donna Kriemhilde si dicea, ne andavano
- Gli amici suoi. Da che morta si giacque
- D’Hèlche leggiadra la persona, ei dissero:
- Se disïate nobil sposa, quella
- Che più illustre e migliore ebbesi mai
- 10 Un sire, questa stessa, o re, prendete.
- Era l’uom suo Sifrido valoroso.
- Disse quel re possente: Oh! come dunque
- Avvenìr ciò potria, ch’io son pagano,
- Nè battesmo ebbi mai? Fedele a Cristo
- 15 È la donna, e però non fia che mai
- Ella acconsenta a ciò. Sarìa prodigio.
- Ove cotesto si avverasse. — E quelli
- Agili rispondeano: E che, se tanto
- Forse ella fa? Pel vostro inclito nome,
- 20 Per vostra gran ricchezza, è d’uopo invero
- Che tenti alcun la nobil donna. Voi
- La leggiadra persona amarne intanto
- Di gran voglia potrete. — E il nobil sire:
- A chi fra voi, dicea, note sul Reno
- 25 Son le genti e la terra ? — E gli rispose
- Il buon Rüedgèr di Bechelara: L’inclita
- E nobile regina io già conobbi
- Nella sua infanzia. E Gernòt e Gunthero
- Conobbi, illustri cavalieri e buoni,
- 30 Il terzo ancora che Gislhèr si chiama;
- E fa d’essi ciascun quanto in begli atti
- D’onore e di virtù gli è far concesso,
- E il medesmo hanno fatto i lor maggiori.
- Ed Ètzel disse allor: Tu mi dirai,
- 35 Amico mio, s'ella dovrà in mia terra
- La corona portar. Che se leggiadra
- N’è la persona quale a me si dice,
- Nullo dolor ne avranno mai cotesti
- 40 Amici miei migliori. — Ella d’assai
- A quella sì leggiadra, e mia signora,
- Hèlche possente rassomiglia; e certo,
- Quaggiù nel mondo, d’alcun re la donna
- Esser più bella non potrìa. Colui,
- 45 Ch’ella si accoglie per amico, oh! molto
- Potrà per essa consolar sua vita!
- Ruëdgèr, la chiedi adunque, il re gli disse,
- Ov’io caro a te sia. Che se m’è dato
- Giacermi al fianco di Kriemhilde, in guisa
- 50 Miglior ch’io possa, ti darò mercede,
- Chè avrai tu veramente allor compiuta
- Ogni mia brama. Da’ tesori miei
- Dar ti farò tutto che vuoi di vesti
- E di cavalli, perchè tu e i consorti
- 55 Viver lieti possiate. Io, per cotesto
- Messaggio vostro, d’apprestar gran cose
- Cenno farò. — Se le dovizie tue
- Io disïassi, il margravio possente,
- Rüedgero, gli rispose, indegna cosa
- 60 Davver sarìa. Tuo messaggiero andarne
- Io voglio al Reno, e volentier, del mio
- Solo spendendo, quale un giorno m’ebbi
- Da queste mani tue. — Deh! quando, allora
- Disse il possente re, deh! quando mai
- 65 Andrete a quella, d’amor degna? Iddio,
- Con tutto onor, vi guardi nel vïaggio
- E guardi ancor la donna mia. Fortuna
- Tanto m’aiti, ch’ella dolce a noi
- Mostrar si deggia! — Ma dicea Rüedgero
- 70 Pria che la terra lasciam noi, ci è d’uopo
- Vesti ed armi apprestar, sì che dinanzi
- A’ prenci tutto onor sempre ci segua.
- Cinquecento vogl’io menar sul Reno
- Prodi gagliardi. Quando alcun mi vegga
- 75 E vegga i miei là fra i Burgundi, almeno
- Questo dica di te, prence, che mai
- Tanti e sì ben forniti uomini suoi
- Non mandò un sire, quanti hai tu sul Reno
- Invïati così; ciò, se cotesto,
- 80 O re possente, abbandonar non vuoi,
- Perchè Kriemhilde nel suo puro amore
- Già fu soggetta di Sigmundo al figlio,
- Prence Sifrido, quale hai tu veduto
- Un tempo qui.1 Per verità ch’è giusta,
- 85 Dar si puote a Sifrido onor ben grande!
- Re Ètzel disse allor: Se di quel forte
- Era la sposa, di tal pregio egli era,
- Il nobil prence, ch’io della regina
- Vergognarmi non deggio. Ella, davvero!
- 90 Per sua molta bellezza assai mi piace.
- Disse il margravio: Questo ancor vo’ dirvi
- Che di qui partirem, venti passati
- E quattro giorni. A Gotelinde, a quella
- Diletta donna mia, che per Kriemhilde
- 95 Io medesmo partir vo’ messaggiero,
- Ora intender farò. — Mandò Rüedgero
- A Bechelara, e trista e lieta a un tempo
- La margravia ne fu. Le annunzïava
- Che donna pel suo prence egli cercava,
- 100 E quella intanto ripensò a colei,
- Hèlche, leggiadra tanto. Allor che intese
- Di tal messaggio la margravia, parte
- Che le toccò, fu duol, sì che convenne
- Ch’ella piangesse, pensando se mai
- 105 Donna acquistata avria pari a colei
- Di prima. Ad Hèlche il suo pensier volgea,
- E ciò le dava interna doglia. Intanto
- D’Ungheria si partì ne’ sette giorni
- Rüedgero, e n’era lieto e n’era allegro
- 110 Ètzel re; poi che in Vienna altri apprestate
- Le vestimenta avea, dal suo vïaggio
- Rüedgero non potea più a lungo esimersi.
- Gotelinde attendealo in Bechelara,
- E la giovin margravia, di Rüedgero,
- 115 Essa, la figlia, volentieri il padre
- Rivide allor, rivide volentieri
- Gotelinde il suo sposo. Anche da belle
- Giovinette e fanciulle ivi si fea
- Attesa grande con amor. Ma innanzi
- 120 Che a Bechelara cavalcando il nobile
- Rüedgero, da città di Vienna uscito,
- Così venisse, acconciamente tutte
- Eran le vesti sue raccolte e pronte
- Sovra le some. Di tal guisa andavano,2
- 125 Che nulla d’esse via fu tolto. Allora
- Che a Bechelara elli in città discesero,
- Quell’ospite signor con molta grazia
- Del vïaggio alloggiar volle i compagni
- E lor grand’agio procacciò. La ricca
- 130 Gotelinde pur anco il suo signore
- Volentier vide di ritorno, e ancora
- Ciò fea la dolce figlia sua, la giovane
- Margravia. Il suo ritorno, oh! non potea
- Venirle mai più grato! E quegli eroi
- 135 Degli Unni de la terra, oh! quanto mai
- Volentieri ammirò! Con sorridente
- Bocca dicea la nobile fanciulla:
- Il benvenuto ora ci sia d’assai
- Il padre mio con le sue genti! — E allora
- 140 Da molti prodi cavalieri a gara
- Fûr rese a lei, la giovane margravia,
- Debite grazie. Gotelinde assai
- La mente conoscea del suo signore,
- Prence Rüedgero; e come accanto a lui
- 145 La notte ella giacea, deh! con qual cura
- Amorosa l’inchiese, a qual mai fine
- Il suo signor degli Unni da la terra
- Lui inviò! — Mia donna Gotelinde,
- Egli rispose, volentier cotesto
- 150 Vo’ farti noto. Or che d’Hèlche morìa
- La persona leggiadra, al mio signore
- Deggio altra sposa ricercar. Vogl’io
- Andarne al Reno per Kriemhilde, e poi
- Appo gli Unni ella sia nobil regina.
- 155 Iddio voglia cotesto e ciò ne avvenga,
- Gotelinde dicea, poi che di lei
- Tante udiamo affermar virtudi elette!
- Ne’ tardi nostri giorni, ella potrìa
- Di quella che fu a me nobil signora,
- 160 Noi risarcire. Anche potremmo noi
- Volentieri adoprar ch’ella fra gli Unni
- Porti corona. — O donna mia diletta,
- Disse il margravio, a quelli che con meco
- Cavalcar dènno fino al Reno, vostre
- 165 Dovizie con amor v’è d’uopo offrire.
- Gli eroi, come son ricchi, anima altera
- Portano ovunque. — Ed ella disse: Alcuno
- Qui non sarà, qual donativi prendasi
- Volentieri da me, cui ciò che assai
- 170 Gli si addice, io non doni, e pria che voi,
- Coi vostri tutti, di qui andiate. — E questa
- Grata cosa mi fia, disse il margravio.
- Deh! quante allora da’ tesori suoi
- Furono addotte ricche vesti! e d’esse
- 175 A’ nobili guerrier parte bastante
- Si fece. Elli n’andâr fomiti e colmi
- Dalla cervice in giù fino agli sproni.
- Quelle Rüedgero trascegliea che acconce
- Parvero al suo disegno. Egli al mattino
- 180 Che settimo seguì, da Bechelara,
- Sire del luogo co’ gagliardi suoi,
- Cavalcando partiva. Or, per la terra
- De’ Bavari le vesti egli menavano
- E l’armi ancora in copia grande, e in quello
- 185 Viaggio mai non ebber da ladroni
- Alcuno assalto. 3 Al Reno elli giugneano
- Al dodicesmo giorno, e tal novella
- Restar celata non potè. Fu detto
- A re Gunthero e agli uomini con lui
- 190 Che ospiti estrani eran venuti, e il sire
- A chieder cominciò se mai potea
- Qualcun dirgli cotesto. Anche veduti
- Fûro i giumenti portar carchi assai,
- Indi fu noto che opulenti egli erano.
- 195 Ne la vasta città, ratto fûr presti
- I loro alberghi, e com’egli v’entraro
- Ignoti assai, a’ nobili stranieri
- Attenzïon d’assai fu volta, e tutti
- Meravigliâr donde venìano al Reno
- 200 Questi gagliardi, e de la terra il sire
- Hàgen fece appellar, quand’elli mai
- Gli fosser noti. E quegli di Tronèga
- Così rispose: Ancora io non gli ho visti.
- Come avremgli veduti, io con certezza
- 205 Dir vi potrò donde son elli scesi
- A questa terra cavalcando. Assai
- Esser dènno stranieri, ov’io d’un tratto
- Ravvisarli non possa. — E fûro accolti
- Ne’ loro alberghi gli ospiti, e con vesti
- 210 Ricche d’assai ne venne coi compagni
- Il messaggiero. A corte elli venièno
- Cavalcando così; buona recavano
- E tagliata con arte ogni lor veste.
- Hàgene impetüoso allor dicea:
- 215 Per ciò che dir poss’io, da che veduti
- Non ho da lungo tempo esti signori,
- Egli hanno aspetto come se l’un d’essi
- Rüedgero fosse, il prode ardito ed inclito
- Della terra degli Unni. — Oh! disse il prence
- 220 Ratto a l’istante, come mai degg’io
- Creder cotesto, ch’ei venisse mai
- Da Bechelara in questa terra? — Allora
- Che re Gunthero ebbe compiuto il detto,
- Hàgene accorto vide4 il buon Rüedgero.
- 225 Egli e i congiunti suoi corsero fuori,
- E là fûr visti dai cavalli scendere
- Ben cinquecento cavalieri. Quelli
- De la terra degli Unni ad onor grande
- Furono accolti. Così ricche vesti
- 230 Messi non recâr mai. Hàgene allora,
- Quei di Tronèga: In Dio questi gagliardi,
- Ad alta voce disse, a noi qui sono
- I benvenuti, quei, di Bechelara
- Principe, e tutti gli uomini di lui.
- 235 Agli Unni arditi con onor cotesta
- Accoglienza si fea. Ortwin da Metze
- Disse intanto a Rüedgero: Ospiti mai
- Sì volentieri non vedemmo noi
- In tutto il tempo. E ciò pel vero affermo.
- 240 Elli a tutti gli eroi per tal saluto
- Rendeano grazie, indi, co’ lor consorti,
- Nell’aula entrâr, là ’ve con molti suoi
- Valenti e prodi ritrovarno il sire.
- Si levò il sire dal suo seggio, e questo
- 245 Si fe’ da lui per cortesia ben grande.
- Incontro al messaggier, deh! con quale atto
- Andò gentil! Con gran desìo Gunthero
- E Gernot accogliean con le sue genti
- L’ospite, in guisa che addiceasi a lui,
- 250 E il re della sua man prendea pur anco
- Il buon Rüedgero e menavalo al seggio
- Ov’ei prima assidea. Mescer fu ingiunto
- (E ciò si fe’ di voglia buona) agli ospiti
- Idromele squisito e il vin migliore
- 255 Che nella terra, là dal Reno intorno,
- Rinvenir si potè. Gere e Gislhero
- Ambo venìano intanto, e le novelle
- Udite avean degli ospiti venuti
- E Volkero e Dancwarto. Eran di lieta
- 260 Alma per tanto, e là, dinanzi al sire,
- Ai cavalieri e nobili ed onesti
- Fean le accoglienze, ed Hàgen di Tronèga
- Al suo signor così dicea: Gli è d’uopo
- Che di tanto abbian merto in lor servigi
- 265 I nostri cavalier, per che il margravio
- Tale amor ci addimostra. Egli, lo sposo
- Di Gotelinde bella, abbia per questo
- La sua mercede. — Tralasciar cotesto,
- Re Gunthero dicea, no, non poss’io.
- 270 Com’ei stanno ambedue, Ètzel ed Hèlche
- De la terra degli Unni, a me v’è d’uopo
- Narrar frattanto. — Noto a voi cotesto
- Io volentier farò, disse il margravio.
- E si levò con tutti i suoi dal seggio
- 275 E al sire favellò: Questo da noi
- Farassi, o prence, se da voi concesso
- Tanto mi fia. Nè scorderò l’annunzio
- Ch’io qui reco, ma tosto, e volentieri,
- A voi dirollo. — Disse il re: Qualunque
- 280 L’annunzio sia che altri per noi v’impose,
- Io vi concedo, senza ch’io d’amici
- Consiglio cerchi, di narrar. Deh! fate
- Udirlo a me, fate che l’odan questi
- Uomini miei, da che vogl’io che tutto
- 285 Onor vi abbiate qui. — L’esperto messo
- Così dicea: V’offre qui presso al Reno
- Fedel servigio il nobil mio signore,
- L’offre pur anco a tutti che qui avete
- Congiunti vostri. Ancor, questo messaggio
- 290 Con tutta fè per noi si compie. Voi
- Prega il nobil mio re di pianger seco
- La sua sventura. È senza gioia il suo
- Popolo intanto, e la mia donna è morta,
- Hèlche potente assai, del mio signore
- 295 La sposa, sì che molte giovinette
- Orfane diventâr, figlie di nobili
- Prenci ch’ella educò.5 Doglia d’assai
- È però in quella terra, e non v’è alcuno,
- Ahimè! che con amor de le fanciulle
- 300 Prendasi cura. Ed io mi penso ancora
- Che lento cesserà del re l’affanno.
- Lui ricompensi Iddio, disse Gunthero,
- Perch’egli a me, per ch’egli a’ miei congiunti
- Offre i servigi suoi di voglia onesta!
- 305 Quel suo saluto volentieri, intanto,
- Io qui m’ho accolto, e volentieri ancora
- Lui serviranno li congiunti miei,
- Gli uomini miei pur anco. — Allora disse
- Gernòt gagliardo, fra i Burgundi: Sempre,
- 310 D’Hèlche leggiadra per la morte, affanno
- Avrà la gente, per le varie e molte
- Virtù che in opra ella ponea. — Cotesto
- Sermone confermava Hàgene ancora,
- Illustre spada. Ma Rüedgero, il nobile,
- 315 Inclito messaggier, fe’ questi detti:
- Siami concesso, o re, ch’io pur vi dica
- Il mio prence diletto a questa corte
- Che mai vi annunzia, or che di tanto è mesta
- L’anima sua per Hèlche. Al mio signore
- 320 Detto fu già che priva del suo sposo
- Kriemhilde si restò, morto Sifrido
- Principe. Se cotesto è di tal guisa,
- Vogliate voi concedere che innanzi
- D’Ètzel ai valorosi ella si porti
- 325 Regal corona! Il signor mio tal cosa
- D’annunzïarvi indisse a me. — Rispose
- Il re possente (bene a ciò disposta
- L’anima sua): S’ella farà cotesto
- Di voglia buona, il voler mio pur anco
- 330 Ella udirà. Fra giorni tre, di tanto
- Annunzio vi darò. Pria che la prova
- Io fatto ne abbia appo Kriemhilde, questo
- Ad Ètzel ricusar come potrei?
- Ogni agio intanto agli ospiti apprestava
- 335 La gente. Di tal foggia ebber servigi,
- Che Rüedgero affermò che veri amici
- Fra gli uomini ei si avea di re Gunthero.
- Volentieri Hàgen gli servìa, chè questo
- Fatto ancora gli avea Rüedgero un tempo.
- 340 In fino al terzo dì, così rimase
- Rüedgero, e il sire (e questo ei fea da saggio)
- Per consiglio mandò se a’ suoi congiunti
- Ciò ben fatto parea ch’Etzel a sposo
- Tôr dovesse Kriemhilde. E quelli tutti
- 345 Acconsentìan, se togli Hàgen soltanto.
- A Gunthèr valoroso ei così disse:
- Mente giusta se avete, e da voi questo
- Si eviterà per che voi nol facciate
- In alcun modo, anche se tal consiglio
- 350 Ella seguir vorrà. — Deh! perchè mai,
- Disse Gunthero, io non dovrei seguirlo?
- Ciò che più grato alla regina avviene,
- Io sì davver concederò, chè mia
- Sirocchia ell’è. Se ad onor suo cotesto
- 355 Esser potrà, noi sì ’l dobbiam curare.
- Ma disse Hàgen allor: Questo sermone
- Abbandonate. Che se aveste voi,
- Quale io l’ho ancor, d’Etzel contezza,
- quando
- 360 Ella dovesse, come a dir qui ascolto,
- Prenderlo a sposo, grave cura a voi,
- Di tutte prima, incoglierebbe. — Disse
- Gunthero allor: Deh! perchè mai? Cotesto
- Io ben posso evitar, perch’io giammai
- 365 Tanto a lui m’avvicini onde alcun atto
- D’odio soffrir mi debba, anche se sposa
- Essa di lui sarà. — Cotesto io mai
- Consigliar non vorrò, Hàgen dicea.
- Per Gemòt e Gislhèr gente invïavasi
- 370 Per ch’elli anche venissero, se mai
- Ad ambo i prodi ciò parea ben fatto
- Che prendesse Kriemhilde il nobil sire
- E valoroso. Contraddisse ancora
- Hàgen, degli altri non un solo, e intanto,
- 375 Fra que’ Burgundi, Giselhèr gagliardo
- Così dicea: Con fede ora v’è d’uopo,
- Hàgen amico, oprar. D’ogni dolore
- Che voi le fêste, orsù la risarcite.
- Quel ben che tocca alla mia suora, voi
- 380 Lasciate d’osteggiar. — Da che sì grande
- Recaste angoscia alla sorella mia,
- Ghislhero aggiunse, il prode cavaliere,
- Cagione ella si avea, per che nemica
- Anche vi fosse. A niuna donna mai
- 385 Tanta felicità qualcuno tolse.
- Hàgene disse: Quel ch’io ben conosco,
- Aperto vi farò. S’ella sorvive
- Fino a quel tempo ch’Ètzel potrà togliere,
- Gran male ancora, sia qualunque il modo,
- 390 A noi ella farà, chè di lei servi
- Molti saranno e valorosi e prodi.
- Gernòt ardito ad Hàgene rispose:
- Accader ciò potrìa che, d’ambo i prenci6
- Fino alla morte, cavalcar concesso
- 395 A noi non sia più mai fino alla terra
- D’Ètzel. E noi dobbiamo alla sirocchia
- Serbarci fidi, e questa fia parvenza
- D’onor per noi. — Hàgene disse: Ninno
- Contraddir mi potrà. Se la corona
- 400 D’Hèlche portar dovrà Kriemhilde illustre,
- Ella, di guisa che le sia concesso,
- A noi male farà. Lasciar cotesto
- V’è d’uopo, e meglio assai questo s’addice
- A voi, che siete cavalieri. — Disse
- 405 Giselhèr con disdegno, ei, de la bella
- Ute il figliuol: Nulla dobbiam far noi
- Che sembri fellonia. Per ogni onore
- Che a lei si faccia, lieti andrem noi pure;
- E, per cose che dire, Hàgen, vi piaccia,
- 410 Con tutta la mia fede io vo’ servirla.
- Come intese cotesto, Hàgen si fece
- D’alma crucciata. Ma Gernòt, Gislhero,
- Alteri e buoni cavalieri, e al fine
- Gunthèr potente, asseverâr che quando
- 415 Kriemhilde acconsentisse, elli voleano
- Darlo vènia di ciò, senza rancura.
- Principe Gere disse allor: Cotesto
- Alla donna dirò, perchè di tanto
- Re Ètzel accontenti. E sottoposti
- 420 Molti gli sono valorosi in guerra
- Per timor alto, ed ei potrà colei
- Del male risarcir che altri le fece.
- Là ’v’ei Kriemhilde rivedea, ne andava
- L’agile cavalier. Graziosamente
- 425 L’accolse quella, e, oh! quanto ei le parlava
- Con balda gioia! Volentier v’è d’uopo
- Salutarmi, ei dicea, donarmi ancora
- Il guiderdone del messaggio. Voi
- Vuol la fortuna allontanar da tutte
- 430 Sciagure vostre. Per l’amor di voi,
- Donna, il miglior di quanti conquistavano
- Terre di regi con perfetto onore
- O ne portano il serto, appo di noi
- Messaggieri invïò. Fanno l’inchiesta
- 435 Nobili cavalieri, e ciò comanda
- Il fratel vostro di narrare a voi.
- E quella, ricca del suo duol, rispose:
- Iddio vi guardi, e guardi ognun de’ vostri
- Congiunti, perchè mai piacciavi scherno
- 440 Far di me, sì tapina! E che potrei
- Per uom, che già si avea l’amor del core
- Di donna onesta? — E quegli assai di tanto
- Le contraddisse, e vennero pur anco
- Gernòt fratello a lei, Gislhèr con esso,
- 445 Il giovinetto, ed amorosamente
- Lei supplicâr di consolarsi in core.
- Vera fortuna ciò sarìa per lei,
- Quand’ella il re prendesse. Oh! ma nessuno
- Vincer potè la donna, ond’ella ancora
- 450 Persona amasse d’alcun uomo. Questo,
- Questo, dicean pregando i cavalieri,
- Fate si avveri almen, perchè vi piaccia
- Veder que’ messi, ove null’altra cosa
- Facciate voi. — Cotesto io diniegarvi
- 455 Mai non vorrò, dicea la nobil donna,
- Per ch’io non vegga volentier, per sue
- Molte virtù, Rüedgero. Ove mandato
- Egli non fosse e fosse un altro il messo,
- Io sare’ per costui non vista mai.
- 460 Però, v’è d'uopo, ella soggiunse, invito
- Fargli perchè ne venga alle mie stanze
- Diman mattina, qui, ch’io la mia voglia
- Intender gli farò qual dirò ancora. —
- Il suo gran pianto, allor, si rinnovava.
- 465 Niun’altra cosa il nobile Rüedgero
- Bramar potea che la regina augusta
- Di rimirar. Tanto ei teneasi accorto,
- Che ove accader potea ch’ei la vedesse,
- A convincer da lui, gagliardo e prode,
- 470 Ella sè stessa data avrìa. Nel primo
- Sorger del dì, quando si cantò messa,
- Venìan gl’illustri ambasciatori, e grande
- Fu accalcarsi di gente. Or, fra cotesti
- Che ivano insieme con Rüedgero a corte,
- 475 Molti fûr visti in nobil portamento
- Uomini adorni di gran robe. Intanto
- Kriemhilde illustre, d’anima dolente,
- Rüedgero, messaggiero inclito e buono,
- Stavasi ad aspettar. Là, con le vesti
- 480 Ei la trovò che sempre ella portava
- In ogni tempo, ma, d’accanto a lei,
- Ricche vesti d’assai portavan tutte
- Le ancelle sue. Fino alla porta incontro
- Ella gli andava, e grazïosamente
- 485 L’uom d’Ètzel accogliea. Dinanzi a lei
- In quelle stanze dodicesmo7 entrava,
- E grandi omaggi gli si fean, chè a lei
- Messi più illustri non venìan di questi
- In alcun tempo mai. Fu indetto al prence
- 490 D’assidersi con quelli uomini suoi,
- E i due margravi intanto, Eckwarto e Gere,
- Buoni ed illustri cavalieri, innanzi
- A lei in piè fûr visti. Or, per colei,
- Donna del loco, non vedeano alcuno
- 495 Che di cor fosse lieto. Innanzi a quella
- Vedeano assise molte donne vaghe,
- E Kriemhilde frattanto il suo dolore
- Solo sentìa. Le vesti erano molli
- Dinanzi al petto di lagrime calde,
- 500 E il nobile margravio agevolmente
- Vide cotesto in lei. L’inclito messo
- Così parlò: Figlia di nobil sire,
- A me, a’ compagni miei che qui con meco
- Venuti son, deh! concedete voi
- 505 Che innanzi a voi ci stiamo in piè, dicendovi
- L’annunzio per che noi fin qui venimmo.
- E la regina: E ciò vi sia concesso
- Per quel che dir vogliate, e la mia mente
- Sta di tal guisa, che cotesto assai
- 510 Volentieri udirò, chè messaggiero
- Voi sète onesto. — La sua mente avversa
- Inteser gli altri, ma prence Rüedgero
- Di Bechelara disse allor: Con fede
- Di grande amore, Ètzel, un sire augusto,
- 515 In questa terra, qui, donna, v’invia
- Un suo messaggio. Per l’amor di voi
- Buoni fin qui mandò suoi cavalieri,
- E v’offre intanto, dall’imo del core,
- Amor da doglia esente. Anche egli è presto
- 520 Al fermo affetto che già un dì portava
- A donna Hèlche, quale al cor di lui
- Sì presso stette. Per virtù ch’ella ebbe,
- Giorni infelici ei mena intanto assai.
- Rüedgèr margravio, la regina disse,
- 525 Chi ben conosce la mia doglia acerba,
- Altr’uom d’amar non offre a me. Perduto
- Ho quel miglior che donna ebbesi mai.
- Attutire il dolor, disse l’accorto,
- Qual cosa mai potrìa, se alcun l’acquista
- 530 E tal si elegge che si addice a lui
- Veracemente, fuor di un dolce amore ?
- Per angoscia del cor nulla cotanto
- Puote giovar. Se l’inclito mio sire
- Amar vi piace, donna voi sarete
- 535 Di dodici corone inclite e ricche,
- E il signor mio daravvi ancor la terra
- Di trenta prenci, quali un giorno vinse
- Quella sua man potente assai. Di molti
- Uomini degni anche sarete voi
- 540 Donna e signora (ed erano soggetti
- A donna Hèlche cotesti) e di ben molte
- Donne pur anco, d’inclita prosapia
- Di prenci ; ebbe poter su tutte un giorno
- Hèlche regina. — Così disse il baldo
- 545 E accorto cavalier. Soggiunse poi:
- Daravvi ancora il mio signor (ciò stesso
- D’annunzïar m’indisse a voi) possanza
- Altissima fra tutte e quale avea
- Hèlche, se accanto al re piacciavi in fronte
- 550 Portar corona. Questa, innanzi agli uomini
- D’Ètzel, terrete voi con tutta forza.
- La regina dicea: Deh! come mai
- Questa persona mia goder di tanto
- Ancor potrìa per che donna i’ mi fossi
- 555 D’un valoroso? Così acerba doglia
- Morte per un mi fe’, ch’io sconsolata
- Restar ne deggio fino al giorno estremo.
- Ma gli Unni le dicean: D’Ètzel al fianco
- La vita vostra, o possente regina,
- 560 Degna tanto sarà, che ove ciò avvenga,
- Vi colmerà di gioia; ed ha ben molti
- Guerrieri illustri il mio signor possente.
- Le ancelle d’Hèlche e le fantesche vostre,
- Queste accanto di quelle, una saranno
- 565 E sola compagnia, sì che potranno
- Andarne lieti i cavalieri. Oh! donna,
- Lasciate che altri vi consigli. A voi
- Ciò veramente volgerassi in bene.
- Ella cortese disse allor: Lasciate
- 570 Fino a diman per tempo esto sermone.
- Voi qui verrete allor, ch’io la risposta
- Vi darò pel desìo che avete in core.
- I cavalieri, accorti e buoni, allora
- Il consiglio seguir. Quand’elli tutti
- 575 Si fûr renduti ai loro alberghi, quella
- Inclita donna per Gislhèr mandava,
- Anche per la sua madre, e ad ambedue
- Questo affermò che le addiceasi ’l pianto
- E null’altro di più. Ma Giselhero,
- 580 Fratello suo, le disse: A me si dice,
- Sorella mia, e ciò vogl’io pur credere,
- Che ogni tua angoscia toglierà, se il prendi
- A sposo tuo, re Ètzel. Se diverso
- Consiglio altri ti dà, che il mio tu segua,
- 585 Sembrami fatto bellamente. — Ancora
- Gislhero aggiunse: Egli potrà di tutto
- Compensarti. E dall’Elba in fino al mare
- E dal Rodano al Reno, alcun monarca
- Sì possente non è. Deh! che potrai
- 590 Veramente gioir, s’ei ti fa sposa!
- Dolce fratello mio, deh! perchè mai
- Ciò mi consigli? E piangere e dolermi
- Sempre più mi si addice. E innanzi a prodi
- Come potrei andarne in corte. S’era
- 595 Leggiadra un dì la mia persona, orbata
- Ora son io di mia beltà. — Dicea
- Donna Ute intanto alla sua dolce figlia:
- Figlia diletta, ciò che a te consigliano
- Li tuoi fratelli, deh! tu fa. Tu segui
- 600 Gli amici tuoi; così avverrà che bene
- Indi ti accada. In grave doglia assai
- Troppo lunga stagione io t’ho veduta!
- Soventi assai Kriemhilde avea preghiera
- A Dio rivolta perchè tanto ancora
- 605 Ella avesse a donar d’argento e d’oro
- E di vesti pur anco, in quella guisa
- Che appo il suo sposo ella facea, nel tempo
- Che incolume ei restò. Ma più non visse
- Ella così dopo quell’ore liete.8
- 610 Ella pensava nella mente sua:
- E dovrei dunque (e son fedele a Cristo)
- A chi è pagano dar me stessa? Avrei
- Di ciò ignominia appo la gente sempre.
- S’anche tutto il suo regno ei mi donasse,
- 615 Da me tal cosa non farassi mai!
- Così cotesto abbandonò. La notte,
- In fino al dì, giacea costei sul letto
- Con suoi molti pensieri, e i fulgid’occhi
- Non si tersero mai, fin che alla messa
- 620 Mattutina ella andò nel primo albore.
- E intanto, de la messa al tempo giusto,
- Eran venuti i re. Prendean per mano
- La lor sorella e davanle consiglio
- Perch’ella amasse il re qual si dicea
- 625 De la terra degli Unni. Oh! ma di nulla
- Più lieta la incontrò d’essi nessuno!
- Gli uomini d’Ètzel si fe’ cenno allora
- Di addur, chè veramente ei volentieri
- Per commiato venìan, qualunque fosse
- 630 Cosa accaduta, o diniegata o accolta;
- E venne in corte anche Rüedgero. I prodi
- Novellamente gli dicean che udita
- Di buona voglia elli si avrìan la mente
- Del nobil sire; in opportuno tempo
- 635 Ciò si facesse ancor. Buono cotesto
- Parrebbe a tutti, e lunghe eran le vie
- Per ritornarsi alla lor terra. Credo
- Che null’altro in colei fuor che un diniego
- Ei rinvenìan, ch’ella più non volea
- 640 Porre suo amore in alcun uom. Cotesto
- Male per voi si fa, disse il margravio.
- Deh! perchè mai persona sì leggiadra
- Perder volete? Con onor v’è dato
- La sposa divenir d’uom valoroso
- 645 E nulla anche giovò ch’ei la pregassero,
- Fin che Rüedgero all’inclita regina
- Segreto disse che di ciò che avvenne
- Di male a lei, volea degli Unni il sire
- Darle vendetta. Cominciava in parte
- 650 Grave di lei corruccio a mitigarsi.
- Alla regina ei disse: Il pianger vostro
- Abbandonate. Che se là tra gli Unni
- Fuor di me, fuor de’ miei fidi congiunti
- E degli uomini miei, nessuno avete,
- 655 Quei che vi offese dovrà sempre grave
- Portar pena di ciò. — Così addolcita
- L’anima fu di quella donna. Allora,
- Voi mi giurate un sacramento, disse,
- Che, se qualcun mi fea non giusta cosa,
- 660 Quei che il mio duol vendicherà primiero,
- Sarete voi. — Disse il margravio: O donna,
- Io qui son pronto a ciò. — Con tutti i suoi
- Rüedgero allor fe’ sacramento, lei
- Con tutta fede di servir mai sempre,
- 665 Giurò che i valorosi, incliti in quella
- D’Ètzel contrada, diniegato a lei
- Nulla avrìano mai più di ciò chiedere
- Parea suo grado. E di Rüedgèr la mano
- Cotesto le affermò. Quella frattanto,
- 670 Forte in sua fè, così pensava: Amici
- Poiché cotanti m’acquistai, la gente
- Lascierò dir ciò che più vuole, io, donna
- Ricca d’ambascia. E che? se per tal foggia
- Vendicata sarà del mio diletto
- 675 Sposo la vita? — Ella pensava ancora:
- Ètzel guerrier poi che ha sì gran dovizia,
- E s’io comando avrò, ciò ch’io mi voglia
- Farò pur anco. Ricco egli è in tal guisa,
- Ch’io sì m’avrò di che donar. Di tutta
- 680 La mia dovizia duramente orbata
- Hàgen mi fece. — A Rüedgero ella disse:
- S’io mi sapessi ch’ei non è pagano,
- Volentieri io verrei sì come ei vuole
- E il prenderei per sposo mio. — Cotesto
- 685 Sermon lasciate, o donna mia, le disse
- Il margravio, chè tanti egli ha con seco
- Di fè cristiana cavali», che nullo
- Appo quel re vi toccherà travaglio.
- E che? se tanto acquisterete voi
- 690 Ch’ei si battezzi? Per cotesto, è d’uopo
- Che volentier di prence Ètzel la donna
- Voi diventiate. — Ora, sorella mia,
- Ognun le disse de’ fratelli, a tanto
- Acconsentite, e d’uopo è inver che questo
- 695 Vostro dolor posar lasciate. — A lungo
- Elli pregâr finchè dolente quella
- Promettea, degli eroi nella presenza,
- Ch’ella sarìa d’Ètzel la donna. Voi,
- Ella dicea, vo’ seguitare, io, misera
- 700 Regina assai, per ch’io mi tragga agli Unni,
- Tosto che ciò far si potrà, sol quando
- Amici io m’abbia che di lui mi adducano
- Alla terra. — Dinanzi ai cavalieri
- Kriemhilde bella diè perciò la mano.
- 705 Disse il margravio allora: Anche se aveste
- Uomini due soltanto, oltre a cotesti
- Io n’ho molti d’assai. Acconciamente
- Ciò si farà, che noi di là dal Reno
- Vi trasportiam con tutto onore. Intanto
- 710 Non più a lungo v’è d’uopo in fra i Burgundi
- Restarvi, o donna. Cinquecento ho meco
- Uomini, e sono consanguinei miei,
- Ed essi qui vi serviranno e ancora
- Là, nel mio suol natìo, per ciò che a voi
- 715 Ingiungere lor piaccia. E parimente
- Io cotesto farò, quando il mio detto
- Mi rammentiate,9 per ch’io mai di tanto
- Non mi vergogni. Ora, deh! fate cenno
- Che altri v’appresti la gualdrappa. A voi
- 720 Di Rüedgero i consigli unqua di doglia
- Non saranno cagione. Anche accennate
- A vostre ancelle quali addur volete
- Fin là con voi. Verranno in su la via
- Con noi ben molti cavalieri eletti.
- 725 Ancora elle si avean de’ ferramenti,
- Quali un dì si recavano, nel tempo
- Del cavalcare appo Sifrido, e questi
- Poteano usar molte fanciulle ancora,
- Se partirsi volean, con onor grande.
- 730 Oh! quante selle acconcio altri apprestava
- Por le donne leggiadre! Or, se colei
- Splendide vesti portò mai, per essa,
- In quel vïaggio, molte n’apprestaro,
- Poi che d’Ètzel regnante in quella guisa
- 735 Le fu detto d’assai. 10 Schiusero allora
- I forzieri che pria stavan serrati.
- Cinque giorni e metà d’un giorno ancora
- In gran travaglio ei furo, e quello assai
- Che dentro vi giacea, da’ ripostigli
- 740 Trassero fuori. Incominciò Kriemhilde
- Le stanze a schiuder de’ tesori; tutti
- Gli uomini di Rüedgèr volea far ricchi.
- De’ Nibelunghi de la terra ancora
- Avea costei dell’oro (e si pensava
- 745 Che là, fra gli Unni, la sua man dovea
- Tutto spartirlo), quanto a carreggiare
- Non valean cento muli. Oh! ma cotesta
- Novella Hàgene udì, qual si dicea
- Da Kriemhilde. Egli disse: A me propizia
- 750 Poi che Kriemhilde non sarà più mai,
- Anche resti appo noi l’or di Sifrido.
- Sì gran dovizia alli nemici miei
- Perchè dovrei lasciar? Bene io conosco
- Ciò che farà con li tesori suoi
- 755 Kriemhilde! Se di qui li trae con seco,
- Creder poss’io che dispartirli attorno
- Ella vorrà per l’odio mio. Giumenti
- Qui alcun non ha per trasportarli seco,
- Ma ritenerli Hàgene vuol. Cotesto
- 760 Altri a Kriemhilde dir dovrà. — Quand’ella
- Udì annunzio di ciò, grave dolore
- Le fu cotesto. Anche di ciò fu detto
- Ai re sovrani, ed elli di gran voglia
- Ciò vollero evitar. Ma poi che tanto
- 765 Non s’avverò, con molta gioia assai11
- Disse il nobil Rüedgero: A che cotanto
- L’oro piangete, o possente regina?
- Re Ètzel tanto a voi del cor propende,
- Che, se v’han visto gli occhi suoi, cotanto
- 770 Ei vi darà che nol potrete voi
- Tutto elargir. Cotesto io vo’ giurarvi,
- O donna mia. — E la regina disse:
- Molto nobil Rüedgèr, di re una figlia
- Più ricchezze non ebbe unqua di tante
- 775 Onde Hàgen mi spogliò. - Ne andava allora,
- Fratel di lei, Gernòt a quelle stanze,12
- E con vènia del sire entro a le porte
- Pose la chiave; e tosto altri spartìa
- L’or di Kriemhilde fino a trenta volte
- 780 Mille marchi, o di più. Gernòt fe’ cenno
- Che ne toceasser gli ospiti, e cotesto
- A Gunthero piacea. Di Gotelinde
- Lo sposo intanto, quel di Bechelara,
- Così dicea: La donna mia Kriemhilde,
- 785 S’anche aver si potesse ogni sua cosa,
- Quale, de’ Nibelunghi da la terra,
- Già le fu addotta, poco assai13 ne debbe
- Toccar la mano mia, la man pur anco
- Della regina.14 Ora accennate voi
- 790 Che quest’oro si guardi; io niuna parte
- Ne vo’ per me. Dalla mia terra tanto
- Di mia dovizia mi portai con meco,
- Che agevolmente per la via di questo
- Oro bisogno non avrem. La nostra
- 795 Spesa bene starà per nostra andata.
- Ma per tutte quell’ore, e di ciò in pria,
- Dodici scrigni di tutt’or più bello
- Che nella reggia esser potea, ricolmi
- Ebber le ancelle, e ciò di là fu addotto
- 800 Con ornamenti assai per le donzelle,
- Quali in vïaggio erano d’uopo. Oh! quella
- Soverchia volontà d’Hàgen feroce
- Forte parve a Kriemhilde! Aveasi ancora,
- Per suffragio da offrirsi, un mille marchi,
- 805 E per l’alma di lui, l’uom suo diletto,
- Spartir li volle. Parve ciò a Rüedgero
- Con vera fè ben fatto. E la dolente
- Donna così dicea: Dove son dunque
- Gli amici miei che di me per l’amore
- 810 Vônno uscir di lor terra? E dovrann’essi
- Venir meco degli Unni alle contrade?
- Del mio tesoro prendano essi, e acquisto
- Faccian di vesti e di cavalli intanto.
- E margravio Eckewardo alla regina
- 815 Così dicea: Da che di tutti io fui
- Vostro primo compagno,15 anche con fede
- Io v’ho servita. E voglio anche, soggiunse
- L’uom valoroso, far servigi miei.
- Fino alla morte, presso a voi. Con meco
- 820 Io vo’ menar cinquecento de’ miei,
- Quali con vera fè vi serviranno.
- Inseparati inver siam noi, se morte
- Non fa cotesto. — S’inchinava a quelle
- Parole sue Kriemhilde, e avea di tanto
- 825 Un verace dolor. Ma i palafreni
- Traeansi fuori, chè di là partirsi
- Gli ospiti già volean. Gran pianto allora
- Dagli amici si fe’. La ricca Ute
- E assai vaghe donzelle addimostrarno
- 830 Che per donna Kriemhilde era davvero
- Ogni lor doglia. Cento ricche ancelle
- Di là menò con seco, ed eran esse,
- Qual s’addicea, vestite. Oh! molte caddero
- Da occhi lucenti lagrime di pianto!
- 835 Eppure, ella vivea per quella molta
- Gioia ch’ebbesi poi d’Ètzel al fianco.
- Prence Gislhero, anche Gernòt, venièno
- Con lor compagni. Cortesia cotesto
- Loro indicea. La sirocchia diletta
- 840 Vollero accompagnar; menaron seco
- I lor gagliardi, mille valorosi.
- Anche sen venne Gere ardito; ancora
- Ortwin, Rumòldo, mastro alle cucine,
- Dovean irne colà. Fino al Danubio
- 845 Fean lor dimora ne la notte, e solo
- Non più di poco fuor de la cittade
- Gunthero cavalcò. Pria che dal Reno
- Andasser quelli, innanzi elli invïavano
- Lor messaggieri degli Unni alla terra,
- 850 Quali al sire dicean che per sua sposa
- La nobile regina, inclita, ormai
- Conquistata gli avea prence Rüedgero.
- ↑ Leggenda ignota, secondo cui Sifrido sarebbe stato alia corte di Etzel.
- ↑ Così ben guardate.
- ↑ I Bavaresi erano allora in fama di ladroni.
- ↑ Lo ravvisò.
- ↑ Erano figlie giovinette di nobili famiglie mandate a corte, per ricevervi eletta educazione.
- ↑ Etzel e Kriemhilde.
- ↑ Cioè egli e altri undici messaggieri con lui.
- ↑ Cioè non visse mai più così bene come con Sifrido.
- ↑ Il giuramento di aiutarla.
- ↑ Le fu parlato della grandezza e magnificenza di Ètzel.
- ↑ Perchè era certo di vendicarla.
- ↑ Di Gunthero, dove Hagen aveva trasportato l’oro. Ma non era stato gettato nel Reno? Ecco una delle solite contraddizioni di questi poemi.
- ↑ In senso di nulla.
- ↑ Io e la regina Kriemhilde non ne abbiamo bisogno.
- ↑ Quando seguì Kriemhilde in Niderland appena essa fu sposata a Sifrido. Vedi Avventura XI.
- Note
- Avventura Ventunesima
- In che modo Kriemhilde si recò fra gli Unni
- Lasciam que’ messi cavalcar. Ci è d’uopo
- Rendervi noto di qual guisa mai
- Per quella terra la regina andava,
- O come Giselhèr, Gernòt con esso,
- 5 Da lei si separò. Come lor fede
- Impose, essi le avean fatto servigio.
- Fino al Danubio, a Verge, ei cavalcare,
- Là incominciarno a chiedere commiato
- Alla regina, chè tornar voleano
- 10 Al Reno cavalcando. Oh! ma cotesto,
- Fra veri amici, senza lagrimare
- Avvenir non potè! Gislhero ardito
- Alla sorella così disse: O donna,
- Quando mai tu di me ti avra’ bisogno,
- 15 Se alcuna cosa avvenga, e tu cotesto
- Rendimi noto. Al tuo servigio, in quella
- D’Ètzel contrada, sì verrò. — Congiunti
- Quanti erano di lei, lei nella bocca
- Baciarono, e in quell’ora, oh! quanti vidersi
- 20 Amorosi commiati! e si prendeano
- Di Rüedgero margravio dalla gente.
- Ma la regina molte adorne e belle
- Giovinette menava, e cento e quattro
- Ell’erano e ricchissime lor vesti
- 25 Portavano, di drappi artificiosa-
- mente dipinti e di gran prezzo. Molti
- Ampi scudi recava altri, alle donne
- Vicino, per la via. Ma, da quel loco,
- A dietro si tornâr de’ cavalieri
- 30 D’inclita stirpe molti assai, e quelli
- Di là ratto partìan giù per la terra
- De’ Bavari; e si disser le novelle,
- E là corsero molti, ospiti ignoti,
- Là ’ve ora sorge un monastero, dove
- 35 L’Inn si cala in Danubio in sua corrente.
- Di Passavia in città stavasi un vescovo,
- E là vuotossi ogni dimora, e quella
- Casa del prence ancor,1 chè incontro
- agli ospiti
- 40 Quelli ne andâr, de’ Bavari in la terra,
- Al loco, ove incontrò Kriemhilde bella
- Vescovo Pellegrino. Ai cavalieri
- Di quella terra già non fu cotesto
- Cagion di doglia, se cotante adorne
- 45 E vaghe ancelle videro colei
- Seguir da presso. Amoreggiâr per gli occhi
- Con quelle di lodati cavalieri
- Nobili figlie, e acconci alberghi intanto
- Furo assegnati agli stranieri illustri.
- 50 Ma cavalcò fino a Passavia il vescovo
- Con la nipote sua. Come fu detto
- A que’ borghesi di città che tosto
- Venìa Kriemhilde, figlia a la sorella
- Del lor prence e signor,2 da’ mercatanti
- 55 Ella fu accolta onestamente, e il vescovo
- Avea desìo ch’ella restasse alquanto;
- Ma disse in ciò prence Eckewardo: Questo
- Non si farà, chè scendere ci è d’uopo
- Di Rüedgero alla terra, e là ben molti
- 60 Cavalieri ci attendono, e cotesto
- Là si fe’ noto a tutti.3 — Udìane intanto
- Gotelinde leggiadra il lieto annunzio,
- E con cura apprestavasi, e con lei
- La nobile sua figlia. Aveale in pria
- 65 Rüedgero indetto sì parergli acconcio
- Ch’ella frattanto il cor della regina
- Confortar si volesse, e però incontro
- Colei le cavalcò, là fino all’Ensa,
- Con tutti uomini suoi. Come si fea
- 70 Di tal guisa cotesto, ecco! fûr viste
- Tumultüar le vie da tutte parti,
- E quelli, in sella e a piedi, incontro agli ospiti
- Ad ire incominciâr. Già in Everdinga
- Era venuta la regina. E molti
- 75 Della terra de’ Bavari, alla via
- Ove dato lor fosse in lor costume
- Far ladronecci, volentieri assai
- Danno avrìan fatto agli ospiti. Cotesto
- Il nobile margravio tolse via,
- 80 Che cavalieri mille e più d’assai
- Ei menava con sè. Giugnea frattanto
- Gotelinde, la donna di Rüedgero,
- E giunsero con lei molti gagliardi
- Nobili e illustri. Come andâr ne’ campi,
- 85 Dalla Truna di là, vicino all’Ensa,
- Tende fûr viste e padiglioni intorno
- Spiegati ovunque, chè notturno ostello
- Quivi tenersi agli ospiti fu d’uopo,
- E agli ospiti frattanto ogni lor spesa
- 90 Per Rüedgero si fea. Ma Gotelinde,
- Leggiadra e vaga, dietro a sè gli alberghi
- Si lasciò. Pel sentier, con tintinnio
- Di redini, venìan molti e assestati
- I palafreni, e fûro oneste assai
- 95 Le accoglienze, e ciò feasi in lieta guisa
- Per Rüedgero. Ma quanti per la via
- D’ambe scendean le parti, or cavalcar
- In laudabile foggia, ed eran molti
- I valorosi assai. Cavallereschi
- 100 Ei fean loro esercizi, e ciò ammiravano
- Molte fanciulle; ancor, della regina
- Grave il servigio a’ cavalier non parve.
- Come agli ospiti accanto di Rüedgero
- Venìano i prodi, andarne al ciel fûr visti
- 105 Molti tronconi da le man de’ forti,
- Qual è costume a’ cavalieri. Intanto,
- A le donne dinanzi cavalcavasi
- Per laudabile gloria. E poi che il gioco
- Elli troncâr, tutti ei si fean saluti
- 110 Onestamente assai. Di là fu addotta
- Gotelinde leggiadra ove Kriemhilde
- Ella scoverse, e chi potea servigi
- A le donne prestar, picciolo invero
- Agio si avea. Di Bechelara il prence
- 115 Cavalcando venìa dalla sua donna,
- E alla nobil margravia, oh! non fu duro
- Che incolume così si ritornasse
- Egli dal Reno. La sua angoscia, in parte,
- Da gran gioia fu vinta. E poi che accolta
- 120 Ei così l’ebbe, anche indicea che scendere
- Ella dovesse con le donne sue,
- Quant’eran seco, sovra l’erba, e allora
- Molti e di molto affaccendârsi prodi
- Incliti, cd altri con gran cura intanto
- 125 Venìa prestando suoi servigi a donne.
- Donna Kriemhilde là vedea con quelle
- Ancelle sue restarsi la margravia,
- Nè volle andar più presso. Ella a ritrarre
- Cominciò con le briglie il palafreno
- 130 E cenno fe’ che ratto altri di sella
- Tôr la dovesse. E il vescovo si vide
- Guidar vêr Gotelinde, insieme a Eckwardo,
- Di sua suora la figlia. Un gran ritrarsi
- A dietro in quell’istante là si fea,
- 135 Da tutti, e la straniera4 baciò in bocca
- Gotelinde, e costei, donna a Rüedgero,
- Con molto amor dicea: Gran bene è questo,
- Dolce signora, a me, ch’io con quest’occhi
- Abbia pur visto ne la terra mia
- 140 Vostra bella persona. Oh! più gradita
- Cosa non m’avverrà da questi giorni!
- Vi ricompensi Iddio, dicea Kriemhilde,
- Nobile Gotelinde. Ov’io rimanga
- Aitante così con quei ch’è figlio
- 145 Di Botelungo, 5 potrìa dolce cosa
- Tornare a voi, perchè vista mi abbiate.
- Non era in ambedue di ciò che un tempo
- Era d’uopo accader, notizia certa!
- In gentile atto l’una all’altra incontro
- 150 Venìan molte donzelle, e i cavalieri
- A’ lor servigi erano presti, e quelle
- Sedean, dopo i saluti, in su l’erbetta,
- E novelle apprendean, molte, che in pria
- Lor fûro ignote. Mescere del vino
- 155 A le donne fu ingiunto, ed era allora
- A mezzo il corso il dì; nè lungamente
- Là si restò la nobil compagnia,
- Ma venìan tosto là ’ve tende assai
- Trovaron ampie. Agli ospiti famosi
- 160 Molti e grandi servigi erano presti.
- La notte in fino al dì, di gran mattino,
- Avean riposo, e quei di Bechelara
- Intanto s’apprestâr di qual mai guisa
- Cotanti ospiti illustri elli doveano
- 165 In alloggi appostar. Ma già Rüedgero,
- Perchè di nulla avesser mancamento,
- Data cura si avea. Starsi fûr viste
- Là su le mura le finestre aperte,
- Di Bechelara schiuso era il castello,
- 170 E gli ospiti, che assai vedea la gente
- Volentieri, v’entrâr. L’ospite sire,
- Nobile assai, fe’ cenno che ogni agio
- Si procacciasse a lor. Con le sue ancelle
- Là di Rüedgero discendea la figlia,
- 175 Là ’ve con molto amore ella accogliea
- La regina, e di lei v’era la madre,
- Del margravio la donna. Oh! con amore
- Fûr salutate giovinette6 assai!
- Per mano si prendean, di là venièno
- 180 Alla vasta magione; e ben costrutta
- Ell’era assai; di sotto le scorrea
- Il Danubio. Di contro all’aria fresca
- Quelle sedean, sì che d’assai di tanto
- Avean conforto. Ciò che in più si fea
- 185 Là, non poss’io ridir. Perchè sì lento
- Era il vïaggio, udìansi i cavalieri
- Di Kriemhilde crucciarsi, ed era questa
- Rancura a tutti lor. Deh! quanti prodi
- Guerrieri si partìan da Bechelara
- 190 Insiem con essi! Amorevol servigio
- Rüedgero loro offrìa; ma la regina
- Dodici anelli fulgidi porgea
- Di Gotelinde alla figliuola, ancora
- Vestimenta leggiadre, onde più belle
- 195 D’Ètzel non ne portava essa nel regno.
- Benché dei Nibelunghi a lei rapito
- Fosse il tesoro, ognun che la vedea,
- A sè benigno ella si fe’ con piccola
- Parte che averne erale dato ancora,
- 200 E a’ famigli dell’ospite signore
- Da lei doni d’assai si fean pur anco;
- E, di rincontro, donna Gotelinde
- Di cotal guisa agli ospiti del Reno
- Fea le oneste accoglienze, che d’assai
- 205 Pochi si rinvenìan fra gli stranieri, 7
- Che di lei non recassero le gemme,
- Le vestimcnta ricche assai. Ma quando
- Tocco ebber cibo e già dovean partirsi,
- Da lei, signora de l’ostel, fedeli
- 210 Si offrîr servigi d’Ètzel a la sposa,
- E la regina fea carezze a quella
- Di lei figlia leggiadra. Alla regina
- Così dicea costei: Quando vi sembri
- Onesta cosa, bene io so che il mio
- 215 Padre diletto volentier da voi
- M’invïerà, degli Unni nella terra.
- Ch’era fedel costei, donna Kriemhilde
- Ben vide allora. E già li palafreni
- Erano presti e già venuti innanzi
- 220 A Bechelara, e l’inclita regina
- Di Rüedgèr dalla sposa e da la sua
- Figlia prcndea commiato. Or, salutando,
- Molte si separâr vaghe fanciulle.
- Dopo que’ giorni, raramente assai8
- 225 L’una con l’altra si vedean. Recate
- Fûr su le mani fuor di Medelicke9
- Molte ed in or splendide tazze, e in quelle
- Portavasi del vino in su la via
- Agli ospiti; ei doveano i benvenuti
- 230 Esser davvero. Un sire ivi sedea;
- Detto era Astoldo. In Osterlànd10 la via
- Ei lor mostrò lungo il Danubio, fino
- A Mutara;11 e servigi anche prestârsi
- Alla nobil regina. Ivi da quella
- 235 Nipote sua, con atto affettüoso,
- Separavasi il vescovo. Oh! con quanto
- Ardore ei le augurò ch’ella sì stesse
- Lieta e beata e s’acquistasse onore
- Sì come fece Hèlche regina! Oh! quanto
- 240 Grande l’onor ch’ella ebbe poi fra gli Unni!
- Poscia fino al Treisèm12 furono addotti
- Gli ospiti, e gli scorgean con molta cura
- Di Rüedgero i gagliardi in fin che giunsero
- A quella terra cavalcando gli Unni.
- 245 Allora, alla regina, oh! grande onore
- Noto si fea! Presso al Treisèm il sire
- Degli Unni aveva un opulento borgo
- Che Treisenmùre13 si dicea. Dimora
- Ebbevi un tempo Hèlche regina e grandi
- 250 Virtù v’esercitò, quali non mai
- Avverârsi dipoi, se ciò non fece
- Kriemhilde, qual potea, sì come quella,
- Suoi doni dispensar. Dopo cotanto
- Dolor di lei, con molta gioia assai
- 255 Ella viver potea, sì che affermavanle
- Onor d’Ètzel i prodi, e tanto onore
- In gran pienezza appo que’ forti ell’ebbe.
- E d’Ètzel signorìa nota era allora
- Ampiamente; i più arditi cavalieri
- 260 In ogni tempo alla sua reggia, quali
- Rinvenir si potean tra gl’infedeli
- E la gente di Cristo. Erano tutti
- Seco allora venuti.14 In ogni tempo,
- Ciò che mai non avvenne, erangli al fianco
- 265 Gente di Cristo devota alla fede,
- Gente pagana ancor. Qualunque fosse
- Ragion di vita d’ognun d’essi, tanto
- Fea del sire bontà, che a quelli tutti
- Davasi e concedea ciò che bastava.
- ↑ Il principe vescovo, Pellegrino, fratello di Ute e zio di Kriemhilde.
- ↑ Il vescovo Pellegrino.
- ↑ Per mezzo dei messaggieri mandati innanzi.
- ↑ Kriemhilde.
- ↑ Etzel.
- ↑ Forse le ancelle di Kriemhilde
- ↑ Gli ospiti de! Reno.
- ↑ Per dire: mai più.
- ↑ Melk sul Danubio.
- ↑ Austria.
- ↑ Mautern.
- ↑ Fiume tributario del Danubio.
- ↑ Ora Trasmaur, la Trigisamum dei Romani.
- ↑ Per andar incontro a Kriemhilde.
- Note
- Avventura Ventiduesima
- In che modo Etzel implamò Kriemhilde
- In Treisenmùre fino al quarto giorno
- Ella abitò. La polve in su le vie
- Da que’ dì non posò, senza che alcuno
- La sollevasse d’ogni parte intorno,
- 5 Come se incendio là si fosse. Egli erano
- Di re Ètzel i prodi e cavalcavano
- D’Osterrich per la terra. Anche fu detto
- Veracemente al re, cui già sparia
- Per novello pensier l’affanno antico.
- 10 In qual pompa venìa per la sua terra
- Kriemhilde. Ei cominciava, il nobil sire,
- Ad irne là, dove rinvenne poi
- Quella sì d’amor degna. E si vedeano
- D’Ètzel innanzi molti e di diverse
- 15 Lingue gagliardi cavalieri assai
- Cavalcando venir, schiere diverse
- Di pagani, e di molti a Cristo addetti,
- Ed ei venìan con tutta pompa intanto
- Là ’ve in le donne s’incontrâr. Di Russi
- 20 E di Greci pur anco ivi scendeano
- Cavalcando ben molti; anche fûr visti
- Di Poloni e Valacchi andar veloci
- I palafreni buoni assai, chè quelli
- Sospingevanli a forza; e lor costumi,
- 25 Quali essi avean, di poco abbandonavano.
- Dalla terra di Kiewo assai ne vennero
- Valorosi, e con essi i Pescenaeri1
- Selvatici e feroci. E si fe’ molto
- Con tirar d’arco di contro agli augelli,
- 30 Volatori in que’ lochi, ed elli i dardi
- Con gran forza d’assai traeano a dietro
- Fino a le punte. 2 In Osterlande giace
- Presso al Danubio una città, che Tulna
- La gente appella. Noti allor si fêro
- 35 Alla regina assai nuovi costumi
- Ch’ella non vide in pria. Molti l’accolsero
- Cui poscia duol toccò per lei soltanto.
- Cavalcava dinanzi ad Ètzel prence
- Un drappello giocondo e ricco assai,
- 40 E cortese e gentil, di ventiquattro
- Principi illustri ed opulenti. Nulla
- Più disïâr, che di veder la donna,3
- Tutti cotesti. Ecco, Ramungo duca,
- De’ Valacchi del suol, con settecento
- 45 Uomini suoi dinanzi a lei correa.
- Pari a volanti augelli ei si vedeano
- Correre a prova. Principe Gibeche
- Con sue splendide schiere anche venìa;
- E Hornboge ardito innanzi dal suo prence
- 50 Con mille prodi alla sua donna incontro
- Volgeasi ratto; e fu gridato assai
- Ad alte voci, quale era costume
- In quella terra. Cavalcâr ben molti
- I principi degli Unni. Hawardo allora
- 55 Di Danimarca ardito venne, e Iringo
- Agile assai, da sermon disleale
- Alieno sempre, e di Turingia Irnfrido
- Uom valoroso. Elli accogliean Kriemhilde,
- Perchè di tanto avesse onor, con dodici-
- 60 mila guerrieri, quali in lor falangi
- Menavano con sè. Bloedelin prence,
- D’Ètzel frate e degli Unni de la terra,
- Con tremila venìa. Venìa con pompa
- D’assai là ’ve incontrò la regal donna
- 65 Giunse re Ètzel e Dietrico e tutti
- I suoi famigli. V’erano ben molti
- Buoni ed accorti cavalieri assai,
- E di donna Kriemhilde alto levossi
- Allor lo spirto. Disse alla regina
- 70 Prence Rüedgero: Accoglier qui m’è d’uopo,
- O donna, il re. Deh! facciasi da voi,
- Se alcun dirò che voi baciate. Tutta
- D’Ètzel la gente salutar concesso
- Non è in simile foggia. — Allor fu tolta
- 75 Dal palafren la nobile regina.
- Ètzel, potente assai, non indugiossi
- Allor di più, ma giù balzò dal suo
- Destrier con molti de’ gagliardi suoi,
- Indi fu visto lietamente andarne
- 80 Di Kriernhilde all’incontro. Or, come
- un giorno
- Sì disse a noi, due principi possenti,
- Venendo al fianco di colei, le vesti
- Al lembo le reggean, quando giugnea
- 85 Ètzel monarca in sua presenza, ed ella
- Il nobile signor, d’un atto onesto,
- Accolse con un bacio. Anche si tolse
- I veli in pria; sovra l’or ch’ell’avea,
- Splendea di lei gentil colore, ed altri
- 90 Anche affermò che donna Hèlche più vaga
- Mostrarsi non potea. Vicino assai
- Stavale intanto Bloedelin, fratello
- Del sire, e a lui per ch’ella desse un bacio,
- Anche a Gibeche re, fe’ cenno allora
- 95 Rüedgèr, margravio illustre. E là si stava
- Prence Dietrico ancor. Dodici eroi
- Così baciò d’Ètzel la donna, e gli altri,
- Ed eran molti cavalieri, accolse
- Con un saluto. Intanto che si stava
- 100 Ètzel appo Kriemhilde, i giovinetti
- Fean ciò che ancor la gente fa. Fûr visti
- Molti scontri eseguir, fieri, con l’aste,
- Su’ lor cavalli, e fean gli eroi cotesto,
- Quei di Cristo e i pagani anche, conforme
- 105 A lor costumi. Di Dietrico i prodi
- Sovra gli scudi, oh! di qual guisa mai
- Cavalleresca fean volar lor aste
- Con i tronconi, da la man di arditi
- Cavalieri sospinte! A molti scudi
- 110 Per gli ospiti tedeschi a parte a parte
- Andaro i lembi trapassati. Un alto
- Fragor s’udì pel rompersi dell’aste,
- E là, da quella terra, i valorosi
- Tutti s’erano accolti, anche del sire
- 115 Gli ospiti tutti, molto illustri e grandi,
- E con donna Kriemhilde iva frattanto
- Il possente signore. Elli vedeano
- A sè da presso un ricco padiglione
- Starsi, ricco d’assai. Pien di capanne
- 120 Tutto il campo a l’intorno, ove posarsi
- Dovea la gente dopo sue fatiche;
- E là di sotto molte fûr guidate
- Vaghe fanciulle da que’ prodi, allora
- Che la regina a un fulgido sedile
- 125 Di tappeti posò. Cotesto avea
- Rüedgèr margravio in cura avuto, ognuno
- Per che bello trovasse e acconcio quello
- Di Kriemhilde sedil. Godea di tanto
- D’Ètzel il cor. Ma ciò ch’ei disse allora,
- 130 M’è ignota cosa. Nella destra sua
- Stava di lei la bianca mano, ed elli
- Sedean con molto amor, ma non lasciava
- Prence Rüedgero che a Kriemhilde il sire
- Intimamente l’amor suo mostrasse.
- 135 S’indisse allor che dovunque cessasse
- Tenzon dell’armi, e con onor fu imposto
- Fine all’alto fragor. D’Ètzel venièno
- A le capanne gli uomini, e gli alberghi
- Ampi fûr dati a lor da tutte parti.
- 140 Ebbe fine quel dì. Quelli apprestavano,
- Fin che fu vista la fulgida aurora
- Lucer dall’alto, loro alloggi, e poi
- Vennero a’ lor destrier molti gagliardi.
- Deh! quante cose incominciârsi allora,
- 145 Il prence ad onorar! Volle quel sire
- Che gli Unni per onor questo apprestassero,
- Indi da Tulna cavalcando scesero
- Verso Vienna città. Quivi rinvennero
- Molte persone di leggiadre donne
- 150 Ornate a festa. Con onore assai,
- D’Ètzel prence la sposa elle accoglieano.
- In copia grande allor tutto fu presto
- Ciò che aver si dovea. Per i festivi
- Tripudi giubilâr molti guerrieri
- 155 Abili, intanto, e a porli in loro alberghi
- Anche si cominciò. Così a le nozze
- Del nobil re si fea principio lieto.
- Ma poiché soggiornar dato non era
- A tutti in la città, pregò Rüedgero
- 160 Che alla campagna prendessero alloggi
- Quanti ospiti non erano. E mi penso
- Che appo donna Kriemhilde, in ogni tempo,
- Prence Dietrico ed altri prodi assai
- Sempre fûr visti; per faccende molte
- 165 Tolto ei si avean ogni riposo e quiete,
- Perchè a l’alma degli ospiti conforto
- Ei dessero così. Giubilo e festa
- Ebbe Rüedgero con gli amici suoi.
- Di Pentecoste caddero nel giorno
- 170 Le nozze regie, allor che appo Kriemhilde,
- Di Vienna in la città, Ètzel monarca
- Si riposò. Pensò colei che tanti
- Uomini, accanto al suo primiero sposo,
- Ella non ebbe mai. Con donativi
- 175 A chi non anche l’ebbe vista, nota
- Ella si fece, e alcuno anche dicea
- Così agli ospiti: Un dì credemmo noi
- Che nulla avesse più di sue dovizie
- Donna Kriemhilde. Ora, co’ doni suoi,
- 180 Molti prodigi qui si fean davvero!
- Durâr le nozze diciassette giorni,
- Ed io mi penso che d’alcun regnante
- Non si possa ridir che fu maggiore
- Festa di quella; o ciò è nascosto a noi.
- 185 Quanti eran là, nuovissime portavano
- Lor vestimenta, e l’inclita regina
- Anche pensò che in Niderlande mai
- Di tanti prodi non assise innanzi
- Alla presenza. Anche cred’io che, grande
- 190 Ben che fosse Sifrido in sua ricchezza,
- Tanti non possedè nobili croi
- Quanti ella scorse d’Ètzel nel cospetto;
- Nè alcuno diede mai, nelle sue nozze,
- Sì ricchi ammanti, vasti e lunghi, o tante
- 195 Vesti buone, chè a tutti aver fu dato,
- Com’elli fean per opra di Kriemhilde
- Tutti davver. Gli ospiti suoi, gli amici,
- Sola una mente avean, perchè nessuna
- Cosa da lor si risparmiasse; quanto
- 200 Altri bramò, donavan elli pronta-
- mente così, che molti cavalieri
- Stettero, per bontà, senza lor vesti.
- Or, senza ciò, pensava la regina
- Ai dì ch’ella abitò là presso al Reno
- 205 Col suo nobile sposo, e gli occhi suoi
- Faceansi molli. Ma di ciò teneva
- Alto secreto, per che mai nessuno
- Ciò potesse veder. Ben grandi onori,
- Dopo tanto suo duolo, altri le rese!
- 210 Ciò che altri fece per amor, leggiera
- Cosa parea, sì come un’aura è lieve,
- Per ciò che fea Dietrico. E fu da lui
- Sparso all’intorno quanto gli ebbe dato
- Di Botelungo il figlio.4 Anche la mano
- 215 Del buon Rüedgero meraviglie assai
- Operò allora. Di vuotar fe’ cenno
- Dell’argento e dell’or Bloedelin, sire
- Dell’ungarica terra, assai forzieri,
- E tutto ciò là si donò per lui,
- 220 E fûr visti davver con molti gioia
- Viver del re i gagliardi. Anche del sire
- I musici, Wärbèl e Swemmelino,
- Cred’io davver che di ben mille marchi,
- E forse più d’assai, fecer guadagno
- 225 In quella festa per ciascuno, allora
- Che appo d’Ètzel sedè con dïadema
- La leggiadra Kriemhilde. E quei5 da Vienna
- Al diciottesmo dì si dipartiro,
- E molti scudi andâr spezzati, in giuochi
- 230 Cavallereschi, da le lancie aguzze
- Che recavano in pugno i cavalieri.
- Ètzel re così andavane alla patria
- Terra degli Unni. Furono la notte
- In Heimburgo vetusta, e niuno invero
- 235 Il novero sapea di sì gran gente,
- E con qual possa acconcia e bella intorno
- Per quella terra cavalcasse. Oh! quante
- Leggiadre donne a lor natìe dimore
- Altri incontrò! Scendeano in navicelli
- 240 A Misenburgo, l’opulenta, e l’onde.
- Fin là ’ve si vedean scender scorrendo,
- D’uomini e di cavalli eran coperte,
- Qual se terreno ivi pur fosse. V’ebbero
- Agi e riposo dalla lunga via
- 245 Stanche le donne. Navicelli assai,
- Acconci e buoni, fûr tra loro avvinti,
- Per che niun danno l’onda o la corrente
- Facesse a’ naviganti. E tende assai
- Acconciamente sopra fûr spiegate,
- 250 Sì che parea che avesser quelli ancora
- E terra e spazio. In Etzelburgo queste
- Novelle andâr di là rapidamente.
- Uomini e donne ivi gioirò, e vissero
- D’Hèlche le ancelle, di cui s’ebbe cura
- 255 L’inclita donna in prima, assai giornate
- Felici appo Kriemhilde, e là si stavano
- Ad aspettar molte fanciulle, d’inclito
- Sangue, che doglia assai ebbero un giorno
- D’Hèlche al morir. Là ritrovò Kriemhilde
- 260 Sette figlie di re; d’Ètzel la terra
- Tutta andavano adorna. Herràt, intanto,
- La giovinetta, delle sue compagne
- Prendeasi cura. Figlia era costei
- D’Hèlche d’una siroccliia, e fidanzata
- 265 Era a Dietrico, e molte erano in lei
- Virtù preclare, e di gran re la prole
- Ell’era, figlia di Näntwin. Costei
- Molti onori ebbe poi. Ma, per l’arrivo
- Degli ospiti, il suo cor forte gioìa.
- 270 Per cotesti, apprestate erano ovunque
- Cose ricche d’assai. Deh! chi potrìa
- Dirvi ancor di qual foggia il re si stette
- Dopo que’ di? Là presso agli Unni intanto
- Miglior vita non ebbe altri più mai
- 275 Presso a regina.6 Come ascese il prence
- Con la sua donna da la spiaggia, detto
- Partitamente a l’inclita Kriemhilde
- Fu per lui chi si fosse de le ancelle
- Ciascuna, ed ella fea saluti onesta-
- 280 mente più assai. D’allora in poi, deh! quanto,
- D’Hèlche al loco, ebbe quivi alto potere!
- Le si prestava assai fedel servigio
- Intanto, ed ella, nobile regina,
- Spartìa le vesti, le gemme e l’argento
- 285 E l’oro anche spartìa. Ciò che dal Reno
- Ella fra gli Unni si portò, doveasi
- Tutto spartir da lei. Per lor servigi
- Anche d’allora in poi le fûr sommessi
- Del re tutti i congiunti, anche que’ suoi
- 290 Uomini tutti, sì che mai con tale
- Forza e poter comando non avea
- Donn’Hèlche. E lor fu d’uopo a lei servire
- Fino alla morte sua. Ma quella reggia
- E quella terra ancor stettero in tanto
- 295 Onore da que’ dì, che in ogni tempo
- Altri vi rinvenìa feste e sollazzi
- Di quella guisa che il cor di ciascuno
- Avea desìo; ciò per amor del prence
- E di Kriemhilde per l’ambita grazia.
- ↑ Orda tatarica stabilitasi sul Don e sul Danubio dopo l’XI secolo.
- ↑ Passo oscuro e diversamente interpretato. Ritiravano i dardi già incoccati per vibrar con maggior forza (?).
- ↑ Kriemhilde, loro novella signora.
- ↑ Etzel.
- ↑ Tutto il corteo nuziale.
- ↑ Migliore di questa, ora che Kriemhilde era là.
- Note
- Avventura Ventitreesima
- In che modo Kriemhilde pensò di vendicare il suo dolore
- Con onor grande assai, gli è questo il vero,
- Elli vivean fino al settimo anno
- L’uno accanto dell’altro, e la regina
- D’un figlio intanto si sgravò. Più lieto
- 5 Mostrarsi non potè re Ètzel mai
- Qual per cotesto. Ed ella mai non volle
- Questo lasciar ch’ella chiedesse ognora
- Che d’Etzel il figliuol battesmo avesse
- Conforme al rito cristiano. Detto
- 10 Ortlieb ei fu. Di tanto una gran gioia
- D’Ètzel fu allor per tutte le contrade.
- Quante in donna Hèlche fûr virtudi egregie,
- Donna Kriemhilde curar volle in tanti
- Giorni che venner poi. Herràt, l’estrania
- 15 Fanciulla, le apprendea costumi e riti,
- Ma in secreto ell’avea fiero dolore
- Per Hèlche estinta. Agli amici, agli estrani
- Era d’assai nota Kriemhilde; e invero
- Elli dicean che donna mai non resse
- 20 Terra di prence in più leggiadra guisa,
- Con dolcezza maggiore. Elli cotesto
- Avean per vero, ed ella intanto questo
- Ben vide e s’avvisò che niuno a lei
- Resistere potea (così pur fanno
- 25 Cavalieri di re presso la donna
- Del lor signore), e che dinanzi a lei
- Dodici re si stavano ogni tempo.
- Anche a dolori assai che già le incolsero
- In sua casa, pensava; anche agli onori,
- 30 Che fûr molti per lei de’ Nibelunghi
- Nella terra, pensava, ond’ella fue
- Tanto possente, quali tolse a lei
- D’Hàgen la mano, allor che le fu morto
- Il suo Sifrido. E pensava se in doglia
- 35 Potea cotesto volgersi per lui.
- Questo avverrà, dicea, se a questa terra
- Trar lo potrò. — Sognava che con lei,
- Rasente al fianco suo, venìa Gislhero,
- Il suo fratello. Spesso e a tutte l’ore
- 40 Ella il baciava ne’ suoi dolci sonni.
- Ma grave poi ne venne a lui rancura!
- Credo che un tristo dèmone a Kriemhilde
- Cotesto consigliò, perch’ella amica-
- mente da re Gunthèr si separasse,
- 45 Quand’ella lui baciò, per far la pace,
- De’ Burgundi in la terra. A farsi molli,
- Per sue lagrime calde, incominciaro
- Le vestimenta sue. A mane, a sera,
- Questo le stava in cor di qual mai guisa
- 50 Altri, senza ragion, l’addusse a punto
- Ch’ella a un pagano dar dovesse amore.
- A l’opra estrema Hàgen l’astrinse in prima
- E Gunthèr seco. Di questo le uscìa
- Raro dal cor la brama, onde ella fea
- 55 Questi pensieri: Tanto io mi son ricca,
- Tante ho dovizie, che a’ nemici miei
- Anche aggiunger potrei rancura grave.
- A ciò, per Hàgen di Tronèga, assai
- Presta son io. Sovente al mio fedele
- 60 Sospira questo cor. Che se giammai
- Accanto a quelli un dì sarò, che tanto
- Mi fean dolor, del mio diletto amico
- Fia vendicata la persona. A stento
- Questo aspettar poss’io. — Così la donna
- 65 D’Ètzel dicea. Ma tutti ella del sire
- Amici avea gli uomini fidi, tutti
- Cavalieri a Kriemhilde, e ciò si fea
- Con giustizia davver. De’ suoi tesori
- Avea cura Eckewardo; ei s’acquistava
- 70 Molti amici però. Niun di Kriemhilde
- Allor potea resistere alla voglia.
- Ella a ogni tempo si pensava: Il sire
- Io ne vo’ supplicar, — ciò, perchè a lei,
- In cortese atto, ei conceder volesse
- 75 Che i suoi congiunti altri menasse a quella
- Terra degli Unni. Volontà sinistra
- Niun ritrovò nella regina allora.
- Ed una notte ch’ella stava accanto
- Al suo prence e signor (lei fra le braccia
- 80 Egli stringea, nobil donna e fedele,
- Come solea, che qual la sua persona
- Cara gli era costei), l’inclita donna
- A’ suoi nemici iva pensando. O assai
- Diletto signor mio, ben volentieri,
- 85 Al re dicea, vi pregherei, se tanto
- Fia con vostro piacer, quand’io cotesto
- Merti da voi, che a me veder lasciate
- Se a’ miei congiunti voi recate affetto
- Dall’intimo del cor. — Le rispondea
- 90 (Era leale il suo pensiero) allora
- Il potente signor: Ciò ben vogl’io
- Concedervi. Degg’io provar contento
- Di quanto a’ cavalieri1 e dolce e grato
- Esser potrà, ch’io penso che giammai,
- 95 Di donna per l’amor, migliori amici
- Acquistati non ho. — Da voi cotesto,
- La regina dicea, bene si afferma,
- Chè illustri assai son li congiunti miei.
- E però m’è dolor che raro assai
- 100 Prendonsi cura di vedermi. Intanto
- Odo la gente non chiamarmi in altro
- Nome che in quello di straniera donna.
- E re Ètzel dicea: Dolce mia donna,
- Se troppo lungi a voi non sembra, a quale
- 105 Qui volentier vedreste in la mia terra,
- Di là dal Reno farò invito. — Allora
- Gioì la donna, chè toccò sua brama.
- Signor mio, rispondea, se fè mi date,
- A Worms di là dal Reno è d’uopo a voi
- 110 Messaggieri invïar. Ciò ch’io pur bramo,
- A’ miei congiunti farò noto; e ratto
- Molti verranno qui alla terra illustri
- E buoni cavalier. — Fate che avvenga
- Ciò che v’è caro, egli dicea. Davvero!
- 115 Che volentier così, com’io vedrolli,
- Voi non potrete qui mirar que’ vostri
- Congiunti, d’Ute glorïosa i figli;
- E ciò crucciami assai, ch’elli sì a lungo
- Ci sian stranieri. Che se a te ciò piace,
- 120 O donna mia diletta assai, con lieto
- Animo invïerò là da’ congiunti
- Tuoi, de’ Burgundi ne la terra, i miei
- Suonatori di giga. — Ed egli intanto
- Di giga addur si fece i suonatori.
- 125 Veloci ei s’affrettâr là ’ve daccanto
- Alla regina era seduto il prence,
- E ad ambo ei disse che partir per quella
- De’ Burgundi contrada elli dovessero
- Quai messaggieri. Vesti assai pompose
- 130 Lor fe’ intanto apprestar. Così le vesti
- A ventiquattro cavalieri illustri
- Fûro apprestate, e fu detto dal sire
- Anche qual fosse lor messaggio, e come
- A Gunthero ei dovessero ed a’ suoi
- 135 Uomini fare invito. Incominciava
- Donna Kriemhilde a favellar con elli
- Secreta, e il re possente anche dicea:
- Io vi dirò ciò che farete. A’ miei
- Congiunti amore ed ogni cosa bella
- 140 Augurando desìo, perch’essi vogliano
- Qui venir cavalcando alla mia terra.
- Ospiti sì graditi assai di rado
- Fûr per me conosciuti. Or, se i congiunti
- Di Kriemhilde di tanto al voler mio
- 145 Ceder vorranno, dite voi che questo
- Non lascin mai perchè al vicino estate
- Vengano alla mia festa. Io sì mi penso
- Che assai del piacer mio si sta da presso
- Di mia donna ai congiunti. — Allor dicea
- 150 Di giga il suonator, Swemmelin baldo;
- Quando adunque sarà la vostra festa
- In questa terra? perchè là da noi
- Dir si possa cotesto ai vostri amici.
- Re Ètzel disse: Del vicin solstizio
- 155 Ai giorni. — Farem noi, Wärbelin disse,
- Ciò che ingiungete a noi. — Ma la regina
- Segretamente fe’ condurli a sue
- Stanze riposte ed ebbe là coi messi
- Lungo sermone. — Da ciò nacque poi
- 160 Ben poca gioia a molti valorosi. 2
- Ad ambo i messi ella dicea: Cospicua
- Grazia fia che da voi oggi si merti,
- Se il voler mio con buono animo e fido
- Eseguirete, ciò che ingiungo a voi
- 165 A casa mia dicendo, in la mia terra.
- Gran dovizia farovvi e donativi
- Di vestimenta ricche. A qual vedrete,
- A Worms, al Reno, de’ congiunti miei,
- Non dite mai che d’anima turbata
- 170 Vista m’avete qui. Li miei servigi
- Offrite ai buoni e arditi cavalieri,
- Pregate sì ch’ei facciano cotesto
- Che loro ingiunse il re, perch’io da tutto
- Il mio dolor per questo mi disciolga.3
- 175 Stimar gli Unni potrìan ch’io qui mi sono
- Senz’amici del cor. Deh! se foss’io
- Un cavalier, là presso a quelli andrei
- Qualche fiata! Anche a Gernòt voi dite,
- Al nobil fratel mio, che niuno in terra
- 180 Di me più l’amerà. Sì lo pregate
- Ch’ei qui m’adduca in questa terra i nostri
- Migliori amici, perchè ciò ad onore
- Di noi si volga. A Giselhero ancora
- Direte voi ch’egli a cotesto pensi
- 185 Ch’io mai non ebbi alcuna doglia o cruccio
- Per sua cagione. Oh! volentieri assai
- Lui qui vedranno gli occhi miei! Per quella
- Sua fede grande, volentieri assai
- Io l’avrei meco! E l’onor che le porto,
- 190 Anche noto farete alla mia madre.
- Ma se là rimanersi Hàgen volesse
- Di Tronèga, oh! chi mai potrìa guidarli
- Per le contrade? Fin dagli anni suoi
- Di fanciullezza, note ben gli sono
- 195 Tutte le vie che adducono fra gli Unni.
- Perchè cotesto si facesse mai,
- Ond’elli non dovessero di niuna
- Guisa soffrir che sul Reno restasse
- Hàgene di Tronèga, i messaggieri
- 200 Non sapean veramente. Oh! ma ne venne
- Lor grave doglia poi. Solo per trista
- Morte a parecchi cavalieri allora
- fa disdetta la pace ! — Ecco, messaggio
- Lor s’affidò con l’epistola ancora,
- 205 Ed elli si partir con doni assai
- Onde potean viver fra gli agi. Diede
- Ètzel commiato, e loro il diè pur anco
- La leggiadra sua sposa. Era fregiata
- pi vesti ricche assai la lor persona.
- ↑ I congiunti di Kriemhilde.
- ↑ Si riferisce, come il solito, alla trista fine loro preparata.
- ↑ Dolore dell’essere lontana dai congiunti. Ma è detto anche con altro intendimento.
- Note
- Avventura Ventiquattresima
- In che modo Wärbel e Swämmel eseguirono il messaggio
- Quand’Ètzel invïò suoi messi al Reno,
- Di terra in terra andarono volando
- Queste novelle. Ei sì pregava e fea,
- Per que’ messi veloci, alla sua festa
- 5 Invito; e molti n’ebber poi la morte.
- Dalla terra degli Unni ivano i messi
- Là fra i Burgundi; elli erano a que’ nobili
- Tre monarchi inviati e a’ lor famigli,
- Perchè cotesti ne venisser poi
- 10 A re Ètzel da presso. Or, fean principio
- I messaggieri a camminar. Scendeano
- A Bechelara cavalcando, e quivi
- Lor fe’ servigi volentier la gente;
- Anche Rüedgero e Gotelinde (tinto
- 15 Evitar non potean), quella lor figlia
- Con essi ancora, offrîr pei messaggieri
- A chi stavasi al Reno, i lor servigi.
- Nè soffrîr già che senza donativi
- Andasser quelli, onde per miglior guisa
- 20 D’Ètzel, per quella terra, andasser
- gli uomini.
- Volle Rüedgèr che ad Ute e a’ figli suoi
- Ciò si dicesse, che nessun margravio
- Elli si avean di lui più fido. Ancora
- 25 A Brünhilde elli offrìan servigi e doni,
- E fede salda e pronto core. Tosto
- Ch’essi intendean queste parole, vollero
- Partirsi i messi, e la margravia Iddio
- Pregò, perchè dal ciclo ei li guardasse.
- 30 Pria che venuti fossero que’ messi
- De’ Bavari alla terra, andò quel molto
- Agile Wärbelin dove rinvenne
- Il buon vescovo. A me non è ben noto
- Ciò ch’egli indisse a que’ congiunti suoi
- 35 D’annunzïar sul Reno. Ei, per ricordo,
- Dell’oro suo lucente ai messaggieri
- Parte dar volle, e fe’ ch’ei cavalcassero.
- Vescovo Pellegrin diceva allora:
- Dolce al cor mi sarà se di mia suora
- 40 I figli qui vedrò, chè raro assai
- Cred’io di andarne in fino ad essi al Reno.
- Io non so dir qual strada elli correano
- Là fino al Reno. E niuno osò frattanto
- Rapir lor vesti e lor danaro. Tutti
- 45 Del lor prence e signor temean lo sdegno,
- Chè forte era d’assai quel sire illustre.
- D’alto lignaggio.1 Di Worms alla terra,
- Là sul Reno, Wärbèl e Swämmelino
- Vennero in giorni dodici, e novella
- 50 Tosto al re ne fu detta e a’ suoi famigli,
- Venir stranieri messi. Incominciava
- A dimandar Gunthero. Egli, signore
- Del Reno, disse allor: Chi ci fa noto
- Donde mai cavalcarono in la terra
- 55 Questi stranieri? — E niun sapea cotesto
- Fino a che il disse e favellò a Gunthero
- Hàgene di Tronèga: Or nuove cose
- Vengono a noi, cotesto io vi confermo.
- D’Ètzel son quelli che qui or or vid’io,
- 60 Suonatori di giga, e vostra suora
- Al Reno gl’invïò. Pel lor signore
- Egli esser dènno i benvenuti assai.
- Al palagio dinanzi, allora appunto,
- Venìano quelli cavalcando, e mai
- 65 Suonatori di prenci in più pomposa
- Guisa innanzi non vennero. I famigli
- Del re li accolser prontamente, e alloggi
- Fûro assegnati ancora, anche fu ingiunto
- Ch’ei tenesser lor vesti. E quelle vesti
- 70 Tanto eran ricche e di tal guisa adorne,
- Ben che lor date al vïaggiar, che innanzi
- Con onor si potean recare al prence.
- Eppur, già non volean portarle in corte
- I messaggieri, e feano attorno dire
- 75 Se alcun volea l’acquisto farne. In questa
- Medesma guisa gente si rinvenne
- Che volentieri le acquistò d’assai,
- E quelle tosto le fûr date. Allora
- Vesti migliori assai gli ospiti assunsero,
- 80 Quali s’addice per gran pompa ai messi
- Di monarca indossar. La compagnia
- D’Ètzel così, dato l’assenso, andava
- Là ’ve il prence sedea. Balzava in piedi
- Incontro ai messi con un atto onesto
- 85 Hàgene allora e li accogliea cortese,
- E grazie intanto glien rendean gli alunni.2
- Novella certa per udir, principio
- Ei fece a dimandar come si stava
- Ètzel co’ suoi consorti, e il suonatore
- 90 Di giga rispondea: La terra sua
- Meglio non stette mai, nè così lieta
- Fu mai la gente. In verità cotesto
- Per voi si sappia. — Andavano dal sire,
- Ed era pieno quel palagio, e gli ospiti
- 95 Altri in foggia accogliea quale si addice
- Onestamente a salutar gli estrani
- In terra d’altri re. Wärbel intanto
- Rinvenne appo Gunthèr molti gagliardi.
- E grazïosamente incominciava
- 100 A salutarli il re: Voi, suonatori
- Fra gli Unni, ambo mi siete i benvenuti!
- Ètzel possente alla burgundia terra
- Adunque v’invïò? — Dinanzi al prence
- Elli inchinârsi, e Wärbelin dicea:
- 105 Il signor mio diletto offrevi suoi
- Servigi onesti, e con lui vostra suora
- Kriemhilde, in questa terra. Elli invïati
- Ne hanno, o guerrieri, a voi, con leal fede.
- Disse il ricco signor: Lieto son io
- 110 Di tal novella. — E come sta, soggiunse
- Il prence ancora, Ètzel sovrano, e quella
- Sorella mia, degli Unni ne la terra,
- Kriemhilde? — Noto a voi farò cotesto,
- Rispose ratto il suonator di giga.
- 115 Che gente mai non ebbe di que’ due
- Stato miglior, saper v’è d’uopo; ancora
- Lor cavalieri tutti, ed i congiunti
- E i famigli pur anco. Ei del vïaggio
- Forte gioîr, quando partimmo noi.
- 120 Grazie de’ suoi servigi; onde egli offerta
- Mi fa, di quelli ancor della mia suora,
- Poichè ciò accade che in diletto ei vivono.
- Il prence ed i famigli! E mi credea
- Di tal novella far dimando a voi
- 125 Con ansia e cura. 3 — Intanto, eran venuti
- Anche i due prenci giovinetti.4 Allora,
- Allora appunto avean cotesta nuova
- Udita, e per l’amor de la sirocchia
- Giselhèr giovinetto i messaggieri
- 130 Volentier vide, e favellò in cortese
- Atto così: Voi sête, o messaggieri,
- Benvenuti d’assai, quando più spesso
- Voleste voi discender fino al Reno
- In cavalcando. E qui gli amici ancora
- 135 Voi trovereste che d’assai potranno
- Di gran cor rivedervi. In questa terra
- Piccolo assai potrà toccarvi cruccio.5
- Noi confidiamo in voi per tutto onore,
- Swemmelìn disse. E dirvi non poss’io
- 140 Col vigor di quest’alma in qual mai guisa
- Di vero amor cortese Ètzel, e quella
- Nobil vostra sirocchia, a voi per noi
- Accomandansi. In grado alto d’onore
- Cotesto ora si sta. Ben si ricorda
- 145 Di vostro amor, di vostra grazia, quella
- Donna del sire, che le furon sempre
- Vostra persona e vostro cor propizi.
- E, pria che ad altri, a re Gunthèr siam noi
- Inviati così, perchè vi piaccia
- 150 D’Ètzel a le contrade, in cavalcando,
- Scendere. E perchè noi sì vi pregassimo,
- Fermo assai fe’ comando Ètzel possente.
- Che se non vista la sorella vostra
- Lasciar vorrete, ei volentier desìa
- 155 Questo saper da voi che mai vi fece,
- Perchè estrani cotanto a lui restiate
- E alla sua terra. Se da voi si obblia
- La vostra suora, ei però merto reca
- Perchè vi piaccia rivederlo. Quando
- 160 Cotesto avvenga, ciò gli fia ben grato.
- Re Gunthero dicea: Di là da queste
- Sette notti vicine io la novella
- Vi farò nota in ciò che con gli amici
- pensato avrò. Ma intanto, a’ vostri alberghi
- 165 Andar v’è d’uopo, e dolce, ivi, riposo
- Vi si addice toccar. — Ma Wärbel disse:
- Forse che questo esser potrìa che noi,
- Pria di tanto, vedessimo la nostra
- Ute, potente assai, pria che il riposo
- 170 Ci procacciamo? — In un atto gentile
- Il nobile Gislhèr così rispose:
- Niuno cotesto vi tôrrà. Se andarne
- A lei bramate, della madre mia
- Farete voi la volontà, chè assai
- 175 Volentieri sarà ch’ella vi vegga
- Per la sorella mia, donna Kriemhilde.
- Oh sì! voi le sarete i benvenuti.
- E Giselhèr li addusse ove la donna
- Ei ritrovò. Degli Unni de la terra
- 180 Di gran core ella vide i messaggieri,
- E con atto gentil, per quella sua
- Anima ricca di virtù, lor fece
- Anche un saluto. In cortese atto e dolce
- Le diêr l’annunzio i messaggieri. A voi
- 185 Offre la donna mia, Swemmelin disse,
- Fede e servigi. Che potesse mai
- Questo avvenir che più sovente ancora
- Vi vedess’ella, deh! credete, o donna,
- Che di gaudio maggior nessuna cosa
- 190 Al mondo le sarìa! — Cotesto mai
- Non avverrà, rispose la regina.
- Per quanto volentier la mia diletta
- Figlia vedrei sovente, ella, ch’è sposa
- Di nobile signore, ahi! troppo lungi
- 195 Da me si sta. Ma sempre e sempre ancora
- Ella viva felice e la persona
- D’Ètzel con seco! E pria che ve n’andiate,
- Farmi saper v’è d’uopo a quando mai
- Partirete di qui. Mai non vid’io
- 200 In sì lunga stagion sì volentieri
- Messi d’altrui com’io vi ho visti. — A lei,
- Che cotesto per lor si curerebbe,
- Fêr promessa gli alunni. Ai loro alberghi
- Quelli tornâr degli Unni de la terra.
- 205 Ma il potente signor mandato avea
- Per suoi amici intanto, e a’ suoi famigli
- Gunthero illustre dimandò se quello
- Messaggio lor piacea. Molti cotesto
- Facean principio all’affermar che in quella
- 210 D’Ètzel contrada egli potea con molto
- Onor recarsi, e questo consigliavano
- Quanti migliori ei là rinvenne, solo
- Hàgene tolto. In lui, grave corruccio
- Era davvero. A contraddir voi stesso
- 215 Veniste, ei disse al re secretamente.
- Noto v’è assai ciò che noi femmo, e noi
- Sempre dobbiamo per Kriemhilde in core
- Serbar pensiero, ch’io con questa mano
- Colpito ho a morte l’uom di lei. Deh! come
- 220 Ardirem noi discender cavalcando
- D’Ètzel a le contrade? — Il re possente
- Rispose allora: Abbandonò suo sdegno
- La mia sirocchia, e ciò che femmo a lei,
- Dimenticò per noi nell’amoroso
- 225 Bacio ch’ella ci diè, pria che partisse
- Cavalcando di qui. Forse gli è questo
- Che per voi solo, Hàgen, ell’ha disdegno.
- Prender non vi lasciate a questi inganni,
- Ei rispondea, per quanto i messaggieri
- 230 Dicon degli Unni. E se veder bramate
- Kriemhilde ancor, la vita là v’è d’uopo
- Perdere con l’onor. Lungo pensiero
- Fe’ di vendetta d’Ètzel la mogliera.
- E principe Gernòt in suo consiglio
- 235 Così dicea: Poichè per vostre colpe
- Temete voi, là, degli Unni nel regno,
- La morte, di veder la nostra suora
- Speme dovremmo abbandonar. Cotesto
- Male assai sarìa fatto. — Al cavaliero
- 240 Prence Gislhèr fe’ un motto: Hàgene amico,
- Poi che voi stesso vi sentite in colpa,
- Qui vi restate e vi guardate ancora
- Con sollecita cura, e chi è più ardito
- Lasciate andar dalla sorella mia.
- 245 Il cavaliere di Tronèga allora
- A corrucciarsi incominciò: Che alcuno
- Vi conduciate per la via non soffro,
- Quale osi più d’assai vosco alla reggia
- D’Ètzel recarsi cavalcando. Questo,
- 250 Poi che di là distorvi non v’è a grado,
- Io mostrerovvi apertamente. — Allora
- Disse il maestro alla regal cucina,
- Rumoldo cavalier: Qui v’è concesso,
- Conforme a vostra volontà, far cenno
- 255 Che altri accolga per voi stranieri e amici,
- Poi che bramate che altri vi consigli,
- Ch’io credo sì che non vi prese ancora
- Hàgene quale ostaggio.6 E vi consiglia,
- Se non v’è caro Hàgen seguir, Rumoldo,
- 260 Per ch’io vi son, come servo devoto
- Con ferma fè. Rumoldo vi consiglia
- Di qui restar, cedendo al cenno mio,
- Lasciando Ètzel signor là rimanersi
- Appo Kriernhilde. E qual stato migliore
- 260 Potrìa toccarvi al mondo? E qui v’è dato
- Incolume restar d’ogni nemico
- Vostro, e però adornar di buone vesti
- La persona dovete, e ber del vino
- Migliore e corteggiar donna leggiadra.
- 265 Più in là da ciò, qui si daranno a voi
- Quali nessun regnante ebbesi in terra,
- Dapi squisite; e se cotesto ancora
- Non avvenisse, qui restar v’è d’uopo
- Per vostra donna sì leggiadra e adorna,
- 270 Anzi che addurre in estremo periglio,
- Guai fanciullo inesperto, il viver vostro.
- Però vi prego di restar. Son ricche
- Le vostre terre, e in vostra casa assai
- Meglio potrete ancor solver li pesi
- 275 Che là fra gli Unni. E chi poi sa davvero
- Che sia colà? Si resti, o signor mio!
- Di Rumoldo è cotesto il buon consiglio.
- E noi non rimarrem, Gernòt soggiunse,
- Poichè con tanto amor la nostra suora
- 280 Cen fa invito e con lei Ètzel possente.
- Lasciar cotesto, deh! come potremmo?
- Ma chi non viene volentier, restarsi
- A casa anche potrà. — Non vi turbate,
- Hàgen rispose allor, per mie parole,
- 285 Accada ciò che vuol. Che se v’è d’uopo
- Difesa procacciar, sì vi consiglio
- D’andarne armati e custoditi assai
- Fra gli Unni. A vostre genti, ove da questo
- Ritrarvi a dietro non v’è caro, tosto
- 290 Fate un invito, a quanti sì migliori
- Voi troverete o aver potrete mai.
- Fra tutti, mille cavalieri acconcia-
- mente trasceglierò. Così per nulla
- Mal vi farà di Kriemhilde crucciosa
- 295 La mente trista. — Volentier cotesto
- Consiglio vo’ seguir, disse Gunthero.
- Così fe’ cenno a’ messaggieri suoi
- Ampiamente di andar per la sua terra;
- E tosto gli adducean tremila prodi,
- 300 O forse più. Davver! ch’ei non pensaro
- Che avrìan sì gran dolor toccato un giorno!
- Allegramente cavalcando ei scesero
- Di Gunthero alla terra. E palafreni
- A tutti e vesti ancor fu indetto allora
- 305 Di dispensar, ch’elli dovean ben tosto
- Di Borgogna partir. Molti che buona
- Ebbero volontà, rinvenne il sire.
- Hàgene intanto di Tronèga ingiunse
- A Dancwàrt fratel suo di ottanta addurre
- 310 Gagliardi al Reno. Vennero in costume
- Di cavalieri, e aveano usberghi e tuniche
- Essi, leggiadri assai, là ne la terra
- Di re Gunthèr. Venìa Volkero ardito,
- Nobil di giga suonator, con trenta
- 320 Uomini suoi per quel viaggio in corte.
- Tali vesti egli avea, che re sovrano
- Anche potea recarle. E ch’ei volea
- Irne fra gli Unni, a re Gunthèr fe’ dire.
- Chi Volkèr fosse veramente, a voi
- 325 Intendere farò. Nobil signore
- Era costui; gli eran soggetti ancora
- Molti gagliardi in terra di Borgogna,
- E perch’egli sapea suonar di giga,
- Era nomato il suonatore. Intanto
- 430 Hàgen mille scegliea, quali già in pria
- Bene ei conobbe. Ciò che in aspri assalti
- Lor mano oprato avea, ciò che si stava
- A incominciar per essi, egli avea visto,
- E nulla altri potea d’essi narrare
- 435 Fuor che atti di valor. Ma di Kriemhilde
- Avean rancura i messaggieri assai,
- Chè forte veramente era timore
- Di lor principe in essi. Elli ogni giorno
- Chiedean di là commiato; Hàgene intanto
- 440 Mai nol dava, e per arte ei fea cotesto.
- E disse al suo signor: Questo ci è d’uopo
- Bene adoprar che andarne cavalcando
- Non si lascin per noi, pria che noi stessi
- Non ci partiam di qui per la contrada
- 445 D’Ètzel, trascorsi sette dì. Se alcuno
- Alma avversa ci porta, in miglior guisa
- Cotesto saprem noi. Così apprestarsi
- Donna Kriemhilde non potrà, che alcuno
- Male ci arrechi per consigli suoi.
- 450 Che s’ella n’ha desìo, male e sventura
- Incoglierle potrà. Di qui con noi
- Alcuni prodi menerem trascelti.
- Arcioni e targhe ed ogni loro arnese,
- Quali d’Ètzel volean portar con seco
- 455 Alla contrada, per alquanti arditi
- Fûro apprestati. Ai messaggieri allora
- Di Kriemhilde si disse, a re Gunthero
- Ch’elli andarne dovean. Vennero i messi,
- E Gernòt favellò: Quanto ci dice
- 460 Ètzel, eseguirà nostro signore.
- Alla sua festa volentieri noi
- Tutti verremo e la sorella nostra
- Vedremo. E ciò per voi sia senza dubbio.
- Prence Gunthero disse allor: V’è dato
- 465 Significar quando saranno, intanto,
- Le feste o in qual mai giorno esse fien date,
- Sì che possiamo intervenir? — Al prossimo
- Solstizio, Swemmelin rispose allora,
- Elle saranno veramente. — E il sire
- 470 Anche fea cenno (e cotesto non anche
- Era avvenuto in pria), se volentieri
- Donna Brünhilde avrìan elli veduta,
- Per ch’elli sì, col placito di lei,
- Le venissero innanzi. A ciò si oppose
- 475 Volkero, e fu cotesto a lei gradito.
- La donna mia Brünhilde, veramente,
- Tanto lieta non è dell’alma sua,
- Che voi possiate ora vederla, disse
- Il buono cavalier. Per voi si aspetti
- 480 Fino a dimani; e di vederla a voi
- Altri concederà. — Mentre ei credeano
- Di lei veder, ciò non potè avverarsi.
- Ma il potente signor, tanto benigno
- Egli era ai messi, per alma cortese,
- 485 Dell’oro suo fe’ recar copia in grandi
- Targhe, chè molto averne egli potea.
- Anche da’ suoi congiunti incliti doni
- Si feano ai messi. Gernòt e Gislhero,
- Gere ed Ortwin, feano apparir di quanto
- 490 Anche eran buoni. Ricchi doni offersero
- Elli pur anco ai messaggieri e in tale
- Guisa, che i messi non osâr per tema
- Tôrli del sire. 7 Wärbel messaggero
- Al re così parlò: Re, mio signore,
- 495 I vostri doni, deh! soffrite voi
- Che restin qui, alla vostra terra. Noi
- Recarli non possiam, chè ciò vietava
- Il nostro re, perchè alcun dono mai
- Non si prendesse. Anche il bisogno
- 500 è scarso. 8
- Ma del Reno il signor crucciato assai
- Era di tanto, ch’ei voleano i doni
- Di sì gran prence ricusar. Quell’oro
- E quelle vesti sue toglier fu d’uopo,
- 505 Perchè con seco le recasser poi
- D’Ètzel a le contrade. E pria che andassero,
- Ute volean veder. Gislhèr leggiadro
- Da Ute, madre sua, menava allora
- Di giga i suonatori, e la regale
- 510 Donna a’ messi dicea che, se Kriemhilde
- Aveasi onore, ciò si fea di lei
- Con gradimento. Accennò la reina
- L’oro suo, le sue nappe a’ suonatori
- Di spartir per Kriemhilde, a cui sì grande :
- 515 Portava amor, per Ètzel re pur anche;
- E quelli ciò potean d’animo grato
- Ricevere così, chè ciò si fea
- Di cor sincero. E sì prendean commiato
- Da uomini e da donne i messaggieri
- 520 Di là, di là venìano allegramente
- Fino al confin di Svevia, e a’ suoi guerrieri
- D’accompagnarli, per che niun facesse
- Offesa o danno a lor, Gernòt indisse.
- Poi che si separâr da chi dovea
- 525 In cura averli, d’Ètzel signoria
- In tutte strade li difese, e niuno
- I corsieri lor tolse e non le vesti;
- Con prestezza d’assai verso la terra
- D’Ètzel ei s’affrettaro, e a quanti amici
- 530 Ivi si conoscean, noto elli resero
- Che fra breve stagion verrìano in quella
- Terra degli Unni di Borgogna i prenci
- Dal Reno; e la novella anche si rese
- Notificata a Pellegrino vescovo.
- 535 Com’egli discendean di Bechelara
- Cavalcando le vie, ciò si annunziava
- (Ch’evitar non poteasi) anche a Rüedgero
- Ed alla sposa del margravio ancora,
- Gotelinde. Elli andâr gioiosi assai
- 540 Perchè i Burgundi avessero a vedere;
- E si vedeano intanto i suonatori
- Andar con le novelle, ed elli intanto
- Di Gran alla cittade Ètzel trovaro.
- Offerte di servigi sopra offerte,
- 545 Quali in gran copia fe’ la gente a lui,
- Annunziâr dessi al lor signore; ed egli
- Allegramente si fe’ rosso in viso
- Per molta gioia. Ma quel vero annunzio
- Ratto che intese la regina, a quella
- 550 Contrada già doversi incamminare
- Li suoi fratelli, all’anima di lei
- Cosa grata fu questa. I suonatori
- Ella ricompensò con doni assai
- Cospicui, e ciò ad onor le ridondava.
- 555 Ella disse: Ambo voi ditemi intanto,
- Wärbel e Swemmelin, quali esser vônno
- De’ miei congiunti alla mia festa, quelli
- De’ più prossimi a me, quali invitammo
- In questa terra. Dite ancor che disse
- 560 Hàgene, allor che intese esta novella.
- A parlamento ei venne, uno rispose,
- Di gran mattino e favellò parole
- Non buone invero per cotesto. E allora
- Che altri il vïaggio acconsentìa per questa
- 565 Terra degli Unni, ciò fu detto quasi
- Di morte annunzio ad Hàgene feroce.
- Vengono intanto li fratelli vostri
- (I tre sovrani tutti), e di gioioso
- Core ei vengono a voi. Ma chi con elli
- 570 Sarà, veracemente io non potrei
- Significarvi. Promettea con gli altri
- Di venirne Volkero, il suonatore
- Abil di giga. — Agevolmente assai,
- Disse del re la donna, io mi starei
- 575 Senza vedermi qui daccanto mai
- Di Volkèr la persona. Io più del core
- Ad Hàgene m’inclino. Ei veramente
- È buono cavalier. Che noi possiamo
- Qui mai vederlo, al cor mi sta d’assai.
- 580 Laddove il re trovò, ne andava intanto
- La regina. E, davver! con quanto amore
- Donna Kriemhilde favellò! L’annunzio
- Come vi piace, o dolce signor mio?
- Ora soltanto ciò che il voler mio
- 585 Disïava, si compie! — Il voler tuo
- È il piacer mio, rispose il re. Sì lieto
- Io non sarei de’ miei congiunti stessi,
- Quando mai qui dovessero alla mia
- Terra venir. Spariva ogni mia cura
- 590 Sol per l’affetto verso i tuoi congiunti.
- Fêr cenno allor del sire gli officiali
- D’apprestar ne’ palagi e ne le stanze
- Le sedie, ovunque, per gli ospiti cari
- Già prossimi a venir. D’allora in poi
- 595 Molta parte di gioia al re fu tolta.
- ↑ Etzel.
- ↑ Knappe (ted. mod. Knabe) il giovane che non è ancora cavaliere, ma vi aspira.
- ↑ Temeva di dover udire qualche trista novella.
- ↑ Gernot e Giselhero.
- ↑ In senso di nessun fastidio.
- ↑ Perche dobbiate sempre fare come egli vuole.
- ↑ Etzel.
- ↑ Etzel li aveva forniti di ogni cosa.
- Note
- Avventura Venticinquesima
- In qual modo i principi tutti andarono presso gli Unni
- Or si lasci per noi di qual mai guisa
- Elli apprestârsi. Non asceser mai
- Cavalieri più illustri, e con sì grande
- Pompa, d’un sire alle contrade. Aveano
- 5 Ciò ch’ei volean, guerreschi arnesi e vesti.
- Gli uomini suoi, mille e sessanta, il prence
- Del Reno allor vestì, com’io già intesi,
- Per quella festa, e novemila ancora
- Giovani prodi. Ma li pianser poi
- 10 Quelli che a casa egli lasciâr. E intanto
- A Worms in corte gli apparecchi tutti
- Recârsi, e ad Ute bella così disse
- Di Spira un vecchio vescovo: Alla festa
- Vogliono andar gli amici nostri. Iddio
- 15 Voglia guardarli nell’onor! — Dicea
- La nobile Ute ai figli suoi frattanto:
- Qui v’è d’uopo restar, buoni campioni.
- Sventura, in questa notte, dolorosa
- Io sognai, come fosser tutti morti
- 20 Gli augêi di questa terra. — Oh! chi la mente
- Rivolge a’ sogni, Hàgen dicea, del vero
- Nulla sa favellar, se ciò gli torni
- Pienamente ad onor. Vogl’io che a corte,
- Avutone l’assenso, il mio signore
- 25 Vadasi, e volentier noi cavalcando
- D’Ètzel amlremo alle contrade. Allora
- La man de’ buoni cavalieri il sire
- Potrà servir, là ’ve potrem la festa
- Di Kriemhilde ammirar. — Così al vïaggio
- 30 Hàgene assenso dava; e n’ebbe poi
- Il pentimento. Anche consiglio avverso
- Dato egli avrìa, se con parole acerbe
- Tocco Gernòt pria non l’avesse. Ei fece
- Di Sifrido, dell’uom fece ricordo
- 35 Di Kriemhilde regina, e così disse:
- Il gran vïaggio Hàgen vuol che si lasci
- A quella corte, per ciò appunto. — Allora
- Hàgene disse di Tronèga: Nulla,
- Nulla fo per timor. Ciò che v’è d’uopo,
- 40 O prodi, comandar, tosto per voi
- S’incominci, chè vosco io volentieri
- D’Ètzel verrò a la terra. — E da quel giorno
- Molti furon da lui squarciati e rotti
- Elmi e pavesi. — Eran pronte le navi,
- 45 E molti erano là. Quante con seco
- Aveano vesti, dentro fûr portate
- Ai navicelli, ed ebbero faccenda
- Quelli d’assai fino alla sera. Andavano
- Lungi da casa con gran festa; e intanto,
- 50 Di là dal Reno, sovra l’erba, tende
- Fûr drizzate e capanne. Ora, cotesto
- Avvenne, e intanto la leggiadra donna1
- Anche pregò che il suo signor restasse.
- La sua bella persona ella amorosa-
- 55 mente abbracciava quella notte ancora.
- Di gran mattino, all’alba, ecco levarsi,
- Clangor di corni e trombe. Elli doveano
- Partirsi, ed a partir già s’apprestavano,
- E strinse dell’amico entro a le braccia
- 60 Quei la persona che qualcuno amava.
- Deh! che in grave dolor poi li disgiunse
- Di re Ètzel la donna! Ora, i figliuoli
- D’Ute leggiadra aveansi un uom con seco
- Avveduto e fedel. Poi che voleano
- 65 Di là partirsi, al re secretamente
- Disse l’animo suo. Deh! che dolermi
- Io deggio sì, dicea, ch’esto vïaggio
- Facciate a corte voi! — Rumoldo a nome
- Era detto costui; forte di mano,
- 70 Un valoroso egli era, ed or dicea:
- Perchè dunque la terra e il popol vostro
- Lasciar volete voi? Cosa nessuna
- Svolger potrà di voi, prodi e gagliardi,
- L’anima da cotesto? E di Kriemhilde
- 75 Buono e leal non mi sembrò l’invito.
- A te affidata questa terra sia
- Col mio picciolo infante, e tu alle dame
- Bene farai servigi, ed è cotesto
- Il voler mio. Di chi vedrai tu piangere,
- 80 Darai conforto alla persona. Oh! mai
- Non ci fe’ male d’Ètzel re la donna!
- Eran pel sire e per gli uomini suoi
- Apprestati i cavalli; e molti allora,
- Che si vivean con sensi alti e superbi,
- 85 Si separâr con amorosi baci.
- Deh! che piangerli poi molte leggiadre
- Donne dovean! — Come balzar fûr visti
- Gli agili cavalieri a’ lor cavalli,
- Anche fûr scorte molte donne starsi
- 90 Là dolorose. Perchè lor dicea
- Chiaro l’anima lor che per gran danno
- Venìa cotesto separarsi a lungo,
- Ciò gradito lor mai non venne al core.
- Così levârsi gli agili Burgundi,
- 95 E gran tumulto per la terra andava
- Subitamente. A questa e a quella parte
- Del monte, là piangean uomini e donne,
- E quelli si partìan, qualunque cosa
- Il popolo facesse, allegri e gai.
- 100 Gli eroi di Nibelungo andâr con essi;
- Avean mille corazze, e abbandonate
- Molte donne leggiadre ai loro ostelli
- Aveano intanto, quali mai non videro
- Ne’ giorni che seguîr. Facean le piaghe
- 105 Di Sifrido a Kriemhilde alla rancura.
- Lor vïaggio drizzâr là verso al Meno,
- Per Osterfrànken, di Gunthero gli uomini;
- Hàgene li guidava, a cui cotesto
- Era ben noto, e Dancwarto, l’eroe
- 110 Di quella terra di Borgogna, n’era
- Connestabile addetto. A Swanefelde
- Da Osterfrànken venièno ei cavalcando;
- E al regal portamento altri potea
- I prenci ravvisar co’ lor congiunti
- 115 E con gli eroi degni di laude. Il sire
- Scese al Danubio al dodiccsmo giorno.
- A tutti innanzi cavalcava allora
- Hàgene di Tronèga, ai Nibelunghi
- Valevole sostegno egli era assai;
- 120 E là discese su l’arena il prode
- E ardito cavalier, rapido e forte
- Legò a una pianta il palafreno. L’acque
- Erano alto discese e i navicelli
- Eran celati, e fu cotesto a grave
- 125 Cura de’ Nibelunghi, in qual mai guisa
- Passassero di là; vasta soverchio
- La distesa dell’acque. A terra scesero
- Molti valenti cavalieri allora.
- Male qui ci accadrà, prence del Reno,
- 130 Hàgene così disse, e tu medesmo
- Puoi cotesto vedere. Ecco, son l’acque
- Straripate, e n’è l’onda forte assai.
- Io già mi credo che dovrem qui perdere,
- Oggi, parecchi valorosi eroi.
- 135 Deh! che mi dite adunque, Hàgene? disse
- Il nobile sovrano. Or, per la vostra
- Stessa virtù, di scemar nostro ardire
- Non piacciavi così! V’è d’uopo a noi
- Cercar passaggio là sull’altra terra,
- 140 Perchè di qui li nostri palafreni,
- Le vesti ancor, recar possiamo. — E invero,
- Hàgene disse, tanto non m’è grave
- Ancor la vita, ch’io mi voglia in queste
- Onde vaste affogar. Per le mie mani
- 145 Molti dènno morir gagliardi in pria
- D’Ètzel ne le contrade. Io buona voglia
- Ho di tanto davver! Ma voi frattanto,
- O buoni e illustri cavalieri, all’acque
- Restatevi da presso. I navalestri
- 150 Io stesso vo’ cercar presso a quest’onde,
- Quali di là, di Gelpfràt ne la terra,
- Ci porteranno. — Hàgene il forte, allora,
- Prese con sè quella sua targa buona.
- Armato egli era bene assai. Portava
- 155 La targa sua, legato era sull’alto
- Il suo cimiero e rilucea d’assai,
- Ed ei recava su l’usbergo un’arma
- Ampia cotanto, che ferita orrenda
- Fea da’ due tagli. I navalestri andava
- 160 Su e giù correndo a ricercar; d’un tratto
- Acque intese cader; fe’ allor principio
- Ad ascoltar. Cotesto fean veggenti2
- Donne in un fonte bello; e si voleano
- Rinfrescare, e bagnavan lor persona.
- 165 Hàgene dietro andava ed in secreto
- Strisciavasi da presso. Ecco, le prese
- Fretta a fuggir di là, come di tanto
- Elle s’avvidero, e fûr liete assai
- Quando lontane gli sfuggîr. Lor vesti
- 170 Egli intanto prendea; ma non le offese
- L’eroe per nulla. Una donna dell’acque,
- Hadeburg si chiamava, allora disse:
- Nobile cavaliere, Hàgene, aperto
- Noi vi farem, quando le nostre vesti,
- 175 Animoso guerrier, darci vogliate,
- Di qual foggia accadrà vostro vïaggio
- Fino a corte tra gli Unni. — E come augelli,
- A lui dinanzi e sovra l’onde, intanto
- Libravansi le donne, e sì gli parve
- 180 Forte d’assai lor mente. Or, qual mai cosa
- Dirgli volean, buona egli a sè pensava,
- E quelle bene assai ciò ch’egli volle,
- Esplicavangli allor. Disse Hadeburga:
- D’Ètzel cavalcherete alle contrade
- 185 Con lieta sorte; la mia fede intanto
- In testimonio pongo a voi che in nullo
- Reame di quaggiù non cavalcaro
- Eroi giammai in così grande onore.
- Vero cotesto credere vi piaccia.
- 190 Hàgene in core andavane assai lieto
- Per cotesto sermone. Ei le rendea
- Di lei le vesti, nè più s’indugiava.
- Ma poichè la lor veste prodigiosa3
- Elle si rivestìan, veracemente
- 195 Tutto il vïaggio d’Ètzel in la terra
- Gli profetâr, che l’altra donna allora,
- Donna dell’acque (Sigelind chiamavasi),
- Così disse: Ammonirti ora vogl’io,
- Hàgen, figliuolo d’Aldrïano. Or ora,
- 200 Per amor di sue vesti, te ingannava
- Questa mia zia. Se tu fra gli Unni scendi,
- Se’ malaccorto assai! Tórnati a dietro.
- Chè il tempo è questo. Invito a voi si fea,
- Ardimentosi eroi, perchè alla terra
- 205 D’Ètzel morir doveste; ed ha sua morte
- A sè daccanto quei che là cavalca.
- Hàgene disse allor: Senza bisogno
- Voi c’ingannate. Come mai cotesto
- Avverarsi potrìa che tutti morti
- 210 Là restarci dovrem d’alcun per odio? —
- E quelle incominciâr con maggior cura
- Lor sermone a esplicar. Dicea cotale:
- Questo così avverrà che niun di voi
- Salvo possa restar, se pur ne togli
- 215 Il sacerdote del tuo re. Ci è noto
- Ch’ei tornerà di Gunthero alla terra
- Incolume. — E l’ardito Hàgene intanto
- Così dicea con alma corrucciosa:
- Doloroso sarìa narrar cotesto
- 220 A’ miei prenci, noi tutti appo quegli Unni
- Dover perder la vita! Or tu ci mostra,
- O la più saggia de le donne, il passo
- Di là da l’onde. — E quella rispondea:
- Poi che accoglier non vuoi pel tuo vïaggio
- 225 Alcun consiglio, sappi che un ostello
- Là, su l’acque, si sta. V’è un navalestro;
- In altro luogo alcun non è. — Si stette
- Confidando in quel cenno, ond’ei
- fe’ inchiesta.
- 230 Ma l’altra donna al corruccioso eroe
- Questo soggiunse ancor: Qui vi restate,
- Hàgene sire, chè soverchio assai
- Voi v’affrettate. Anche meglio vi piaccia
- Intender modo, perchè andar possiate
- 235 Su l’altra sponda. Su questo confine
- Tale ha dominio ch’Èlse è detto, e chiamasi
- Il fratel suo Gelpfràt eroe, signore
- In bavarica terra. E male invero
- Sarà per voi quando passar vi piaccia
- 240 Per sue contrade. Assai guardarvi è d’uopo
- Ed affabile assai col navalestro
- Comportarvi pur anco. Egli è di tale
- Alma feroce, che lasciarvi mai
- Intatti ei non vorrà, quando col prode
- 245 Amici sensi non abbiate. E allora
- Che disïate ch’ei di là vi passi,
- Dategli il prezzo. Questa terra ei guarda.
- E di Gelpfràt egli è l’amico. E allora
- Che a l’istante ei non venga, alto su l’onde
- 250 Gridate voi, e dite ancor che vostro
- Nome è Almerico. Un buono cavaliero
- Era costui, quale fuggì per odi
- Da questa terra. E si verranne a voi
- Il portolano, detto a lui quel nome.
- 255 Alle donne inchinavasi l’altero
- Hàgene allora, nè più disse motto,
- Poi che si fe’ silenzioso. Andava
- Lungo quell’acque, per l’arena in suso,
- Fin che scoverse su l’opposta sponda
- 260 Una magione, ed alto sovra l’acque
- A gridar fe’ principio. Or qui mi prendi,
- O portolano, disse il forte; e in premio
- Monil sì ti darò che d’oro splende
- Assai. Deh! sappi tu ch’io del passare
- 265 Gran bisogno ho davver! — Tanto era ricco
- Il navalestro, che addicersi a lui
- Cotal servigio non potea; prendeane
- Assai raro, per ciò, da gente alcuna
- Alcun prezzo,4 e d’altera alma pur anco
- 270 Erano tutti i servi suoi. Si stava
- Hàgene ancora ancor di qua da l’onde.
- Con forza egli gridò, sì che all’intorno
- Risuonavane il guado, e grande assai
- E possente era inver forza del prode:
- 275 Me, me Almerico, prendimi, ch’io sono
- L’uom d’Èlse, qual fuggìa da questa terra
- Per grande odio che v’ebbe! — Alto un monile
- A sommo de la spada ei gli offerìa,
- Fulgido e bello e d’oro splendïente,
- 280 Perchè quei di Gelpfràt alle contrade
- Cosi ’l passasse. In fra le mani il remo
- Prendeasi l’oltraggioso navalestro,
- Ei stesso, ei stesso. Ma riottosa ed aspra
- La sua natura, e gli diè trista fine
- 285 Di gran mercè la cupidigia. Ei volle
- D’Hàgene il fulgid’or lucrarsi ratto,
- E dall’eroe tristissima di spada
- Ebbesi morte. — Con gran fretta intanto
- Venìa verso la sponda il navalestro,
- 290 Ma forte s’adirò come non vide
- Chi ricordar già intese. Allor che scorse
- Hàgene, al valoroso, in questa guisa,
- Con gran cruccio d’assai, fe’ tal sermone:
- Ben voi potete andar chiamato a nome
- 295 Almerico; ma, inver, da chi aspettavami,
- Dissomigliante siete voi. Fratello
- E per padre e per madre erami quello.
- Or, poichè m’ingannaste, a questa sponda
- V’è d’uopo rimaner. — No, no, per Dio
- 300 Potente! gli gridava Hàgene allora.
- Armigero straniero io qui mi sono,
- Altri guerrieri ho in cura. Or vi prendete
- Amicamente esta mercede mia,
- Perchè di là mi trapassate, ed io
- 305 Grato assai vi sarò. — Deh! che cotesto
- Mai non sarà! rispose il navalestro.
- Han lor nemici i dolci miei signori,
- E però non vogl’io straniera gente
- In questa terra trapassar. Per quanto
- 310 T’è caro il viver tuo, tosto ti rendi
- Sovra la sponda ancora. — Hàgen dicea:
- Oh! cotesto non far! L’anima mia
- Tutta si turba. L’oro mio pigliate,
- Oro è buono davver, per vostra grazia,
- 315 E noi di là con mille palafreni
- E con uomini assai, portar vi piaccia.
- E l’oltraggioso navalestro disse:
- Ciò non mai si farà! — Forte, ampio e grande
- Un remo ei sollevò, di cotal guisa
- 320 Hàgen colpi (davver! che di cotesto
- Ei fu cruccioso), ch’entro al navicello
- Su le ginocchia cadde. Oh! più malvagio
- Navalestro a quest’uom non incontrava
- Che da Tronèga venne! Egli s’accese
- 325 Forte d’assai contro a l’ospite fiero
- E tracotante; e l’ospite sul capo
- D’Hàgene colpo tal sferrò d’un palo,
- Che il palo si spezzò. Davver! ch’egli era
- Un vigoroso! Ma n’avea gran danno
- 330 Il navalestro d’Èlse. Alla guaina,
- Là ’ve un’arma trovò, rapidamente
- Con anima crucciosa Hàgen la destra
- Portò, con quella gli abbattea la testa
- E la testa gittava in fondo all’acque. —
- 335 Subitamente la novella ai fieri
- Burgundi si fea nota. — In quell’istante
- Che morto il navalestro Hàgen battea,
- Giù per l’acque discese il navicello,
- E ciò gli fu rancura grave; e ancora,
- 340 Pria che la nave ei raddrizzasse, forte
- A stanco farsi incominciò. Con molto
- Vigore intanto al remo si tenea
- L’uom di Gunthero. Con potenti assai
- Colpi di remi al loco iva diritto
- 345 L’uom, colà estrano, fin che il forte remo
- Fra le sue man si ruppe. Ei si volea
- A’ cavalier drizzarsi in su la sponda,
- Nè altro remo era là. Deh! di qual foggia
- Rapido egli avvincea l’infranto remo
- 350 Con una soga della targa. Ell’era
- Un guinzaglio sottile. Ei discendea
- Giù per la valle a una foresta incontro,
- Là ’ve starsi trovò sovra la sponda
- Que’ prenci suoi. Molti uomini gagliardi
- 355 Al suo incontro venièno. Ivi l’accolsero
- Con lor saluti i buoni cavalieri;
- Ma perchè là vedean fumare il sangue
- Nel navicello per la forte piaga
- Che Hàgene inferse al portolano, assai
- 360 Hàgene da quei prodi aveasi inchieste,
- E re Gunthero, che scorrere il caldo
- Sangue vedea pel tavolato, oh! in quale
- Ansia diceva: E perchè mai non dite,
- Hàgene, ove ne andava il portolano?
- 365 Io sì mi penso che gli tolse vita
- Vostra forza tremenda. — E quei rispose
- Con menzogna così: Poi che rinvenni
- Ad un salce selvaggio il navicello
- Qui, la mia mano lo disciolse. In oggi
- 370 Niun navalestro qui vid’io, nè alcuno
- Dolor per colpa mia incolse ad altri.
- Disse prence Gernòt là fra i Burgundi:
- Oggi, per morte di diletti amici
- Darmi pensier dovrò, chè navalestri
- 375 Pronti qui non abbiam, per che dall’altra
- Parte da noi si passi; e però deggio
- Andar cruccioso. — Ad alta voce allora
- Hàgen così gridò: Giù, sovra l’erba,
- Deponete, o valletti, i vostri arnesi.
- 380 Io sì mi penso che de’ navalestri
- Lunge il migliore io fui, quanti sul Reno
- Altri già rinvenìa. Però alla terra
- Di Gelpfràt sì m’affido io di portarvi.
- Perchè più presto l’acque egli passassero,
- 385 Dentro i cavalli ei sospingean. Felice
- D’essi fu il nuoto inver, chè de le forti
- Onde nessuna lor togliea quel nuoto,
- Sol più lunge qualcun, chè ciò a stanchezza
- S’addicea, fu sospinto. E quelli intanto
- 390 Portavan l’oro entro la nave, ancora
- Lor vestimenta, poi che tal vïaggio
- Non potean evitar di alcuna guisa.
- Hàgen di tutto curator; per questa
- Foggia egli addusse ne la terra estrana
- 395 Molti possenti ardimentosi. E in pria
- Di là condusse mille cavalieri
- Incliti, e poscia li gagliardi suoi.
- Altri di più n’avea; ma su la sponda
- Mille soltanto de’ valletti ei trasse.
- 400 Dell’uomo ardito di Tronèga assai
- Stanca in quel giorno fu la mano! Allora
- Che incolumi su l’acque egli li addusse,
- Al nuovo annunzio suo pensier volgea
- L’ardito cavalier, qual già le donne
- 405 Selvaggie a lui narrâr. N’ebbe per tanto
- La vita quasi a perdere del sire
- Il sacerdote. Appo gli arnesi sacri
- Hàgen rinvenne il sacerdote, quale
- La man tenea su le reliquie sante.
- 410 Ma le reliquie non giovârgli; tosto
- Che Hàgene il vide, il povero di Dio
- Sacerdote n’avea doglia a soffrire.
- Giù dalla nave egli il balzò. Davvero!
- Che rapid’opra fu la sua! Gridavano
- 415 Molti frattanto: Tienti al legno, o sere,
- Tienti! — e Gislhero giovinetto a prendersi
- Disdegno incominciò. Ma il suo disegno
- Hàgen lasciar non volle, e ciò si fea
- Di Giselhèr per cruccio. E de’ Burgundi
- 420 Sire Gernòt: Or che vi giova, disse,
- Del sacerdote, Hàgen, la morte? S’altri
- Ciò facesse, dovrìa farvi rancura
- Cotesto assai. Per qual cagion vi feste
- Nemico al sacerdote? — E il sacerdote
- 425 Forte nuotava intanto; e se qualcuno
- Data aita gli avesse, egli era salvo.
- Nè però questo esser potea, chè assai
- Era d’alma cruccioso il vïolento
- Hàgene. Al fondo il misero egli spinse,
- 430 Nè cotesto ad alcun buono sembrava.
- Poi che il misero prete alcuna aita
- Non trovò, ritornossi all’altra sponda,
- E gran disagio ne soffrì. Vigore
- Come a nuotar non ebbe, aita a lui
- 435 Di Dio porse la mano, ed ei novella-
- mente si rese alla sua terra in salvo.
- Là si fermò il povero prete, e quelle
- Sue vesti si scotea. Da ciò conobbe
- Hàgene allora ch’evitar non gli era
- 440 Concesso mai ciò che annunziando a lui
- Le donne strane dissero dell’acque,
- Ed ei pensò: Così perder la vita
- Dènno cotesti cavalieri! 5 — Allora
- Che fean scarca la nave e ne traeano
- 445 Ciò che sopra v’avean, de’ tre monarchi
- Gli uomini addetti, Hàgen in pezzi tutta
- Mandolla e ne gittò i frammenti a l’onde
- Gran meraviglia i buoni e ardimentosi
- Cavalieri ne avean, sì che Dancwarto,
- 450 Deh! perchè fate ciò, disse, o fratello?
- Deh! per qual modo tragittar potremo,
- Quando noi, nel ritorno, al Reno ancora
- Ci renderemo cavalcando? — Allora
- Hàgen disse (oh! vedete) che cotesto
- 455 Accader non potea. Ma di Tronèga
- Così aggiunse l’eroe: Questo fec’io
- Sol per pensiero che codardo alcuno
- Avessimo con noi in tal vïaggio,
- Qual ci volesse poi, per vil sgomento,
- 460 Fuggir lontano. Vergognosa morte
- A questo passo egli dovrìa soffrire.
- Con seco elli adduccan della burgundia
- Terra cotale (e Volkèr si dicca),
- Qual era in opre un valoroso. Il suo
- 465 Pensiero ornatamente egli diceva,
- E a lui, di giga suonator, leggiadra
- Cosa sembrò ciò che Hàgene facea.
- E lor cavalli eran già presti e i carchi
- Erano imposti, ed elli in quel vïaggio
- 470 Nessun danno toccâr di che dovessero
- Poscia dolersi, tolto il sacerdote
- Di re Gunthero. E gli fu d’uopo intanto
- Di ritornarsi fino al Reno a piedi.
- ↑ Brünhilde.
- ↑ Profetesse.
- ↑ Una veste di penne di cigno. Secondo leggenda più antica, erano donne marine in forma di cigno.
- ↑ Nel senso che non voleva passar nessuno, e perciò nulla prendeva.
- ↑ Le donne avevano profetato che nessuno sarebbe tornato salvo, eccetto il sacerdote. Hagen, per smentir la profezia, vuol farlo morire nel fiume, ma egli si salva; donde egli intende che la profezia si avvererà e che tutti i cavalieri dovranno morire in terra degli Unni.
- Note
- Avventura Ventiseesima
- In che modo Gelpfrat fu ucciso da Dancwarto
- Come tutti fûr scesi in su l’arena,
- Cominciò il sire a dimandar: Chi dunque
- Additarci dovrà per questa terra
- La via diritta, sì che alcun dì noi
- 5 Non si smarrisca? - E il gagliardo Volkero,
- Sol io di ciò darommi cura, disse.
- Or vi state in silenzio, Hàgen dicea,
- O cavalieri, o fanti, e segua ognuno
- Gli amici suoi, chè ciò sembrami buono!
- 10 Trista novella assai vi farò nota:
- Là, de’ Burgundi alle contrade, noi
- Mai più non tornerem! Questo a me dissero
- Oggi, di gran mattin, due di quest’acque
- Donne veggenti, che nessun di noi
- 15 Ritornerà. Sì vi consiglio intanto
- Di ciò che far si dee: l’armi prendete,
- O valorosi. E d’uopo è sì che voi
- Vi difendiate! Assai potenti abbiamo
- Nemici qui, perchè d’uopo ei sia
- 20 Difesi camminare. Io mi credea
- In menzogna trovar queste dell’acque
- Donne veggenti. Dissero che niuno
- Incolume di noi sarìa tornato
- Alla sua terra, tolto il sacerdote.
- 25 Però, ben volentieri oggi l’avrei
- Dentro a l’acque affogato. — Esta novella
- Di schiera in schiera andò volando allora,
- E per rancura molti eroi gagliardi
- Si feron smorti. Incominciâr pensando
- 30 La morte dura in quel vïaggio a corte,
- E sì n’avean ragion verace. Scesi
- Come fûr su la sponda appo Moeringa,
- Là ’ve la vita d’Èlse al navalestro
- Hàgene tolse, Hàgen così dicea:
- 35 Poi che nemici su cotesta via
- M’ho procacciati, veramente noi
- Avremo assalti. Il navalestro stesso
- Io questa mane uccisi. E quelli intanto
- Sanno cotesto. Arditamente all’opra
- 40 Deh! vi ponete, ove Gelpfràt ed Èlse
- Oggi movano assalto ai nostri amici,
- Sì che lor danno tocchi. Ardimentosi
- Sì li conosco, e non fia mai che questo
- Da lor si lasci. Ma voi fate i vostri
- 45 Destrieri andar più lenti, e non si creda
- Alcuno mai che per la via fuggiamo.
- Questo consiglio vo’ seguir, dicea
- Gislhero il valoroso. E chi frattanto
- Fia che guidi in la terra csti famigli?
- 50 Elli dicean: Volkèr faccia cotesto,
- Chè passaggi e sentieri gli son noti,
- Egli, di giga il suonator valente.
- Prima che tutto lor desìo per loro
- Espresso fosse, starsi in armi visto
- 55 Fu quel di giga suonatore. Avvinse
- L’elmo, e di vaga tinta alto-splendente
- Era di guerra la sua veste. Ancora
- Ad un’asta ei legò di color rosso
- Un pennoncello, e da quel giorno in grave
- 60 Rancura ei venne co’ monarchi amici.
- Del navalestro, intanto, era la morte
- Pervenuta a Gelpfràt per vero annunzio,
- E già cotesto udito avea quel forte
- Èlse d’assai. Oh! d’ambedue fu questo
- 65 Alto dolor. Per lor gagliardi alcuno
- Essi invïaro, e quei subitamente
- Per loro s’apprestâr. Vedeansi ratto
- In breve tempo (e ciò vogl’io narrarvi)
- Tanti là intorno cavalcando ascendere
- 70 Che molto danno, in paventosi assalti,
- Oprato avean, gran male inver. Di questi
- Appo Gelpfràt a settemila vennero
- E più d’assai. Guidavangli lor duci,
- Poi che a le spalle de’ nemici rei
- 75 A correre venièno; ed una parte
- Dietro agli ospiti fieri iva affrettata,
- Lo sdegno a vendicar. Dei prenci amici
- Molti da quell’istante ivan perduti.
- Hàgene di Tronèga acconciamente
- 80 Ordinato si avea (di qual mai foggia
- Difendere un eroe con miglior cura
- Dolci amici potrìa?), perch’egli avesse
- La retroguardia con gli uomini suoi
- E il fratello Dancwarto. E ciò si fece
- 85 Con scïenza davver. Trascorso il giorno
- Era per essi, e niuna parte ancora
- Ne avean. Temeva pei diletti amici
- Hàgen danno e iattura, e quelli intanto
- De’ Bavari venìan per la contrada
- 90 Sotto lor scudi cavalcando. Assalto
- Ebber gli eroi, poi che brev’ora scorse.
- D’ambe le parti de la via, da retro
- Vicino assai, di palafreni intesero
- Di zampe scalpitar. Fretta si aveano
- 95 Le avverse genti, e così disse intanto
- Avveduto Dancwarto: Ora un assalto
- Qualcun ci muoverà. Gli elmi da noi
- Si avvincano, e cotesto per accorto
- Consiglio far si dee. — Ma lor cammino
- 100 Quelli arrestâr, sì come d’uopo egli era,
- E splendïenti luccicar vedeano
- Targhe nell’ombra. Starsi taciturno
- Hàgene più non volle. Oh! chi, chiedea,
- Per la via ci rincorre? — E di cotesto
- 105 Solo Gelpfràt annunzio gli rendea.
- Del bavarico suol disse il margravio:
- Perchè ricerchiam noi gli amici nostri,
- Fin qui dietro siam corsi. Io chi uccidea
- Non so in quest’oggi il navalestro mio,
- 110 Qual era prode atto a grand’opre. E questa
- M’è rancura d’assai. — Ed era quello
- Il navalestro tuo? Hàgene disse,
- Quei di Tronèga. Ei non volea passarci,
- Ma di sua morte è mia la colpa. Il forte
- 115 Io sì battei, ma di cotesto vennemi
- Alta necessità, ch’io da sue mani
- Vicino assai mi ricevei la morte.1
- In ricompensa oro gli offersi e vesti
- Per ch’ei di là ci trapassasse, o prence,
- 120 Nella tua terra. E di tanto crucciavasi,
- Che un colpo ei mi assestò d’un forte palo,
- Ond’io molto mi dolsi. Al ferro mio
- Allora corsi e con possente piaga
- Quel suo corruccio rintuzzai. Perduto
- 125 Fu il prode allor. Ma di cotesto, quale
- Buona parravvi, sì vi reco ammenda.
- Venìasi tosto a una contesa, ed elli
- Forte davvero ivan crucciosi e irati.
- Io ben sapea, disse Gelpfràt, Gunthero
- 130 Poi che qui venne co’ famigli suoi
- Cavalcando, che mal fatto ci avrìa
- Hàgene di Tronèga. Ora ei non debbe
- Incolume scampar. Del navalestro
- Per la morte, ci sia mallevadore
- 135 Ei, ch’è prode guerrier. — Sovra gli scudi
- Ei piegâr l’aste vêr le punte allora
- Ed Hàgene e Gelpfràt. Malo desìo
- Era dell’uno contro l’altro; e intanto
- Èlse e Dancwarto fieramente incontro
- 140 Si gittâr su’ destrieri e fecer saggio
- Chi fosser elli, e orribile certame
- Levossi qui. Come potean guerrieri
- Dar di sè miglior prova? Ecco, per mano
- Di Gelpfràt, in la pugna orrida e fiera,
- 145 Hàgene ardito dal cavallo cadde.
- Schiantâr le cinghie del destriero al petto;
- Che sia caduta, gli fu noto allora.
- Da’ lor compagni forte risuonava
- Fragor dell’aste, ed Hàgene d’un tratto
- 150 Indi assorgea, da che cadea sull’erba
- In giù, pel colpo del nemico. Credo
- Ch’egli era sì d’un’anima crucciosa
- Contro a Gelpfràt. Ma chi tenesse intanto
- I lor destrieri, non m’è noto. Scesi
- 155 Ambo egli erano al suolo, Hàgen, Gelpfràte,
- Là su l’arena, e rincorreansi. Allora
- Recârgli aita lor compagni, e nota
- Fu lor così la pugna. Oh! con qual ira
- Contro a Gelpfràt Hàgen balzò! Gli tolse
- 160 Non lieve parte di quell’ampio scudo
- Il nobile margravio, e ne schiantaro
- Acri scintille. Prossimo fu a morte
- Di re Gunthero l’uom fcdel, che un grido
- A Dancwàrt cominciò: Deh! tu m’aita,
- 165 Dolce fratello mio, chè mi diè assalto
- Un uom possente, e me non lascia incolume!
- Di ciò son io definitor! rispose
- Dancwarto ardito. E tosto il valoroso
- Là si balzò vicino e con acuta
- 170 Arma a Gelpfràt liberò un colpo. Morto
- Costui ne giacque, ed Èlse volentieri
- Vendicato l’avrìa. Con danno grave
- Egli e i consorti suoi di là ne andavano.
- Morto gli era il fratello, ed ei medesmo
- 175 Ferito andava, e ottanta ivi de’ suoi
- Più valorosi con orrenda morte
- Si rimanean. Davver! che da’ campioni
- Di re Gunthero volgersi dovea
- L’uomo illustre alla fuga! E poi che quelli
- 180 Del bavarico suolo ivano lungi
- Per quel sentiero, udìansi ancor da retro
- Colpi tremendi risuonar. Cacciavano
- Quei di Tronèga lor nemici a tergo,
- Quali già non credean, pria, di cotesto
- 185 Pagar la pena, e fretta avean d’assai.
- Dancwarto eroe, dopo lor fuga, disse:
- Ora ci è d’uopo ritornarci a dietro
- Per questa via, lasciar che altri si fugga
- Via cavalcando. E quei di sangue molli
- 190 Sono davver. Deh! ritorniamci noi
- A’ nostri amici. Di gran senno questo
- Io vi consiglio. — E come quelli ancora
- Al loco si rendean ’ve danno incolse,
- Hàgene disse di Tronèga: Eroi,
- 195 Sì v’è d’uopo guardar qual manca a noi
- O chi perduto abbiam, qui, nella pugna,
- Di Gelpfràt per lo sdegno. — Elli ne aveano
- Quattro perduti di lor prodi, e questi
- Elli piansero poi. Ma vendicati
- 200 Erano i morti assai, chè di rincontro
- Cento, o forse anche più, giaceano uccisi
- Di quei del suol de’ Bavari, e le targhe
- Degli eroi di Tronèga eran per tanto
- Molli di sangue e rotte. Or, della bianca
- 205 Luna splendore un cotal poco apparve
- Tra le nubi, ma disse Hàgene intanto:
- Ciò che noi femmo qui, non dica alcuno
- A’ prenci miei diletti. In fino all’alba
- Si lascin elli senza cura. — Intanto,
- 210 Come a quelli arrivò chi fe’ battaglia
- Prima, cotesto alti compagni suoi
- Alta d’assai fece rancura, ed uno
- Ancora dimandò: Deh! fino a quando
- Cavalcheremo noi? — Loco a posarvi
- 215 Non abbiam noi, disse Dancwarto ardito,
- E sì v’è d’uopo, fin che giorno faccia,
- A tutti cavalcar. — L’agil Volkero,
- Che de’ famigli aveasi cura intenta,
- Inchieder fece al connestabile: Ove
- 220 Sarem stanotte, perchè i nostri dolci
- Signori abbian riposo e i palafreni?
- Disse Dancwarto ardito: Io non potrei
- Dirvi cotesto, nè potremmo noi
- Pria riposarci che incominci il giorno.
- 225 Laddove troverem, noi sovra l’erba
- Ci porremo a giacer. — Come cotesto
- Annunzio avean, deh! qual corruccio fue
- In qualcun d’essi! Ed ei restâr frattanto
- Non consci che di sangue erano tinti
- 230 Ancora caldo, fin che il sol recava
- La sua splendida luce alta sui monti
- In sul mattino, e vide il prence allora
- Che pugnato essi avean. Con gran disdegno
- Gridò il prence guerriero: Hàgene amico,
- 235 E che dunque? E scordaste, io sì mi penso,
- Ch’io qui stava appo voi, da che son molli
- In tal guisa di sangue i vostri arnesi?
- E chi fece cotesto? — E quei rispose:
- Èlse fece cotesto. Ei questa notte
- 240 Ci rincorse. E per quel suo navalestro
- Fummo assaliti. La man del mio frate
- Morto Gelpfràt batteva, Èlse frattanto
- Ci sfuggìa, ma distretta alta a cotesto
- Il costringea. Cento di quelli, quattro
- 245 Restâr morti di noi ne la battaglia.
- Dov’elli si posâr non possiam noi
- Dir veramente; e quelli de la terra
- Udìan la nuova, andarne a corte i figli
- Della nobile Ute, ed in Passavia
- 250 Lieta accoglienza egli si aveano. Il zio
- Dell’inclito signor, Pellegrin vescovo,
- Lieto del cor fu assai, tosto che in quella
- Terra venìan con tanti eroi con seco
- Li suoi nipoti, e manifesto in breve
- 255 Lor si rendea di quanto ei gli eran cari.
- Bene accolti essi andaro in su la via
- Da’ loro amici; ma poichè in Passavia
- Tutti non si potean gli ospiti accôrre,
- L’acque passar dovean,2 là ’ve rinvennero
- 260 Un campo aperto, e tende e padiglioni
- Spiegârsi quivi. Tutto il giorno, ancora
- Tutta intègra la notte, ivi restarsi
- A lor fu d’uopo. Oh! di qual bella guisa
- Altri di lor si prese cura! In quella
- 265 Di Rüedgero contrada anche doveano
- Andar più tardi, e a lui subitamente
- Noto di tanto si rendea l’annunzio.
- Come gli stanchi della via riposo
- Presero alquanto e più vicini a quella
- 270 Terra d’Ètzel venìan, là sul confine
- Tale incontrâr che si giacea dormiente.
- Hàgene di Tronèga una robusta
- Arma gli tolse. Detto era Eckewardo
- Il buono cavalier; ma per cotesto
- 275 Alto s’ebbe dolor, ch’egli perdea,
- Per tal vïaggio degli eroi, la spada,
- E quelli di Rüedgero in sul confine
- Mala difesa rinvenìan. Vergogna,
- Oh! vergogna di me, disse Eckewardo.
- 280 Davver! che de’ Burgundi sì mi cruccia
- Il vïaggio d’assai! Tutto il mio gaudio
- Sparve per me da ch’io perdea Sifrido!
- Prence Rüedgero, aimè! di qual mai guisa
- Verso a te m’adoprai! — Ma poi che intese
- 285 Del nobile guerriero Hàgen l’affanno,
- Quell’arma sua gli rese e sì gli aggiunse
- Anelli sei lucenti. Abbi cotesti,
- Gli disse, per amor, perchè tu sii
- Di me l’amico. E cavalier tu sei
- 290 Ardito inver, se qui soletto resti
- Su la frontiera — Vi compensi Iddio,
- Disse Eckewardo, per i vostri anelli.
- Ma crucciami d’assai vostro vïaggio
- Appo gli Unni. Uccideste un dì Sifrido;
- 295 Odio qui vi si porta, e perchè voi
- Vi guardiate, con fede io vi consiglio.
- Hàgene disse: Ci difenda Iddio!
- Ma non hanno davver cura maggiore
- I cavalieri, il prence e suoi consorti,
- 300 Di quella sì de’ loro alberghi, in quale
- Foggia avrem noi per la notte vicina
- Acconcia stanza in questa terra. Omai
- Sfatti son tutti i nostri palafreni
- Per il lungo vïaggio e son consunte
- 305 Le provvigioni. — Così disse il prode
- Hàgene, e poi: Nulla troviam che vendasi,3
- E d’un ospite è d’uopo veramente,
- Quale, per buona sua virtù, ci dia
- Suo pane in questa notte. — Ed Eckewardo:
- 310 Un ospite i’ vi mostro; e raro assai
- Sì benvenuto voi sarete in casa
- D’alcuno entrato mai di terra alcuna,
- Come qui v’accadrà, se pur l’ardito
- Rüedgero cavalier mirar volete.
- 315 Presso la via soggiorna ed è il migliore
- Ospite cui si vada alla magione,
- E quel suo cor virtù produce, come
- Fa il dolce Maggio con i fiori l’erba.
- Se cavalieri ei dee servir, dell’alma
- 320 Ei beato si mostra. — E re Gunthero
- Così dicea: Di me vorreste voi
- Andarne messaggier, se per mio amore,
- Rüedgèr, l’amico mio diletto, i miei
- Congiunti ospitar voglia e i miei guerrieri?
- 325 Per cotesto vogl’io, di quella guisa
- Che miglior si potrà, restarvi grato.
- Disse Eckewardo: Volentier son io
- Il messaggier! — Così, di voglia buona,
- Ei si levò per quel vïaggio e disse
- 330 Poscia a Rüedgero ciò che d’altri intese,
- Da molto tempo assai non era giunto
- Appo Rüedgero sì giocondo annunzio.
- E fu visto affrettarsi a Bechelara
- Un cavaliere, e tosto il riconobbe
- 335 Rüedgero e disse: Oh sì! per questa via
- Eckewardo ne vien, l’uom di Kriemhilde. —
- E si pensava che a colei nemici
- Avessero recata alcuna offesa.
- Ed ei scese alle porte e là rinvenne
- 340 Il messaggiero, e questi si togliea
- Dal cinto il brando e il deponea. Novelle
- Ch’egli recò, non fûr celate allora
- All’ospite e agli amici, e prestamente
- Ogni cosa fu detta. E m’invïava
- 345 Sire Gunthero a voi, disse al margravio
- Il messaggier della burgundia terra,
- E Giselhèr fratello suo, ancora
- Gernòt. Ognun di que’ gagliardi, o sire,
- V’offre servigi suoi. Cotesto ancora
- 350 Ed Hàgene e Volkèr con tutta fede
- E con intento fanno. Ed io più ancora
- Si vi dirò che il connestabil disse
- Del prence a me che i buoni cavalieri
- Di vostro ospizio hanno bisogno assai.
- 355 Rüedgero allor con sorridente bocca
- Così dicea: Me fortunato a questo
- Annunzio vostro, perchè illustri prenci
- Voglian servigi miei! Nulla di tanto
- A lor si negherà. Nella mia casa
- 360 Vengano ei dunque, ch’io beato e lieto
- Son per cotesto. — E il connestabil, sire
- Dancwarto, a voi conoscer fa qual gente
- Insiem con essi in casa avrete. Ei sono
- Sessanta prodi, arditi e forti, mille
- 365 Cavalier buoni e novemila servi.
- E quei n’era beato. Oh! me contento,
- Disse Rüedgero, che alle case mie
- Vengonmi questi illustri cavalieri,
- Quali mai non servii. Deh! cavalcate
- 370 Al loro incontro, o miei congiunti e servi!
- A’ palafreni si balzâr d’un tratto
- Cavalieri e famigli, e ciò che il sire
- Loro indicea, lor parve onesto e buono;
- Ei s’affrettar però di miglior guisa
- 375 Lor servigi a compir. Ma nulla ancora
- Sapea di tanto donna Gotelinde,
- Quale si stava ne le stanze sue.
- ↑ Quasi quasi fui ucciso.
- ↑ Di là dal Danubio.
- ↑ Non c’è modo da comprarci di che mangiare.
- Note
- Avventura Ventisettesima
- In che modo essi giunsero a Bechelara
- Iva il margravio allor là ’ve le donne
- Ei ritrovò, la sposa sua, la figlia,
- E ratto lor dicea la molto cara
- Novella ch’egli avea, della sua donna1
- 5 A quelle case giungere i fratelli.
- Dolce compagna mia, disse Rüedgero,
- Onestamente assai v’è d’uopo accôrre
- Gl’incliti re, poiché con lor famigli
- A corte ei vanno. Bellamente ancora
- 10 Hàgen v’è d’uopo salutar, fedele
- Uom di Gunthero. E tale ancor sen viene
- Con essi; egli è Dancwarto, e un altro
- appellasi
- Volkero, di virtù ricco d’assai.
- 15 Tutti i sei prenci con la figlia mia
- Baciar v’è d’uopo, e presso agli altri prodi
- Restarvi con cortesi atti ed onesti.
- E le donne assentìan, pronte nell’alma
- A cotesto, e però da’ lor forzieri
- 20 Le vesti si cercâr meravigliose,
- Chè con esse a l’incontro de’ gagliardi
- Voleano incamminarsi. Oh! gran faccenda
- Quella fu inver delle leggiadre donne!
- Falso color di minio in esse alcuno
- 25 Non ritrovò. Portavano alla fronte
- Bende lucenti d’or (cappelli egli erano
- Ricchi e pomposi), perchè il vento sperdere
- Lor belle chiome non potesse. Questa,
- Sulla mia fede, è veritiera cosa.
- 30 In tal faccenda lasciam noi le donne,
- Chè qui, pel campo, un correre d’assai
- Di Rüedgero si fea dai famigliari
- Là ’ve i prenci incontrâr. Lieta accoglienza
- Del margravio in la terra elli si aveano.
- 35 Rüedgèr gentile, principe margravio,
- Come avanzar li scorse, oh! di qual foggia
- Lietamente parlò! Voi benvenuti,
- Voi prenci, insiem co’ vostri! Alla mia terra
- Deh! quanto volentieri io qui vi trovo!
- 40 E a lui con lealtà, senz’odio in core,
- I cavalieri s’inchinâr. Mostrava
- Chiaro davver che amico egli era; ancora
- Hàgene ei salutò di più segnata
- Guisa, chè conosciuto ei l’ebbe in pria,
- 45 Ed a Volkero questo ei fe’ pur anco,
- A Volkèr di Borgogna. Anche egli accolse
- Di tal guisa Dancwarto, e il cavaliero
- Accorto gli dicea: Poi che volete
- Prender cura di noi, chi de’ famigli
- 50 Nostri che qui menammo, alcun pensiero
- Darsi vorrà? - Disse il margravio: Buona
- La notte abbiate voi, chè a tutti vostri
- Famigli, che con voi menaste in questa
- Nostra contrada, a’ palafreni ancora
- 55 Ed a le vesti, tal farò difesa,
- Che niuna cosa perderassi, quale
- Danno vi rechi quanto d’uno sprone,
- E voi, famigli, i padiglioni al campo
- Ratto spiegate; e se qualcuna cosa
- 60 Qui perderete, di cotanto resto
- Io qui mallevador. Togliete adunque
- Le briglie e andar lasciate i palafreni.
- Raro d’assai fe’ un ospite cotesto
- Pria di quel dì; però allegrârsi molto
- 65 Gli ospiti mo’ venuti, e come a questa
- Cura si attese, cavalcando i prenci
- Di là venìan, gittavansi su l’erba
- Da tutte parti lor famigli. Aveano
- Grand’agio invero, e penso che giammai
- 70 Cosa più cara di cotesta in quello
- Vïaggio a loro non toccò. Discesa
- La nobile margravia era frattanto
- Dinanzi al borgo con la figlia sua
- Molto leggiadra, e furon viste allora
- 75 Lor starsi al fianco le amorose donne
- E molte vaghe giovinette. Assai
- Gioielli esse recavano e pompose
- Vesti pur anco, e le nobili gemme
- Da lungi risplendean su le lor vesti
- 80 Ricchissime. Davver! che bellamente
- Erano adorne. E là giugneano intanto
- Gli ospiti e discendean dai palafreni
- Anche. Deh, sì! cortesi atti ed onesti
- Di Borgogna ne’ prodi altri rinvenne!
- 85 Trentasei giovinette, anche con esse
- Molte donne (e conforme a bel desìo
- Eran formate lor persone), incontro
- A que’ forti venìan con molti prodi
- Ardimentosi, e da nobili donne
- 90 Un bel saluto allor si fe’. Baciava
- La giovane margravia i tre monarchi,
- E fea cotesto anche la madre. Stavale
- Hàgene accanto allora, e sì le fea
- Comando il padre di baciarlo, ed ella
- 95 Guardavalo, e di tanto egli le apparve
- E fosco e tetro, che cotesto assai
- Tralasciato ell’avrìa di voglia buona.
- Ma ciò che il sire della casa a lei
- Indisse, ella compir dovea d’un tratto,
- 100 E si turbava il suo color, che pallido
- Si fece e rosso. Ella baciò Dancwarto
- Ancora e poscia il suonator di giga;
- A lui, pel gran vigor di sua persona,
- Tal saluto si fea. Prese per mano
- 105 La giovane margravia il valoroso
- Giselhèr di Borgogna, e ciò a Gunthero,
- Ardimentoso eroe, fece pur anco
- Di lei la madre. Per gran gioia vennero
- Elle così con questi forti, e l’ospite
- 110 In ampia sala con Gernòt sen già,
- Là ’ve assisero allor dame e guerrieri.
- Tosto s’indisse agli ospiti venuti
- Il miglior vino di versar. Davvero!
- Che non potean di miglior guisa i prodi
- 115 Accoglienze toccar! Ma con amanti
- Occhi alla figlia si guardava intanto
- Di principe Rüedgèr; ciò si fea bene.
- Molti gagliardi cavalieri a lei
- In fondo al cor professavano amore;
- 120 Ella potea mertar cotesto, ed era
- D’alti sensi d’assai. Ma ciò ch’ei vollero,
- Pensavan che; e di cotesto nulla
- Avverar si potea.2 Molto guardossi
- Da questa parte e quella a giovinette
- 125 Ed a matrone (e là sedeano molte),
- E e quell'ospite suo d’alma d’assai
- Affettüosa si mostrava intanto
- Quello di giga sonator famoso.
- Giusta il costume ei separârsi allora
- 130 E in altra parte cavalieri e donne
- Si ritraean. Nell’ampia sala apposte
- Furon le mense, e ad ospiti anche ignoti
- Liberalmente si prestâr servigi.
- Anche sen venne, per amor degli ospiti,
- 135 A quella mensa l’inclita margravia,
- E la sua figlia appo l’altre donzelle
- Lasciò che si restasse; e lei non videro
- Gli ospiti e di cotesto elli si dolsero
- Veracemente. Come tutti insieme
- 140 Bevanda e cibo ei presero, le belle
- Addotte fûro in quella stanza ancora,
- E nessun detto si celò che fosse
- Festoso e lieto. Favellava assai
- Volkero intanto, un cavaliere ardito
- 145 E cortese. Egli disse, egli, di giga
- Inclito suonatore, apertamente:
- O margravio possente, assai con grazia
- Iddio fece per voi, da che vi diede
- Sposa davver leggiadra tanto, e lieta
- 150 Vita pur anco! Che s’io fossi prence,
- Il suonator soggiunse, e la corona
- Anche portassi, a donna mia vorrei
- La vostra posseder leggiadra figlia,
- E n’ha desìo quest’alma. Eli’è avvenente
- 155 A guardarsi, ed è buona anche ed illustre.
- Disse il margravio allor: Di qual mai
- foggia
- Questo avvenir potrìa che disïasse
- Alcun che regni, la mia dolce figlia?
- 160 Io, la mia donna, qui siam noi stranieri;
- Che giova mai di fanciulla a persona
- Bellezza grande? — E Gernòt rispondea,
- L’uom cortese d’assai: Deh! s’io dovessi
- Conforme al mio desìo toccarmi sposa,
- 165 Sempre di cotal donna io sarei lieto!
- Piacevolmente assai Hàgene disse:
- Or sì che il mio signor, prence Gislhero,
- Donna tôrsi dovrà! D’alto lignaggio
- È la margravia, e a lei servir potremmo
- 170 Tutti noi volentieri, io co’ suoi fidi.
- Così, con diadema, ella dovrìa
- Là venir tra i Burgundi. — E piacque assai
- A Rüedgero quel detto e piacque ancora
- A Gotelinde; ei sì davver nell’alma
- 175 N’aveano gioia! Adopravansi allora
- I cavalieri perchè a donna sua
- Si prendesse Gislhèr nobile ed inclito
- La giovinetta come pur s’addice
- A re sovrano. A ciò che avvenir dee,
- 180 Chi opporsi mai potrà? La giovinetta
- Fu allor pregata ch’ella andasse in corte,
- E si giurò che la leggiadra donna
- Data a Gislhèr sarebbe, ed ei promise
- Che quella amata avrìa d’assai, sì degna
- 185 Di amore. A la fanciulla altri3 assegnava
- Terre e castella, e poi con sacramento
- La mano asseverò del nobil sire,
- Anche prence Gernòt, che sì cotesto
- Fatto sarìa. Disse il margravio allora:
- 190 Poi che non ho castella, in sempiterno
- Ligio con fede vi sarò. Ma intanto
- Oro ed argento a questa figlia mia
- Si donerò, quanto potranno mille
- Giumenti carreggiar, perchè ciò appaghi
- 195 Con onor dell’eroe sposo i congiunti.
- S’indisse allor che stessero, conforme
- A costume, entro un circolo gli sposi.
- Ambo; e là dirimpetto, con gioiosa
- Anima, s’appostâr molti garzoni.
- 200 Ei pensavano in cor ciò che i garzoni
- Fan volentieri. Cominciossi intanto
- L’amorosa fanciulla a dimandare
- Se il cavaliere ella volea. Rancura
- Ciò le fu in parte; eppure, ella bramava
- 205 Di prendersi il garzon cortese e bello.
- Vergogna avea di tal dimando in quella
- Guisa che fanno ancor molte fanciulle.
- Ma consiglio le dava il padre suo
- Rüedgero, perchè: «Sì, lui volentieri
- 210 Mi prendo» ella dicesse. Ecco! la cinse
- Di sue candide mani il giovinetto
- Gislhero allor subitamente. Oh! assai
- Breve goder di tanto ella ebbe poi!
- Disse il margravio: Quando tornerete
- 215 In cavalcando (come è pur costume)
- Voi, re nobili e grandi, a vostre case
- Di Borgogna, darovvi esta mia figlia
- Da menarvi con voi. — Quelli promisero
- Cotesto allora. Udìansi plausi, e tosto
- 220 Sì fu d’uopo lasciarli. A le lor stanze
- D’irne fu indetto a le fanciulle, ancora
- Di dormir, di posar fino al novello
- Giorno fu ingiunto agli ospiti. Lor pasto
- Si preparò. Di ciò davasi cura
- 225 Attentamente de l’ostello il sere.
- E com’avean mangiato, irne alla terra
- Volean tosto degli Unni. Io sì fo cenno,
- Il nobil sere disse allor, che questo
- Mai non avvenga! E qui restarvi è d’uopo
- 230 Anche, ch’io penso che ospiti sì cari
- Qui raramente m’ebbi assai. — Rispose
- Dancwarto allora: Esser non può cotesto!
- Ove torrete voi le provvigioni
- E il pane e il vino, se restar qui dènno
- 235 Anche la notte cavalieri tanti?
- E il sere come udì, così dicea:
- Questo sermon lasciate, e voi, diletti
- Signori a me, cotesto, oh! non vorrete
- Ricusarmi! Apprestar le provvigioni
- 240 Per quattordici dì poss’io davvero
- Per voi, per quanti qui con voi venièno
- Famigli vostri. Nulla non mi tolse
- Di miei possessi Ètzel regnante ancora.
- E là fu d’uopo rimanersi ancora
- 245 Fino al dì quarto, ben che assai di tanto
- Si schermissero quelli. Anche si fece,
- Per cortesia dell’ospite, tal cosa
- Che lunge assai se ne parlò. Donava
- Destrieri e vesti a quegli ospiti suoi.
- 250 Indugiar non potean più lungo tempo,
- Indi partir fu d’uopo, e Rüedegero,
- L’uom di gran senno, poco assai potea
- Risparmiar per sua molta cortesia,
- Chè ciò che alcuno sì bramava, a quello
- 255 Ei non seppe negar. Dovea gradito
- Andar cotesto a tutti! Ora, dinanzi
- Alle porte, adducean li palafreni
- Già con lor selle i nobili valletti,
- E molti innanzi a lor venìan de’ prenci
- 260 Forestieri. Alla mano ei si recavano
- Lor targhe; di partir per quella terra
- D’Ètzel re, cavalcando, elli avean brama.
- A tutti attorno l’ospite suoi doni
- Offerendo venìa pria che alla sala
- 265 Scendessero que’ chiari ospiti suoi.
- Ora ei potea liberalmente e in grande
- Onor vivere il prode; avea concessa
- A Giselhèr la sua leggiadra figlia.
- E, intanto, a re Gunthero, inclito eroe,
- 270 Ben che raro accogliesse i doni altrui,
- Ei diè un guerresco arnese; anche potea
- Con molto onor portarlo il re possente
- E illustre; e tosto s’inchinò Gunthero
- Alla man di Rüedgero inclito. Ancora
- 275 Ei diè a Gernòt un’arma buona assai,
- Quale egli poi portò da valoroso
- Nelle battaglie, e di tal dono invero
- Godea la donna del margravio. Eppure,
- Il buon Rüedgero, per quell’arma, un giorno
- 280 Dovea perder la vita! E Gotelinde,
- Come a lei s’addicea, poi che alcun dono
- Il re si prese, un dono suo d’affetto
- Ad Hàgene offerìa, perch’egli a feste
- Senza sua aita non andasse. E quegli
- 285 A ricusar si diede. Hàgene disse:
- Di tutto ciò ch’io vedo qui, non io
- Altra cosa vorrei portar con meco
- Fuori di quello, appeso alla parete,
- Scudo lucente. Volentieri io quello
- 290 D’Ètzel vorrìa portarmi alle contrade.
- E la margravia, come udì cotesta
- D’Hàgen parola, di sua acerba cura
- Si ricordò. Bene le stava il pianto!
- Chè troppo allora ella pensò la morte:
- 295 Di Nuodungo;4 e l’avea Witige un tempo
- Ucciso in campo, ed ella aveasi fiero
- Di lagrimar desìo. Darovvi, al prode
- Ella rispose, quella targa. Iddio
- Dal ciel volesse che anche fosse in vita
- 300 Chi al braccio la portò! Ma spento cadde
- Quello in battaglia, e però sempre è d’uopo
- Ch’io sì ne pianga. A me, misera donna,
- Di ciò sorviene alto bisogno! — E intanto
- Dal seggio suo la nobile margravia
- 305 Si mosse ed afferrò l’ampio pavese
- Con sue mani bianchissime. Il recava
- Ad Hàgene la donna, ed egli in mano
- Sì lo prendea. Fu dato al cavaliero
- Per grande onor quel dono. Un involùcro
- 310 D’una stoffa lucente e in prezïose
- Gemme posava sul fulgor di quello,
- Nè rischiarò giammai targa migliore
- Il giorno chiaro. Se qualcun volea
- Acquisto farne, egli era sì di mille
- 315 Marchi degno in suo prezzo. Hàgene
- intanto
- Che il pavese da lui via si recasse,
- Precetto fece. Ma Dancwarto a corte
- Il suo vïaggio incominciar volea,
- 320 E però molte vesti e ricche assai
- Gli diè la figlia del margravio, quali
- Egli fra gli Unni assai pomposamente
- Recar dovea. Ma nullo di que’ tanti
- Doni ch’ebbero quelli, a le lor mani
- 325 Sarìa venuto se non per l’amore
- Dell’ospite signor, che bellamente
- Offerta sì ne fece. Elli dipoi
- Tanto nemici gli si fean, che a morte
- Dovean colpirlo un dì. Volkero intanto,
- 330 Volkèr gentile, con la giga sua
- Graziosamente a Gotelinde innanzi
- A collocarsi andò. Sulla sua giga
- Dolci suoni destò, cantò suoi lai,
- E di tal guisa, poi che si partìa
- 335 Da Bechelara, si prendea commiato.
- E la margravia fe’ recarsi allora
- Un cofano, e davver d’assai cortesi
- Doni ora udrete favellar. — Ne tolse
- Ella dodici anelli e sì li pose
- 340 In mano a quello lì schierando. Questi
- Recherete di qui, disse colei,
- D’Ètzel alle contrade e sì alla corte,
- Per mio comando, porterete ancora,
- Perchè, nel tempo che di là ritorno
- 345 Farete voi, dir mi si possa almeno
- Qual mi feste servigio a questi giorni
- Di lieta festa. — E volentieri assai
- Ciò che indisse la dama, egli eseguìa.
- Disse agli ospiti il sire: Andar v’è dato
-
- 350 Più lentamente assai, ch’io stesso voglio
- Accompagnarvi e dire ancor che buona
- Difesa avrete voi, sì che nessuno
- Vi farà danno in su la via. — Le some
- Rapidamente assai furono apposte.
- 355 Con cinquecento prodi or s’apprestava.
- Con vesti ancora e palafreni, il sire,
- Quali ei con sè con molta festa e gioia
- Di là portava; e niuno in vita ancora
- In Bechelara si tornò. Con baci
- 360 D’affetto assai di là prendea commiato
- Il sire, e fea cotesto anche Gislhero,
- E ciò gl’indisse l’anima sua bella.
- Con braccia attorno avvinte, a ogni leggiadra
- Donna un saluto feano quelli, e piangerne
- 365 Dovetter poi molte fanciulle vaghe.
- Da tutte parti allor furon dischiuse
- Le finestre, e il signor co’ suoi gagliardi
- Al suo destriero già venìa. Che il core
- Loro annunziasse alto dolor, mi penso,
- 370 Chè molte là piangean fanciulle adorne
- E molte dame. Per lor dolci amici
- Doglia bastante elle sì avean, chè mai
- Non li videro poscia in Bechelara.
- Eppur, con festa, cavalcâr lunghesso
- 375 L’arena, appo il Danubio, i valorosi
- Fino alla terra ch’è degli Unni. Allora
- Il nobile Rüedgero, egli, gentile
- Cavalier, così disse a’ Borgognoni:
- Nascoste già non dènno esser di noi
- 380 Le novelle, che omai scendiam vicini
- Agli Unni. Cosa a lui che sia più dolce,
- Mai non intese Ètzel sovrano. — E tosto,
- Per Osterrìch in giù, veloce andava
- Un messaggiero, e a tutte genti attorno
- 385 S’annunzïò che da Worms i possenti
- Venìan, di qua dal Reno. A’ famigliari
- Del sire non potea cosa più dolce
- Avvenir di cotesta. E i messaggieri
- Andavano però con lor novelle
- 390 Affrettati a ridir che i Nibelunghi
- Appo gli Unni venièno. O donna mia
- Kriemhilde, bene accôr tu dêi cotesti.
- A grande onore i tuoi fratelli cari
- Vengono omai. — Si stette a una finestra
- 395 Donna Kriemhilde allor, ch’ella aspettava
- Li suoi congiunti, come fanno amici
- Per loro amici. Ed ella rivedea
- Uomini assai della sua patria terra.
- N’ebbe l’annunzio il sire ed a sorridere
- 400 Incominciò di gioia. Oh! mio contento!
- Dicea Kriemhilde. Nuove targhe assai
- E bianchi usberghi portano qui seco
- Li miei congiunti. E chi toccar desìa
- L’oro di me, di me pensi al dolore,
- 405 Ed io per sempre gli sarò amica.
- ↑ La regina Kriemhilde.
- ↑ Desideri e proposte di nozze (vedi più innanzi) che non si avverarono poi, perchè i principi Borgognoni dovettero morire in corte di Ètzel.
- ↑ I re Borgognoni.
- ↑ Figlio di Rüedgero e di Gotelinde.
- Note
- Avventura Ventottesima
- In che modo i Burgundi giunsero al castello di Etzel
- Come i Burgundi in quella terra entraro,
- Hildebrando, l’antico di Verona,
- N’ebbe novella, e ciò ridisse ancora
- Al suo prence e signor.1 Grave dolore
- 5 Gli era cotesto, e sì ’l pregava intanto
- Di bene accôrre i prodi cavalieri
- E valorosi. E Wolfharto l’ardito
- Addur fece i destrieri, e con Dietrico
- Molti guerrieri assai, forti e animosi,
- 10 Cavalcando scendeano alla campagna
- Là ’ve accôrli ei dovea. Legate aveano
- Su’ lor destrieri tende ricche assai.2
- Come da lungi assai sì gli scoverse
- Hàgene di Tronèga, a’ suoi signori
- 15 Cortesemente ei disse: Or dagli arcioni
- Calar v’è d'uopo, o cavalieri arditi;
- Ite incontro a cotesti che qui vônno
- A voi far le accoglienze. E qua ne viene
- Compagnia che m’è nota, e son guerrieri
- 20 Degli Amelunghi della terra, assai
- Valorosi, e lor duca n’è colui
- Ch’è da Verona. Ei son d’anima fiera,
- Nè, s’ei vônno prestarvi alcun servigio,
- Bello è per voi far cenno di disdegno.
- 25 Scesero allora (e buon dritto era questo)
- Da’ lor cavalli molti cavalieri,
- Appo Dietrico, e paggi assai. Venièno
- Là dagli ospiti lor, dove gli eroi
- Erano intanto, e fecero saluto
- 30 A quelli di Borgogna assai cortese.
- Poi che prence Dietrico a sè di contro
- Vedea quelli avanzar, qui udir v’è d’uopo
- Volentieri che disse ai figli d’Ute
- Il cavaliere. E lor vïaggio a lui
- 35 Era cagion d’affanno. Egli credea
- Che ciò sapesse Rüedegero e a quelli
- Detto l’avesse ancor. Voi benvenuti,
- Disse, voi prenci, e Gunthero e Gislhero,
- Ed Hàgene e Gernòt, Volkero insieme
- 40 E Dancwarto l’ardito. E non è forse
- Cotesto noto a voi? Piange Kriemhilde,
- Assai piange l’eroe che de la terra
- Era dei Nibelunghi. — E rispondea
- Hàgene allora: Lungamente piangere
- 45 Ella dovrà. Colpito a morte ei giace
- Da molt’anni, e però degli Unni il sire
- Amare ella dovrìa. Non fia che torni
- Più mai Sifrido, chè sepolto ei giace
- Da lungo tempo. — E principe Dietrico,
- 50 Quei da Verona, così disse: Quelle
- Piaghe lasciamo di Sifrido. Intanto
- Che vive ancor donna Kriemhilde, assai
- Mali ponno avvenir. Deh! tu, sostegno
- Pe’ Nibelunghi, ben da ciò ti guarda!
- 55 Quale a guardarmi avrei cagione? disse
- Il nobile monarca. Ètzel mandava
- Suoi messi a noi (di là da ciò qual cosa
- Io chiedere dovea?) perchè dovessimo
- A lui venirne cavalcando in questa
- 60 Sua terra. Ancora la sorella mia,
- Kriemhilde, ci mandava assai messaggi.
- Hàgene disse: Ben poss’io di tanto
- Darvi consiglio, perchè voi preghiate
- Prence Dietrico e i buoni suoi guerrieri
- 65 Di meglio dirvi di cotesto, ond’ei
- L’animo di Kriemhilde apertamente
- Vi facciano saper. — Così ne andavano
- In disparte tra loro a far parole
- I tre monarchi di gran possa ornati,
- 70 E Gunthero e Gernòt, anche Dietrico.
- Che di più vi dirò? disse quel duce
- Di Verona. A far lai, a far lamenti
- Con alma dolorosa, ogni mattina,
- Odo d’Ètzel la donna, al Dio possente
- 75 Volta del ciel, per la persona bolla
- Del suo forte Sifrido. — Or, ciò che udimmo,
- Inevitabil cosa è veramente,
- Disse Volkero suonator di giga,
- L’uomo accorto e sagace. Andarne in corte
- 80 Omai ci è d’uopo e sì veder qual cosa
- Toccar ci può, gagliardi cavalieri,
- Qui, presso agli Unni. — E cavalcando i prodi
- Burgundi ne venivano alla corte:
- Venìan pomposamente e di lor terra
- 85 Conforme al rito, e presso gli Unni assai
- Avean molti gagliardi meraviglia
- D’Hàgene di Tronèga, e di qual guisa
- N’era l’aspetto. E perchè si dicea
- (E cotesto era assai) che il valoroso
- 90 Fra gli altri eroi, di Niderland il prence,
- Sifrido, ei morto avea, l’uom di Kriemhilde,
- Così gran dimandar si fece in corte
- Per Hàgene. E l’eroe (vero gli è questo)
- Era d’alta persona e d’ampio petto,
- 95 E di grigio color le chiome sue
- Eran mischiate. Lunghe le sue gambe
- E tremendo il guardar, ma di signore
- Avea l’incesso. D’alloggiar si disse
- De’ Burgundi i guerrieri, e in separato
- 100 Loco fûr poste di Gunthèr le genti,
- Chè la regina indisse questo. Grande
- Ella un odio portava a re Gunthero,
- E però que’ famigli al separato
- Loco, ne’ giorni che seguìan, fûr morti.
- 105 Connestabil Dancwarto era, fratello
- D’Hàgene, allora, e que’ famigli suoi
- Gli accomandò con molta cura il sire,
- Perchè pensiero egli ne avesse e molto
- Di provviste donasse. In tutte cose
- 110 Di Borgogna quel forte3 la sua buona
- Voglia recar solea. Con sue compagne
- Discese allor là ’ve con falso core
- I Nibelunghi accogliere dovea,
- Donna Kriemhilde. Ella baciò Gislhero
- 115 E per la destra anche il prendea. Cotesto
- Hàgene vide di Tronèga, e l’elmo
- Più fortemente strinse. Or, dopo questi
- Saluti che si fean, guardarsi attorno
- Dènno i gagliardi più avveduti, disse
- 120 Hàgene allora. Per diversa foggia
- Salutansi monarchi e lor famigli,
- Nè buon vïaggio femmo noi davvero
- A questa festa! — E la regina disse:
- Il benvenuto siate voi per tale
- 125 Che volentier vi vede. In questa vostra
- Amicizia, non io vo’ salutarvi.
- Ma dite voi che mi portaste mai
- Da Worms di là dal Reno, onde sia d’uopo
- Che molto per me siate il benvenuto.
- 130 S’io cotesto sapeva, Hàgene disse,
- Che lor doni dovean portarvi i prodi,
- Io sì di tanto sarei ricco, e questo
- Meglio pensato avrei perch’io miei doni
- Recati avessi in questa terra ancora.
- 135 Ora più assai di ciò fatemi voi
- Intendere, dicea. Che féste voi
- De’ Nibelunghi del tesoro? Mio
- Era il tesoro, e ciò v’è noto assai.
- Questo sì v’era d’uopo in questa terra
- 140 D’Ètzel recarmi. — Veramente, o mia
- Donna Kriemhilde, sono molti i giorni
- Ch’io del tesor de’ Nibelunghi alcuno
- Pensiero non mi do. Mi fean precetto
- Questi signori miei sì d’affondarlo
- 145 Nel Reno, e là si rimarrà il tesoro
- Fino all’estremo di veracemente.
- Cotesto anche pensai, disse la regia
- Donna; e poco davver qui mi recaste
- In questa terra, ben che mio possesso
- 150 Quello si fosse ed io n’avessi cura
- Intanto sempre. Molti giorni, in tutto
- Questo tempo, n’ebb’io dolenti e foschi.
- Ed io vi porto il diavolo! rispose
- Hàgene allora. In su la targa mia
- 155 E sull’usbergo molte cose assai
- Degg’io portar. Lucente è il casco mio,
- Fra le mie mani sta la spada, e questa
- Non abbandono mai. — A tutti, allora,
- I cavalieri la regina disse:
- 160 Niuno in la sala porti l’armi sue.
- Voi, prodi, a me sì le darete, ed io
- Custodir le farò. — Ciò veramente
- Giammai non si farà! Nè tanto onore,
- Donna cara agli eroi, bramo o desìo
- 165 Che il mio pavese voi rechiate, e l’altre
- Armi di me, dentro a le stanze vostre,
- Chè voi siete regina, e mai cotesto
- Non m’insegnava il padre mio. Valletto
- Io medesmo esser bramo. — Oh! dolor mio!
- 170 Disse Kriemhilde. E perchè mai deporre
- Lor pavesi non vônno il fratel mio,
- Hàgen con esso? E prevenuti ei sono,
- E s’io sapessi chi cotesto fece,
- Io la sua morte n’ordirei pur sempre!
- 175 Prence Dietrico allor dicea con sdegno:
- Io son colui che i nobili e possenti
- Prenci ammoniva, ed Hàgen valoroso,
- L’uom de’ Burgundi; nè di ciò farai,
- Donna infernal, ch’io mi porti la pena.
- 180 D’Ètzel assai si vergognò la donna,
- Ch’ella Dietrico temea forte. Andava
- Di là rapidamente e nulla disse,
- E volse intinto a que’ nemici suoi
- Uno sguardo tremendo. Or, per la mano
- 185 Ambo prendeansi i cavalieri, ed uno
- Era Dietrico, Hàgene l’altro, e quello,
- Assai gentile cavalier, dicea
- Cortesemente: Ed è per me gran doglia
- Vostro venir fra gli Unni, or che in tal guisa
- 190 La regina parlò. — Così rispose
- Hàgene di Tronèga: Ora a cotesto
- Si penserà. — Così fra loro i due
- Cavalieri gagliardi ivan parlando,
- Ed Ètzel re vide cotesto. Allora
- 195 A dimandarne incominciò. Cotesto,
- Disse il potente re, ben volentieri
- Saper vorrei chi è mai quel cavaliero
- Che là prence Dietrico in tanti segni
- D’amicizia accogliea. Superbo assai
- 200 Animo ei reca, e buon guerriero ancora
- Egli esser dee, chiunque il padre sia.
- Un uomo allora di Kriemhilde al prence
- Così rispose: Ei di Tronèga è oriundo,
- E s’appella Aldrïano il padre suo.
- 205 Ben che gentile ei si comporti, truce
- Uomo è d’assai. Farò vedervi io tosto
- Ch’io non mentii per nulla. — Oh!
- come dunque
- Conoscere io potrei ch’egli è si truce?
- 210 Ètzel non anche l’arti conoscea
- Malvagie e triste, quali a’ suoi congiunti
- La regina apprestò, sì che nessuno
- D’appo gli Unni, che in vita anche si fosse,
- A dietro non mandò.4 — Già conosciuto
- 215 Ebbi un giorno Aldrïano. Egli era un uomo
- Soggetto a me, che lode e onore assai
- Appo me s’acquistò. Lui feci ancora
- Cavaliero e gli diei dell’oro mio;
- Hèlche fedele dall’intimo core
- 220 Gli era benigna assai. Però le cose
- D’Hàgen tutte conosco. Erano miei
- Ostaggi qui due nobili garzoni,
- Egli e Walthèr di Spagna. E son cresciuti
- Uomini qui con meco. Hàgene indietro
- 225 Rinvïai, ma Walthèr con Hildegundo
- Fuggiva. — Ètzel pensò le cose tutte
- Lontane che avvenìan prima d’assai.
- Ma di Tronèga quell’amico suo
- Quale or riconoscca veracemente,
- 230 Ei sì, che in gioventù molti e possenti
- Servigi gli prestò, molti diletti
- Amici suoi gli fe’ in vecchiezza morti.
- ↑ Dietrico o Teodorico.
- ↑ Per stenderle poi sul campo.
- ↑ Dancwarto.
- ↑ Cioè la regina Kriemhilde non lasciò che nessuno dei Borgognoni ritornasse vivo dalla terra degli Unni.
- Note
- Avventura Ventinovesima
- In che modo Hagen non si levò in piedi dinanzi alla regina
- I due, degni di lode, cavalieri,
- Hàgene di Tronèga, anche Dietrico,
- Si separâr. Di sopra da le spalle
- L’uom di Gunthero1 a un sozio riguardava
- 5 Quale ei ratto acquistava. Appo Gislhero
- Starsi Volkero ei vide. Il suonatore
- Di giga esperto egli pregò con seco
- Di venir tosto. L’anima sua fiera
- Ei sì ne conosceva, e quello in tutte
- 10 L’opre sue cavaliero ardito e buono
- Era davver. Lasciavasi frattanto
- Che andassero alla reggia i cavalieri;
- Tolti solo que’ due, gli altri fûr visti,
- Oltre la corte, andarne assai lontano
- 15 Ad un vasto palazzo. Odio d’alcuno
- I cavalieri, fior d’ogni più forte,
- No, non temean. Dinanzi da la casa,
- Alla sala di contro, usato ostello
- Di Kriemhilde, ei sedean sovra uno scanno
- 20 In basso, e risplendean su lor persone
- Loro arnesi pomposi. Oh! volentieri
- Avrìa saputo chi li riguardava,
- Chi si fossero mai! Come a selvagge
- Belve, mirava con aperta bocca
- 25 Ogn’uom degli Unni ai prodi ardimentosi;
- Anche li vide da una sua finestra
- D’Ètzel la donna, e si turbò d’assai
- La leggiadra Kriemhilde. Ella pensava
- Al suo dolore e a pianger fea principio,
- 30 E di cotesto meraviglia assai
- D’Ètzel le genti avean, quale mai cosa
- Le avea turbato il core a l’improvviso.
- Ed ella disse: Hàgene fea cotesto,
- O cavalieri ardimentosi e buoni.
- 35 E a quella donna elli dicean: Cotesto
- Come dunque accadea? mentre veduta
- Or ora v’abbiam noi lieta e contenta.
- Ma quel qualunque che vi fea tal cosa,
- Dite a noi di punire. E sì davvero
- 40 La sua vita n’andrà. — Sempre vorrei
- Quello servir che l’alto mio dolore
- Vendicherà. Per quanto egli vorrìa,
- Pronta sarei dell’alma. Ond’io vi prego
- A’ vostri piè, disse del re la donna,
- 45 D’Hàgene voi, sì che vita egli perda,
- Mi vendicate. — Prontimente allora
- Sessanta s’accingeano ardimentosi.
- Per voler di Kriemhilde elli voleano
- Irne di là, voleano Hàgene uccidere,
- 50 L’uomo ardito e superbo, e seco ancora
- Il sonator di giga, e ciò per essi
- In secreto consiglio s’apprestava.
- Ma la regina che vedea sì breve
- D’essi la compagnia, disse agli eroi
- 55 Con un’alma crucciosa: Esto disegno
- Che avete voi, abbandonar v’è d’uopo,
- Chè non potete voi, sì pochi siete,
- Contro Hàgene restar. Ma più d’assai.
- Per quanto ardito e forte Hàgene sia,
- 60 Quei di Tronèga, di gran lunga è forte
- Quei che accanto gli siede, il sonatore,
- Volkèr, di giga. Egli è malvagio, e voi,
- Sì pochi siete, contro a questi prodi
- Non potete restar. — Come cotesto
- 65 Da lor s’intese, anche assai più si accinsero,
- Quattrocento gagliardi cavalieri,
- E la nobil regina assai di questo
- Cura si avea per che dolor portasse
- A que’ nemici suoi. Da ciò ben grande
- 70 Apprestavasi doglia ai valorosi.2
- Poi ch’ella vide bene armati assai
- De’ suoi famigli, ai prodi ardimentosi
- La regina parlò: Deh! per un poco
- Or v’arrestate, e qui v’è d’uopo ancora
- 75 Starvi in silenzio. A’ miei nemici innanzi
- Io scender vo’ con la corona, e intanto
- Rimprocci udrete voi per ciò che fatto
- Hàgen m’ha di Tronèga, ei, di Gunthero
- L’uom devoto. E lui so sì fiero e ardito,
- 80 Che l’opra sua non mentirà. Ma poco
- Anche mi preme se alcun che gli tocca.
- E vide allora il sonator di giga,
- Ardito sonator, dal regio ostello
- Per una scala scendere colei,
- 85 Nobil regina. Al suo compagno allora
- L’avveduto Volkèr così parlava,
- Come cotesto ei vide: Hàgene amico,
- Ora mirate ove sen va colei
- Che a questa terra fece invito a noi
- 90 Senza fede leale. Unqua non vidi
- Appo donna di re tanti gagliardi
- Battaglieri venir, che tra le mani
- Portin lor ferri. O forse voi sapete,
- Hàgene amico, se di voi son elli
- 95 Nemici avversi? E consigliar vogl’io
- Questo a voi che però con maggior cura
- Vostra persona e vostro onor guardiate;
- E ciò buono mi sembra. E di riottosa
- Anima ei sono inver, s’io bene intendo!
- 100 Anche d’essi qualcun reca sì vasto
- Petto, che qual difenderà sè stesso
- In tempo ciò farà. Credo che sotto
- Ei portino a le vesti usberghi fulgidi;
- Ma ciò ch’ei vônno per cotesto, dire
- 105 A nessuno io saprei. — Con iraconda
- Anima disse allora Hàgene ardito:
- Io ben conosco che per me si fece
- Tutto cotesto, ond’ei l’armi lucenti
- Si portino fra mano. Eppure, ancora,
- 110 Dopo ciò, ben potrei tornarmi a quella
- De’ Burgundi contrada in cavalcando.
- Ora ditemi voi, Volkero amico,
- Se al fianco mio starete ove la pugna
- Voglian con meco di Kriemhilde gli uomini,
- 115 Per quant’io vi son caro, e voi cotesto
- Intendere mi fate, ed io più sempre
- Appo voi resterò in fedel servigio.
- Io fermamente porgerovvi aita,
- Il suonator di giga rispondea.
- 120 Anche se il re con tutti suoi gagliardi
- Qui vedess’io venirne incontro, intanto
- Che anche viver poss’io, non per timore
- Dall’aita di voi ritrarrò il piede.
- Ora dal cielo vi compensi Iddio,
- 125 Molto nobil Volkero! E di qual cosa
- Bisogno avrò, se voi pugnate meco?
- Poi che aitar voi mi volete in quella
- Guisa che intesi or or, vengano questi
- Eroi così con tal vampo di guerra!
- 130 Or da seder su vi levate, disse
- Di giga il suonatore. Ed è costei
- Una regina, e ch’ella innanzi vada
- Lasciate voi. Facciamle onor, chè donna
- Ella è nobile inver. Con ciò, di noi
- 135 La persona si onori. — Oh, no! rispose
- Hàgene allor, per l’amor mio! Cotesti
- Eroi creder potrìan che per timore
- Io fo cotesto e ch’io di qui tornarmi
- Vo’ in Borgogna. Levarmi in niuna guisa
- 140 Da seder vo’ per lei. Meglio davvero
- S’addice ad ambedue che ciò si lasci.
- A chi m’odia e perchè far io dovrei
- Segno d’onor? Pel tempo in che avrò vita
- Io mai cotesto non farò. Nè assai
- 145 Davver mi curo se odio anche mi porta
- D’Ètzel prence la donna. — E il tracotante
- Su le ginocchia sue un’arma pose
- Assai lucente. Assai lucente diaspro,
- Verde com’erba, su l’elsa splendea.
- 150 Che di Sifrido era quell’arma, tosto
- Riconobbe Kriemhilde, e sì le venne,
- Come la spada riconobbe, fiero
- Desìo di pianto. Ed era l’elsa in oro,
- E il fodero a ricami in cremisino.
- 155 Ricordò a lei cotesto il suo dolore,
- Ed ella a pianger cominciò. Che appunto
- Per ciò fece tal cosa Hàgene ardito,
- Io mi penso davver. Ma presso al banco
- Trasse Volkero ardimentoso un suo
- 160 Arco da giga, lungo e grande, pari
- Ad una spada, acuto assai ed ampio.3
- Così stavan seduti i due guerrieri,
- Incliti, ed imperterrito è l’aspetto.
- Così mostraro i due ardimentosi
- 165 Che dal seggio levarsi ei per temenza
- Di nessuno volean. L’inclita donna
- Venne frattanto innanzi da’ lor piedi
- E nemico saluto ad ambi offerse.
- Hàgene, ed ella disse, ora mi dite
- 170 Chi mai qui vi mandò, perchè da voi
- Cavalcar si osi in questa terra? Eppure,
- Ciò che a me feste, conoscete ancora.
- Che se buon senso aveste voi, lasciare
- Più giustamente dovevate voi
- 175 Questo vïaggio. — Ed Hàgene rispose:
- Niuno mandò per me. Tre cavalieri
- Altri invitava a questa terra, ed elli
- Signori miei si chiamano, e son io
- De’ lor famigli, e dietro a lor rimaso
- 180 In vïaggi di corte io non son mai.
- Ditemi anche di più, disse colei,
- Perchè mai feste cosa, onde mertato
- Avete voi ch’io tanto v’odii? Morto
- M’avete voi lo sposo mio diletto,
- 185 Sifrido, e però sempre a lagrimare
- Molto astretta son io fino alla morte.
- Ed egli disse: E che più mai? Vi basti
- Questa parola, ch’io son qui davvero
- Quell’Hàgene che uccise un dì Sifrido,
- 190 L’eroe, con le sue mani. Oh! quanto forte
- Donna Kriemhilde ciò che disse a quella
- Vaga Brünhilde in un alterco, espiava!
- Senza menzogna, o nobile regina,
- Dirvi poss’io che di tal danno grave
- 195 Tutta ho la colpa. Or vendichi cotesto
- Chi più lo vuole, od uomo o donna. Intanto,
- Nulla niegar vogl’io; grave rancura
- Davver! ch’io v’ho recata! — Ed ella disse:
- Or, cavalieri, udite voi che nulla
- 200 De’ miei dolori egli mi niega? Quale
- Cosa ne avvenga poi, d’Ètzel gagliardi,
- Poco davver mi preme. — E si guardaro
- L’un l’altro allor gli eroi superbi e fieri.
- Ma, per chiunque cominciasse allora
- 205 L’assalto, sì accadere anche dovea
- Che ad ambo que’ compagni4 alto doveasi
- Rendere onor, chè molte volte assai
- Bene oprato egli avean ne le battaglie,
- E per temenza cosa che pensavano,
- 210 Questi 5 dovean lasciar. Così diceva
- Un de’ gagliardi: A che mi riguardate?
- Ciò che promisi in pria, sì vi ricuso,
- Nè per doni d’alcun vogl’io la vita
- Perdere. Sì davver! che alla rovina
- 215 Tutti vuol trarci d’Ètzel re la donna!
- E un altro disse dopo quello: Uguale
- Consiglio è il mio. Mi doni altri castelli
- D’oro fulgido e buono, e non per tanto
- Di fronte a questo vo’ restar, di giga
- 220 Suonator, per gli sguardi inver tremendi
- Che in lui scoversi. Hàgene ancor conosco
- Dai giovani suoi dì, sì che ben poco6
- Anche dirmi potrìa di tal guerriero
- Qualcuno qui. Già visto in venti pugne
- 225 E in due pur anco io l’ho, dove rancura
- Grave di cor si fea per donne assai.
- Egli e quello di Spagna7 in molti entraro
- Assalti insieme, là ’ve molte pugne,
- Ad Ètzel presso, ei combattean per quello
- 230 Onor del sire. Assai fïate accadde
- Inver cotesto, e però vuolsi onore
- Ad Hàgen tributar per giusto dritto.
- Ed era allor cotesto cavaliere
- Un fanciullo degli anni. Oh! come grigi
- 235 Son fatti omai quei ch’erano garzoni
- A quel tempo! A vigor di mente intègra
- Ora egli è giunto ed uomo egli è superbo.
- Anche Balmunga8 egli si porta, quale
- Male assai s’acquistò. — Di cotal guisa
- 240 Ei separârsi allor, che niuno assalto
- S’ingaggiò. Fu cotesto aspro dolore
- Che scese al cor della regina; e intanto
- Gli eroi di là redìan; temean la morte
- Dal sonator di giga, e la rovina
- 245 Era per essi certa. Ecco! veduto,
- Disse di giga il sonator, cotesto
- Bene abbiam noi che qui nemici abbiamo,
- Sì come già narrarci udimmo in pria.
- E però dobbiam noi starci appo quelli
- 250 Re nostri in corte, perchè niuno ardisca
- A que’ nostri signori in guerra scendere.
- Deh! quante volte per timor lasciava
- L’uom varie imprese, tosto che si stette
- Presso gli amici suoi, come alleato,
- 255 Un fido amico! E s’egli ha fior di senno,
- Di ciò non far non ha pcnsier. Difesa
- Di molti al danno è veramente il senno.
- Or io vi seguirò, Hàgen dicea. —
- Andavano però là ’ve gl’illustri
- 260 Principi ritrovâr starsi alla corte
- In tutta pompa d’apparati. Allora,
- Ardito assai, Volkero a’ suoi signori
- Ad alta voce a dire incominciava:
- E fino a quando qui starete, intanto
- 265 Che vi lasciate da la folla opprimere?
- Ir v’è d’uopo alla corte e intender quale
- Intenzïon del prence sia. — Fûr visti
- Accompagnarsi allora, arditi e buoni,
- I cavalieri; e di Verona il prence
- 270 Per mano si prendea Gunthèr possente
- Della burgundia terra, ed Irnefrido
- Prendea Gernòt, ardimentoso assai,
- E fu visto Rüedgèr salire a corte
- Con Giselhèr. Ma, di qual foggia mai
- 275 Andassero accoppiati i cavalieri
- A corte nel salire, in fino al tempo
- Di lor morte, se togli un solo assalto,
- Unqua non separârsi Hàgen, Volkero,
- Indi nobili donne avean più tardi
- 280 A piangere d’assai. Vedeansi intanto
- Andare in corte co’ monarchi mille
- Uomini arditi di lor scorta illustre,
- E sessanta lor duci; essi con quelli
- Eran venuti. Nella terra sua
- 285 Questi prendea con sè Hàgene ardito.
- Ed Hawardo ed Iringo, ambo trascelti
- Prodi, vedeansi amicamente andare
- Appo lor prenci, e Dancwarto con essi
- E Wolfharto, guerrier nobile e grande,
- 290 Quali fûr visti poi dinanzi agli altri
- Bene adoprar lor pregi e lor virtudi.
- Come venne al palagio il sir del Reno,
- Ètzel possente non restò seduto
- Lung’ora assai. Balzò dal seggio suo,
- 295 Come il vide avanzar. Si bel saluto
- Non mai da re si fece: Il benvenuto
- Siate, o prence Gunthero, e benvenuto
- Siate anche voi, sire Gernòt, e il vostro
- Fratel Gislhero. Con ben ferma fede
- 300 Il mio servigio a Worms, di là dal Reno,
- Profferir vi fec’io. Ma benvenuti
- Esser qui dènno ancor tutti cotesti
- Vostri consorti. E benvenuti assai,
- Voi due guerrieri, siete a noi, Volkero
- 305 Assai prudente e sire Hàgen con lui,
- A me, alla donna mia, in questa terra.
- Ella sul Reno a voi mandò suoi messi.
- Hàgene disse di Tronèga allora:
- Io bene udii cotesto; e se venuto
- 310 Qui non foss’io per que’ signori miei
- Appo gli Unni, da solo in questa terra
- Cavalcato sarei per farvi onore.
- Il nobil sere i cari ospiti suoi
- Prendea per mano e sì adduceali a quello
- 315 Sedile in che sedea. Vino, idromèle,
- E vin di more agli ospiti mesceasi
- (E ciò si fea con cura) in ampie coppe
- Splendenti d’oro, e si gridâr gli estrani
- Benvenuti d’assai. Questo vogl’io,
- 320 Re Ètzel disse allor, bene affermare
- Che toccar non potea cosa più dolce
- A me, pur anco a voi, prodi guerrieri,
- In questa terra mai, di questo vostro
- Venire a me. Gran duol però fu tolto
- 325 Alla regina. E sì gran meraviglia
- Prendemi ancora che mai vi fec’io,
- Perchè cotanti ch’io già m’acquistava
- Ospiti illustri, unqua pensier non ebbero
- Di scender qui nella mia terra. Intanto,
- 330 Perch’io v’ho visti, ciò è di me gran gioia.
- E Rüedegero, cavalier magnanimo,
- Così rispose: Volentier vederli
- V’è d’uopo inver. Buona è lor fede ancora,
- Quale i congiunti e la donna mia9
- 335 Osservar ponno bellamente. Ed essi
- Recanvi in casa molti eroi gagliardi.
- A un solstizio, di sera, a quel palagio
- D’Ètzel possente vennero i signori,
- E raro assai di accoglienze sì grandi
- 340 Ridir s’intese, come questi eroi
- Ètzel accolse. Ed era tempo omai
- Del mangiare, ed a mensa andava il sire.
- Appo gli ospiti suoi più bellamente
- Mai non si assise chi gli accolse. Dato
- 345 Fu a quelli in copia di bevande e cibi,
- Ivi apprestato era d’assai di tutto
- Ch’elli volean. Si dissero di quelli
- Eroi possenti meraviglie assai.
- ↑ Hagen.
- ↑ I Borgognoni.
- ↑ Ciò, figuratamente, s’intende per una spada.
- ↑ Hagen e Volkero.
- ↑ I cavalieri d’Ètzel.
- ↑ Poco di nuovo.
- ↑ Walther di Spagna che con Hagen era stato ostaggio in corte di Etzel.
- ↑ La spada di Sifrido.
- ↑ Kriemhilde.
- Note
- Avventura Trentesima
- In che modo fecero la guardia
- Ebbe fin la giornata e già vicina
- Era la notte e già prendea la cura
- Gli stanchi eroi di lor vïaggio, dove
- Fosse lor d’uopo aver riposo e andarne
- 5 A’ letti loro. E di ciò fe’ parole
- Hàgene, ed altri ciò gli disse tosto.
- Disse Gunthero all’ospite signore:
- Viver facciavi Iddio beato e lieto!
- Ire a dormir vogliamo noi, e vènia
- 10 Concederci v’è d’uopo. A ciò che voi
- Comanderete, all’alba di domani
- Noi qui verremo. — Con gran gioia assai
- Da quegli ospiti suoi si separava.
- Ma fûr veduti gli ospiti a l’intorno
- 15 Da tutte parti spingerai, e Volkero
- Arditamente così disse agli Unni:
- Deh! come osate voi dinanzi a’ piedi
- Ir de’ gagliardi? Da cotesto voi
- Se non cessate, altri faravvi doglia,
- 20 Ed io sì grave assesterovvi un colpo
- Di questi giga, che se alcun di voi
- Ha l’amanza, davver! ch’ella di tanto
- Pianger dovrà! Perchè lungi non ite
- Dai cavalieri? E ciò sembraci buono,
- 25 E tutti son chiamati cavalieri,
- Ma di coraggio egual tutti non sono.
- Di giga il suonator così parlava
- In suo disdegno, e guardavasi dietro
- Hàgene intanto e sì dicea: Del giusto
- 30 Davvi consiglio il menestrello accorto.
- A’ vostri alberghi ora v’è d’uopo andare,
- Di Kriemhilde guerrieri. E niun di voi,
- Credo, farà ciò che desìa. Se cosa
- Volete alcuna incominciar, venite
- 35 A noi dimani al primo albore e questa
- Notte lasciate che, stranieri, noi
- Ci riposiamo. E ciò si fa, mi penso,
- Da tutti eroi che hanno cotal desìo.
- Così menarsi gli ospiti a una grande
- 40 E vasta sala, quale per gli eroi
- Apprestata ei vedeano in tutte parti
- Con letti ricchi assai e lunghi e vasti. —
- E meditava intanto il maggior male
- Donna Kriemhilde a lor. — Vedeansi quivi
- 45 Molte coltrici adorne, artificiose,
- D’Arraz città,1 di rilucenti stoffe,
- Coperte molte in arabica seta,
- Le più belle davver, su cui ricami
- Giaceano e borchie, che regal splendore
- 50 Davano attorno. Molte si vedeano
- Coperte d’ermellin, di zibellino
- Nero, e là sotto elli potean lor agi
- Tutti far della notte infino all’ora
- Del dì lucente. Mai non giacque sire
- 55 Con tanta pompa coi consorti suoi.
- Oh! nostro alloggio de la notte! disse
- Giselhèr giovinetto, oh! amici miei
- Nosco venuti qui! Sì dolce invito
- Anche se fece a noi la mia sorella,
- 65 Temo che tutti noi, di lei per colpa,
- Morti giacere dovrem qui. — Cotesta
- Vostra cura lasciate, Hàgene eroe
- Dissegli. Questa notte io con lo scudo
- Farò la guardia, e sì mi penso ancora
- 70 Che bene assai vi guarderò, a noi
- Fin che ritorni il dì. Però restate
- Voi senz’affanno. E salvisi dipoi
- Al dì novello chi potrà. — Del capo
- Elli inchinârsi a lui, grazie gli resero
- 75 Ancora e a’ letti avvicinârsi, e lungo
- Non fu l’indugio inver, chè tosto i prodi
- Si fûr posti a giacer. Cominciò tosto
- Hàgene, ardito eroe, l’armi a vestire.
- Volkero prode, suonator di giga,
- 80 Così allora parlò: Se a voi non spiace,
- Hàgen, cotesto, questa notte anch’io
- Farò con voi la guardia dello scudo
- In fino all’alba. — Con affetto assai
- Rendea grazie a Volkero il valoroso:
- 85 Volkèr diletto assai, Dio vi compensi
- Dal cielo. In tutta la mia cura, niuno,
- Tolto voi solo, disïar potrei,
- Quand’io mi fossi alla distretta. Un giorno
- Io di cotesto vi darò compenso.
- 90 Ove la morte ciò non tolga. — Allora
- Ambo cingean lor armi rilucenti,
- Ciascuno in man recavasi la targa,
- E da la casa uscìan per starsi innanzi,
- Là, dalla porta. Ei, di tal guisa, cura
- 95 Degli ospiti prendean; si fea cotesto
- Da lor con fede. Ma Volkero ardito
- La buona targa sua di quella sala
- Appoggiò di sua mano alla parete,
- E a dietro ritornò la giga a prendere.
- 100 A quegli amici suoi così servìa
- Come ad eroe conviensi. Ad una pietra
- Egli si assise là, di quella casa
- Presso la porta. Suonator di giga
- Di lui più destro non fu mai. Sì dolce
- 105 Gli risuonò concento da sue corde,
- Che gli ospiti possenti rendean grazie
- A Volkero di tanto. Oh! di tal guisa
- Le sue corde suonâr, che n’echeggiava
- La casa tutta, e la sua forza e il fare
- 110 Cortigiano e gentile erano in lui
- Grandi davvero. Ei cominciò di giga
- Dolce e molle a sonar, sì che a’ lor letti
- Molti fe’ addormentar pieni di cure.
- E come quelli s’addormiano ed ei
- 115 Di cotesto s’accorse, ei, cavaliero,
- Anche recossi fra le man la targa,
- Fuor di sala balzò per starsi presso
- Alla torre, e quegli ospiti difese
- Di Kriemhilde dagli uomini. E accadea
- 120 Vêr mezzanotte, nè so ancor se prima,
- Che nell’ombre da lungi alcuni elmetti
- Lucer vedea Volkero ardito. Male
- Gli uomini di Kriemhilde volentieri
- Avrìan fatto a quegli ospiti di lei.
- 125 Hàgene amico, il sonator di giga
- Disse allora, portar ci è d’uopo insieme
- Cotesta briga. Innanzi dalla casa
- Starsi vegg’io armate genti, e come
- Io m’argomento, credo sì che vogliano
- 130 Darci assalto. — Oh! tacete, Hàgen rispose,
- Soffrite ancor ch’ei facciansi vicini.
- Pria che qualcun ci vegga, elmi saranno
- Da nostre spade e per la nostra mano
- Via qui divelti, e male assai costoro
- 135 Fien rimandati appo Kriemhilde. — Intanto,
- Degli Unni prodi tal rapidamente
- Vide sì che guardata era la porta.
- Deh! con qual fretta egli gridò: Di quanto
- Vogliamo noi, nulla può farsi. Vedo
- 140 Starsi di giga il suonatore a guardia
- Col suo pavese. E porta sovra il capo
- Un elmetto che luce e che scintilla,
- Forte, duro ed intero. Anche scintillano,
- Come fa il fuoco, dell’arnese suo
- 145 Gli anelli, ed Hàgen gli sta presso, e gli ospiti
- Davver! che bene son guardati! — Allora
- A dietro si tornâr. Verso al compagno
- Con ira molta favellò Volkero,
- Come ciò vide: Or mi lasciate voi
- 150 Fuor dalla casa uscir dietro gli accorsi
- Unni guerrieri. Dimandar vogl’io
- Novelle di cotesti, che devoti
- Sono a donna Kriemhilde. — Hàgen rispose:
- No, no, per l’amor mio! Se dalla casa
- 155 Uscite voi, gli ardimentosi prodi
- Sì v’addurranno con lor ferri in tale
- Distretta, ch’io dovrò, fosse cotesta
- Pronta la morte d’ogni mio congiunto,
- Recarvi aita. E come noi venuti
- 160 Saremo ambo alla pugna, o due o quattro
- D’essi alla casa, in brevissimo istante,
- Si balzeranno, e tale a noi faranno
- Per que’ dormienti grave danno e cura,
- Che scordar non potremo in alcun tempo.
- 165 Ma Volkero dicea: Tanto lasciate
- Che avvenga sì, perchè da noi ridire
- Anche si possa ch’io li ho visti, ed elli,
- Uomini di Kriemhilde, in niuna guisa
- Possano a noi negar che volentieri
- 170 Opra compiuta avrìan sleale e rea.
- Così, a l’istante, lor gridò di contro
- Volkero allora: E perchè mai, guerrieri
- Ardimentosi, di tal guisa armati
- Venite voi? O di Kriemhilde gli uomini,
- 175 Andar volete voi per far rapine?
- In ciò v’è d’uopo sì, per vostra aita,
- Me aver col mio compagno. — E niun rispose.
- L’alma di lui ne fu crucciosa, e allora:
- Vili e codardi voi, gridò l’eroe
- 180 Valente, e disïaste addormentati
- Averci morti qui? Ma raro assai
- Avvien cotesto a buoni cavalieri!
- Alla regina veramente allora
- Altri dicea che nulla i messi suoi
- 185 Oprato avean. Dolor le fu cotesto
- A ragione, e però tosto si volse
- A diverso consiglio, e corrucciata
- Era l’anima sua. Però doveano
- Irne perduti molti eroi valenti.
- ↑ Nei Paesi bassi, donde venivano gli arazzi.
- Note
- Avventura Trentunesima
- In che modo andarono alla chiesa
- Freddo mi fanno queste maglie, disse
- Volkero, e credo che non lunga ancora
- Duri la notte a noi. Da l’aria fresca
- Io sento già che presto farà giorno.
- 5 E quelli1 intanto su destâr parecchi
- Che anche giaceano addormentati. Allora
- Agli ospiti in la sala apparve luce
- Di mattino, e a destar tutti i gagliardi
- Hàgen attorno incominciò, se andarne
- 10 Ei volessero a messa al monastero,
- E già, qual di Cristiani è legge ed uso,
- Forte a sonar campane incominciavano.
- E si cantava per diverso modo,
- Sì che chiaro apparìa che non concordi
- 15 Eran pagani e gente a Cristo addetta.
- Voleano intanto di Gunthero gli uomini
- Andarne al monastero; essi levati
- Erano tutti da’ lor letti. I prodi
- Con vesti s’avanzâr pompose tanto,
- 20 Che cavalieri mai d’alcun monarca
- Non portâr ne la terra e vesti e arnesi
- Più ricchi e belli, e ad Hàgene cotesto
- Fu cagione di duol, sì ch’egli disse:
- Portar v’è d’uopo, eroi, ben altre vesti
- 25 E assai davver di qui son conosciute
- Anco a voi le novelle. Ora alle mani
- Armi per rose sì portar v’è d’uopo
- E buoni elmi e lucenti per cappelli
- Di gemme ornati. Di Kriemhilde fiera
- 30 Bene l’alma ci è nota. E noi dovremo
- Oggi pugnar, ciò dir vi voglio, e tosto
- Vi sarà d’uopo di vesti di seta
- Portar in loco usberghi e per mantelli
- Vasti pavesi e buoni, onde, se alcuno
- 35 Con voi si cruccia, pronti alle difese
- Voi qui siate davver. Deh! miei signori,
- Molto diletti a me, deh! voi pur anco
- Miei congiunti e famigli, al monastero
- Con pronta voglia assai irne dovete
- 40 E ridir sospirando a Dio possente
- Vostre cure ed affanni. Or certamente
- Sappiate voi che morte s’avvicina.
- Nè v’è d’uopo scordar ciò che voi feste,
- E v’è d’uopo dinanzi andare a Dio
- 45 Con fervore d’assai. Di ciò vogl’io
- Ammonirvi, gagliardi cavalieri.
- Se Iddio dal ciel non toglie, un’altra messa
- Voi non avrete più. — Così ne andavano
- Al monastero i prenci e lor famigli.
- 50 Hàgene accorto dentro dal sagrato
- Tutti li fe’ restar silenzïosi,
- Perchè nessun si separasse. Nulla,
- Ei si dicea, ben so che avvenir debba
- Oggi per gli Unni a noi. Posate, amici,
- 60 Le targhe innanzi a’ piedi, e se qualcuno
- V’offre tristo saluto, il compensate
- Con profonda ferita che dia morte.
- Questo è d’Hàgen consiglio, onde si trovi
- Che assai con lode sì vi comportate.
- 65 Andavan ambo, ed Hàgene e Volkero
- Dinanzi a quella vasta cattedrale,
- E ciò si fea per essi e ciò voleano
- Saper di certo se del re la donna
- Sarìa sforzando presso a lor passata,
- 70 E grave cruccio stava in lor. Venìa
- Il signor della terra e venìa seco
- La leggiadra sua donna, e la persona
- D’ardimentosi cavalier che seco
- Avanzar si vedean, tutta di ricche
- 75 Vestì era adorna. Anche levarsi in alto
- Fu veduta la polvere, da quello
- Di Kriemhilde corteggio. Allor che sire
- Ètzel possente così armati scorse
- Re Gunthero e i famigli, oh! con qual forza
- 80 Di baldanza gridò: Perché vegg’io
- Venir gli amici miei con loro elmetti?
- Per la mia fè, ciò m’è dolor, se alcuno
- Qualche offesa lor fe’! Ma vendicarli
- Volentieri degg’io, perchè cotesto
- 85 Buono lor sembri. Che se alcun gli offese
- Dell’anima o del cor, che ciò ben grande
- Mi fu dolore, asseverar vogl’io.
- A tutto ch’ei vorranno, io qui son pronto.
- Hàgene rispondea: Nulla nessuno
- 90 Anche ci fece. D’esti miei signori
- Tale è costume ch’a ogni festa intorno
- Vadano armati a tre giorni compiuti.
- Che se alcun ci facesse alcuna offesa,
- Ad Ètzel il diremmo. — Oh! come bene
- 95 Ciò che Hàgene dicea, Kriemhilde intese,
- Oh! come riguardò degli occhi suoi
- Nimicamente a lui! Ma qual costume
- Di sua terra si fosse, ella ridire
- Allor non volle, e quanto da gran tempo
- 100 Hàgene avesse appo i Burgundi visto.
- Che se, per quanto a lui nemica fosse
- Ferocemente, veritiera cosa
- Ad Ètzel detta avesse alcuno, a quello
- Che ivi poscia accadea, posto egli avrìa
- 105 Valevole difesa. Or, per orgoglio
- Forte di sè, nessuno a lui ciò disse.
- Grande allora venìa con la regina
- La folla, non però trarsi più lungi,
- Quanto due braccia, voleano que’ due.2
- 110 Ciò fu agli Unni rancura, e la regina,
- Con tutti buoni cavalieri suoi,
- Passar dovè sforzando. Oh! buona cosa
- D’Ètzel ai paggi non sembrò cotesto,
- E volentier di que’ gagliardi l’ira
- 115 Destata avrìan, se innanzi al nobil sire
- Tanto ardire si avean. Grande affollarsi
- E spingere fu allor, nè più di tanto.
- Poi che a Dio fu servito e già voleano
- Indi partirsi, rapidi venièno
- 120 A’ lor cavalli molti Unni guerrieri;
- Molte leggiadre ancelle appo Kriemhilde
- Stavano, e dietro a lei ben settemila
- Cavalier cavalcavano. Sedea
- Con sue dame Kriemhilde a una finestra
- 125 Presso ad Ètzel possente, e dolce assai
- Gli fu cotesto. I prodi eroi cortesi
- Mostrar voleano a lui torneamenti.
- Deh! quanti innanzi a lui stranieri prodi
- Per quella corte cavalcâr! Venuto
- 130 Anche era allora co’ famigli suoi
- Dancwarto connestabile, avveduto,
- Quale con sè de’ suoi signori avea
- De’ Burgundi dal suol menati e addotti
- E famigli e consorti. Or, già sellati
- 135 Là si trovâr de’ Nibelunghi arditi
- I palafreni. E come accanto ei vennero
- A’ lor cavalli, principe e famigli,
- Volkèr gagliardo incominciò cotesto
- A consigliar, perchè giostrar dovessero
- 140 Conforme ad uso di lor terra. Assai
- Con pompa allor si cavalcò da quelli
- Ardimentosi, chè, qual cosa il prode
- Lor consigliasse, non spiacea davvero.
- Ambo fûr grandi allor tumulto e strepito,
- 145 E nella corte vasta assai discesero
- Uomini molti, e al riguardar principio
- Ètzel fece e Kriemhilde. Ecco, alla giostra
- Venìan seicento eroi, i valorosi
- Di Dietrico, di contro agli stranieri,
- 150 E sì volean con que’ Burgundi alcuno
- Aver sollazzo in armi; e se concesso
- Avesse ciò Dietrico, ei volentieri
- Fatto cotesto avrìan. Deh! quanti buoni
- Cavalieri venìan con tal desire!
- 155 E ciò fu detto a re Dietrico, ed ei
- Di Gunthero con gli uomini vietava
- Dell’armi il giuoco. Egli temea pe’ suoi,
- Chè incolto sì gli avrìa rancura certa.
- Poi che di là cotesti di Verona
- 160 Andavano così, vennero innanzi
- Da l’ostello regal que’ di Rüedgero
- Da Bechelara, cinquecento, e sotto
- A’ lor pavesi. Dolce cosa intanto
- Era cotesta pel margravio, allora
- 165 Che ciò evitato avessero, e con molta
- Accortezza però tra le lor schiere
- Ei si cacciò, gridò a’ gagliardi suoi
- Per che consci di tanto elli restassero
- Che corrucciati eran dell’alma assai
- 170 Gli uomini di Gunthero. Or, se la giostra
- Volean egli lasciar, di lui cotesto
- Fatto sarìa qual per amore. Tosto
- Che dilungâr que’ valorosi e buoni,
- Vennero quelli, come a noi si disse,
- 175 Di Turingia, ancor quei di Danimarca,
- Attorno a mille, ardimentosi. Molti
- Volar fûr visti, ai poderosi colpi,
- Tronconi d’aste. E cavalcare in giostra
- Irnefrido et Hawardo, e quei del Reno
- 180 Sì gli attendean superbamente assai,
- Indi colpi sferrâr molti a cotesti
- De la turingia terra. Ecco! da punte
- Fûr traforate molte ricche targhe.
- Con tremila de’ suoi re Bloedelino
- 185 Venìa frattanto, ed Ètzel e Kriemhilde
- Bene assai il vedean, chè innanzi ad ambo
- Là si fea l’armeggiar de’ cavalieri,
- E la regina di giocondo core,
- De’ Burgundi pel duol, mirò a cotesto.
- 190 Or Scrutano e Gibèche entro la giostra
- Cavalcando venìan, Ramungo e Hornbòge
- Qual degli Unni é costume. E tenean fermo
- Contro agli eroi della burgundia terra,
- E volavano schegge alte più assai
- 195 Delle pareti del reale albergo.
- Ma, per qual cosa altri facesse, nulla
- Era fuor che fragor. S’udìan per quelli
- Uomini di Gunthero alto d’assai
- Sale e palagio risuonar di colpi
- 200 Dati agli scudi, e que’ consorti suoi
- Grande, con lode, ebbero onor. Sì grande
- E si fiero il giostrar, che in bianche spume
- Scorrea sudor da le gualdrappe fuori
- De’ palafreni buoni e valorosi
- 205 Che gli eroi cavalcavano. Con fiero
- E superbo costume ei comportarsi
- Dinanzi agli Unni. Disse allor Volkero,
- Il menestrello sonator di giga:
- Credo che opporsi a noi non oseranno
- 210 Cotesti prodi. Ma poichè già intesi
- Questo ridir che nosco ei son crucciati,
- Miglior di questo non potriasi mai
- Altro istinto incontrar. — Nostri destrieri,
- Volkero aggiunse, adducansi agli alberghi,
- 215 Chè di là poi cavalcheremo a sera,
- Come tempo sarà. Forse che lode
- A’ Burgundi darà la regal donna?
- Ma con tal pompa ei videro cotale
- Cavalcando venir, quale nessuno
- 220 Mai fra gli Unni spiegò. Forse del core
- Avea costui la donna amante assisa
- Del castel su la loggia, onde venìa
- Ben vestito così, come la sposa
- D’un cavalier. Volkero disse allora:
- 225 Come lasciar potrei cotesto? Un colpo
- Abbiasi intanto il vagheggin di donne!
- Niuno evitar potrà tal cosa, e intanto
- Va la sua vita, ed io già non mi curo
- S’anche s’adira d’Ètzel re la donna.
- 230 No, no, per l’amor mio! disse Gunthcro.
- Se primi assaltiam noi, di ciò le genti
- Faranno a noi rampogna! E voi lasciate
- Che dìan gli Unni principio, e ciò fia meglio.
- Anche si stava presso la regina
- 235 Ètzel prence seduto. Ora l’assalto
- Accrescere vogl’io, Hàgene disse.
- Veggan le donne e veggano i gagliardi
- Di qual mai foggia cavalcar sappiamo;
- Questo a buon fine si farà. Davvero!
- 240 Che di prence Gunthero a nessun prode
- Encomio qui si dà! — Volkero ardito
- Ritornò allora nella mischia, e grande
- Di molte donne poi fu doglia e affanno,
- Ch’egli a l’Unno pomposo trapassava
- 245 L’asta per la persona, e furon viste
- Donne e fanciulle lagrimar di tanto.
- Con impeto d’assai Hàgene allora
- E quegli uomini suoi, con suoi guerrieri
- Sessanta, accanto al suonator di giga
- 250 Cavalcando venìan, là ’ve accadea
- Il fero gioco. Ed Ètzel e Kriemhilde
- Vedean cotesto chiaramente. Or quelli
- Re di Borgogna senza aita il loro
- Di giga suonator presso a’ nemici
- 255 Non vollero si stesse, e là da mille
- Gagliardi e prodi con destrezza assai
- Si cavalcò. Ciò ch’ei volean, con molto
- Fiero costume fecero que’ prodi.
- Ratto che di tal foggia fu colpito
- 260 L’Unno pomposo a morte, i suoi
- congiunti
- Piangere e lagrimar s’inteser tutti,
- E dimandava ogni famiglio: Oh! dunque
- Chi fe’ cotesto? — Il fe’ Volkero ardito,
- 265 Il menestrello, suonator di giga.
- Alle spade, agli scudi alto gridavano
- Dell’ucciso margravio i consanguinei,
- Là, in la terra degli Unni. Ei sì voleano
- Volkèr battere a morte, e cominciava
- 270 Da sua finestra l’ospite signore
- A togliersi con duol. Da tutte parti
- Clamor levossi di contrarie genti,
- E là scendea, dinanzi da la sala.
- Co’ suoi consorti il re.3 Lor palafreni
- 275 Gli uomini di Borgogna a dietro spinsero,
- Ed Ètzel re sorvenne. Incominciava
- Il nobil sire la contesa a sciôrre.
- Egli fra gli Unni ad un congiunto suo,
- Quale accanto gli stava, di man tolse
- 280 Un’arma forte assai. Tutti a l’indietro
- Cacciò con quella, che ben grande in lui
- Era lo sdegno. Oh! come dunque, disse
- Ètzel, tal merto ch’ebbi in miei servigi
- Appo cotesti eroi, perder dovrei?
- 285 Male fatto sarà, se a me daccanto
- Il menestrello trucidate! Assai
- Bene vid’io com’ei si cavalcava,
- Quando l’Unno colpì. Senza sua colpa
- Accadde, a l’inciampar del palafreno.
- 290 Or sì v’è d’uopo questi ospiti miei
- Lasciar tranquilli. — Ed ei fu guida agli
- ospiti,
- E lor destrieri a le stalle adduceva
- Altri intanto, e vi avean molti famigli,
- 295 Che a lor servigi si apprestâr con cura.
- L’ospite sire con gli amici suoi
- Andavano al palagio. Ei non volea
- Che maggior si facesse ira d’alcuno,
- E fûr poste le mense e fu recata
- 300 L’acqua alle mani. Ma nemici forti,
- Forti d’assai, quelli del Reno aveano.
- Lungo indugio fu allor, pria che seduti
- Fossero i prenci, e di Kriemhilde intanto
- Forte la cura lei crucciava. Disse:
- 305 O signor di Verona, il tuo consiglio
- Ora chiegg’io, cerco favore e aita.
- L’animo mio si sta in angoscia! — A lei
- Hildebrando rispose, un cavaliero
- Degno di lode: Ove qualcuno uccida
- 310 I Nibelunghi di regal tesoro
- Per alcuno desìo, farà cotesto
- Senz’aita di me. Male toccargli
- Potrìa davver! Non vinti anche si stanno
- I buoni cavalieri ardimentosi.
- 315 Conforme al suo sentir, così parlava
- Prence Dietrico: La preghiera vostra
- Lasciate omai, possente mia regina.
- Nulla di male esti congiunti tuoi
- Feano a me, perch’io voglia incontro ai prodi
- 320 Starmi in battaglia. E poco assai ti onora,
- Donna di prence nobile d’assai,
- La tua preghiera, perchè tu alla vita
- De’ tuoi congiunti ordisca insidie. Ei
- vennero
- 325 Con tutta fede in questa terra. Intanto,
- Mai non avrà per mano di Dietrico
- Sifrido tuo la sua vendetta. — Allora
- Ch’ella così nel sire di Verona
- Fede nessuna rinvenìa, promise
- 330 Ratto, a l’istante, in man di Bloedelino
- L’ampia contrada che Nudungo un giorno
- Ebbe in possesso. Ma poichè l’uccise
- Dancwarto, ei scordò poi l’offerto dono.
- Ella intanto dicea: Bloedelin sire,
- 335 Or tu m’aita. E sono in questa casa
- Li miei nemici, quei che morto un giorno
- M’hanno Sifrido, sposo mio diletto.
- A chi m’aita a vendicarlo, sempre
- Devota mi terrò. — Sappiate, o donna,
- 340 Bloedelin rispondea, questo sappiate,
- Ch’io già non oso innanzi ad Ètzel sire
- Male ad alcuno ordir per odio, ch’ei
- Volentieri d’assai li tuoi congiunti
- Vede contenti. E s’io facessi alcuna
- 345 Offensïone a lor, d’essa non mai
- Perdono avrei dal mio signore. — Disse:
- No, no, Bloedelin sire! Io tutto il tempo
- Devota a te sarò. Darò in compenso
- Argento ed oro ed una sposa ancora,
- 350 Vaga, la donna di Nudungo. Quella
- Persona sua piena d’amor potrai
- Accarezzar di molta voglia. Ancora,
- Oltre a’ castelli, tutta la contrada
- Io ti darò. Così, con molta gioia,
- 355 Nobile cavalier, sempre potrai
- Menar tua vita, quando la contrada
- T’acquisti ove Nudungo abitò un giorno.
- Io questo, che oggi ti prometto, assai
- Con fede osserverò. — Come quel premio
- 360 Intese prence Bloedelino, intanto
- Che sì gli piacque in sua beltà colei,
- Per assalti credè prestar servigio
- Alla donna amorosa. E per cotesto
- Perder la vita il cavalier dovea.
- 365 Alla regina ei disse: Or vi rendete
- Alla sala. Assai pria ch’altri s’avveda,
- Una contesa desterò. La pena
- Di ciò che fece, Hàgene porti. Lui,
- L’uom di prence Gunthero, a vostre mani
- 370 Legato affiderò. — Ma voi frattanto,
- Uomini miei, soggiunse Bloedelino,
- V’armate! A’ loro ostelli esti nemici
- Assaliremo. D’Ètzel re la donna
- Questo a me non condona, e tutti noi
- 375 Come gagliardi espor dobbiam la vita.
- E la regina, come in questa voglia
- Bloedelino lasciò d’assalti e pugne,
- Con Ètzel sire e con gli uomini suoi
- Venne alla mensa. Agli ospiti ella ordìa
- 380 Tradimento crudel. Poi che l’assalto
- Non potea d’altra guisa incominciarsi
- (A Kriemhilde nel cor l’antico duolo
- Era sepolto), ella indicea che fosse
- D’Ètzel il figlio a quella mensa addotto. —
- 385 Come potea di più orribile guisa
- Donna operar per sua vendetta? — Allora
- Uomini quattro d’Ètzel re venièno.
- Recavan elli Ortlieb, il giovin prence,
- Alla mensa del re, là ’ve assidea
- 390 Hàgen pur anco. D’Hàgen per mortale
- Odio dovè perir l’infante regio.
- Ma poichè il tiglio suo quel re possente
- Così vedea, con un dolce atto a’ suoi
- Cognati disse: Ora vedete, amici!
- 395 L’unico figlio mio gli è questo; ancora
- Egli è il figliuol di vostra suora. Tutti
- Siate voi lieti per cotesto. E un giorno,
- Se alla sua stirpe ei crescerà conforme,
- Uom prode si farà, nobile assai,
- 400 Possente e forte ed aitante. A lui
- Dodici terre anche darò s’io viva;
- Così, d’Ortlieb garzone un dì vi possa
- Servir la mano. Ond’io vi prego, amici
- Miei, di gran core, perchè allor che a dietro
- 405 Vi tornerete al Reno in vostra terra,
- Di vostra suora piacciavi il figliuolo
- Con voi menare; anche potrete voi
- Assai favore a questo garzoncello
- Addimostrar. Fin ch’egli un uom si faccia
- 410 L’allevate ad onor. Che se qualcuno
- Qualche offesa vi fe’ in vostre contrade,
- A vendicarla egli v’aiti, allora
- Che sua persona sia cresciuta. — Questa
- Parola udìa Kriemhilde ancor, la donna
- 415 D’Ètzel monarca. Ed Hàgene rispose:
- E questi eroi confideranno in lui,
- Com’egli cresca ed uomo sia. Ma il giovane
- Prence alla morte è destinato. Assai
- Poche volte davver vedrammi alcuno
- 420 Andare in corte a prence Ortlieb. — Un
- guardo
- Volse ad Hàgene il re, chè di dolore
- Cagion gli fu di quello il motto; e ancora
- Che il nobil prence per cotesto nulla
- 425 Dicesse, il cor di lui ne fu turbato
- E l’alma sua ne andò crucciosa. Male
- A quella festa s’addicea la trista
- D’Hàgene volontà. Così fe’ a tutti
- I prenci doglia, a lor sire pur anco,
- 430 Questo che Hàgen dicea del garzoncello
- Tristo presagio, e fastidiosa cosa
- Era per loro il sopportar. Nessuno
- Le novelle sapea di ciò che poi
- Appo que’ forti cavalieri accadde.
- ↑ Hagen e Volkero.
- ↑ Hagen e Volkero.
- ↑ Gunthero.
- Note
- Avventura Trentaduesima
- In che modo Bloedelino fu ucciso
- Tutti eran pronti omai di Bloedelino
- I cavalieri. Con lor mille usberghi
- Ei si levâr per irne ove sedea
- Dancwarto a mensa co’ famigli. Allora,
- 5O dio maggior d’ogni altro in fra gli eroi
- Si levava e nascea. Come alla mensa
- Bloedelin sire sì accostò, con studio
- Connestabil Dancwarto a sè l’accolse:
- Bloedelin signor mio, voi benvenuto
- 10 A questa casa! Ma di ciò mi prende
- Meraviglia d’assai. Che gli è cotesto?
- Farmi saluti non dêi tu, rispose
- Bloedelino. E tua morte anche esser debbe
- Questa venuta mia, d’Hàgene colpa,
- 15 Fratello tuo, che morto fea Sifrido.
- Di ciò appo gli Unni paghera’ tu il fio
- Co’ tuoi guerrieri assai. — No, no, signore
- Bloedelin, rispondea Dancwarto allora.
- Forte dovremmo noi d’esto vïaggio
- 20 Fino a corte pentirci. Er’io fanciullo
- Gramo e picciolo inver, quando Sifrido
- Vita perdea, nè so qual cosa mai
- Da me si cerchi d’Ètzel re la donna.
- Più di cotesto assai nulla so dirvi.
- 25 Fean l’opra i tuoi congiunti, Hàgen,
- Gunthero,
- E però sì v’è d’uopo, estrani voi,
- Difendervi, chè scampo, oh! non avrete!
- Pegno sarete con la morte vostra
- 30 Perchè Kriemhilde si consoli. — Allora
- Che ritrarvi da ciò voi non volete,
- Disse Dancwarto, sì mi pento assai
- Delle mie scuse. Risparmiarle, cosa
- Era migliore! — E il cavalier gagliardo,
- 35 Ardito e forte, si balzò da mensa.
- Trasse una spada acuta (e grossa e lunga
- Ell’era), e tale a Bloedelin sferrava
- Colpo tremendo, che gli cadde a’ piedi
- Ratto la testa. Questo sia, Dancwarto
- 40 Cavalier disse, il nuzïal tuo dono
- Di Nudungo alla donna, a cui volevi
- Pensier volger d’amore. Ella domani
- Può ad altr’uom fidanzarsi. Il donativo
- Di nozze s’egli vuole, opra simile
- 45 Gli si farà. — Detto gli avea frattanto
- Un degli Unni fidati, alta rancura
- Avergli ordita la regina. Allora
- Che lor duce vedean giacersi estinto
- Di Bloedelin gli armigeri, cotesto
- 50 Lung’ora sopportar per gente estrana
- Ed ospite non vollero. Coi ferri
- Alto levati, con desio feroce,
- Elli a’ famigli s’avventare. Oh! molti
- Pentimento n’avean! Deh! con qual voce
- 55 Alta Dancwarto a que’ consorti suoi
- Gridava allora: O nobili valletti,
- Vedete voi come faccenda nostra
- Andar vorrà! Vi difendete intanto,
- Stranieri qui, chè di cotesto a noi
- 60 Tocca necessità, poi che la nobile
- Kriemhilde sì leal ci fece invito!
- Quelli che spada non avean, le mani
- Stesero a’ banchi e sollevâr sgabelli
- E molti e lunghi d’innanzi da’ piedi.
- 65 Cedere di Borgogna esti famigli
- Già non volean; però forti sugli elmi
- Da’ gravi scanni scesero le bozze;
- E le genti straniere, oh! di qual foggia
- Si difendean ferocemente! Fuori
- 70 Da quell’ostello ei ributtâr gli armati,
- E cinquecento questi, e più fors’anco,
- Morti là dentro abbandonâr. Di sangue
- Erano omai di re Gunthero intinti
- E molli i famigliari. Or, di là dette
- 75 Furon queste novelle aspre e dolenti
- D’Ètzel ai prodi (e grave duol fu questo),
- Andarne ucciso Bloedelin con quelli
- Uomini suoi. Fatto cotesto avea
- Co’ suoi famigli d’Hàgene il fratello.
- 80 Allor, pria che cotesto il re sapesse,
- A duemila adunârsi, o più d’assai,
- Gli Unni in lor odio. A’ burgundi famigli
- (Ciò veramente esser dovea) ne vennero,
- E in tanti compagnia nessuno incolume
- 85 Ivi lasciâr. Dinanzi da l’albergo
- Una gran schiera gl’infedeli1 addussero,
- E con valore gli ospiti valletti
- Alla difesa stettero. Oh! che valse
- Baldanzosa virtù? Morti giacere
- 90 Doveano tutti, e orribile, in brev’ora,
- Sterminio incominciò. Qui sì v’è d’uopo
- Udir narrar di meraviglie accanto
- Ad opre immani! Giacquer novemila
- Colpiti a morte de’ famigli, e dodici
- 95 Cavalieri pur anco, ed eran questi
- Di Dancwarto degli uomini. Lui solo
- Fu visto allor contro al nemico starsi.
- Lo scompiglio calmavasi, cadea
- Ogni clamor, guardavasi di sopra
- 100 All’omero Dancwarto il cavaliere
- E dicea: Quanti amici, ahimè! ho perduti,
- Ed io, lasso! qui sol deggio dinanzi
- A’ nemici restar! — Cadeano intanto
- Spessi di spada sulla sua persona
- 105 I colpi, e ne dovean d’allora in poi
- Di molti prodi lagrimar le spose;
- Ed egli in alto si traea lo scudo,
- E la correggia in basso, indi fea molli
- Di sangue che scorrea, d’eroi nemici
- 110 Molte corazze. Oh! mio dolor, gridava
- D’Aldrïano il figliuolo. Unni guerrieri,
- Deh! vi scostate! All’aria aperta voi
- Fate ch’io torni, perchè l’aria alquanto
- Me me rinfreschi dal pugnar già stanco.
- 115 Allor fu visto con baldanza fiera
- Quel gagliardo avanzar. Così da quella
- Casa fuor si gittò l’uom dalla pugna
- Oppresso e stanco. Sovra l’elmo allora
- Deh! quante gli sonâr spade novelle!
- 120 Quelli che non vedean quale prodigio
- Quella sua destra oprato avea, balzaro
- Di contro a lui, nato in burgundia terra.
- Ora volesse Iddio, disse Dancwarto,
- Che un messaggiero avess’io qui, che questo
- 125 Saper facesse ad Hàgene fratello
- Ch’io qui mi sto contro tanti gagliardi
- In distretta cotale! Ei mi darebbe
- Aita, o qui appo me cadrebbe estinto!
- Dicean gli Unni gagliardi: Il messaggiero
- 130 Sarai tu stesso, chè al fratello tuo
- Morto ti porterem. Così egli vegga,
- L’uom di Gunthero, la sua doglia prima.
- Ad Ètzel re gran danno festi invero!
- Ed egli disse: Le minacce vostre
- 135 Suvvia lasciate e vi traete a dietro.
- D’alcun altro io farò molli di sangue
- Le maglie, perch’io stesso esta novella
- Ridica in corte. E lagnarmi vogli’io
- Di mio grave corruccio appo il mio prence!
- 140 E di tal guisa d’Ètzel a’ gagliardi
- Ei tremendo si fe’, che a lui resistere
- Non osâr con le spade; ei le saette
- Sì gli avventâr contro l’ampio suo scudo,
- Che via di mano, per il peso grave,
- 145 Egli ’l dovè lasciar cadere. Allora
- Si pensâr quelli, poi che in man lo scudo
- Più non avea, d’opprimerlo vicendo;
- Ma deh! quante assestò traverso agli elmi
- Profonde piaghe il valoroso! Molti
- 150 Ardimentosi innanzi a’ piedi suoi
- Dovettero cader. Però vi ottenne
- Grande onore d’assai Dancwarto ardito.
- E quelli intanto contro a lui, da questa
- E quella parte, s’avventâr; ma corse
- 155 Troppo presto davver d’essi qualcuno
- A la battaglia. Innanzi da’ nemici
- Egli balzava come alla foresta
- Un verro innanzi da’ segugi. Oh! come
- Andar potea colui più ardimentoso?
- 160 Ma rinfrescato per il sangue e molle
- Per lui la via si fea. Di miglior guisa
- Mai non potea gagliardo cavaliero
- Co’ suoi nemici sostener la pugna
- Ch’ei davvero non fe’. D’Ètzel fu visto
- 165 Fieramente avvïarsi alla magione
- D’Hàgen prence il fratello. Ivi, di spade
- Ratto udirono il cozzo i regi scalchi
- Ed i coppieri, e a molti le vivande
- Caddero e il vino dalle mani, in corte
- 170 Quali andavan recando. Al valoroso
- Vennero intanto su le scale incontro
- Molti forti nemici, ed ei, già stanco,
- Ora, o scalchi, suvvia! disse, v’è d’uopo
- Degli ospiti aver cura! Anche v’è d’uopo
- 175 Recar le dapi elette a’ vostri prenci,
- E a me lasciate ch’io novelle dica
- A’ miei signori più diletti. — Allora
- A quelli sì, che gli balzâr di contro
- Con impeto e vigor su per le scale,
- 180 Di spada egli assestò colpi sì fieri,
- Che per tema di lui trarsi più a dietro
- Elli dovean. Quel valor suo gagliardo
- Prodigi grandi assai quivi operava.
- ↑ Gli Unni ancora pagani.
- Note
- Avventura Trentatreesima
- In che modo quei di Borgogna combatterono con gli Unni
- Di tal guisa venìa sotto a le porte
- Dancwarto ardito, che d’Etzel fe’ cenno
- Di scostarsi a’ famigli. E le sue vesti
- Eran molli di sangue, ed egli in pugno
- 5 Forte portava e sguainato un ferro.
- Con alte voci assai gridò Dancwarto
- Dinanzi da l’ostello: Oh! voi sedete
- Lungamente soverchio, Hàgen fratello!
- A voi, a Dio del del, la mia rancura
- 10 Fo lamentando aperta. Ai nostri alberghi
- Famigli e cavalier morti si stanno.
- E quei di contro gli gridò: Cotesto
- Oh! chi mai fece? — Il fe’ co’ suoi gagliardi
- Bloedelin sire. Ma ben cara assai
- 15 La pena ei ne pagò; questo vogl’io
- A voi narrare. Queste mani mie
- Gli han la testa recisa. — Oh! picciol danno
- È inver cotesto, Hàgen rispose, allora
- Che d’alcun cavalier questa novella
- 20 Ridir si possa ch’ei perdè sua vita
- Per man d’un altro cavalier. Da piangere
- Meno s’avrà per ciò donna leggiadra.
- Ma ditemi, e perchè di sangue tinto
- Siete così, fratel Dancwarto? Credo
- 25 Che per vostre ferite assai dolore
- Soffriate voi. Ma se chi fea cotesto
- Ancor s’annida in questa terra, andarne
- Dovrà sua vita, ancor se di salvarlo
- Tenta il diavolo reo. — Deh! che qui sano
- 30 Voi mi vedete, e son di sangue molli
- Le vesti mie. Per piaghe altrui, cotesto
- A me toccava, e tanti oggi ho qui uccisi,
- Ch’io dirvi non potrei, giurar dovessi,
- Quanti erano, giammai. — Fratel Dancwarto,
- 35 Hàgen disse, guardateci la porta
- E non lasciate che fuori esca un solo
- Di questi Unni. Distretta ci costringe,
- E favellar degg’io a’ cavalieri.
- Ingiustamente giacciono que’ nostri
- 40 Famigli uccisi. — Poi ch’io son, rispose
- L’ardito prode, il custode alla sala,
- A’ re possenti ben poss’io servire,
- E però queste scale, a l’onor mio
- Conforme, in cura avrò. — Cosa più acerba
- 45 Di Kriemhilde agli eroi non potè incogliere.
- Gran meraviglia ora mi prende, intanto
- Hàgen dicea, che mai gli Unni guerrieri
- Si stian fra loro a mormorar. Di quello
- Che alla porta si sta, che le novelle
- 50 Portò di corte di Borgogna ai prenci,
- Liberarsi ei vorrìan; così mi penso.
- Da lungo tempo di Kriemhilde udii
- Questo narrarmi, ch’ella del suo core
- Lasciar non vuol l’affanno. Ora, d’alcuno1
- 55 Per noi si beva alla memoria e il vino
- Del re si paghi. Il giovinetto sire
- Degli Unni il primo sia. — Hàgene, eroe
- Gagliardo, allora, di tal guisa un colpo
- A Ortlieb infante disferrò, che il sangue
- 60 Verso a le mani gli salìa pel ferro
- E alla regina in grembo ne balzava
- La tronca testa. Allora, in fra gli eroi
- Orribile sterminio incominciava.
- E quegli, dopo ciò, con ambe mani
- 65 Rapido un colpo al balio disferrava
- Che il regio infante custodìa. La testa
- Cadea d’un tratto al desco innanzi, e tale
- Fu il tristo premio ch’ei pesò a colui,
- Balio d’infanti. E vide innanzi al desco
- 70 D’Ètzel un menestrello. Hàgene a lui
- S’avvicinò nell’ira sua; la destra
- Man gli ferì sovra la giga e disse:
- Abbiti questo per il tuo messaggio
- Alla burgundia terra! — Oh! la mia mano,
- 75 Werbel gridava, il suonator di giga.
- Sire Hàgen di Tronèga, oh! che fec’io,
- Che feci a voi? Del vostro re alla terra
- Io venni già con leal fede. Oh! come
- Gli accordi miei destar potrò, perduta
- 80 Poi che ho la mano mia? — Poco davvero
- Hàgen si diè pensier se la sua giga
- Quegli non suonò più, chè per la casa
- Orribile scompiglio ei suscitava
- D’Ètzel tra i prodi, e molti sì ne uccise;
- 85 Molta gente, davver, condusse a morte
- Nel regio albergo, allor. Volkero ardito
- Balzò dal desco, ed alto in fra le mani
- Gli risuonò quell’arco suo di giga.
- Deh! che in guisa tremenda il menestrello
- 90 Di Gunthero suonò! Quanti fra gli Unni
- Ardimentosi ei s’acquistò nemici!
- Anche balzaro i tre possenti regi
- Via da’ lor deschi; e volentier la pugna
- Avrìan voluto sperdere, assai pria
- 95 Che maggior danno là toccasse. In questo
- Consiglio, oh! non potean elli cotanto,
- Chè troppo invero a furïar principio
- Hàgen fece e Volkero. Allor che vide
- Non separata la tremenda pugna
- 100 Del Reno il sire, molte ampie ferite,
- Ei stesso, il re, per i lucenti arnesi
- De’ suoi nemici ministrò. Valente
- Eroe costui; però gagliarde prove
- Ei fea di sè. Ma venne anche alla pugna
- 105 Gernòt possente, e molti eroi degli Unni
- Morti egli fe’ con un’acuta spada
- Che Rüedgero gli diè. Male d’assai
- Fece d’Ètzel ai prodi. Or, nella mischia
- Anche gittossi il figlio giovinetto
- 110 Di donna Ute, e sovra gli elmi un alto
- Davan clangor quell’armi sue lucenti,
- D’Ètzel ai prodi sovra gli elmi, a quelli
- De la terra degli Unni. Oh! gran prodigio
- Di Gislhero la destra ardimentosa
- 115O prava allor! Ben che gagliardi ei fossero.
- Con lor guerrieri questi re, dinanzi
- Fu visto a tutti, e di contro a’ nemici,
- Starsi Gislhero. Buono eroe costui!
- Chè sotto a’ colpi suoi molti nel sangue
- 120 Ei fe’ cader. Ma forte anche a sè stessi
- Facean difesa d’Ètzel i gagliardi,
- E per la sala di tal re fûr visti
- Con lor spade lucenti andarne gli ospiti,
- Colpi sferrando, e suono alto s’udìa
- 125 Da tutte parti di lamenti e grida.
- Ma chi fuori si stava, entrar volea
- Presso gli amici suoi; però a le torri,
- Là, su la porta, poco assai guadagno
- Elli si avean così; fuor dalla sala
- 130 Uscir volea chi v’era dentro, e niuno
- Salir lasciava o scendere Dancwarto.
- Forte si fece allora appo le torri
- Uno spingersi e urtarsi, anche di spade
- Sugli elmi un alto risuonar. Venìa
- 135 Dancwarto ardito in gran distretta, e a tanto
- Volse il pensiero il fratel suo, chè tanto
- La fede sua gli comandava. In alte
- Voci a Volkero Hàgen mandò richiamo;
- Sozio, vedete voi starsi mio frate
- 140 Là, sotto a’ colpi ponderosi, innanzi
- Agli Unni prodi? Al fratel mio deh! voi,
- Pria che quel forte perdasi da noi,
- Accostatevi, amico! — Io veramente,
- Così rispose il sonator di giga,
- 145 Farò cotesto. — E cominciò la sala
- A camminar sonando la sua giga,2
- Chè sovente fra man gli tintinnava
- Una spada robusta. I cavalieri
- Del Reno glien porgean grazie d’assai.
- 150 Volkero, ardito assai, disse a Dancwarto:
- Grave disagio in oggi voi soffriste,
- E vostro frate mi pregò che a voi
- Qui venissi in aita. Ove di fuori
- Restar vogliate voi, starommi a questa
- 155 Parte di dentro. — E da le porte fuori
- Stettesi allor Dancwarto valoroso,
- E difendea, se alcun di là salia,
- I gradini alla scala. Ecco! s’intese
- Tintinnar fra le mani a quel valente
- 160 L’arma guerriera, e questo anche di dentro
- Volkero fea della burgundia terra.
- Così, sopra la folla, egli gridava,
- Di giga ardito suonator: La sala
- Bene sta chiusa, prence Hàgene amico.
- 165 Davver! la porta d’Ètzel re sbarrata
- Stassi, e le braccia di due prodi al loco
- Sottentran qui di mille sbarre. — Quando
- Hàgene di Tronèga in questa foggia
- Vide la porta custodita, a dietro
- 170 La targa si gittò quel prode illustre
- E valoroso, e primamente quivi
- A vendicar ciò che altri già gli fece,
- Incominciò. Di niuna guisa allora
- Ebber speranza li nimici suoi
- 175 Del viver loro; e di Verona il prence
- Che ciò scoverse manifesto, intanto
- Che molti elmi rompeva Hàgen valente.
- Dal suo banco saltò, degli Amelunghi
- Egli il signore, e disse: Ora ci mesce
- 180 Hàgen di tutte la peggior bevanda!
- E l’ospite signor grave pensiero,
- Qual s’addiceva, ebbesi allor (deh! quanti
- Altri gli tolse innanzi agli occhi suoi
- Diletti amici!); salvo a stento uscìa
- 185 A’ suoi nemici innanzi. Egli sedea
- Pieno d’angoscia. Che gli valse allora
- Ch’egli re fosse? Ma gridava intanto
- La possente Kriemhilde appo Dietrico:
- Or m’aitate, nobil cavaliero,
- 190 Alla persona mia per quante sono
- Virtù di prenci che venìan da quella
- Terra degli Amelunghi! Oh! se m’arriva
- Hàgene, sì davver che in mano mia
- Ho già la morte! — Oh! come dunque, a lei
- 195 Disse prence Dietrico, io vi dovrìa
- Porger soccorso, o nobile regina?
- Io di me stesso ho cura, e troppo assai
- Ènno crucciati di Gunthero gli uomini
- Per ch’io possa qualcuno, in tal momento,
- 200 Render sicuro. — Oh no! prence Dietrico,
- Nobile e buono cavalier d’assai!
- Lascia, deh! lascia che oggi qui risplenda
- L’eletta anima tua, perchè d’aita
- Tu mi soccorra qui. Se no, qui morta
- 205 Io resterò. — Grave rancura assai
- A Kriemhilde incogliea per tal pensiero.
- Io tenterò cotesto, ove a me dato
- Sia di porgervi aiti; e sì mi penso
- Che in ben lunga stagione unqua non vidi
- 210 Eletti cavalieri in sì rabbiosa
- Guisa crucciati. E veggo a lor dagli elmi
- Sangue spicciar, de’ ferri sotto ai colpi.
- Con forza allora incominciò l’eletto
- Cavaliere a gridar; la voce sua
- 215 Alta suonava come di bisonte
- Corno guerriero, ed ampiamente quello
- Regal palagio, a tal vigor di lui,
- Echeggiavane intorno. Era la forza
- Di re Dietrico di là da misura
- 220 Possente e grande. Ma poichè costui
- Udì gridar nell’accanita pugna
- Prence Gunthero, a porgervi la mente
- Ei cominciò ascoltando. Ora è venuta
- Alle mie orecchie voce di Dietrico,
- 225 Ei disse. E credo che qualcun de’ suoi
- Rapito gli hanno i prodi nostri. Il veggo
- Starsi appo il desco, e con la mano accenna.
- Deh! voi congiunti miei, voi tutti amici
- Di terra di Borgogna, il fiero alterco
- 230 Cessate, fate che altri vegga et oda
- Ciò che qui accadde al cavalier per questi
- Uomini miei. — Per comandi e preghiere
- Che fe’ prence Gunthero, egli le spade
- Alte levâr nella distretta fiera
- 235 Della battaglia. E fu grande lo sforzo,
- Per ch’altri ancora non colpisse; intanto,
- Rapidamente di Verona al sire
- Assai novelle ei dimandò, dicendo:
- Deh! che s’è fatto a voi, nobil Dietrico,
- 240 Da questi amici miei? Vogl’io di tanto
- Ammenda farvi e il danno risarcire,
- E a ciò pronto son io. Qualunque cosa
- Altri vi fece, a interno duol mi torna.
- Nulla si fece a me, prence Dietrico
- 245 Rispose allor. Sotto guardia di pace,
- Deh! mi lasciate voi co’ miei consorti,
- Via dall’orrida pugna, uscir da questo
- Reale albergo. In sempiterno a voi
- Obbligo certo avrò di tanto. — Disse
- 250 Wolfharto allora: A che sì tosto voi
- A supplicar volgete? Il menestrello
- Non di tal guisa ci sbarrò la porta,
- Che schiudere da noi più non si possa
- Ampia cotanto per uscirne ancora.
- 255 Tacete voi! disse Dietrico. Il diavolo
- Faceste qui! — Concedervi cotesto
- Vogl’io, soggiunse principe Gunthero,
- E però via di qui vosco traete
- E molti e pochi, tolti i miei nemici.
- 260 Qui restar dènno. Troppo gran dolore
- Ei qui m’han fatto presso agli Unni. —
- Allora
- Che udì cotesto, l’inclita regina
- Dietrico cinse di sue braccia. In lei
- 265 Grande l’angoscia! Ei sì con l’altra mano
- Ètzel con sè di là condusse. Ancora
- Seicento con Dietrico uscìan gagliardi.
- Disse il margravio, nobile Rüedgero:
- Se dalla sala ad altri ancor, che serve
- 270 D’integro core a voi, si dà l’uscire,
- Ciò intendere ci fate. A buoni amici
- Pace conviensi che mai non si turba.
- E pace e tregua, Giselhèr rispose
- Della burgundia terra, a voi sian note
- 275 Da parte nostra, poi che siete voi
- Fermi in la vostra fè coi vostri prodi.
- Di qui pertanto con gli amici vostri
- V’è dato uscir senza corruccio e offesa.
- Prence Rüedgèr come sgombrò la sala,
- 280 Cinquecento, anche più, fra gli altri tutti
- Lui seguitâr, fra quei di Bechelara,
- Amici suoi, guerrieri suoi. Gran danno
- S’ebbe da questi poi prence Gunthero.
- Or poichè tal degli Unni uscir vedea
- 285 Ètzel presso a Dietrico, ei di cotesto
- Anche volle goder.3 Ma gli diè colpo
- Il menestrello, che ne giacque il capo
- Ratto a piè d’Ètzel prence. Oh! come uscìa
- Da quella casa l’ospite signore
- 290 Di quella terra, a dietro ei si voltava
- Riguardando a Volkero. Oh! mio dolore
- Per quest’ospite mio! disse. Gli è questa
- Orribile rancura, innanzi a lui
- Giacersi morti i miei guerrieri! — Oh! trista
- 295 Festa di noi! soggiunse il nobil sire.
- Pugna là dentro un uom, detto è Volkero,
- Come verro selvaggio, e suonatore
- Egli è di giga. La fortuna mia,
- Perchè al diavol sfuggii, forte ringrazio!
- 300 E suonan tristo i canti suoi, e sono
- Tinti di sangue i colpi, e morti fanno
- Cadere i toni suoi molti guerrieri.
- Questo di giga suonator che voglia
- Di noi, non so. Mi penso che si grave
- 305 Rancura non toccava ospite mai!
- Così, quei che volean, là per la sala
- Ei lasciavansi a dietro, e si levava
- Alto fragor da tutte parti. Assai
- Fieramente quegli ospiti vendetta
- 310 Di ciò che accadde, si pigliâr. Deh! quanti
- Elmi spezzò Volkèr l’ardimentoso!
- E Gunthèr, gentil sire, anche volgeasi
- A quel fragor, dicendo: Accordi udite,
- Hàgene, che laggiù desta Volkero,
- 315 Suonando di sua giga, in fra quegli Unni
- Che a la torre s’accostano? L’attacco
- Che coll’arco egli fa, di sangue è rosso.
- Hàgene disse: Di là da misura
- Mi duole assai che qui mi sto sedendo
- 320 In questa sala appo l’eroe.4 Compagno
- Er’io di lui, di me compagno egli era;
- E se avverrà che ritorniamo a dietro
- A nostre case, tali ancor saremo
- Con lealtà. Gentil signor, tu vedi
- 325 Quanto Volkero t’è fedel. Si merta
- E si guadagna di gran voglia il tuo
- Oro e l’argento; e l’arco suo di giga
- Duro acciaio trapassa, e gli ornamenti
- Corruscanti sugli elmi ei rompe e infrange.
- 330 Di giga sonator non vid’io mai
- Sì fieramente star, come oggi fea
- Volkèr gagliardo. E suonano suoi canti
- Sovr’elmi e scudi. Buoni palafreni
- Ei dee pertanto cavalcar, portare
- 335 Vestimenta da principe. — Ma intanto
- Di quelli che restâr dentro la sala,
- Consanguinei degli Unni, alcun non fue
- Che incolume si fosse. E però tolto
- Fu l’orrendo fragor, chè niuno omai
- 340 Là combattea. Deposero di mano
- Le spade allora i prodi cavalieri.
- ↑ Di Sifrido.
- ↑ Detto con fiero scherzo in senso di menar colpi di spada.
- ↑ Un guerriero degli Unni, vedendo uscire Etzel, voleva approfittare di questa occasione per uscire con Etzel e involarsi alla strage.
- ↑ Nella sala tutto è finito; perciò Hagen non fa più nulla, mentre Volkero combatte con quei di fuori, sulla porta.
- Note
- Avventura Trentaquattresima
- In che modo gittaron fuori i morti
- Dopo tanta fatica, assiser quivi
- I prenci, e camminâr per l’ampia sala
- Ed Hàgene e Volkero. E s’appoggiavano
- Gli uomini affranti a le lor targhe, e andava
- 5 Sermone arguto fra que’ due. Gislhero,
- Il cavaliero di Borgogna, allora
- Così parlò: Non anche, amici cari,
- Pensar v’è dato a riposar. Qui vuoisi
- Fuor di casa portar le morte genti.
- 10 Anche assalti avrem noi, ch’io sì del vero
- Vo’ favellarvi. E restar questi morti
- Non dènno a lungo qui tra’ nostri piedi,
- E prima ancor che tocchino vittoria
- Gli Unni in battaglia, altre ferite ancora
- 15 Assestar vogliam noi, quali gran bene
- Fannomi in verità. — Ferma speranza,
- Giselhero soggiunse, ho di cotesto.
- Oh! me beato per cotal signore,
- Hàgen dicea. Fuor che a guerrier valente,
- 20 Ad altri non s’addice esto consiglio,
- Quale oggi porse a noi il giovinetto
- Nostro signore. Tutti lieti voi
- Essere ne dovete, o di Borgogna!
- E seguìan quel consiglio e per le porte
- 25 Settemila gittavano di dentro
- Morti guerrieri. Giù cadeano i morti
- Dai gradini dell’aula, e da’ congiunti
- Si levò degli estinti alto clamore
- D’angoscia e di dolor. Qualcuno v’era
- 30 Di leggiera ferita, e se con dolce
- Cura qualcun l’avesse in guardia preso,
- Risanato ei sarìa; ma sì fu d’uopo
- Ch’egli morisse per l’alta caduta.
- Gli amici suoi lo piansero, e di questo
- 35 Grave rancura li prendeva. Disse
- Volkero intanto, suonator di giga,
- Eroe buono d’assai: Ora vegg’io
- La verità, qual mi fu detta! Vili
- Son gli Unni tutti e piangon come donne.
- 40 Almeno, elli dovrìan darsi pensiero
- Di tal che grave ebbe ferita. — Allora
- Un de’ margravi si pensò che tale
- Favellasse da senno. Un suo congiunto
- Caduto vide là nel sangue e tosto
- 45 Di sue mani il ricinse, e già volea
- Di là portarlo. Ma di mortal colpo
- Presto il raggiunse il menestrello ardito.
- E come gli altri videro cotesto,
- Fuga dovunque incominciò. Principio
- 50 Fean elli tutti a maledir di giga
- Il sonatore, ed egli un giavellotto,
- Forte, acuto d’assai, sollevò in alto,
- Qual degli Unni nemici alcun gli avea
- Scagliato incontro. Or questo egli vibrava
- 55 Con gran forza e vigor sovra la folla,
- Lontano assai, lungo il castello, e a quelli
- D’Ètzel guerrieri più in là dalla sala
- Spazio donava a soffermarsi.1 Quella
- Forza di lui gagliarda, oh! più d’ogni altra
- 60 Cosa temea la gente accolta! E stavano
- Dinanzi dal castel molte migliaia
- Di valorosi, ed Hàgene e Volkero
- Ad Ètzel re lor mente e lor pensiero
- Fean principio a ridir. Però venìano
- 65 In grave cura questi eroi valenti
- E ardimentosi. Bello inver sarìa,
- Hàgene disse, che dinanzi agli altri
- Tutti pugnasse un re, che di sua gente
- È sostegno e conforto, in quella guisa
- 70 Che ognun qui fa de’ miei signori. Ei fendono
- Gli elmi, e giù cola da’ lor ferri il sangue.
- Era fiero Ètzel re, però lo scudo
- Afferrò tosto. Or vi guardate, a lui
- Disse donna Kriemhilde, e a’ vostri prodi
- 75 Oro offrite in lo scudo in fino all’orlo.
- S’Hàgene vi raggiunge, in mano vostra
- La morte avete voi. — Tanto era fiero
- Il nobil re, che non volea da tanto
- Ritrarsi a dietro, ciò che raro assai
- 80 Oggi si fa da principi possenti;
- E sì fu d’uopo via di là menarlo
- Per la correggia dello scudo. Allora,
- Hàgene incominciò con agro core
- Così a schernirlo: Parentela lunga,
- 85 Hàgene disse cavaliere, è questa
- Quale Ètzel e Sifrido insiem fra loro
- Han suggellata!2 E Sifrido a Kriemhilde
- Amor portava, prima assai che te
- Costei vedesse. O abietto re d’assai,
- 90 A che tramando vai a me di contro?
- Questo sermone udìa del nobil sire
- La donna allora. Oh, sì! fu per cotesto
- Kriemhilde in fiero duol, che altri, dinanzi
- D’Ètzel ai valorosi, in questa guisa
- 95 Lei osasse schernir. Però fe’ inizio
- Trama a compor contro agli ospiti ancora.
- Quei che per me, dicea, colpirà morto
- Hàgene di Tronèga e la sua testa
- Qui a me dinanzi porterà, la targa
- 100 D’Ètzel da me s’avrà di fulgid’oro
- Tutta piena; e darògli anche in mercede
- Molti buoni castelli e terre ancora.
- Or’io non so che aspettino, gridava
- Di giga il suonator. Mai non vid’io
- 105 Starsi così vilmente armati eroi,
- Poi che s’intese offrir premio sì grande.
- Davver! che a questi non sarà benigno
- Ètzel giammai! Cotesti che si mangiano
- Così vilmente di lor prence il pane
- 110 Ed ora a lui, nel periglio più grave,
- Ribelli sono, qui vegg’io codardi
- Starsi ed inerti, ed esser vônno intanto
- Arditi e prodi. Onta si avranno sempre!
- ↑ In maniera alquanto umoristica è detto che Volkero cacciò lontano dalla sala gli Unni spaventati.
- ↑ Sposando Kriemhilde. Parentela lontana, perchè Sifrido era prode ed Etzel e vile.
- Note
- Avventura Trentacinquesima
- In che modo Iringo fu ucciso
- Di Danimarca allor gridò il margravio,
- Iringo: L’opre mie lunga stagione
- A l’onore affidai, buone e leggiadre
- Opere feci in assalti e tenzoni
- 5 Di gente in campo. Or tu m’apporta l’armi,
- Chè qui restar vogl’io, d’Hàgene a fronte.
- Hàgen gridò: Cotesto io vi sconsiglio!
- Però, giù di costà fate voi cenno
- Che gli Unni eroi discendano. Se due,
- 10 Se tre di voi sobbalzano in la sala,
- Scender io li farò giù pei gradini
- Assai malconci. — Ed Iringo dicea:
- Per ciò appunto non vo’ lasciar cotesto,
- Ch’io già prima tentai cotali imprese
- 15 D’alto periglio. E qui vogl’io da solo
- Starti di contro con la spada. Oh! dunque
- Che mai ti giova la superbia tua,
- Quale addimostri a me col tuo sermone?
- Tosto allora fu armato Iringo prode,
- 20 Anche Irnefrido di Turingia, un forte
- Giovinetto, ed Hawardo il valoroso,
- Con mille eroi. In ciò che Iringo a fare
- Incominciava, assisterlo egli vollero.
- Ampio drappello assai vedeva intanto
- 25 Il suonator di giga, e quella schiera
- Con Iringo venìa chiusa nell’armi.
- Portavan elli sovra il capo avvinte
- Celate buone assai. D’alma crucciosa
- Volkero ardito allor si fe’. Vedete,
- 30 Hàgene amico, Iringo che s’approccia,
- Lui che da solo vantasi col ferro
- Di starvi a fronte? A leal cavaliero
- Come s’addice la menzogna? Questo
- Io commendar non vo’. Mille guerrieri,
- 35 E forse più, vengon con esso armati.
- Non dite mai ch’io vo’ mentir! gridava
- Iringo, l’uom d’Hawardo. Io di gran voglia
- Farò ciò che promisi, e non per tema
- Alcuna a dietro mi trarrò. Per quanto
- 40 Hàgen tremendo sia, da solo a fronte
- Io gli starò. — Pregava con instanza
- Iringo allora li congiunti suoi,
- Anche gli uomini suoi, perchè il lasciassero
- Starsi di fronte al valoroso; e quelli
- 45 Di mala voglia fean cotesto, e noto
- A tutti era davvero il baldanzoso
- Hàgene di Borgogna. Eppure, a lungo
- Quei supplicò che ciò dato gli fosse,
- E i suoi consorti che vedean desire
- 50 In lui sì fermo, ch’ei sua gloria ambìa,
- Concedean ch’egli andasse. Or, per que’ due,
- Orribile tenzone incominciava.
- L’asta in alto levò di Danimarca
- Iringo allora; il valoroso prode
- 55 Si coprìa del pavese. Ei per la sala
- Sovr’Hàgene correa rapidamente,
- E fragore alto assai fra i due guerrieri
- Allora si levò. Di man con forza
- Egli appuntâr per i compatti scudi
- 60 L’aste ai fulgidi arnesi, e ne schiantaro
- Alti i tronconi assai. Brandîr le spade
- I due prodi gagliardi, inferociti.
- Vigor d’Hàgene ardito era assai grande,
- E di tal foggia Iringo egli colpìa,
- 65 Che tutta ne suonò la casa intorno.
- Echeggiavano forte a’ colpi suoi
- Palagio e torri, ma la voglia sua
- Iringo battaglier non fe’ compiuta.
- Iringo star lasciò senza ferite
- 70 Hàgene e venne al suonator di giga.
- Ei si credea che di gagliardi colpi
- Potrìa domarlo, ma sapea l’uom prode
- Da ciò bene schermirsi. Il menestrello
- Tal colpo gli sferrò, che via le borchie
- 75 Gli schiantâr dallo scudo, a quel vigore
- Della man di Volkero, onde costui
- Egli lasciò non tocco. Era davvero
- Iringo un tristo, e corse egli a Gunthero
- Di quelli di Borgogna. Erano forti
- 80 Entro misura a battagliar cotesti,
- Ambo, e l’un l’altro si mandàr lor colpi
- Gunthero e Iringo, non però di tanto
- Che rifluisse da le piaghe il sangue,
- Che ciò togliean quell’armi loro. Ed erano
- 85 Buone e forti quell’armi. Anche Gunthero
- Iringo abbandonava e correa forte
- Dietro a Gernòt. A sprigionar scintille
- Ei cominciò dalle guerresche maglie,
- Ma Gernòt, prode di Borgogna, a morte
- 90 Colpì vicino Iringo audace. Un balzo
- D’innanzi al prence diè costui, ch’egli era
- Agile molto, e quattro de’ Burgundi
- D’un sol tratto abbatteva, egli valente
- D’assai e prode, quattro di quell’inclita
- 95 Compagnia che da Worms ch’è posta
- al Reno,
- Era venuta. Di più grave sdegno
- Ardere allora non potè Gislhero.
- Disse Gislhero giovinetto: Iddio
- 100 Ben sa, principe Iringo, in qual mai guisa
- Darete voi di questi che vi giacciono
- Dinanzi a’ piedi qui, guerrieri morti,
- Debita pena! — E corse incontro a lui,
- E il danese colpì, sì ch’ei restava
- 105 Immoto al loco suo. Giù l’abbattea
- Nel sangue, innanzi a sé, Gislhero ardito,
- E creder si potea che il buon guerriero
- Nessun colpo mai più ne le tenzoni
- Sferrato avrìa. Ma si giaceva Iringo
- 110 Senza ferita innanzi da Gislhero.
- Al rintronar dell’elmo e al tintinnio
- Della spada nemica, i sensi suoi
- Smarrìansi forte, sì che di sua vita
- Coscienza non ebbe il cavaliero
- 115 Ardimentoso. Giselhèr valente
- Fatto cotesto avea con suo vigore.
- Ma poichè lo stordir dal capo suo
- A fuggir cominciò, ch’ei si dolea
- Forte pel colpo sì tremendo, in core
- 120 Iringo si pensò: Vivo son io,
- Nè son ferito. Or si che di Gislhero
- Mi si fe’ nota in pria quanta la forza!
- E s’accorgea che stavangli nemici
- Da tutte parti attorno. Oh! se cotesti
- 125 Sapean del vero, 1 più d’assai di male
- Fatto ancora gli avrìan! D’accanto a quelli
- Anche Gislhero egli scoprìa. Di quale
- Foggia involarsi a que’ nemici suoi,
- Egli intanto pensava. Oh! come snello
- 130 Dritto ei levossi da quel sangue sparso!
- Davver! che a sua snellezza egli dovea
- Render sue grazie! Ei si cacciò da quella
- Casa correndo, ma incontrossi al varco
- In Hàgene, e a costui tremendo colpo
- 135 Ei disferrò con la possente mano.
- Hàgene si pensò: Di morte omai
- Esser dêi tu! Se a te non è difesa
- Il diavolo maligno, oh! tu non puoi
- Andarne salvo! — Ma inferìagli colpo
- 140 Iringo, l’elmo trapassando. Questo
- Fe’ con Waske l’eroe; Waske era buona
- Arma davvero! Ma poichè ferita
- Hàgen prence toccò, fra le sue mani
- In terribile guisa ei fe’ rotare
- 145 La spada a cerco, e l’uom fedel
- d’Hawarto 2
- Dovè fuggir. De’ gradi per la scala
- Hàgene l’inseguìa. Ma sovra il capo
- Tenea lo scudo Iringo ardimentoso,
- 150 Nè però intanto ch’ei facesse colpo
- Hàgen soffria, non se più lunga ancora
- Di gradi tre stata fosse la scala;
- E le scintille che dall’elmo suo
- Schiantavano, in qual foggia eran lucenti!
- 155 Novellamente a’ suoi salvo tornava
- Iringo intanto, ed a Kriemhilde questo
- Anche fu noto, ciò che fea costui
- Ad Hàgene dinanzi in la battaglia.
- Molte grazie d’assai incominciava
- 160 A render la regina. Oh! ti compensi,
- Iringo, illustre cavaliero e buono,
- Iddio signor! dicea. L’anima e il core
- M’hai confortati assai, poichè la veste
- D’Hàgen di sangue tinta ora vegg’io!
- 165 Ed ella stessa gli togliea di mano,
- Segno d’amor, la targa. — Oh! voi dovete
- Entro misura ringraziarlo! disse
- Hàgene allora. S’egli mai volesse
- Tentar la prova, bello in cavaliere
- 170 Sarìa cotesto. Tornisi qui adunque,
- Ed uom sarà di fermo cor. La piaga
- Che toccaimi da lui, poco davvero
- Potrà giovarvi! E perchè voi di sangue
- Rosse vedete queste maglie mie
- 175 Per mia ferita, a dar morte a parecchi,
- Sappiate voi, ciò mi sospinge. Ed ora,
- La prima volta inver, son io cruccioso
- Per l’uom d’Hawardo, anche se piccol danno:
- Fecemi Iringo cavaliero. — Intanto
- 180 Iringo, l’uom di Danimarca, incontro
- Erasi posto allo spirar dell’aria,
- Sè a rinfrescar ne le sue maglie, e l’elmo:
- Aveasi sciolto. Allor dicean le genti
- Ch’era ben grande la sua forza, e core
- 185 Il margravio3 ne assunse alto d’assai.
- Ma Iringo gli dicea: Deh! amico mio,
- Sappiate voi che d’uopo è sì che tosto
- L’armi alcuno mi cinga. E meglio assai
- Tentar vogl’io se l’uomo oltracotante
- 190 M’è dato superar. — Giacca spezzato
- Il pavese; un migliore ei ne raccolse.
- Rapidamente assai di miglior guisa
- Fu armato il cavalier. Per l’odio suo
- Forte d’assai recossi un’asta in pugno,
- 195 E là con essa egli volea di contro
- Ad Hàgene restar. Ma il ricevea
- L’uom sanguinario con feroce aspetto.
- Hàgene cavalier già non potea
- Attenderlo, e con scuotere e colpire
- 200 D’armi in contro gli corse e de’ gradini
- In sino al fondo. Grande il suo disdegno,
- E picciol frutto Iringo si toccava
- Dalla sua forza. Ei di tal guisa i colpi
- Su le targhe vibrâr, che fean principio
- 205 Scintille a turbinar d’un rosso fuoco,
- E l’uom d’Hawarto d’Hàgene dal ferro
- Grave, per la corazza e per lo scudo,
- Ebbesi una ferita. Oh! da tal piaga
- Ei non guarì più mai! Come toccava
- 210 Questa ferita Iringo cavaliero,
- Alla cinghia dell’elmo alto si trasse
- Lo scudo, e ratto si pensò che pieno
- Era il danno che s’ebbe. Oh! ma più fiero
- Colpo di re Gunthèr l’uom gli assestava!4
- 215 Hàgen scoverse innanzi a’ piedi suoi
- Giacersi un’asta. Iringo ei ne colpìa,
- Di Danimarca il prode, in cotal guisa,
- Che il troncon gli sporgea fuori dal capo.
- Hàgen valente gli ebbe fatta allora
- 220 Trista la fin del viver suo. Dovette
- Appo i Danesi suoi ritrarsi Iringo,
- E pria che al prode sciolta la celata
- Per altri fosse, l’asta via dal capo
- Altri gli svelse. Avvicinava omai
- 225 La morte sua. Piangean li suoi congiunti,
- Chè vera doglia li toccò. Su lui
- Chinossi allora la regina e a piangere
- Il forte Iringo incominciò. Piangea
- Le ferite di lui, grave dolore
- 230 L’era cotesto assai. Ma il cavaliere
- Ardito e accorto innanzi a’ suoi congiunti
- Così dicea: Lisciate il pianto voi,
- Inclita donna! E che vi giova il pianto?
- Abbandonar degg’io veracemente
- 235 La vita mia per piaghe che toccai.
- La morte più non vuol ch’io lungo tempo
- Ad Ètzel presti e a voi li miei servigi.
- A quei di Danimarca e di Turingia
- Ei disse allora: Di nessun la mano
- 240 Accolga d’ora in poi della regina
- I doni, l’oro suo che assai risplende.
- Veder dovrà la morte sua chi a fronte
- D’Hàgene sta. — N’è pallido il colore
- E della morte già si porta i segni
- 245 L’ardito Iringo. Fiera doglia a lui!
- Chè salvo non potca quest’uom d’Hawarto
- Uscirne mai. A una battaglia ancora
- Quelli scender dovean di Danimarca.5
- Irnefrido et Hawarto alla regale
- 250 Magione si balzâr con mille prodi,
- E terribile strepito s’udìa
- Da tutte parti, intenso e forte. Oh! quante
- Aste possenti fûr vibrate quivi
- Contro a quei di Borgogna! Ed Irnefrido
- 255 Arditamente al menestrello corse,
- Chè grave danno da la man di lui
- Toccato avea.6 Ma l’inclito di giga
- Suonator lui colpì, per l’elmo forte,
- Lui, di terre signor. Deh! che cotesto
- 260 Gli fu mal che bastò! Prence Irnefrido
- Colpì di giga il suonator gagliardo,
- Sì che i gheroni de le maglie forte
- Schiantar dovean. Se ne coprì (lucenti
- Eran di fuoco) la corazza;7 eppure,
- 265 Morto cadea dinanzi al menestrello
- Quel di terre signore. Hàgene e Hawarto
- Incontravansi allor. Chi li guardava,
- Mirar dovea portenti. Ora, alle inani
- Cadean de’ forti colpi assai di spada,
- 270 E per costui de la Burgundia terra8
- Morir dovette Hawarto. Allor che spento
- Di Danimarca e di Turingia i prodi
- Videro il prence loro, alto e tremendo
- Per quella casa si levò scompiglio,
- 275 Pria che con mano poderosa attingere
- Ei potesser la soglia. Elmi e pavesi
- Andâr spezzati in novero d’assai.
- Itene a dietro e fate sì ch’egli entrino!
- Gridò Volkero. Non vedranno mai
- 280 Compir desìo ch’egli hanno, ed anche è d’uopo
- Che muoian tutti qui. Con la lor morte
- Ciò che lor dava la regina, ei mietono.
- Come balzâr dentro la sala quelli
- Ardimentosi, caddero di molti
- 285 Le teste al suol, sì che a’ tremendi colpi
- Fu lor d’uopo morir. Bene pugnava
- Gernòt ardito, e Giselhèr valente
- Cotesto anche facea. Mille nell’aula
- Entraro e quattro, e sibili tremendi
- 290 Fûr visti lampeggiar da’ ferri in volta.
- Tutti là dentro caddero conquisi
- Esti prodi; oh! da v ver che meraviglie
- Dir si potean di quelli di Borgogna!
- Un silenzio seguì là v’echeggiava
- 295 Fragore in prima, e in tutte parti il sangue;
- Da’ morti eroi scorrea giù pei pertugi,
- Per le doccie scorrea. Fatto cotesto
- Quelli del Reno avean con lor valore.
- Or si assidean per riposarsi alquanto
- 300 Quei della terra di Borgogna. L’armi
- Ei si calâr di mano e i lor pavesi,
- Ma dinanzi a l’albergo anche si stava
- L’accorto menestrello. Egli attendea
- Se alcuno mai volesse in giostra seco
- 305 Tornarsi ancora. Intanto, assai piangeva
- Ètzel re, ciò facea quella sua donna,
- E si dolean dame e fanciulle. Credo
- Che lor rovina ordì la morte stessa,
- Per gli ospiti però molti ne andavano
- 310 Anche perduti valorosi prodi.
- ↑ Cioè che Iringo non era morto.
- ↑ Iringo.
- ↑ Hawardo.
- ↑ Hàgene.
- ↑ Dovevano far ciò per vendicar la morte d’Iringo.
- ↑ Con la morte d’Iringo.
- ↑ Le maglie squarciate, nel cadere, coprirono la corazza. Tale è l’interpretazione di questo passo oscuro data dal Bartsch.
- ↑ Hàgene.
- Note
- Avventura Trentaseesima
- In che modo la regina fece incendiar la sala
- Or vi sciogliete le celate, disse
- Hàgene cavalier. Cura di voi
- Sì mi darò col mio compagno.1 E allora
- Che anche voglian tentar d’Ètzel le genti
- 5 Novello assalto, li signori miei,
- Nella guisa più pronta, io farò accorti.
- Così la fronte si scoprìan parecchi
- Cavalieri gagliardi. Egli sedeano
- Sovra i feriti, quali, a lor dinanzi
- 10 Entro al sangue caduti, eran discesi
- Per lor mani a morir. Mala custodia
- Si fea frattanto a quegli ospiti illustri.
- Ma il re, ma la regina anche, di questo
- Avean pensier che gli Unni cavalieri
- 15 Pria del vespro tentassero la pugna
- Novellamente. E d’essi altri vedea
- Starsi là innanzi ventimila eroi,
- Quali dovean discendere a l’assalto.
- Contro agli ospiti allor fiera levossi
- 20 Una tempesta, e Dancwarto, fratello
- D’Hàgen, l’ardito cavaliere assai,
- Da presso a’ prenci suoi verso la porta
- Contro a’ nemici si slanciò. Credeasi
- Che morto ei fosse, e ritornò là innanzi
- 25 Incolume. E durò l’orrida pugna
- Fin che la notte la troncò. In tal guisa,
- Per quanto è lungo un giorno estivo,
- innanzi
- D’Ètzel ai prodi gli ospiti a sè stessi
- 30 Curar difesa, come ancor s’addice
- A buoni cavalieri. Oh! quanti eroi
- Ardimentosi da’ lor piedi innanzi
- Caddero, a morte già devoti! Avvenne
- Ad un solstizio il grave scempio, e intanto
- 35 Donna Kriemhilde vendicò del suo
- Core l’affanno sui congiunti suoi
- Prossimi, ancor su molti prodi; gioia
- Da quel di più non ebbe Ètzel signore.
- Già caduto era il giorno e grave cura
- 40 Agli ospiti incogliea. Pensavan elli
- Che la morte avacciar cosa migliore
- Era per essi, che crucciarsi a lungo
- In dolor senza fine. Ora desìo
- Avean di pace i cavalieri illustri
- 45 D’anima altera; onde pregâr che alcuno
- Lor conducesse de la terra il sire,
- E tosto i prodi di lor sangue tinti,
- Con lividor di maglie, essi, i tre prenci
- Illustri, uscîr da quell’ostello. Il grave
- 50 Dolor presso a chi mai dovea per essi
- Piangersi, non sapeano. Ambo venièno
- Ed Ètzel e Kriemhilde. Era di questi
- La contrada, e però grande si fea
- Lor drappello dattorno. Or disse il prence
- 55 A quegli ospiti suoi: Ditemi intanto
- Che volete da me. Pace per voi
- Credete aver, ma con fatica assai
- Cotesto esser potrà. Pel grave danno
- Che feste a me (davver! che di tal cosa,
- 60 Fin ch’io mi viva, non avrete frutto!),
- Perchè morto m’avete il figlio mio
- Con tanti miei congiunti, a voi niegate
- Sempre e sempre saranno e pace
- e ammenda. 2
- 65 Gunthero rispondea: Grave ci astrinse
- Necessità. Giacean li miei famigli
- Tutti scannati per gli alberghi attorno
- Da’ tuoi gagliardi. Oh! come ciò potea
- Io meritar? Qui venni a te in tua fede,
- 70 E credea che leal tu mi saresti.
- Disse quei di Borgogna, Giselhero
- Il giovinetto, allor: D’Ètzel guerrieri,
- Che vivi siete ancor, quale, o valenti,
- Avete cosa a raffacciarmi? O quale
- 75 Cosa vi feci io mai? ch’io qui men venni
- Amicamente cavalcando a questa
- Vostra contrada! — E quei dicean:
- Davver!
- Che per vostra bontà di pianti e omèi
- 80 Pieno è il castello e la contrada è piena!
- Gradito avremmo assai che d’oltre il Reno,
- Da Worms, a noi tu non venissi mai,
- Chè disertaste voi la terra, tu
- E que’ fratelli tuoi. — Con disdegnosa
- 85 Anima favellò Gunthèr gagliardo:
- L’odio rubesto se, concilïando,
- Depor vorrete a noi che siam stranieri,
- Per le due parti buon consiglio fia.
- Senza ragione egli è ciò che ne fece
- 90 Ètzel signore. — E dell’ostello il sire
- Disse agli ospiti suoi: Di me dolore,
- Dolor di voi, diversi sono. In questo
- Alto travaglio di rovina, in questo
- Danno ch’io qui toccai, niuno di voi
- 95 Partirassi di qui vivente ancora.
- E Gernòt fiero così disse al prence:
- Dio vi disponga di tal guisa almeno
- Che benigni vi renda! E se v’è caro
- Noi trucidar che qui vi siam stranieri,
- 100 Lasciate almen che discendiamo noi
- Incontro a voi nel piano aperto. Onore
- Cotesto vi sarà! Qual cosa mai
- Incoglierci potrìa, faccenda breve
- Sarà davver, chè molti avete ancora
- 105 Intatti e sani, ed egli osano assai
- Starci di contro, sì che noi incolumi
- Non lascieranno, di pugnar già stanchi.
- E fino a quando in tal travaglio e cura
- Noi cavalieri resterem? — Gli eroi
- 110 D’Ètzel, allora, fatto avrìan cotesto.
- Perchè altri a quelli di uscir dal palagio
- Vènia donasse. Ma ciò udia Kriemhilde,
- E grave duol le fu cotesto; ratto
- Agli stranieri sì niegò la tregua.
- 115 No, no! Di ciò che in mente vostra avete,
- Unni guerrieri, qui vogl’io con tutta
- Fede verace consigliar che nulla
- Per voi si faccia, che di questi rei
- E sanguinari un solo uscir da questa
- 120 Aula si lascì. Chè dovrìano allora
- Colpo mortale esti congiunti vostri
- Toccar per essi. Se di voi alcuno
- Anche vivrà fuor di cotesti, d’Ute
- Figli, di me fratelli incliti e grandi,
- 125 E se, venendo ove aura spira, alquanto
- Rinfrescheranno loro usberghi, voi,
- Sì tutti voi, perduti siete. Mai
- Non fûro al mondo più valenti prodi.
- Disse Gislhero giovinetto allora:
- 130 Deh! suora mia molto leggiadra, assai
- Trista cosa in cotesto e veggo e trovo,
- Che tu di là dal Reno a questa terra
- Così m’inviti per sì gran distretta!
- Di qual mai guisa meritata avrei
- 135 Appo gli Unni la morte? A te fui sempre
- Fedele e niun dolor ti feci io mai,
- E con tal patto a questa corte venni
- Io cavalcando, perchè tu, mia suora
- Inclita assai, mi fossi e buona e dolce.
- 140 Pensiero amico volgi a noi, chè nulla,
- Fuor di cotesto, esser potrìa. — Non certo
- Amica a voi esser poss’io! Nemica
- Anima reco a voi. Grave dolore
- Hàgene di Tronèga un dì mi fea,
- 145 E inespïato fia dolor per quanta
- Stagione in vita resterò. Voi tutti
- Ne darete la pena! — In questa guisa
- D’Ètzel la donna favellò. E soggiunse:
- Che se volete voi Hàgene solo
- 150 Lasciarmi prigionier, non io davvero
- Niegar vorrò ch’io sì vi lasci in vita,
- Chè miei fratelli siete voi, figliuoli
- D’una madre, e però con questi eroi
- Che son qui, favellar poss’io di tregua.
- 155 Iddio dal ciel non voglia mai cotesto!
- Disse Gernòt allora. Anche se mille
- Fossimo noi d’un vincolo di sangue
- A te congiunti, morti in pria qui tutti
- Noi giacerem, che un solo a te de’ nostri
- 160 Dessimo prigionier. Da noi cotesto
- Giammai non si farà. — D’uopo è che noi,
- Gislhero disse, qui moriamo adunque.
- Da tenzonar di cavalieri niuno
- Mai ci rattìene, e dove alcun combatta
- 165 Con nosco volentieri, ecco, siam noi
- Tutti qui presti, chè nessun de’ miei
- Alleati ed amici io di mia fede
- Non abbandono mai. — Dancwarto ardito,
- Nè tacer gli era bello: Oh! non da solo,
- 170 Disse, qui resterà il fratello mio
- Hàgene! A questi che ci niegan pace,
- Cagion di doglia esser potrìa cotesto.
- Ciò ben chiaro farovvi, e ciò vi sia
- Detto per vero. — E la regina disse:
- 175 Voi dunque, o prodi atti e valenti assai,
- V’accostate a’ gradini e del mio duolo
- Fate vendetta. A voi, sì come è il dritto,
- Sarò per tutto il tempo grazïosa,
- Ch’io vo’ la sua mercè rendere a questa
- 180 Oltracotanza d’Hàgene. Deh! voi
- Nullo soffrite ch’esca dalla casa!
- Ciò sovra tutto! Ed io a’ quattro lati
- D’incendïar quest’aula farò cenno,
- Ed ogni mio dolor fia vendicato!
- 185 Rapidamente furon presti allora
- D’Ètzel i cavalieri. Essi con colpi
- E con percosse dentro all’aula quelli
- De’ Burgundi spingean che n’eran fuori,
- E grande assai ne fu tumulto. Eppure,
- 190 Separarsi non vollero que’ prenci
- E lor consorti. Ei non potean l’un l’altro
- Abbandonar per la lor fede. Intanto
- D’Ètzel la donna incendïar fe’ l’aula,
- E a que’ gagliardi spasmo di persona
- 195 Così fu dato per le fiamme. Ratto,
- D’un vento allo spirar, tutta la casa
- Avvampò quivi, e sì cred’io che mai
- Non toccò stuol d’eroi doglia più grande.
- Gridâr molti di dentro: Ahi! qual
- 200 distretta!
- Più volentieri assai ne la battaglia
- Saremmo noi caduti! Oh! possa Iddio
- Aver di noi pietà! Di qual mai guisa
- Tutti perduti qui siam noi! Davvero!
- 205 Che l’ira sua ferocemente assai
- Volge a noi la regina! — E dentro un altro
- Così parlò! D’uopo è giacer qui morti!
- Che giovò mai saluto che ci fea
- Ètzel regnante? Per l’intenso ardore
- 210 Sì gran doglia mi fa la sete grave,
- Ch’io già mi credo fuggir debba omai,
- In tanto affanno, la mia dolce vita!
- Hàgene disse di Tronèga allora:
- Nobili e buoni cavalieri, quale
- 215 È da sete costretto, il sangue beva
- Qui, chè davvero, in tanto ardor, gli è
- il sangue
- Migliore anche del vino, e in questo tempo
- Cosa migliore non sarìa per noi.
- 220 Ed uno allor de’ cavalieri andava
- Là ’ve un morto rinvenne. Inginocchiossi
- Là da presso alle piaghe ed a l’estinto
- L’elmo disciolse, ed a succhiar quel sangue
- Che scorrea cominciò. Ben che inusata
- 225 Cosa fosse cotesta, alto conforto
- Allora gli sembrò. Dio vi compensi,
- Hàgen signor, l’uom disse affaticato,
- Ch’io bevvi qui, per tanto vostro avviso,
- Sì dolcemente. Raro assai mesciuto
- 230 Mi fu vino miglior. Che s’io di vita
- Avrò alcun’ora, grato a voi degg’io
- Esser mai sempre. — Come udìano gli altri
- Che buono a lui sembrò cotesto, grande
- Si fe’ la turba de’ beenti sangue,
- 235 Onde acquistò di molti la persona
- Vigore assai. Di ciò portâr la pena
- Donne vaghe dipoi nei dolci amici.
- E su quelli cadea per l’ampia sala
- Il fuoco in copia, e quelli il fean cadere
- 240 Con l’ampio targhe al suol. Grave rancura
- Ambo lor feano e fumo e caldo, e penso
- Che maggior doglia non incolse mai
- A valorosi. — Alle pareti voi,
- Hàgene disse di Tronèga allora,
- 245 State voi della sala e non soffrite
- Che su le guigge de’ vostr’elmi cadano
- Gli stizzi ardenti, ma co’ piè nel fango
- Giù li calcate a fondo. Ella è una festa
- Trista d’assai qual ci fa la regina!
- 250 E quella notte in sì gran doglia corse.
- Stavansi innanzi da l’ostello ancora
- L’ardito menestrello e il suo compagno
- Hàgene di Tronèga, e stavan elli
- Appoggiati a’ lor scudi. Ecco, da quelli
- 255 D’Ètzel re della terra assai maggiore
- Danno questi attendean. Disse frattanto
- Il suonator di giga: Or nella sala
- S’entri per noi. E penseranno gli Unni
- Per cotesto assai più che in tal martìre
- 260 Che altri ci fe’, noi siam qui tutti morti.
- Anche vedranno poi che, nella pugna,
- D’essi incontro ad alcun discenderemo.
- Giselhèr così disse, di Borgogna
- Il giovinetto: Credo che già voglia
- 265 Sorgere il dì, chè fresc’aria si leva.
- Iddio del ciel, deh! lasci che per noi
- Anche si viva dolcemente! A noi
- Amara festa la sorella mia
- Ordinava, Kriemhilde! — E un altro disse:
- 270 Io veggo il giorno omai. Poi che
- migliore
- Sorte di questa non ci tocca, voi
- Armatevi, o guerrieri, alla persona
- Così pensando. E già s’accosta a noi
- 275 D’Ètzel prence la donna a presti passi.
- Creder potea di quell’ostello il sire
- Che per fatica e per ardor del fuoco
- Gli ospiti suoi erano morti. Eppure,
- Anche seicento ardimentosi vivi
- 280 Eran là dentro, e niun regnante mai
- Ebbe prodi migliori. Ecco, le scolte
- Poste a guardar gli estrani cavalieri
- Veduto avean che gli ospiti eran vivi
- Ancora ancor, per quanti danni e mali
- 285 Avesser prenci e lor consorti insieme
- Toccati quivi. Per la sala ancora
- Ei si vedean incolumi d’assai;
- E fu detto a Kriemhilde: Énno ben molti
- Intatti ancor di quelli. — E la regina
- 290 Asseverò che non vivea nessuno
- Dinanzi a possa dell’incendio: Questo
- Creder vogl’io piuttosto, insiem giacersi
- Tutti morti là dentro. — E i prenci ancora
- E lor famigli, ove qualcun principio
- 295 Fatto avesse a pietà, salvi alla vita
- Sarìano usciti volentieri. In quella
- Terra degli Unni tal pietà non ebbero
- Gl’infelici a trovar; però lor morte
- Ei vendicâr con poderosa mano.
- 300 E dell’alba del dì lor fu di contro
- Dato il saluto con feroce assalto,
- E vennero però in distretta grave
- I valorosi. Giavellotti assai
- A lor di contro fûr scagliati, e forti
- 305 Erano, ed elli, ardimentosi e grandi,
- Si difendean quai cavalieri. Intanto,
- D’Ètzel ne’ famigliari ardir destossi,
- Ch’elli voleano i doni, in lor servigi,
- Di Kriemhilde mertar. Volean pur anco
- 310 Tanto eseguir quanto lor prence impose,
- E molte file di gagliardi intanto
- Vedean la morte. E puossi ancor dei doni
- Dir meraviglie, ancor delle impromesse,
- Chè la regina su le targhe l’oro
- 315 Fe’ cenno di recar, l’oro lucente,
- E a chi ne disïava, a chi toccarne
- Volea, ne porse. Contro gente avversa
- Maggior stipendio non fu dato mai.
- Armata inoltre ne venìa gran forza
- 320 Di valorosi, e fea tai detti intanto
- Volkero ardito: Noi siam qui! Alla pugna
- Scender non vidi mai più volentieri
- Eroi di questi, che per nostro danno
- Togliean l’oro del re. — Gridavan molti
- 325 De’ suoi compagni: T’avvicina, o prode,
- Chè qui finir ci è forza esta faccenda,
- E noi tosto farem! Lasciar nessuno
- Qui vuolsi fuor di tal, che dee morire.
- Tosto fûr viste le lor targhe appieno
- 330 Irte di strali che il nemico avventa.
- Dir di più che degg’io? Dodicimila
- Uomini prodi in ripetuta guisa
- Tentâr l’assalto, e gli ospiti conforto
- In tante piaghe che assestâr, si diero
- 335 All’anima crucciosa; e niuno intanto
- Separar gli potea. Vedeasi il sangue
- Scorrer da le ferite, e le ferite
- Eran mortali. Molti assai di quelli
- Giacquero uccisi. Udìasi anche taluno
- 340 Verso gli amici suoi gemer piangendo,
- E tutti là morìan di quel possente
- E fiero re3 gli ardimentosi. I dolci
- Lor congiunti n’avean dolor ben grande.
- ↑ Volkero.
- ↑ Cioè modo di fare ammenda.
- ↑ Gunthero.
- Note
- Avventura Trentasettesima
- In che modo fu ucciso Rüedgero margravio
- Egregiamente in quel mattin pugnato
- Avean gli ospiti inver. Di Gotelinde
- Venne in corte lo sposo e in tutte parti
- Vide l’orrido scempio. Oh! dal profondo
- 5 Dell’alma ne gemè il fido Rüedgero!
- Ahimè! disse l’eroe, perch’io la vita
- Ebbimi un giorno! E niun sì grave doglia
- Cancellar qui potrà! Quantunque volte
- Io chiegga pace di gran cor, la pace
- 10 Non farà il signor mio, chè più e più sempre
- Dolori ei vede qui. — Mandava alcuno
- Appo Dietrico il buon Rüedgero, in quale
- Guisa ei potean da’ suoi proposti il fiero
- Prence a dietro ritrar, ma in questi detti
- 15 Gli rispondea quel da Verona: A tanto
- Chi sobbarcarsi mai potrìa? Non vuole,
- Ètzel prence non vuol che alcun l’orrenda
- Lite disgiunga. — Tal degli Unni eroi
- Vide là starsi con occhi piangenti
- 20 Rüedgero allora (e molto pianto invero
- Avea quel prode), e alla regina disse:
- Vedete voi sì come sta cotale
- Che ha maggior possa innanzi al prence, e a cui
- Tutto soggetto sta, genti e paesi!
- 25 Deh! quanti ènno a Rüedgèr dati in
- possesso
- E castelli e città ch’egli dal sire
- Toccar dovè! Ma nel presente assalto
- Un colpo ei non vibrò degno di lode.
- 30 Sembrami inver che nulla egli si curi
- La gran faccenda come va, sua voglia
- Da ch’ei toccò nella pienezza. E dicesi
- Ch’egli è più forte che altri mai nol possa;
- Ma trista è sua parvenza in questa cura.
- 35 Con anima crucciosa a quei che in questa
- Guisa egli udiva favellar, l’eroe,
- L’uom sì fedele, riguardava. Il fio
- Di ciò pagherai tu! pensava in core.
- Tu di’ ch’io son codardo, e la tua fola
- 40 Con troppo alta la voce hai detta in corte.
- Cominciò il pugno a chiudere e a colui
- Corse d’un tratto e di sì fiera possa
- L’uom degli Unni colpì, che quegli al piede
- Tosto gli giacque estinto. Oh! ma di tanto
- 45 Allor crescea d’Ètzel re la rancura!
- Là, tu codardo e vil! disse Rüedgero.
- Doglia ed angoscia che mi basti, assai
- Ho io davver. Per ch’io qui non combatto,
- A che gridando vai? Che se foss’io
- 50 Per cagion grave d’alcun odio preso
- Per tali ospiti qui, ciò che poss’io,
- Fatto avrei veramente, ove si tolga
- Ch’io qui addussi gli eroi. Lor guida fui
- Del mio prence alla terra, e questa mia
- 55 Mano, infelice assai, pugnar non dee.
- Disse al margravio allora Ètzel, illustre
- Prence e signor: Di qual mai guisa voi,
- Nobil Rüedgero, ci aitaste adunque!
- Poi che molti qui abbiamo in nostra terra
- 60 Già dati a morte, d’uopo a noi non era
- Di più d’averne; e male assai faceste.
- Così rispose il cavaliere illustre:
- Perchè costui l’anima mia crucciava
- E a me rimproverò la mia dovizia
- 65 E gli onori ch’ebb’io dalle tue mani
- In copia grande, al menzognero incolse
- D’incomoda accoglienza un cotal poco.
- Venne allor la regina, ed ella ancora
- Visto avea ciò che incolse all’uom degli Unni
- 70 Per l’ira dell’eroe, chè fieramente
- Ella piangeva, e n’eran gli occhi molli.
- A Rüedgero ella disse: Oh! di qual guisa
- Questo mertammo noi che l’aspra doglia
- A me aumentiate e al mio signor? Diceste,
- 75 Qui voi diceste a noi, nobil Rüedgero,
- Che l’onore e la vita anche per noi
- Rischiata avreste, ed io da molti intesi
- Prodi e gagliardi tributar le lodi
- A voi più grandi. Vostra grazia ancora
- 80 Io vi ricordo e il giuro che mi feste,
- Eletto cavalier, quando a le nozze
- D’Ètzel mi consigliaste, in fino a morte
- D’uno di noi di darmi aita.1 Affanno
- Sì grave a me, donna infelice, mai
- 85 Non m’incolse però. — Scevro è cotesto
- Da ogni menzogna. O donna illustre, a voi
- Io sì giurai che con l’onor la vita
- Rischiata avrei. Ma per ch’io l’alma perda,
- Io giurato non ho. Cotesti prenci
- 90 D’alto lignaggio a questa festa addussi.
- Ed ella disse: Pensa tu, Rüedgero.
- A quella tua gran fedeltà! Deh! pensa
- Alla fermezza tua, al giuramento,
- Chè sempre tu volesti il dolor mio.
- 95 Tutto, col danno vendicar. — Niegato
- Raro d’assai v’ho alcuna cosa, ei disse.
- A pregar cominciava Ètzel ancora,
- Il potente signor. Ambo a’ suoi piedi
- Elli 2 piegârsi, innanzi a lui, ed altri
- 100 Vide frattanto del margravio illustre
- Il corruccio e il dolor. Pietosamente
- Così parlava il leal cavaliero:
- Misero me, poverello di Dio,
- Per ch’io son visso fino a questo giorno!
- 105 Da tutte opre d’onor che Dio comanda,
- Lealtà, cortesia, ritrarmi a dietro
- Degg’io così! Deh! Signor mio del cielo,
- Perchè la morte ciò non toglie? Quale
- Cosa tralasci, a qual’altra m’appigli,
- 110 Sempre son io d’opra malvagia e trista
- D’assai autore! E s’io questi abbandono
- Insieme a quelli, biasimo la gente
- Tutta farà di me. Prego che tale
- Che in vita mi chiamò, mi dia consiglio.
- 115 E molto allora il supplicâr pregando
- Il prence e la sua donna. Ecco, per mano
- Di Rüedgero, così, perder la vita
- Dovetter molti cavalieri, ed ei
- Morì pur anco, ei valoroso, e voi
- 120 Qui udir dovete assai che grave doglia
- Oprando egli destò. Sapea che male
- Avrìa toccato e danno inconsüeto,
- E volentieri l’opra sua niegata
- Avrebbe al prence e alla regal sua donna;
- 125 Ma forte egli temea che odio la gente
- Gli avrìa portato poi, quando colpito
- Alcuno avesse de’ Burgundi. Allora
- Disse al suo prence l’uomo accorto e saggio:
- Riprendetevi adunque, o re signore,
- 130 Tutto ciò che ho da voi, la terra vostra
- Ed i castelli. Presso a me di tanto
- Nulla or può più restar. Vogl’io recarmi
- Co’ piedi miei in terra estrana. — E intanto
- Chi qui m’aita? disse il re. La terra
- 135 Ed i castelli e tutto a te, Rüedgero,
- Io vo’ dar perchè tu da’ miei nemici
- Mi voglia vendicar. Sarai tu allora,
- D’Ètzel al fianco, regnator possente.
- E Rüedgero dicea: Di qual mai foggia
- 140 Farei cotesto? A casa mia chiamati
- Ho io que’ prenci e porsi lor bevanda
- E cibo ancora amicamente e diedi
- Anche i miei doni. E tramar la lor morte
- Come, oh! come potrei? Creda la gente
- 145 Agevolmente che codardo io sono;
- Ma il mio servigio a questi prenci illustri
- Non ricusai, nol ricusai a quelli
- Lor consorti, e mi dolgo or d’amicizia
- Qual con essi ho contratta. E la mia figlia
- 150 A Giselhero cavalier donai,
- Ed ella in terra non potrìa di guisa
- Collocarsi miglior, pel far cortese
- E per l’onor di lui, per la sua fede
- E la dovizia. Prence non vid’io
- 155 Sì giovinetto mai d’alma che fosse
- Veracemente di sì gran valore.
- Ma Kriemhilde dicea: Nobil Rüedgero,
- Del duol d’ambo noi due, di me, del sire,
- Impietosir ti lascia, e pensa ancora
- 160 Che ospite in casa non accolse mai
- Ospiti sì riottosi! — E di rimando
- Disse il margravio a quella donna illustre:
- Oggi adunque così dee di Rüedgero
- Pagar la vita ciò che voi e questo
- 165 Mio principe di grazie mi faceste
- E di favori, e morirne degg’io,
- E ciò indugiarsi più non può. Già veggo
- Che la mia terra e li castelli miei
- Oggi, per man d’alcun de’ vostri, vuoti
- 170 Di lor principe andranno. A vostra grazia
- Però accomando la mia donna e quella
- Figlia mia giovinetta e quelli molti
- Che a Bechelara vivono tapini.
- Rüedgero, Iddio ti ricompensi intanto!
- 175 Ètzel principe disse. — Ambo eran lieti,
- Egli e la donna sua regale. — A noi
- Bene saranno le tue genti tutte
- Accomandate, ed io confido ancora
- Nella fortuna mia che tu pur anco
- 180 Incolume uscirai dalla tenzone.
- Ad estremo periglio ei così pose
- E la persona e l’alma. Incominciava
- A lagrimar d’Etzel la donna, e il prode
- Così dicea: Ciò che promisi adunque,
- 185 Or prestarvi degg’io. Deh! amici miei,
- Ch’io contro voglia a contrastar m'accingo!
- E dal cospetto del suo re fu visto
- Andar mesto e cruccioso. I prodi suoi
- Egli rinvenne; ei stavangli daccanto,
- 190 Ed egli disse: Armarvi ora v’è d’uopo,
- Voi tutti, amici miei. Deh! che degg’io
- I Burgundi assalir valenti e arditi!
- E tosto elli accennâr che ognun balzasse
- Là ’ve rinvenne l’armi sue. Qual era
- 195 Elmo o di terga immenso giro, a quelli
- Cotesto si apportò da’ lor famigli,
- E gli stranieri ardimentosi poi
- Udîr dolenti le novelle. Armato
- Con cinquecento suoi stava Rüedgero,
- 200 Qual, dopo questi, dodici campioni
- A sua aita acquistò. Volean cotesti
- Lode acquistarsi in periglioso assalto,
- Nulla ei sapean che lor tanto si fea
- Morte vicina. Ed ecco si vedea
- 205 Rüedcgero avanzar di sotto all’elmo,
- E del margravio gli uomini consorti
- Recavan spade acute, anche alle braccia
- Ampi scudi e lucenti. E ciò vedea
- Di giga il suonator (grave rancura
- 210 Gli fu cotesta), e Giselhèr garzone
- Vedea pur anco, la celata avvinta,
- Lo suocero avanzar. Come potea
- Intendere Gislhèr che altro pensasse,
- Fuor che tutto d’onesto, il vecchio prence?
- 215 Però fu l’alma del nobil signore
- E giovinetto veramente lieta.
- Oh! me beato per cotanto amico,
- Disse Gislhero cavalier, che in questo
- Viaggio nostro ci acquistammo! Noi
- 220 Qui, per la sposa mia, buon frutto assai
- Avremo intanto, e m’è cagion di gioia
- Che facciansi, in mia fè, le nozze mie!
- Io non so di che mai vi confortate,
- Disse di giga il suonatore. Oh! dove,
- 225 Oh! dove mai, perchè tregua si faccia,
- Venir vedeste voi con gli elmi avvinti
- Tanti guerrieri, e portar nelle mani
- Le spade ancora? Sopra noi desìa
- Per sue castella e per la terra sua
- 230 Aver merto Rüedgero! — Ed a l’istante
- Che sua parola il suonator di giga
- Così finìa, quell’inclito Rüedgero
- Visto fu là, dinanzi dal palagio.
- Quella buona sua targa egli deposta
- 235 Avea dinanzi a’ piedi or che agli amici
- Disdir servigi ed amistà dovea.
- Verso la sala il nobile margravio
- Questa voce mandava: Ora voi tutti
- Vi difendete, o Nibelunghi arditi.
- 240 E v’era d’uopo aver di me l’aita;
- Or da mia forza vi guardate. Amici
- Eramo in pria, ma dell’antica fede
- Ora spogliar mi vo’. — A quell’annunzio
- Fûr costernati gli uomini tapini,
- 245 Chè non ebbe un sol d’essi alcuna gioia
- Per ch’egli sì con tal, ch’eragli amico,
- Or dovesse pugnar. Da’ lor nemici
- Durato avean soverchio duolo assai.
- Gunthèr prode dicea: Deh! voglia intanto
- 250 Iddio dal ciel che anche vêr noi si muova
- La vostra grazia e quella molta fede,
- In che speme abbiam noi! Vogl’io più tosto
- Questo pensar, che tanto che voi dite,
- Non farete giammai. — Lasciar cotesto,
- 255 No! non poss’io, gridò quell’uom valente.
- Or che promessa ne fec’io, m’è d’uopo
- Pugnar con voi. Vi difendete adunque,
- Ardimentosi eroi, se pur v’è cara
- Anche la vita. Sciogliermi non volle
- 260 Dalla impromessa mia d’Ètzel la donna.
- Troppo tardi, rispose il gran monarca,
- L’amicizia a disdir qui v’adducete.
- Nobil Rüedgero, vi compensi Iddio
- Per quella fè, per quell’amor che a noi
- 265 Mostraste un giorno, ove serbar cotesti
- Sensi vogliate sino al fine! E sempre
- Vi sarem noi, se viver ci lasciate,
- Ligi e devoti, io qui co’ miei congiunti,
- Perchè ci deste un dì quei doni vostri
- 270 Splendidi, allor che ci menaste in fede
- Qui, nella terra d’Ètzel prence. Tanto,
- Nobil Rüedgero, ricordar vi piaccia!
- Disse Rüedgero cavalier: Deh! quanto
- Volentieri vorrei ch’io qui dovessi
- 275 I miei doni impartirvi in tutta copia
- Con tanta volontà di quanta ebb’io
- Nel cor la speme. Nessun biasmo allora
- Altri di tanto mi farebbe. — Oh! a dietro
- Vi ritraete, nobile Rüedgero!
- 280 Disse Gernòt, chè veramente in tanta
- Cortesia non riceve ospiti alcuno,
- Sì come feste a noi. Però buon frutto
- Sì ne godrete voi, quando alla vita
- Ci sia dato restar. — Disse Rüedgero:
- 285 O nobile Gernòt, volesse Iddio
- Che anche al Reno voi foste ed io giacessi
- Morto con qualche onor, poichè degg’io
- Qui pugnar contro a voi. Da gente amica
- Niuna cosa peggior si fe’ di questa
- 290 A valorosi. — E Iddio vi ricompensi,
- Prence Rüedgero, l’altro disse allora,
- Per vostr’incliti doni! E mi rincresce
- La vostra morte, se perir con voi
- Debbe tanta virtù. Quell’arma vostra
- 295 Che già mi deste, o buono eroe, qui reco.
- Essa giammai non venne meno, in tutta
- Questa distretta, a me. Giacquero estinti
- Sotto la punta sua molti gagliardi,
- E splendïente ell’è, forte, possente
- 300 E buona ancor. Sì ricco dono un prode
- Non fe’ giammai, mi penso. Ora, se a dietro
- Non vi trarrete voi, se anche v’è d’uopo
- Avanzar contro a noi, dove qualcuno
- Di questi amici mi piagate, quali
- 305 Anche ho qui dentro, a voi con questa stessa
- Spada il viver torró. Di ciò mi cruccio,
- Rüedgero, e n’avrà duol la donna vostra
- Inclita e illustre. — Ciò volesse Iddio,
- Prence Gernòt, anche avvenir potesse
- 310 Che qui di voi si faccia ogni desire
- Ed escane non tocca la persona
- Vostra diletta! Lor fidanza in voi
- Così potrìan riporre e la mia donna
- E quella figlia mia. — Gislhero allora,
- 315 D’Ute leggiadra il giovinetto figlio,
- Ei de’ Burgundi, così disse: Oh! dunque,
- Prence Rüedgero, a che per voi s’adopra
- In questa guisa? Quei che meco vennero,
- Tutti amici vi sono, ed opra trista
- 320 Incominciate voi. La vostra bella.
- Figlia, davver! che di buon’ora assai
- Bramate voi far vedova! Se voi
- Co’ vostri prodi contro a me in battaglia
- Restar volete, con qual alma rea
- 325 Veder farete voi ch’io, più che in tutti
- Altri, in voi solo confidai nel tempo
- Che sposa i’ mi cercai la figlia vostra!
- Pensate a vostra fè, nobil signore
- E illustre, ove di qui mandivi Iddio
- 330 Incolume! rispose a lui Rüedgero.
- E fate intanto che la figlia mia
- Per me non porti alcuna pena. Voi,
- Per quella vostra virtù stessa, a lei
- Sì vi mostrate grazïoso. — Disse
- 335 Giselhèr giovinetto: Io veramente
- Farò cotesto. Ma se questi miei
- Congiunti illustri (e son elli qui dentro)
- Morir per voi dovranno, oh! l’amicizia
- E ferma e certa verso te, vêr quella
- 340 Figliuola tua, sarà disfatta allora!
- Allor ci aiuti Iddio! disse quel prode. -
- E gli scudi levâr come se all’aula
- Ch’è di Kriemhilde, ascendere ei volessero
- Con gli stranieri ad ingaggiar battaglia;
- 345 Ma dall’alto all’ingiù con chiara voce
- Hàgene allor gridò: Nobil Rüedgero,
- Hàgene così disse, anche per poco
- V’arrestate. Assai più parlar con vosco
- Io e li prenci miei, come ci astringe
- 350 Necessità, vogliamo. E che mai giova
- Di noi tapini ad Ètzel re la morte?
- Ed io mi sto in rancura grave, disse
- Hàgene ancora, chè la targa, quale
- Mi diè a portare donna Gotelinde,
- 355 Questi Unni al braccio m’han spezzata.
- In questa
- D’Ètzel contrada con amica voglia
- Io la recai. Deh! voglia Iddio dal cielo
- Tanto adoprar ch’io possa aver sì buona
- 360 Targa per me, come tu l’hai, Rüedgero
- Nobile, al braccio! Allora, io nella pugna
- Bisogno non avrei d’alcun usbergo.
- Volentieri d’assai d’esta mia targa
- Giovevol ti sarei, quand’io d’offrirla
- 365 A te avessi l’ardir qui, di Kriemhilde
- Innanzi agli occhi. Prendila, ed al braccio,
- Hàgen, la porta tuttavia. Potessi,
- Potessi tu de’ Burgundi alla terra
- Anche portarla! — E allor ch’egli offerìa:
- 370 Di sì donar di tal libera voglia
- Quel suo pavese, rossi per le calde
- Lagrime a molti si fêr gli occhi, e quello
- Fu il dono estremo che ad alcun gagliardo
- Rüedgero offrì di Bechelara. Alcuno
- 375 D’allora in poi non ne offerì. Per quanto
- Feroce fosse e d’anima oltraggiosa
- Hàgene prence, in lui destò pietade
- Il don cortese, che, all’estremo istante
- Così vicino, gli fe’ il buon guerriero,
- 380 E seco molti cavalieri assai
- Ad averne tristezza incominciaro.
- Or vi compensi Iddio dal ciel, Rüedgero
- Nobile assai! Non fia che viva alcuno
- Eguale a voi mai più, che doni faccia
- 385 Di questa guisa generosa e grande
- A cavalieri estrani. E voglia Iddio
- Tanta virtù di voi vivasi eterna!
- Oh! tristi noi di tanto! aggiunse allora
- Hàgene prence. Altri dolori assai
- 390 Qui abbiamo a sopportar. Ma se ci è d’uopo
- Con amici pugnar, di ciò mi lagno
- Innanzi a Dio. — Disse il margravio: Questo
- È tal dolor che a l’intimo penètra.
- Or io del don vo’ compensarvi, o nobile
- 395 Rüedgero assai. Qualunque adoprin guisa
- Incontro a voi cotesti eroi gagliardi,
- Nella battaglia questa destra mia
- Non toccheravvi mai, s’anche voi tutti
- Quei che venìan dalla burgundia terra,
- 400 Qui trucidaste. — E con atto cortese
- Il buon Rüedgero s’inchinò. Piangeano
- Da tutte parti, perchè alcun sì grave
- Ambascia non potea toglier da quelle
- Anime, e grande assai n’è la rancura.
- 405 Morto sì giacque con Rüedgero allora
- D’ogni virtude il genitor. Frattanto,
- Dal palagio gridò quello di giga
- Volkero suonator: Poi che la pace
- Hàgen compagno mio fece con voi,
- 410 Anche dalla mia man, di questa guisa,
- Ferma la pace abbiate voi. Cotesto
- Mertaste inver, Rüedgero, allor che noi
- In questa terra siam venuti. E voi,
- Nobil margravio, il messaggiero mio
- 415 Esser dovete ancor. Chè questi anelli
- Fulgidi mi donò la donna vostra
- Per ch’io sì li recassi a questa festa.
- Mirarli voi medesmo, ecco! potete,
- Sì che di me ne siete in testimonio.
- 420 Dio volesse dal ciel, disse Rüedgero,
- Che anche più assai dar vi dovesse ancora
- La donna mia! Ma questo annunzio a quella
- Mia donna cara di gran voglia e core
- Io ridirò, se ancor vedrolla in vita.
- 425 Voi siate in questo da ogni dubbio sciolto!
- Come di ciò gli fe’ impromessa, in alto
- Levò lo scudo Rüedegero; e l’alma
- Gli si destò, ned ei potè più a lungo
- Inerte rimaner. Pari a un eroe
- 430 Ei si cacciava agli ospiti di contro.
- Assai colpi tremendi, ecco! sferrava
- Il possente margravio. I due, Volkero,
- Hàgen con esso, stavansi più lungi,
- Chè a lui cotesto in pria questi due prodi
- 435 Avean promesso; ma sì arditi eroi
- Starsi là da le porte egli rinvenne,
- Che la battaglia con gran cura e affanno
- Rüedgero incominciò. Lasciâr ch’entrasse
- Dentro alla sala e Gernòt e Gunthero
- 440 E ciò elli fean per assassina voglia;
- Avean pensiero di gagliardi. Intanto
- Stava più lungi Giselhero, a cui
- Era davvero di dolor cagione
- La trista pugna. Al dolce viver suo
- 445 Egli pensava ancor; però Rüedgero
- Ei d’evitar curava. Ecco! balzavano
- Contro ai nemici del margravio gli uomini,
- Ch’elli fûr visti seguitar lui principe
- Da valorosi assai. L’armi ei recavano
- 450 Taglienti in pugno; ed elmi si schiantavano
- Molti allora e di targhe i cinti splendidi.
- E que’ Burgundi, stanchi assai, sferravano
- Colpi tremendi che laggiù scendeano
- Dritti e profondi, per le maglie nitide,
- 455 Drizzati al loco ove soggiorna l’anima,
- Su quei di Bechelara. Ecco! elli feano
- Opra stupenda in la tenzon terribile.
- Già del margravio l’inclito drappello
- La sala penetrò. Rapidi incontro
- 460 Balzâr Volkero ed Hàgene. Oh! cotesti,
- Fuor che a quel solo, non concesser tregua,
- E tosto d’ambo per le mani il sangue
- Scorse da le celate. Oh! di qual foggia
- Spaventosa davver le molte spade
- 465 Là dentro tintinnâr! Di sotto ai colpi
- Da le targhe schiantâr molti gheroni
- E nel sangue balzaro inclite gemme
- Da’ pavesi divelte. Elli in tal guisa
- Pugnâr tremenda, qual non mai si vide.
- 470 Di qua, di là di Bechelara il duce
- Andava intanto come quei che molto
- Acquistar vuoisi nelle sue battaglie
- Per guerresca virtù. Chiaro d’assai
- Fe’ Rüedgero in quel dì che un prode egli era
- 475 Molto ardito e di lode anche ben degno.
- E di qua intanto stavan questi prodi,
- E Gunthero e Gernòt. Ne la battaglia
- Morti batteano al suol guerrieri assai,
- E Gislhero e Dancwarto ambo leggiera
- 480 Stima facean di tanto. Elli cacciavano
- Assai valenti al giorno estremo. Oh! quanto
- Ch’egli era forte e valoroso assai
- E bene armato, addimostrò Rüedgero!
- Quanti gagliardi egli atterrò! Cotesto
- 485 Vide tal de’ Burgundi, 3 e di furore
- Voglia rabbiosa gli venìa. Di tanto
- Del nobile Rüedgero incominciava
- La morte allora ad avanzar. Quel forte
- Gernòt a sè chiamò l’eroe valente;
- 490 Al margravio ei dicea: Nobil Rüedgero,
- Niuno adunque de’ miei lasciar vi piace
- Da voi non tocco! Ciò mi affligge assai
- Da misura di là. Cotesto ancora
- Riguardar non poss’io. Davver che
- 495 vengono
- A recar danno assai li vostri doni,
- Se tanti già di questi amici miei
- Tolti m’avete. O prode ardito e illustre,
- Deh! vi traete a questa parte, ch’io
- 500 I vostri doni a quel più alto prezzo
- Vo’ meritar che m’è concesso ancora.
- Pria che giungesse il nobile margravio
- A lui da presso, splendidi d’assai
- Dovean gli arnesi mutar tinta. 4 Allora
- 505 L’un contro l’altro s’avventâr que’ due
- D’onor bramosi, e incominciò a guardarsi
- D’essi ciascuno dalle inferte piaghe.
- Eran lor spade di tal guisa acute,
- Che nulla incontro star potea. Colpìa
- 510 Rüedgero cavalier Gernòt allora
- Per l’elmo duro come pietra, e il sangue
- In giuso ne colò. Ratto il compenso
- Gli diè l’eroe valente e ardimentoso,
- Ch’ei levò in alto dalle mani sue
- 515 Di Rüedgero quel dono, 5 e benchè a morte
- Piagato ei fosse, per il forte scudo
- Un colpo gli sferrò su le giunture
- Della celata. Ne dovea lo sposo
- Morir della leggiadra Gotelinde.
- 520 Davver! che mai non ebbe ricompensa
- Peggior sì ricco dono! e li cadeano
- Ambo trafitti e Gernòt e Rüedgero
- Entro la pugna, d’ugual foggia, l’uno
- Per la destra dell’altro. Allora in pria
- 525 Hàgene s’adirò, poichè rovina
- Sì grande apprese. Male incolse a noi!
- Disse quel prode di Tronèga. Noi
- Ne’ due caduti sì gran danno avemmo,
- Quale la gente d’ambedue non puote
- 530 Risarcir, non la terra. E sono in pegno
- A noi che siam venuti alla distretta,
- Di Rüedgero gli eroi. — Deh! fratel mio,
- Mortai scempio si fe’! Quante mi giungono
- Ad ogni istante novelle di doglia!
- 535 Anche in eterno del nobil Rüedgero
- Degg’io dolermi, e d’ambedue le parti
- Il danno resta e grande è assai l’affanno!
- Poi che sire Gislhero estinto vide
- Là lo suocero suo, ratto per lui
- 540 Quei ch’eran dentro all’aula, aspro dolore
- Toccar dovean. Fiera cogliea la morte
- Quelli devoti al suo drappello, e lunga
- Ora non si restò di Bechelara
- Un solo intatto. E Gunthero e Gislhero,
- 545 Hàgene ancor, Volkero, anche Dancwarto,
- Tutti prestanti cavalieri, al loco
- Traeansi allor ’ve giacenti que’ due
- Rinvennero. Con gemiti si fece
- Ivi un lamento dagli eroi. La morte,
- 550 Disse Gislhero giovinetto, assai
- Ci deruba crudel. Lasciate voi
- Il pianger vostro, e vengasi per noi
- Dell’aria allo spirar, perchè le maglie
- Di noi stanchi da l’orrida tenzone
- 555 Rinfreschinsi. E mi penso che più a lungo
- Iddio non voglia qui lasciarci in vita.
- De’ molti cavalieri altri fu visto
- Sedersi allora, altri appoggiarsi. Stanchi
- Egli erano davver. Là di Rüedgero
- 560 Tutti morti giaceano i valorosi,
- E il tumulto cessava; e poi che lungo
- Era il silenzio, di cotesto avea
- Ètzel corruccio. Ahimè! di tai servigi!6
- Disse del sire la mogliera. Tanto
- 565 Ei non son fermi, che toccarne il danno
- D’esti nostri nemici, per la mano
- Di Rüedgèr, debba la persona. Ei certo
- Vuol rimenarli de’ Burgundi a quella
- Terra di qui. Che vale, Ètzel sovrano,
- 570 Che noi dessimo a lui ciò ch’egli volle?
- Ma il prence ne ingannò. Cura la pace
- Quei sì che vendicar qui ci dovea.
- Volkèr le rispondeva, il cavaliero
- Aggraziato e gentil: Deh! che non tale
- 575 Va la faccenda, o di nobile sire
- Inclita donna! Se ardimento avessi
- Io d’affermar che mentesi costei
- Nobile tanto, sì direi qui ancora
- Che in diabolica foggia per Rüedgero
- 580 Ella mentì. Per questa pace ei sono,
- Egli e que’ prodi suoi, tutti delusi;
- Ed egli di tal ferma volontade
- Fe’ ciò che indisse quel suo prence a lui,
- Che qui si giace co’ famigli suoi
- 585 Morto. Dattorno or vi guardate voi,
- Donna Kriemhilde, a chi volete ancora
- Dar li comandi vostri. Ecco, servito
- V’ha fino a morte eroe Rüedgero. E quando
- Non crediate cotesto, a voi cotesto
- 590 Altri farà veder. — Questo si fea
- Del cor di lei per strazio e per tormento,
- Che tosto il morto eroe là ’ve il suo prence
- Potè vederlo, fu portato. Ai prodi
- D’Ètzel davver! che non incolse mai
- 595 Tanto dolore! E là portar l’estinto
- Margravio come quelli anche vedeano,
- Scrivere uno scrittor mai non potrìa
- I molti lai di donne, anche degli uomini,
- Nè ridirli giammai, quali del core
- 600 Per doglia acerba a udir s’incominciaro
- Allora e là. Sì grande era l’ambascia
- D’Ètzel, che il grido del gran re possente,
- Per la doglia del cor, voce parea
- Di leon fero; e quella donna sua
- 605 Cotesto fea pur anco. Assai assai
- Del buon Rüedgero elli piangean la vita.
- ↑ Cioè d’aiutarini fino alla morte mia o fino alla vostra, cioè per tntta la vita.
- ↑ Etzel o Kriemhilde.
- ↑ Gernot.
- ↑ Cioè tingersi di sangue.
- ↑ La spada già donatagli da Rüedgero a Bechelara.
- ↑ Si lagna Kriemhilde che Rüedgero abbia vilmente prestato il suo servigio.
- Note
- Avventura Trentottesima
- In che modo furono trucidati tutti i guerrieri di principe Dietrico
- Sì grande allor s’udì da tutte parti
- Un suon di lei, che tutta la regale
- Dimora intorno con le torri sue
- A quel grido echeggiava. Anche l’udia
- 5 Un di quei di Dietrico da Verona.
- Per l’annunzio tremendo, oh! come presto
- A correr cominciò! Deh! signor mio
- Dietrico, disse al suo signor costui,
- Porgete ascolto! Per il tempo ch’io
- 10 Fin qui son visso, non intesi io mai
- Maggior lamento di cotesto, invero
- Vincente ogni pensier, quale ora intesi.
- Penso che in danno grave Ètzel signore
- Venuto sia. Come potrìan sì grave
- 15 Toccar l’ambascia per diversa via?
- O il re, o Kriemhilde, un d’essi veramente
- Morto si giace per gli ospiti arditi
- Dietro all’odio scambievole. E gran pianto
- Fanno molti guerrieri incliti e belli.
- 20 E di Verona quell’eroe rispose:
- Molto diletto amico mio, di troppo
- Innanzi non andate. Ecco, di quale
- Cosa hanno fatto gli ospiti meschini,
- Alta necessità lor sopravvenne.
- 25 Però lasciate ch’ei godan di tanto
- Ch’io lor proffersi con la tregua mia.1
- Disse Wolfharto ardimentoso: Andarne
- Vogl’io, novelle dimandar vogl’io
- Che mai si fe’ per essi, e dirò a voi
- 30 Poscia, diletto mio signor, s’io n’abbia
- Qualche scienza, che gli è mai tal pianto.
- Disse prence Dietrico: Ove qualcuno
- Ira preveda di destar se inchieste
- Non discrete si fanno, ai valorosi
- 35 Turba cotesto agevolmente assai
- L’anima. Non vogl’io però, Wolfharto,
- Che presso a quelli le domande vostre
- Facciate voi. — Helpfrico egli pregava
- D’andarne tosto e gl’ingiugnea che presso
- 40 D’Ètzel prence a’ consorti o appo gli stessi
- Ospiti investigasse egli qual mai
- Cosa avvenisse. Nè si vide mai
- Sì gran cordoglio presso gente alcuna.
- Cominciò il messo a dimandar: Qual cosa
- 45 Fecesi qui? — Disperso iva d’assai,
- Tal fra quei rispondea, quanto di gioia
- Avemmo noi in terra d’Unni. Ed ecco!
- Giace per mano de’ Burgundi ucciso
- Rüedgero qui. Di quelli che con seco
- 50 Vennero, niuno si salvò. — Allora
- Di questa non potea doglia maggiore
- Ad Helpfrico toccar, sì che d’assai
- Con trista voglia ei riferì l’annunzio.
- Andavane a Dietrico assai piangendo
- 55 Il messo. Adunque, che trovaste a noi?
- Disse Dietrico. E perchè mai di tale
- Guisa piangete voi, Helpfrico eroe?
- Disse il nobil guerriero: Oh! lagrimare
- Degg’io forte davver! Quel buon Rüedgero
- 60 Han trucidato quelli di Borgogna!
- Ma di Verona disse il prence: Iddio
- Mai cotesto non voglia! Aspro castigo
- Sarìa questo e del diavolo lo scherno.
- Oh! di qual foggia avrìa prence Rüedgero
- 65 Ciò meritato? E sì m’è noto assai
- Ch’egli è devoto agli ospiti. — Rispose
- A lui Wolfharto: Se cotesto han fatto,
- In ciò di tutti va la vita. Avremmo
- Tutti noi vituperio, ove tal cosa
- 70 Tollerar ci piacesse. E bene a noi
- Già la destra servi del buon Rüedgero.
- Il sire allor degli Amelunghi meglio
- Volle cotesto investigar. Con alma
- Assai pensosa a una finestra assise,
- 75 Indi pregò che agli ospiti n’andasse
- Hildebrando perch’ei cercar dovesse
- Cosa che là si fece. E il valoroso
- Ardito in guerra, maestro Hildebrando,
- Non arma o scudo al braccio tolse. Ei volle
- 80 Con un atto cortese appo quegli ospiti
- Venirne, ed un rabbuffo gli si fea
- Della sua suora dal figliuol, chè disse
- Il feroce Wolfharto: E disarmato
- Andar volete voi? Ciò non potrìa
- 85 Esser giammai senza biasmo di voi,
- E d’uopo vi sarà tornarvi a dietro
- Con ignominia. Che se armato andrete,
- D’essi qualcun si guarderà che faccia
- Atto a voi disonesto. — E s’acconciava
- 90 Del giovinetto al consigliar quel saggio.
- Prima che di cotesto ei s’avvedesse,
- Eran già dentro a’ loro usberghi tutti
- Di Dietrico i gagliardi e spade in pugno
- Portavan anche; e questa fu cagione
- 95 Di rancura all’eroe, chè volentieri
- Evitata ei l’avrìa. Chiedeva intanto
- Che mai volesser elli. E vogliam noi
- Vosco venir, dicean. Che sarà mai
- Se in peggior guisa ch’egli suol, con onta
- 100 Hàgene di Tronèga osa parlarvi?
- Come intese cotesto, il valoroso
- A lor voglia cedette. E vide intanto
- Volkero ardito gli uomini avanzarsi
- Di Dietrico, i gagliardi di Verona,
- 105 Ed eran elli bene armati e cinti
- Eran di spade. Anche recavan essi
- Lor targhe in pugno. Ei disse allor l’annunzio
- A’ prenci suoi della burgundia terra.
- Vedo laggiù avanzar, disse di giga
- 110 Il suonatore, con nemico aspetto
- Di Dietrico i gagliardi. Ei vônno in guerra
- Discendere con noi. Credo che male
- A noi toccar vorrà, miseri e grami.
- In quel momento anche Hildebrando
- 115 venne,
- Quale, dinanzi al piè, della sua targa
- L’ampio disco depose e di Gunthcro
- Gli uomini a interrogar sì fe’ principio:
- Deh! buoni eroi, che feste di Rüedgero?
- 120 Me qui mandava principe Dietrico
- Appo voi, se la man d’alcun de’ vostri,
- Come a noi si narrò, colpì di morte
- Il nobile margravio. Oh! sopportare
- Hàgene disse di Tronèga allora:
- 125 Non menzognera è la novella. Oh! quanto
- Volentieri vorrei, per quell’amore
- Che a Rüedgero portai, che il messaggiero
- Ingannato v’avesse e fosse in vita
- Quegli pur anco! Ed ora in sempiterno
- 130 Pianger dènno per lui uomini e donne.
- Ch’egli era morto come udìan davvero,
- Il piansero gli eroi. Lor comandava
- Cotesto l’amistà, sì che fûr viste
- Di Dietrico agli eroi giù per la barba,
- 140 Giù per il mento, scorrere le lagrime,
- Chè grave doglia a lor si fece. Intanto
- Sigestap, di Verona e duca e principe,
- In tal guisa parlò: Nostro felice
- Stato a suo fin toccò, quale ci fea,
- 145 Del nostro affanno dopo i dì, Rüedgero!
- Di noi gente raminga, ecco! si giace
- Per voi, guerrieri, ogni letizia uccisa!
- Disse Wolfwin, degli Amelunghi un prode:
- Se morto oggi vedessi il padre mio,
- 150 Doglia maggior per la sua vita mai
- Toccar non mi potrebbe. Oh! chi alla donna
- Del buon margravio dee recar conforto?
- Disse Wolfharto eroe, con disdegnosa
- Anima, allora: E chi agli eroi cotanti
- 155 Guerreschi assalti apprenderà, che pure
- Soventi assai fece il margravio? Oh! lassi,
- Oh! lassi noi, molto nobil Rüedgero,
- Che perduto t’abbiam! — Wolfprando allora
- Ed Helpfrico ed Helmnòt, con tutti quelli
- 160 Consorti lor, ne piansero la morte;
- Ma pei sospiri non potea più a lungo
- Inchiedere Hildebrando. Ei così disse:
- Or fate, o prodi, ciò per cui m’invia
- Il mio signore. Fuor dall’aula, morto
- 165 Sì come egli è, rendeteci Rüedgero,
- In cui, per nostro duol, di nostra gioia
- La perdita si sta. Fate che a lui
- Omaggio prestiam noi di quella guisa
- Ch’ei fece a noi con molta fede assai,
- 170 Ch’ei fece ad altri molti. E siam qui noi
- Esuli al paro di Rüedgèr valente.
- Che anche per noi qui preghisi, a che dunque
- Lasciate voi? Fate voi sì che lungo
- Questo calle per noi quello si porti,
- 175 Perchè rendiamo all’uom dovuto omaggio
- Dopo la morte sua. Fatto ciò avremmo
- A giustizia conforme anche in sua vita.
- E re Gunthero disse allora: Omaggio
- Come cotesto buono unqua non fue
- 180 Quale un amico dopo morte rende
- All’amico. E cotesta io fede appello
- E ferma e salda, chiunque sia colui
- Che sì l’osserva. A tal 2 voi con ragione
- Rendete omaggio; e molte cose amiche
- 185 Egli un giorno vi fea. — Deh! fino a quando,
- Disse Wolfharto eroe, pregar dovremo?
- Poi che spento qui giace ogni più bello
- Conforto nostro e non l’avremmo noi
- Ad altri dì più mai, fate che fuori
- 190 Il portiam noi di qui, perchè l’eroe
- Dato ci sia deporre in sepoltura.
- A prenderlo venite! rispondea
- Volkero allor. Levatelo da questa
- Casa ove giace, ei cavalier, caduto
- 195 Nel sangue suo per le possenti piaghe
- Che l’alma gli toccâr. Così l’omaggio
- Pieno sarà che renderete a lui.
- Wolfharto ardito disse allor: Sa Iddio,
- Sere di giga suonator, che d’uopo
- 200 D’irritarci non è. Male ci feste;
- E s’io pel mio signor n’avessi ardire,
- Alla distretta scendereste voi.
- Ma ciò lasciar n’è forza, e la tenzone
- Ei ci vietava. — E il suonator di giga:
- 205 Gran paura è davver, se alcun tralascia
- Tutto che altri gli vieta! E veramente
- Alma da eroe non poss’io dir cotesta!
- Sembrò, da parte di quel sozio suo,
- Ad Hàgen buona esta parola. Disse
- 210 Wolfharto allora: Oh! non vogl’io che tanto
- Abbiate voi!3 Le corde a vostra giga
- Scompiglierò di sì novella foggia,
- Che narrarlo dovrete, ove ritorno
- Facciate al Reno cavalcando. Vostra
- 215 Oltracotanza con onor, davvero!
- Che soffrir non poss’io! — Disse di giga
- Il sonator: Qualunque sia maniera
- Che scompigliar vi piaccia alle mie corde
- I dolci toni, di vostr’elmo a un tratto
- 220 S’oscurerà per la mia mano il fulgido
- Splendor d’assai, qualunque foggia sia
- Che de’ Burgundi io torni alla contrada.
- E l’altro già volea balzar di contro
- A lui, ma nol lasciò, chè forte il tenne,
- 225 Hildebrando, il fratel della sua madre.
- Credo, gli disse, che impazzir tu voglia
- Con la tua furia giovanil. Per sempre
- Tu perderesti del mio re la grazia!
- Ir lasciate il leon, maestro, disse
- 230 Volkero allor, valente cavaliero,
- Ch’egli è di core inferocito. Sotto
- A queste mani s’ei verrà, con sue
- Mani egli avesse ancor la gente tutta
- Del mondo uccisa, gli darò tal colpo
- 235 Che di darne risposta in alcun tempo
- Bisogno ei non avrà. — Forte d’assai
- Crucciavasi per ciò l’alma di quello
- Ch’è da Verona. Chè brandì lo scudo,
- Egli valente cavaliero ed agile,
- 240 Wolfharto allora, e contro a quello, in guisa
- Di leon fero, si cacciò. Seguianlo
- Rapidamente quegli amici suoi.
- Ma, ben che vasti egli facesse a quella
- Parete della sala i passi suoi,
- 245 Il raggiunse a’ gradini della porta
- Hildebrando l’antico. Ei non volea
- Lasciar ch’ei gisse innanzi entro la pugna,
- Ma tosto ei là trovâr da presso agli ospiti
- Ciò che ognun disïò. Mastro Hildebrando
- 250 Contro ad Hàgen balzava, e ad ambo in pugno
- S’udian le spade tintinnar. Crucciosi
- Forte eran elli, e ciò veder dagli altri
- Poteasi ancora, e da lor spade intanto
- Turbo schiantava di faville. Eppure,
- 255 Nella distretta dell’assalto orrendo,
- Separati elli andâr. Fecer cotesto
- Quei da Verona come a lor concesse
- Ed impeto e vigor. D’Hàgene intanto
- Via si tolse Hildebrando, e corse allora
- 260 Contro a Volkero ardimentoso il forte
- E valente Wolfharto. Ei raggiugnea
- Di giga al suonator l’elmo d’un colpo,
- L’elmo suo buono, sì che della spada
- La punta ne scendea fino alle cinghie;
- 265 Ma con gran forza il menestrello ardito
- Cotesto compensò, ch’egli a Wolfharto
- Sferrò tal colpo, che scintille attorno
- Via da le maglie scaturîr. Scintille
- In copia ei fean schiantar via dagli arnesi,
- 270 Chè odio portava questo a quello. E poi
- Ambo li separò quel da Verona
- Guerrier, Wolfwino. Se costui non era
- Un valoroso, non potea cotesto
- In niun modo avvenir. Gunthèr valente
- 275 Con poderosa man quelli accogliea
- Guerrieri illustri in suol degli Amelunghi,
- E principe Gislhero e molli e rossi
- Rendea di sangue molti caschi. Fiero
- Mortale era davver, d’Hàgen fratello,
- 280 Dancwarto, e ciò che in pria ne la battaglia
- D’Ètzel fece agli eroi, leggiera cosa
- Fu come vento. Or sì ch’ei combattea,
- Ei figliuol d’Aldrïano, in guisa orrenda!
- Non Ritschardo od Helpfrico, e non
- 285 Vichardo
- E non Gerbardo, in lor battaglie molte,
- Avean lor opra ricusata, ed ora
- Di Gunthero a’ gagliardi ei fean cotesto
- Aperto e chiaro. Anche fu visto allora
- 290 Salir ferocemente alla tenzone
- Wolfprando eroe. Ma combattea l’antico
- Hildebrando così, come nell’alma
- Infurïava, e per man di Wolfharto
- Molti de’ buoni cavalieri a morte
- 295 Dovean cader nel sangue per le spade;
- Così gli eroi valenti e ardimentosi
- Vendicavan Rüedgero. Anche pugnava
- Sigestàp duce come a lui quel suo
- Valor guerriero consigliava. Oh! quanti
- 300 Buoni caschi ei fendea ne la battaglia
- A’ suoi nemici, ei figlio di Dietrico
- A una sirocchia! Non avea più mai
- Miglior opra compiuta in altri assalti.
- Ma Volkero gagliardo allor che vide
- 305 he Sigestàp ardimentoso un rio
- Scorrer di sangue dalle forti maglie
- Facea col ferro, ebbe di ciò disdegno,
- Ei prode, e tosto a lui balzò di contro.
- Ebbe allor Sigestàp la vita sua
- 310 D’un sol tratto perduta innanzi a quello
- Di giga suonator, chè incominciava
- A dargli saggio di quell’arte sua
- Di tal guisa costui, che morto innanzi
- Ei ne giacque alla spada. Ecco! vendetta,
- 315 In quella guisa che il vigor gli dava,
- Ne fe’ Hildebrando antico. Oh! il dolce mio
- Prence e signor, che morto per la destra
- Di Volkero qui sta! disse maestro
- Hildebrando. Ma lunga ora non dee
- 320 Incolume restarne il menestrello.
- E Volkero ei colpì, sì che le cinghie
- Di qua, di là, dell’aula a le pareti
- Balzare al menestrello ardimentoso,
- E scintille mandâr, via dal cimiero,
- 325 Via dalla targa. Di sua vita il termine
- Volkèr possente per tal via toccava.
- Gli uomini allora di Dietrico innanzi
- Nella mischia avventârsi. Elli colpìano
- Di cotal foggia, che lontano assai
- 330 Ivan maglie divelte, e delle spade
- Vedeansi in alto via volar le schegge.
- Caldo e scorrente rio di vivo sangue
- Ei suscitâr dalle celate. Intanto,
- Volkero estinto là vedea quel sire,
- 335 Hàgene di Tronèga, e fu cotesto
- Il più grave dolor che sì ’l toccava
- Alla festa regal fra tanti amici
- Ed uomini congiunti. Oh! di qual fiera
- Guisa del prode incominciò vendetta
- 340 Hàgene allor! Questo Hildebrando antico
- Goder non dee di tanto. E qui si giace
- L’alleato di me, cui dell’eroe
- Atterrava la mano, ei che di tanti
- Che m’acquistai, fu il sozio mio migliore!
- 345 Alto levò lo scudo e innanzi venne,
- Colpi sferrando. Helpfrico, allor, valente
- Dancwarto aggiunse d’un suo colpo. Il videro
- E Gunthero e Gislhero in la distretta
- Aspra venuto, e ciò fu a lor cagione
- 350 Di fiero duol. Ma di sue mani il prode
- Già vendicata la sua morte avea.4
- Di qua, di là Wolfharto andava, tutti
- Di re Gunthero scompigliando i forti;
- Delle fïate era la terza questa
- 355 Ch’egli la sala attraversò. Ma intanto
- Molti cadeano al suol per la sua mano
- Trafitti prodi. Gli gridava allora
- Gislhero prence: Oh! qual toccammo noi
- Fiero nemico! O cavaliero illustre
- 360 E ardimentoso, a me suvvia volgete.
- Darvi aita vogl’io la gran faccenda
- A definir, nè più lung’ora puote
- La faccenda tardar. — Si volse allora
- A Gislhero Wolfharto entro la pugna,
- 365 E ciascun d’essi ampie ferite assai
- Venne attorno assestando. Incontro al sire
- Con tanta forza sobbalzò Wolfharto,
- Che di sotto dai piè sino alla fronte
- Gli spruzzò il sangue de’ caduti. E il figlio
- 370 D’Ute leggiadra con tremendi e fieri
- Colpi Wolfharto ricevè, l’eroe
- Ardimentoso. Ben che forte il prode,
- No! scampar non potè, nè mai più fiero
- Principe garzoncello esser potea.
- 375 Wolfharto egli piagò per quella sua
- Buona corazza, sì che dalla piaga
- Caldo il sangue colò. L’uom di Dietrico
- Piagava a morte, e niuno avrìa cotesto
- Fatto davver, se un forte egli non era.
- 380 Come toccò Wolfharto ardimentoso
- La ferita mortal, lasciò lo scudo
- Cader d’un tratto e in alto con le mani
- Levò un’arma possente. Era quell’arma
- Acuta assai. Con quella egli ferìa
- 385 Pel casco e per l’usbergo il pro’ Gislhero.
- Ambo così data s’avean crudele
- Morte l’un l’altro, e non a lungo visse
- L’uom di Dietrico. Là il vedea cadere
- Quell’antico Hildebrando, ed io mi penso
- 390 Che anzi sua morte egli non vide mai
- Tanto dolore. E morti erano ornai
- E di Dietrico e di Gunthero gli uomini,
- E Hildebrando era accorso ove caduto
- Era Wolfharto giù nel sangue. Strinse
- 395 Ei fra le braccia sue quel buon guerriero
- Ardimentoso. Egli volea con seco
- Da quella casa via menarlo, e troppo
- Eragli grave il pondo, e sì dovette
- Lasciarlo ivi a giacer. Dal sangue5 allora
- 400 A lui guardava l’uom morente. Ei vide
- Che volentieri gli avrìa data aita
- Di sua madre il fratel. Diceva intanto
- Egli, a morte piagato: O dolce zio,
- In quest’ora di nulla a me v’è dato
- 405 Porgere aita. D’Hàgene piuttosto
- Vi riguardate; e ciò mi sembra invero
- Miglior consiglio. Ei reca nel suo core
- Un’anima feroce. E se qualcuno
- Mi piangerà dopo la morte mia
- 410 Fra’ miei congiunti, voi di me direte
- Al più vicino ed al miglior che piangere
- Ei non dènno per me. Non è di tanto
- Necessità. Gloriosamente estinto
- Io giaccio qui d’un principe per mano.
- 415 Ma di mia vita, qui, compiuta ho innanzi
- Ogni vendetta, e donne di gagliardi
- Cavalieri fien tratte a lagrimare.
- Che se alcun vi dimanda, e voi d’un tratto
- Sì rispondete che giacciono al suolo
- 420 Cento guerrieri per mia man soltanto.
- Ed Hàgene pensava al menestrello
- Cui la vita rapìa l’ardimentoso
- Hildebrando. Il mio duol, gridava al prode,
- Sì pagherete voi! Molti e gagliardi
- 425 Guerrieri già di qui rapiste a noi.
- E di tal colpo l’arrivò, che chiaro
- Altri intese da lungi il tintinnio
- Di Balmunga, cui tolse Hàgene ardito
- A Sifrido, nel dì ch’egli l’eroe
- 430 Colpì di morte. E difendeasi quello
- Guerriero antico, ed era egli d’assai
- Destro e avveduto. Un ferro ampio vibrava,
- Tagliente assai, di Dietrico il guerriero
- Di contro al sire di Tronèga; eppure,
- 435 L’uom di Gunthero ei non potè ferirne,
- Ed Hàgene frattanto d’una piaga
- Per l’arnese il toccò. Ratto che il vecchio
- Hildebrando toccava esta ferita,
- D’Hàgene dalla man danno maggiore
- 440 Egli temette. Dietro dalla schiena
- L’uom di Dietrico si gittò lo scudo,
- E ad Hàgene sfuggì con le sue forti
- Piaghe quel prode. E, omai, niuno era in vita
- Di tanti eroi, Gunthero ed Hàgen tolti,
- 445 Soli esti due. Andavano l’antico
- Hildebrando, e di sangue era egli molle,
- E la trista novella iva recando
- Là ’ve prence Dietrico ei rinvenìa.
- Com’egli vide assidersi costui
- 450 Cruccioso e mesto, gran dolor n’avea
- Il nobil prence. Hildebrando ei vedea
- Rosso di sangue per l’usbergo ancora,
- E sì ne chiese le novelle, come
- Gl’ingiugnea la sua cura. Orsù, mi dite,
- 455 Hildebrando maestro, in questa guisa
- Perchè di sangue di piaga mortale
- Molle voi sête? E chi vi fe’ cotesto?
- Penso che abbiate voi, là dal palagio,
- Con gli ospiti pugnato. Io sì vi fêi
- 460 Di ciò forte divieto, e con giustizia
- Evitato l’assalto avreste voi.
- Ei rispose al suo prence: Hàgen
- fe’ questo.
- Queste ferite ei m’assestò nel tempo,
- 465 Là nella sala, ch’io volea da quelli
- Eroi ritrarmi a dietro. Io con gran stento
- La vita mia dal diavolo scampai.
- A buon dritto ciò accadde, il veronese
- Prence rispose (ed agli eroi m’udiste
- 470 Amicizia affermar), perchè la tregua
- Ch’io lor concessi, vïolaste voi.
- Che s’io vergogna non ne avessi eterna,6
- Perder la vita ne dovreste. — Oh! voi
- Non di soverchio vi crucciate, o mio
- 475 Prence Dietrico! Troppo grave il danno
- Degli amici e di me! Volemmo noi
- Via portarne Rüedgero, e ciò non vollero
- Di re Gunthero gli uomini concedere.
- Oh! mio grave dolor! Rüedgero estinto!
- 480 D’ogni sventura mia questa mi dee
- Esser doglia maggiore! Alla sirocchia
- Del padre mio figliuola è quella nobile
- Gotelinde. Oh! que’ miseri orfanelli
- Che or sono in Bechelara! — Aspro cordoglio
- 485 Quella morte recavagli ed ambascia,
- Ed egli a lagrimarne incominciava,
- Che di cotesto a lui, nobile eroe,
- Necessità sorvenne: Oh! la fedele
- Aita ch’io perdei! Scordar l’angoscia
- 490 Mai non potrò dell’uom d’Ètzel devoto!
- E che? potreste voi, mastro Hildebrando,
- Verace dir l’annunzio, e chi mai sia
- Il guerrier che l’eroe morto atterrava?
- Gernòt gagliardo, ei rispondea, ciò fece
- 495 Di forza, ma egli pur, l’eroe valente,
- Giacquesi estinto di Rüedger per mano.
- Disse Dietrico ad Hildebrando allora:
- Dite agli uomini miei che s’armin tosto,
- Chè andarne io vo’ colà. Che mi si apporti
- 500 Anche ingiungete il fulgido mio arnese
- Di guerra, ch’io medesmo i valorosi
- Vo’ interrogar della burgundia terra.
- E maestro Hildebrando: E chi con voi,
- Disse, venir dovrà? Chi vivo ancora
- 505 De’ vostri avete, qui appo voi si tiene;
- Ed io son solo ed ultimo, chè gli altri
- Tutti son morti. — Alla crudel novella
- Costernato ei restò. Sventura il tocca
- Verace, chè quaggiù doglia sì grave
- 510 Ei non ebbe più mai. Se morti sono,
- Disse, tutti i miei forti, Iddio signore
- Me, Dietrico infelice, ecco, scordava!
- Ed io fui prence illustre e assai potente
- E ricco ancora. — Oh! come adunque, disse
- 515 Ancor Dietrico, ciò avvenir potea
- Che tutti, per la man di stanca gente
- Che alta sventura già opprimea, caduti
- Sian morti esti guerrier degni di lode?
- Se non accadde per l’avversa mia
- 520 Stella cotesto, era in ciascun la morte
- Strana cosa davver.7 Ma poiché a lungo
- Mancar non mi potea la rea fortuna,
- Ditemi voi qual mai degli stranieri
- Anche incolume sta. — Sa Iddio cotesto!
- 525 Mastro disse Hildebrando; e nessun vive,
- Fuor che Hàgen e Gunthèr principe illustre.
- Ahimè! Wolfharto mio diletto, ed io
- Perdere ti dovea. Davver! che duolmi
- Ch’io sia mai nato! E Sigestàp? ancora
- 530 E Wolfwino e Wolfprando? Oh! chi soccorso
- Darammi a ritornar degli Amelunghi
- Di qui alla terra? Helpfrico, ardito assai,
- Anch’ei forse m’è ucciso? Anche Vichardo,
- Anche Gerbardo? e piangere cotesti
- 535 Di qual guisa degg’io? Questo è l’estremo
- Dì d’ogni mio contento? Ahimè! che alcuno
- Morir non puote per dolor che il prenda!
- ↑ Quand’egli si ricusò a Kriemhilde di combattere con loro.
- ↑ Rüedgero.
- ↑ Cioè la soddisfazione di vedere che io ho paura.
- ↑ Dancwarto prima di morire aveva fatto alcuni colpi tremendi.
- ↑ Dal sangue nel quale giaceva.
- ↑ Hildebrando era stato maestro di Dietrico.
- ↑ Non dovevano morire.
- Note
- Avventura Trentanovesima
- In che modo Gunthero e Hagene e Kriemhilde furono uccisi
- Allora ei stesso, principe Dietrico,
- Tolse l’usbergo suo. Mastro Hildebrando
- Per ch’ei s’armasse l’aiutò. Piangea
- Di tanta forza l’uom gagliardo e prode,
- 5 Che di sua voce incominciò d’attorno
- La casa a risuonar. Ma poi la sua
- Alma da eroe riprese ancora. Egli era,
- Il buon guerriero, in suo disdegno armato,
- E un forte scudo in pugno avea. Ne andavano
- 10 Ambo di là rapidamente allora,
- Egli e mastro Hildebrando. Hàgene disse,
- Quei da Tronèga: Vedo là venirne
- Sire Dietrico! Ed egli, dopo tante
- Forti sventure che qui gli hanno incolto,
- 15 Contrastar con noi vuole. Oggi la gente
- Chi dir dovrà il miglior, vedrà davvero.
- Che se costui ch’è da Verona, prence
- Dietrico, sè medesmo anche non puote
- Non creder così forte e sì tremendo.
- 20 Ed egli vuol, per ciò che gli si fece
- (Hàgen così dicea), pigliar vendetta,
- Io cor verace avrò di stargli a fronte.
- E Dietrico e Hildebrando este parole
- Udìano intanto. E quegli venne1 dove
- 25 Ambo starsi trovò que’ due guerrieri2
- Fuor dalla casa, alla parete quivi
- Appoggiati dell’aula. Ivi depose
- Prence Dietrico la sua targa buona
- E con affanno di dolor fe’ un detto:
- 30 Gunthèr, possente re, che feste voi
- A me tapino? A voi che feci io mai?
- D’ogni conforto mio qui derelitto
- Ecco ch’io resto! E nella gran sventura
- Non vi sembrò pienezza, allor che a noi
- 35 Feriste a morte principe Rüedgero,
- Se ora tolti m’avete i prodi miei
- Tutti d’un tratto. No davver! che a voi,
- Prenci ed eroi, non feci io tal rancura!
- Ora pensate a voi medesmi e al vostro
- 40 Cruccio, pensate se de’ vostri amici
- L’acerbo fato e la fatica vostra
- Non aggravan di nulla a voi, valenti
- Guerrieri, il core. Oh! in qual mai cruda
- guisa
- 45 Morto Rüedgero voi mi feste! In terra
- Mai non avvenne ad uom dolor più grave,
- Nè al mio, nè al vostro duol pensaste voi.
- Ed or per voi qui giace estinta quella
- Parte ch’ebbi di gioia, e non poss’io
- 50 Li miei congiunti degnamente piangere.
- Hàgene disse: Non di tanto noi
- Colpevoli ne siamo. A questa sala
- Vennero i prodi vostri, ed eran elli
- Armati assai, con un drappello ampio.
- 55 Penso che detta a voi conforme al vero
- La novella non fu. — Quale degg’io
- Credere adunque? Dissemi Hildebrando
- Che, come dimandâr li prodi miei
- Del suol degli Amelunghi perchè voi
- 60 Fuor dall’aula rendeste a lor Rüedgero,
- Nulla dall’alto a’ valorosi offriste
- Fuor che scherno e vergogna. — Il re
- del Reno
- Così parlò: Volere elli diceano
- 65 Portar di qui Rüedgero. Ed io fêi cenno
- Che ciò, d’Ètzel per doglia e per rancura.
- Non per gli uomini tuoi, si ricusasse,
- Fin che di questo incominciò Wolfharto
- A farne ingiuria. — E di Verona il sire
- 70 Così rispose: E puote esser cotesto!
- Ma tu, Gunthero, nobil re, per quella
- Tua cortesia, compensami de’ mali
- Che per te m’incogliean, fanne tu ammenda,
- Prestante cavalier, per ch’io ti possa
- 75 Tutto cotesto perdonar! Ti rendi,
- Renditi a me in ostaggio, e teco rendansi
- Gli uomini tuoi. Proteggitor per quanto
- Meglio poss’io, sì ti sarò, che nulla
- Altri a te faccia presso a gli Unni; e tu
- 80 Nulla in me troverai, fuor che leale
- Fede e bontà. — Non voglia Iddio dal cielo,
- Hàgene disse, che due eroi si rendano
- A te così, quali a te innanzi stanno
- In lor difesa armati e scendon liberi
- 85 Di questa guisa contro a’ lor nemici.
- Niegar cotesto non potete voi,
- Gunthero ed Hàgen, rispondea Dietrico.
- Ambo voi due sì gran dolor mi feste
- E nell’alma e nel cor, che ove l’ammenda
- 90 Far ne voleste a me, fareste voi
- Cosa giusta d’assai. La fede mia
- Offro e la mano mia secura e salda
- Ch’io cavalcando ascenderò con voi
- Alle vostre contrade, al vostro tetto.
- 95 Con onor condurrovvi, o estinto anch’io
- Giacerò. Sì vogl’io scordar per voi
- Ogni sventura mia più dura e grave.
- Ora, non tanto disïar vi piaccia,
- Hàgene disse. Nè s’addice invero
- 100 Che altri narri di noi che vi si arresero
- Due prodi tanto ardimentosi. E niuno
- Starsi appo voi si vede, ove sol togli
- Hildebrando. — Sa Iddio, Hàgene sire,
- Mastro Hildebrando disse; ove qualcuno
- 105 Pace v’offre ad aver, giungesi a tempo
- Che accoglierla potreste. E del mio prence
- Far potreste anche voi che vi piacesse
- L’offerta pace. — Quest’ammenda, disse
- Hàgene allora, sì davver che accolgo
- 110 Pria che da l’aula sì vilmente io fugga
- Sì come feste voi, mastro Hildebrando.
- Io mi credea che innanzi da’ nemici
- Meglio resister voi sapeste. — E a lui
- Hildebrando rispose: A che di tanto
- 115 Mi fate voi rimprovero? E chi mai
- Era colui che innanzi a Waskensteine
- Su la targa sedea, quando gli uccise
- Tanti amici Walthero?3 Oh! voi medesmo
- Assai cose a mostrar davver che avete!
- 120 Prence Dietrico disse allor: Cotesto
- Non s’addice ad eroi che piatir deggiano
- Sì come annose donne; ed io di tanto,
- Hildebrando, perchè più dir vogliate,
- Vi fo divieto. Grave assai m’opprime,
- 125 Infelice, l’ambascia. — Hàgene eroe,
- Soggiunse poi, fatemi udir che mai
- Ambo qui dicevate, cavalieri
- Gentili, voi, come vedeste ch’io
- Armato m’avanzai. Diceste allora
- 130 Soltanto voi che innanzi a me vorreste
- Nella pugna restar. — Nessuno, disse
- Hàgene eroe, vi può mentir cotesto,
- Ed io ne vo’ con poderosi colpi
- Tentar la prova, se di Nibelungo
- 135 Non mi si rompe il ferro. Ecco! disdegno
- Mi vien, perchè altri voglia noi captivi!
- Come Dietrico l’animo feroce
- D’Hàgene intese, rapido la targa
- Levò in alto, ei guerrier nobile e ardito.
- 140 Con qual impeto allor giù da’ gradini
- Hàgene a lui balzò di contro! Forte
- Di Nibelungo risuonò la spada
- Sulla persona di Dietrico, ed ei
- Ben sapea che dell’uomo ardimentoso
- 145 L’alma feroce era d’assai. Que’ colpi
- Tremendi incominciò l’uom da Verona
- A pararne, chè molta esperienza
- D’Hàgene avea, guerrier perfetto e grande.
- Anche temeva ei di Balmunga, un’arma
- 150 Forte d’assai, ma con arte frattanto
- Ne ribattea Dietrico i colpi, e alfine
- Hàgene nell’assalto ei superava;
- Una ferita gli assestò, che vasta
- Era e profonda. Pensò allor Dietrico:
- 155 Tu vigor perdi in la distretta omai,
- E poco onor m’avrei se tu dovessi
- Morto giacere innanzi a me. Deh! ch’io
- Tentar vo’ se domarlo sì m’è dato
- Per ch’ei mi sia captivo. — E ciò per lui
- 160 Si fe’ con arte e cura. Egli lo scudo
- Lasciò cader; sua forza era ben grande.
- Sì ch’ei cingea delle sue braccia quello
- Hàgene da Tronèga. Or fu per esso
- Vinto l’uom tracotante, e fe’ principio
- 165 A dolersi per lui Gunthero illustre.
- Dietrico allor Hàgene avvinse. Il trasse
- Là ’v’ei trovò la nobile regina
- E abbandonolle in potestà colui,
- Il più superbo cavalier che mai
- 170 Spada portasse. Dopo tante e forti
- Angoscie, ella d’assai ne fu gioiosa.
- D’Ètzel la donna, per piacer ch’ell'ebbe.
- Dinanzi al cavalier della persona
- Piegossi e disse: Eternamente sii
- 175 D’alma e di corpo tu felice! Tutti
- Li miei dolori compensasti assai,
- Ed io per sempre, ove morte non tolga,
- Devota a te sarò. — Deh! che v’è d’uopo
- Incolume lasciarlo, a lei rispose
- 180 Prence Dietrico, o nobile regina.
- Anche avvenir potrìa ch’ei bene assai
- Di ciò che fece a voi, vi ricompensi,
- Ed egli intanto, perchè starsi in ceppi
- Il vedete voi qui, soffrir non debbe.
- 185 Al suo carcere allor fe’ la regina
- Hàgene addurre là ’v’ei giacque chiuso,
- Là ’ve nessuno il vide. E incominciava
- Gunthero intanto, il nobile signore,
- Alto a gridar: Dove n’andava il prence
- 190 Di Verona? Ei m’ha fatto aspro dolore!
- Corsegli incontro allor sire Dietrico.
- Degno di lode assai era il valore
- Di re Gunthero, ed ei non s’indugiava
- Più a lungo, ma dall’aula uscìa correndo
- 195 D’un balzo a lui. D’ambe le spade allora
- Gran fragor si levò. Per quanto illustre
- In armi fosse principe Dietrico,
- Troppo cruccioso e vinto era Gunthero
- Da selvaggio furor, poi che nemico
- 200 Erasi fatto a quello omai di core
- Per l’aspro duol toccato; e si dicea
- Ch’era prodigio se Dietrico a lui
- Incolume scampò. Grande il valore,
- Grande la forza di cotesti assai,
- 205 E risonava di lor colpi intorno
- Con sue torri il palagio, allor che sopra
- Agli elmi buoni ei si battean coi brandi.
- Avea sire Gunthero anima fiera.
- Ma il vinse poi, come d’Hàgene in pria
- 210 Accadde ancor, quel da Verona. Il sangue
- Per le maglie all’eroe scorrer fu visto
- Sotto alla spada che recava acuta
- Prence Dietrico. Pur s’avea difeso,
- Dopo tanta stanchezza, in guisa assai
- 215 Degna di lode, re Gunthero. Il sire
- Fu dalla mano di Dietrico avvinto
- Di foggia tal, che regi mai ritorte
- Non soffron pari; e quei pensava intanto
- Che ove disciolto con l’uom suo fidato4
- 220 Lasciato avesse il re, tutti là innanzi
- Dovean morti giacer quanti incontravano.
- Lui dunque di sue mani si prendea
- Dietrico da Verona, e sì l’addusse
- Avvinto là ’ve ancor trovò Kriemhilde.
- 225 Dopo l’angoscia sua, così cacciata
- Iva da lei sua cura, ed ella disse;
- Voi benvenuto, o dal burgundio suolo
- Gunthero! — E quei rispose: A voi degg’io
- Chinar la fronte, o nobil mia sorella,
- 230 Se con favor sincero esser mai puote
- Il vostro salutar. Ma so, regina,
- Che crucciata voi sête, e poco assai
- Ad Hàgen fa ed a me vostro saluto.
- Donna d’inclito re, disse quel prence
- 235 Ch’è da Verona, mai non fu captivo
- Illustre cavalier quanto costui
- Che a voi qui affido, nobile signora.
- V’è d’uopo intanto questi due tapini
- Bene accôrre per me. — Disse colei
- 240 Che volentieri fatto avrìa cotesto,
- E con occhi piangenti andava intanto
- Lungi da questi eroi degni di laude
- Prence Dietrico. Vendicossi poi
- D’orribil guisa d’Ètzel re la donna,
- 245 Ch’ella ad ambo gli eroi, fior d’ogni prode,
- Tolse la vita. Ella fe’ che diviso,
- Per lor carcere, l’un dall’altro fosse,
- Perchè nessun vedesse l’altro intanto,
- Fin che d’Hàgene poi nella presenza
- 250 Del fratel suo portò la testa.5 Piena
- Sovr’ambedue fu sua vendetta allora!
- Là ’v’Hàgene trovò, sen venne quella
- Donna regal. Con qual nemico accento
- Ella al prode parlò! Se ciò che tolto
- 255 Avete a me, ridar volete,6 forse
- Vivo potrete anche tornarvi a casa
- Appo i Burgundi. — E il fiero Hàgen rispose:
- Nobil regina, vana e stolta è questa
- Parola omai. Giurai che in tutto il tempo!
- 260 Che vivrà alcuno de’ signori miei,
- Non mostrerò il tesor, per ch’io noi deggia
- Dare ad alcuno mai. — Cotesto a fine
- Io porterò, disse la nobil donna.
- E tosto indisse che al fratello suo
- 265 Tolta fosse la vita. A lui fu il capo
- Reciso, ed ella per il crin quel capo
- Recò dinanzi di Tronèga al sire.
- Grave dolor gli fu cotesto, ed ei,
- Già corruccioso, come vide il capo
- 270 Del suo prence e signor, così a Kriemhilde,
- L’uom prode, favellò: Tu la faccenda
- Compisti ornai conforme al voler tuo,
- E tutto veramente in quella guisa
- Andò ch’io mi pensava. Or, de’ Burgundi,
- 275 È morto il nobil re, morto è Gislhero
- Giovinetto, e Gernòt anche. Il tesoro
- Niun conosce ove sta, fuori di Dio,
- Fuori di me. Donna d’inferno, ei dee
- Eternamente a te restar celato.
- 280 E quella disse: Male assai mi feste
- Ammenda voi. Pur, di Sifrido il brando
- Serbar mi vo’. Lo sposo mio diletto
- Questo recava nell’estremo istante
- Ch’io lo vidi, e da esso al cor mi venne,
- 285 Per colpa vostra, acerbo duol. — Traea
- Dalla guaina quella spada intanto,
- Nè quei potè impedirla.7 E già pensava
- Di tôr con quella al principe la vita,
- Per ch’ella in alto di sua man levolla
- 290 E il capo gli troncò. Vedea cotesto
- Ètzel monarca, e ciò gli fu dolore.
- Sventura! disse il re. Di qual mai foggia
- Morto si giacque per mano di donna
- D’ogni gagliardo il fior, qual mai recasse
- 295 Scudo e scendesse a contrastar! Per quanto
- Nemico gli foss’io, ciò m’è dolore
- Grave d’assai. — Ma goderne costei
- No! non dovrà, disse Hildebrando antico,
- Perch’ella osò ferir! Qualunque sia
- 300 Mal che m’incolse, anche se al passo
- estremo
- Costui mi trasse, vendicar la morte
- Vogl’io del prode di Tronèga. — Allora,
- Contro a Kriemhilde si balzò in furore
- 305 Hildebrando, e di spada con un fiero
- Colpo raggiunse la regina. A lei
- Male arrecò il terror per Hildebrando;
- Ma che potea, se alti ne fe’ lamenti,
- Recarle aita? Là distese intanto
- 310 Tutte di tali già devoti a morte
- Le spoglie sono, e quella nobil donna
- Giace, squarciata la persona. A piangere
- Incominciâr Dietrico ed Ètzel; tutti
- I lor congiunti e i prodi elli piangeano
- 315 Dal profondo del cor. Così cadea
- Spento l’onor già grande, e pianto e duolo
- Avean le genti tutte, e la regale
- Festa nel pianto si finìa, chè suole
- Amicizia fruttar doglia alla fine.
- 320 Anche dirvi non so, dopo cotesto,
- Che avvenne là. Sol vi dirò che donne
- E cavalieri piangere fûr visti,
- Nobili paggi ancor, dei cari amici
- L’acerbo fato. E qui ha fine il racconto;
- 325 Questa dei Nibelunghi è la rovina.
- ↑ Dietrico.
- ↑ Hagene e Gunthero, i soli superstiti dei Borgognoni.
- ↑ Quando Walther di Spagna combatteva coi Burgundi e uccideva tanti amici di Hagen, costui stava a guardare inerte, perchè Walther gli era amico. Cfr. Waltharius manu fortis, poema composto nel 920 da Eckehardo, abate di San Gallo. Walther fu ostaggio con Hagen presso Ètzel e fuggì con la bella Hildegonda. V. Avventura diciottesima (in fine) di questo poema dei Nibelunghi.
- ↑ Hagene.
- ↑ Si riferisce a ciò che si sta per narrare.
- ↑ Il tesoro dei Nibelunghi.
- ↑ Hagen portava (vedi sopra) la spada di Sifrido. Essendo ferito, non potè impedire che Kriemhilde gliela togliesse.
- Note
- INDICE
- * * *
- Volume Primo
- Introduzione
- Avventura prima. — Kriemhilde
- Avventura seconda. — Sifrido
- Avventura terza. — In qual modo Sifrido andò a Worms
- Avventura quarta. — In che modo Sifrido combattè coi Sassoni
- Avventura quinta. — In che modo Sifrido vide Kriemhilde
- Avventura sesta. — In che modo Gunthero andò in Islanda per Brünhilde
- Avventura settima. — In che modo Gunthero vinse Brünhilde
- Avventura ottava. — In che modo Sifrido si recò presso i Nibelunghi
- Avventura nona. — In che modo Sifrido fu mandato a Worms
- Avventura decima. — In che modo Brünhilde fu ricevuta a Worms
- Avventura undecima. — In che modo Sifrido ritornò con la sua sposa
- Avventura dodicesima. — In che modo Gunthero invitò Sifrido alla festa
- Avventura tredicesima. — In che modo andarono alla festa
- Avventura quattordicesima. — In che modo le regine fecero contesa
- Avventura quindicesima. — In che modo Sifrido fu tradito
- Avventura sedicesima. — In che modo Sifrido fu ucciso
- Avventura diciassettesima. — In che modo Kriemhilde pianse il suo sposo e come egli fu sepolto
- Avventura diciottesima. — In che modo Sigemundo ritornò al suo paese
- Avventura diciannovesima. — In che modo il tesoro dei Nibelunghi fu trasportato a Worms
- Volume Secondo
- Avventura ventesima. — In che modo re Etzel mandò in Borgogna per Kriemhilde
- Avventura ventunesima. — In che modo Kriemhilde si recò fra gli Unni
- Avventura ventiduesima. — In che modo Etzel impalmò Kriemhilde
- Avventura ventitreesima. — In che modo Kriemhilde pensò di vendicare il suo dolore
- Avventura ventiquattresima. — In che modo Wärbel e Swämmel eseguirono il messaggio
- Avventura venticinquesima. — In qual modo i principi tutti andarono presso gli Unni
- Avventura ventiseesima. — In che modo Gelpfrat fu ucciso da Dancwarto
- Avventura ventisettesima. — In che modo essi giunsero a Bechelara
- Avventura ventottesima. — In che modo i Burgundi giunsero al castello di Etzel
- Avventura ventinovesima. — In che modo Hagene non si levò in piedi dinanzi alla regina
- Avventura trentesima. — In che modo fecero la guardia
- Avventura trentunesima. — In che modo andarono alla chiesa
- Avventura trentaduesima. — In che modo Bloedelino fu ucciso
- Avventura trentatreesima. — In che modo quei di Borgogna combatterono con gli Unni
- Avventura trentaquattresima. — In che modo gittaron fuori i morti
- Avventura trentacinquesima. — In che modo Iringo fu ucciso
- Avventura trentaseesima. — In che modo la regina fece incendiar la sala
- Avventura trentasettesima. — In che modo fu ucciso Rüedgero Margravio
- Avventura trentottesima. — In che modo furono trucidati tutti i guerrieri di principe Dietrico
- Avventura trentanovesima. — In che modo Gunthero e Hagene e Kriemhilde furono uccisi
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