- La caccia di Diana
- Giovanni Boccaccio
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- LA CACCIA
- DI DIANA
- POEMETTO
- DI
- GIOVANNI BOCCACCIO
- ORA PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATO PER
- CURA DI I. MOUTIER
- FIRENZE
- NELLA STAMPERIA MAGHERI
- 1832
- Indice
- Prefazione
- Canto I
- Canto II
- Canto III
- Canto IV
- Canto V
- Canto VI
- Canto VII
- Canto VIII
- Canto IX
- Canto X
- Canto XI
- Canto XII
- Canto XIII
- Canto XIV
- Canto XV
- Canto XVI
- Canto XVII
- Canto XVIII
- Chiunque abbia pratica della lingua, delle frasi e della poesia del Boccaccio, inclinerà facilmente a credere opera sua il presente Poemetto intitolato la Caccia di Diana, che ora fo di pubblica ragione, togliendolo dall’oblio e dall’oscurità in cui giaceva da più secoli nei manoscritti. Il Poccianti e il Negri nei loro cataloghi degli Scrittori fiorentini fanno menzione di quest’opera attribuendola al Certaldese, ma non ho mai potuto trovare che sia stata da altri pubblicata; e quand’anche si trovasse che fosse stata data alla luce sotto diversa denominazione, nessuno certamente vorrà negarmi il merito d’essere io stato il primo a pubblicarla fregiata del nome del suo vero autore.
- In tutti i codici da me veduti, questo poemetto non porta altro titolo che Caccia di Diana, o non ne ha nessuno; ma l’averlo il Poccianti attribuito al Boccaccio è prova che egli deve averlo incontrato in qualche codice col nome dell’autore: dietro il Poccianti, il Negri, e il Mazzuchelli nella sua grand’opera, annoverarono la Caccia di Diana fra le opere del Boccaccio. Queste notizie non erano che di poca autorità per indurmi alla credenza dei precitati scrittori, ma volli convincermene con un accurato esame del poemetto stesso, di cui per buona ventura diverse copie ne trovai esistere nelle nostre doviziosissime patrie biblioteche. Le mie ricerche non mi fornirono, è vero, nessuna prova autentica e di fatto intorno al nome dell’autore della Caccia di Diana, ma da replicato studio e diligente sopra questo poemetto ne riportai la convinzione sincerissima che il suo autore fosse quello stesso che dettò l’Amorosa Visione. Lo stile, il verso, il fraseggiare, la scelta delle voci, tutta insomma la tessitura della Caccia di Diana parmi essere identica coll’Amorosa Visione; e non è da omettersi che nei codici si trova spesso l’Amorosa Visione precedere la Caccia di Diana.
- La natura e il contenuto del poemetto consolidano vie maggiormente la mia opinione. Ognun sa in quanta stima fosse tenuto il Boccaccio alla corte della regina Giovanna di Napoli, e tutti conoscono i suoi amori con l’amorosa Fiammetta, che vien supposta fondatamente essere stata Maria figliuola naturale del re Roberto. In questo poemetto vengono introdotte cinquantotto donne appartenenti a primarie nobilissime famiglie del Regno, che tutte vengono nominate, ma soltanto si tace il nome di una sola, che qualifica il poeta col nome di Bella Donna. In lode di questa, che credo doversi interpetrare per la sua Fiammetta, consacra quasi tutto il Canto XVIII, che è l’ultimo del poema, e dopo una lunga serie di lodi passionatissime, aggiunge di voler por fine al dire, riserbandosi di più parlar di lei in parte degna di maggior lode. Da ciò può supporsi, che questa operetta fosse un ossequioso omaggio che la musa del Boccaccio offriva alle nobili e belle donne della corte della regina Giovanna, fra le quali doveva primeggiare la sua Fiammetta, a cui lode consacrò quasi tutte le opere sue.
- Quattro sono i codici dei quali mi son giovato per la pubblicazione del presente poemetto; tre di questi si conservano nella libreria Riccardiana sotto i numeri 1059. 1060. 1066. e uno nella Biblioteca Laurenziana Pluteo 90 superiore, Codice 93. Benchè opera di piccola mole, pure confesso di avervi dovuto dedicare assai più di tempo e di studio che si possa generalmente supporre, nè so qual merito s’aspetti all’opera mia. Il convincimento però di avere arricchita l’italiana letteratura di un’opera sconosciuta del gran prosatore, e degna di essere giustamente a lui attribuita, m’è di conforto alle fatiche che da lungo tempo sopporto per tentare l’emendazione delle opere volgari del Certaldese.
- Nel tempo adorno che l’erbette nove
- Rivestono ogni prato e l’aere chiaro
- Ride per la dolcezza che ’l ciel muove;
- Sol pensando mi stava che riparo
- Potessi fare a’ colpi che forando 5
- Mi gian d’amore il cuor con dolo amaro:
- Quando mi parve udir venir chiamando
- Un spirito gentil volando forte,
- Donne leggiadre, in voce alto gridando,
- Venite omai, venite alla gran corte 10
- Dell’alta dea Dïana, che elette
- V’ha in Partenopè per sue consorte.
- E poi ch’egli ebbe tre fïate dette
- Queste parole, senza più voltare,
- Ad una ad una chiamando le stette: 15
- E se non m’ingannò il vero ascoltare
- Che far mi parve, Zizzola Barile
- La prima fu ch’io gli senti’ chiamare;
- Poi Ciancia l’altra, nobile e gentile,
- Cecca Buzzuta, e poi Principessella 20
- Caracciola, e Letizïa Mormile.
- De’ Catoli Berarda con Linella,
- Beritola Caraffa, e in compagnia
- Degli Strignani Mignana e Isabella,
- E Isolda di Giaquinto, e Lucia 25
- Porria, e Berita e Caterina
- De’ Brancacci e de’ Melii Maria.
- E seguitò, Caterina Pipina,
- E Sobilia Capece; e chiamò fuore
- Curiali bella, di colei vicina. 30
- Verdella di Berardo e Biancifiore
- De Caffettini e Ceccola Mazzone,
- Ed Alessandra donna con valore.
- Caterina di Iacopo Roncione
- Chiamò, e Caterina Caradente, 35
- Poi la Crespana seguì nel sermone.
- E de’ Bolin Caterina piacente,
- E Caterina di Ser Pando, e poi
- Caterina Afellapan similmente.
- Giovannola de’ Coppoli anche poi 40
- Si chiamò, e la Lucciola dop’essa;
- E fiore Canovara ne’ dir suoi
- Chiamò appresso, e oltre con lor messa
- De’ Gambatelli Vannella fu ancora,
- Come intesi nella voce espressa. 45
- Ma quella donna cui Amore onora
- Più ch’altra per la sua somma virtute,
- Che tutte l’altre accresce ed invigora,
- Fu l’ultima chiamata, e per salute
- Dell’altre, quasi com’una guardiana, 50
- Avanti gío per guardarle tute;
- E ’n compagnia del messo di Dïana,
- Che più non ne chiamò (nè nomo lei,
- Perch’a suo nome laude più sovrana
- Si converria, che dir qui non potrei) 55
- Sen gì in parte ov’io le seguitai,
- Con l’altre insieme, infin ch’io discernei
- Ciò ch’elle fer come appresso udirai.
- In una valle non molto spaziosa,
- Di quattro montagnette circuita,
- Di verdi erbette e di fiori copiosa,
- Nel mezzo della qual così fiorita,
- Una fontana chiara, bella e grande,5
- Abbondevole d’acqua, v’era sita;
- E l’acqua che superflua si spande,
- Un rivo fa che tutte l’erbe bagna,
- Poi n’esce fuor da una delle bande.
- D’albori è piena ciascuna montagna,10
- Di frondi folte sì ch’appena il sole
- Tra esse può passar nella campagna.
- Diversi uccelli cantan lor carole
- Sopr’essi, e quivi un’aura sottile
- Move le frondi, come mover suole15
- Nel tempo estivo zefiro gentile,
- Quando il calor diurno più non sale,
- Ma quando fa, calato, l’aere umile.
- Capri, lupi, ed ogni altro animale,
- Orsi e leon si trovano in quel loco, 20
- E qualunque altro che più o men vale.
- Quivi Dïana, che ’l tepido foco
- Ne’ casti petti tien, ricolse quelle
- Che invitate furono al suo gioco.
- Poi comandò che esse entrasser nelle 25
- Chiarissime onde e de’ freschi liquori
- Lavando sè, si rifacesser belle.
- E poi, come a lei piacque, uscite fuori,
- Si rivestiron di purpurea veste,
- Inghirlandate d’ulivo e di fiori. 30
- Dïana quattro parti fe’ di queste,
- Ed alla bella Donna disse: andrai
- Sopra ’l monte a meriggio con coteste;
- E tu Isabella al ponente sarai,
- E Fiore a tramontana, e alla caccia 35
- Ciascuna pensi di valere assai.
- E dati cani e forti reti d’accia,
- Girfalchi, astori, ed archi con saette,
- E spiedi aguti ch’e’ cinghiari impaccia;
- Quelle che ella avea per sè elette, 40
- Cioè Cecca Buzzuta e Caterina
- Afellapan, colle quali seguette
- Insieme Biancifiore Caffettina,
- Crespana, e Caterina Caradente,
- E quella di Ser Pando, e la Pipina, 45
- E Mariella Melia similmente,
- Sopra ’l più picciol monte se n’andaro,
- Ch’era disteso verso l’orïente.
- Quivi la caccia prime incominciaro,
- Le quattro sopra ’l monte, e l’altre al basso 50
- Avevan fatto con reti riparo,
- Acciò che nulla fiera ad alcun passo
- Lor potesse fuggir sanza esser presa,
- O ferita da’ ferri del turcasso.
- Poi passar dentro, e ciascheduna intesa 55
- Andava per la selva riguardando,
- Per l’altrui danno e per la lor difesa,
- Siccome segue, con senno cacciando.
- Aveva Diana nella man sinestra
- Un arco forte, noderoso e grosso,
- Tal che daria fatica ad ogni destra,
- E nel cacume del monte rimosso
- Gia con Cecca Bozzuta, che portava 5
- La sua faretra piena dietro al dosso;
- E dietro ad un macchion s’ascose, e stava,
- Fin ch’ella vide un cavriol venire,
- Che un can, che lasciò Cecca, cacciava:
- L’aprir l’aspro arco e il cavriol ferire 10
- In un momento fu, onde si fisse,
- E quivi cadde e non potè fuggire.
- Diana volta a Cecca allora disse:
- Quando discenderemo il prenderai,
- E siesi tuo; e Cecca nol disdisse. 15
- Ma alla Pipina, disiosa assai
- Con la Crespana a prender delle fiere,
- Disse, da questa parte te n’andrai,
- (Ed a sinistra le mostrò un sentiere)
- Ed io terrò di qua, e, quando senti 20
- Fremir le frasche, lascia il tuo levriere.
- Così divise andavan pedetenti,
- Ogni cespuglio con l’occhio cercando,
- Co’ cani appresso, al loro officio attenti.
- Ma guar non erano ancor ite, quando 25
- Due lepri si levar correndo forte
- Non di lunge da loro, al monte andando.
- Di queste fur le giovinette accorte,
- E l’una all’altra gridò: Lascia i tuoi,
- Non possono scampar che non sien morte: 30
- Ciuffa, gridando, ciascheduna i suoi
- Lasciò, correndo dietro a’ passi loro,
- Fin che, presa la preda, stetter poi.
- A picciol passo poi dopo costoro,
- Veniva Caterina Caradente 35
- Guardando un porco, ch’e’ can di coloro
- Avean levato, e sè tacitamente
- Dietro ad un alber pose, e ver di lui
- Uno spiedo drizzò lungo e tagliente.
- Di schiuma pien, furioso costui 40
- Venia, da’ can d’ogni parte addentato,
- Ed infiammato di nuocere altrui;
- E nello spiedo a lui innanzi parato
- Ferì con rabbia sì che vi rimase
- Da una parte in altra trapassato. 45
- Biancifior Caffettina, che ispase
- Avea le reti insieme con Catella
- A piè del monte, fieramente invase
- Tre gran cerbi cornuti, che in ella
- Incappati eran dalli can cacciati, 50
- E con loro a pigliarli fu Mariella
- De’ Melii; e poi che fur pigliati,
- Voltate a di Ser Pando Caterina,
- (Che ’ntorno al monte co’ cani affannati
- Era gita di’infin dalla mattina 55
- Senza aver presa fiera) e nella valle,
- Che tra l’un monte e l’altro si dichina,
- Seguiro un lupo, e nelle dure spalle
- Caterina gittò col suo forte arco
- Una saetta che impedì il suo calle; 60
- E questo preso, ritornaro al varco.
- La bella donna, il cui nome si tace,
- Con un’aquila in man prese la via
- Su per lo monte ch’al mezzodì giace;
- Zizzola e Ciancia menò in compagnia,
- E dopo queste la Principessella; 5
- Beritola Carafa le seguia;
- E Berita Brancazzi gia con ella,
- E Sobilia Capece con Berarda
- E Caterina a Berita sorella.
- Ciascuna presta, gioconda e gagliarda 10
- Cantando andavan di dietro a colei,
- Che nel viso d’amor sempre par ch’arda.
- Non fu salita molto alto costei,
- Ch’a sè lontano vide uno animale
- Fiero ed ardito e presto sopra i piei. 15
- Acciò nuocer potesse nè far male,
- Sè e le sue ritrasse in salvo loco,
- E l’aquila lasciò, le cui forti ale
- La trasportaron quasi infino al foco,
- E poi, rivolta in giù, venia rotando 20
- E discendendo sè a poco a poco;
- Fra gli alberi e le frondi folgorando,
- Percosse quella sì ferocemente,
- Che dal capo alla coda lanïando
- L’andò la pelle con l’unghion tagliente, 25
- E risalita ancor, la riferio
- Un’altra volta vie più fieramente.
- La varïata lonza, che sentio
- I fieri colpi, in terra si distese,
- E quivi dibattendosi morio. 30
- La bella donna il forte uccel riprese,
- Ed alla lonza trasse il caldo cuore,
- E l’aquila pascè; e poi discese
- Del monte, faccendo un gran romore
- Zizzola e Ciancia, e dicean: piglia, piglia, 35
- Dietro ad un bianco cerbio, che di fore
- D’un cespuglio fuggiva a maraviglia,
- Per molti can che dietro si sentia,
- De’ qua’ ciascuno a prenderlo si piglia.
- Ma Ciancia, che conobbe la sua via, 40
- Traversò il monte e riuscigli appresso
- Sopra ad un balzo ove ’l monte finia;
- E poi ch’ell’ebbe all’arco lo stral messo,
- Ch’ella portava in mano, apersel forte,
- E lui ferì in quello punto istesso; 45
- Quivi, vermiglio ritornato, a morte
- Ferito si sentì, nè più potero
- Portarlo avanti le sue gambe accorte.
- Zizzola ritornò per lo sentiero,
- E richiamando i can suonava un corno, 50
- Finchè di loro il numero ebbe intero.
- Così andando, e mirandosi intorno,
- Due volpi vide, e ciascuna fuggendo
- Andava a fare a sua cava ritorno;
- Tanto le gío Zizzola seguendo, 55
- Che prese quelle, e ver la Donna onesta
- Se ne tornò, di questo in sè ridendo,
- E quella ancor di ciò si fece festa.
- Beritola Carafa infra la folta
- E dilettevol selva con un arco
- S’andava, pian dicendo:Ascolta, ascolta,
- A Sobilia Capece, che al varco
- Mi par le frasche dimenar sentire, 5
- E a’can far grandissimo rammarco.
- Voltianci là; che, se nel mio udire
- Non prendo inganno, alcuna bestia fia,
- Che di leggiero la potren ferire.
- Non disser più; ma, subito la via 10
- Presa, pervenner là dove ’l rumore
- Avean sentito ciascheduna pria.
- Quivi trovaro pieni di furore
- Due orsi grandi e negli occhi focosi,
- Tal che ciascuna n’ebbe allor tremore; 15
- Ma Beritola pria rassicurossi,
- E, amettendo i can, della faretra
- Trasse saette e alquanto allungossi,
- E l’un ferì; ma quanto in una pietra
- V’entrò il ferro, ed ella l’altra trasse, 20
- Ma quella come l’altra ancor s’arretra.
- Parve ch’allor Beritola sdegnasse
- Insieme con Sobilia, e adirorsi
- Non potendoli avere, ed eran lasse;
- Le cocche de’ loro archi in man voltorsi, 25
- E d’ira accese più s’assicuraro,
- E più si fer vicine all’un degli orsi,
- E ’n sulla testa sì forte il donaro,
- Che cadde semivivo; e l’altro poi
- Con più vigore i lor cani addentaro: 30
- Ciascuna con romore atava i suoi,
- Fin che ’l secondo, da’ cani abbattuto
- Presero, e se n’andar con ambeduoi.
- Principessella, quantunque era suto
- Del giorno tanto, con reti e con arte 35
- Aveva un lioncel prender voluto,
- Ma non l’avea potuto ancora in parte
- Col senno suo recar, sì che si fosse
- Punto incappato nelle reti sparte:
- Sottile avviso subito la mosse, 40
- E prese un cavriol dall’altre preso:
- Morto ’l gittò nelle ’ retine fosse.
- Vide quel cavriol morto disteso
- Il leoncello nella fossa stare,
- Corsevi, allor da fame forse offeso, 45
- E cominciò del caprio a mangiare;
- Ma quella accorta tirò sì le reti,
- Che quivi preso li convenne restare:
- Non li giovò perchè in que’ pareti
- Mugghiasse forte, chè ingegnosamente 50
- Ella il legò, e con sembianti lieti.
- Alla donna gentil ne fè presente,
- Dicendo: Te’, più ch’altra valorosa:
- E quella il prese graziosamente.
- Ma Berarda avea fatta nuova cosa, 55
- Chè con suoi bracchi ben sei spinusi
- Aveva presi, e ’n grembo, paurosa
- Non la pungesser, si portava chiusi.
- Caterina Brancacci e la sorella,
- Quasi nel luogo del monte più alto,
- Giva ciascuna baldanzosa e snella,
- E due tigre leggieri, che di salto
- Forte fuggivan, salendo trovaro, 5
- Alle quali esse e’ can dieron l’assalto.
- Per lungo spazio queste seguitaro,
- Ma alla fin le preser i can loro,
- Perchè in tese reti elle incapparo.
- Gioconde si tornaron poi costoro 10
- Liete di preda tanto nominata
- Qual quella fu che fu presa da loro.
- Isabella Scrignara e sua brigata
- Con la qual giva Ceccola Mazzone,
- Con la Mignana insieme accompagnata; 15
- Isolda ancor di Giaquinto vi fone,
- Vannella Gambatella, e Caterina
- Figlia di notar Iacopo Roncione;
- E con loro Alessandra s’avvicina,
- E simil fa Linella, verso il monte 20
- Ch’all’occidente i suoi vallon dichina.
- Ceccola prima con ardita fronte
- Prese il cammin, nè ristette giammai
- Finchè sù la portar le gambe pronte.
- Ed eravi già istata suso assai 25
- Chiamando le compagne, e rimirando
- S’alcuna fiera fosse fra que’ mai:
- Ed un fiero cinghiar, che riposando
- Si stava, in una macchia, vide fitto,
- Forse cacciato, inverso lei guardando. 30
- Andonne questa a lui tutto diritto,
- E ’n sulla testa il ferì d’una scure
- Sì forte che morì senza rispitto.
- Mignana ed Isabella nelle dure
- Piagge avean tese reti e gian d’intorno 35
- Frugando con baston le grotte oscure:
- Con esse era Vannella, ed in quel giorno
- Preser conigli assai e lepri grosse,
- E indietro si tornar sonando un corno.
- Ma Isolda di Giaquinto percosse 40
- Sì forte un lupo, da due can tenuto
- Con un baston, che mai più non si mosse.
- Ma dopo, sè rivolta, ebbe veduto
- Un altro con due figli, onde a gridare
- Incominciò: Compagne, aiuto, aiuto. 45
- Linella corse là senza restare
- Con due gran cani e con un arco in mano,
- E Alessandra ancor vi volle andare.
- Aperse l’arco quella e non invano,
- E l’un de’ tre ferì, sìcche rimase, 50
- E’ cani assalir l’altro a mano a mano.
- Fuggissi il terzo, e Alessandra invase
- Con uno spiedo in man quel che tenieno
- I can feroci per l’orecchie rase,
- E quasi morto già fra lor l’avieno, 55
- Questa il condusse a fine; e preso lui,
- Con le compagne insieme sen venieno,
- Per pigliar posa degli affanni sui.
- Fior Curial guidava altra compagna,
- Delle qua’ parte il monticel saliro,
- E parte ne rimase alla campagna.
- Quelle che lei, saglïendo, seguiro
- Fur queste: pria Letïzia Moromile, 5
- E Lucia Porria fu, e con disio
- Fior Canovara di dietro seguile,
- Ed il primo animal ch’elle scontraro
- Un leocorno fu, nè mica vile.
- I cani arditamente il seguitaro, 10
- Guardando sè dal suo aguto corno,
- Al cui ferir non aveva riparo.
- Più volte s’aggirò il monte intorno:
- Nè saetta nè correr ci valea
- Che prender si potesse l’unicorno. 15
- Fior Curiale, che d’ira dentro ardea,
- L’altra Fior prese e vestilla di bianco,
- E disse: Fa’ che tu in sul monte stea
- Senza paura, e con aspetto franco,
- Con questa fune lega l’animale, 20
- Che verrà a te quando sarà stanco:
- Nè dubitar di lui, chè non fa male
- Per tempo alcuno ad alcuna pulcella,
- Ma stassi con lei, tanto glie ne cale.
- Salivvi Fior, sì come disse quella, 25
- E per ispazio lungo lui cacciato,
- Quivi aspettò tanto che venne ad ella.
- Temette quella prima, finchè allato
- Colcar sel vide, e poi rassicurossi,
- E tosto con la fune ebbe legato. 30
- Fior Curiali allora rallegrossi
- Veggendol preso, e l’altre insiememente;
- I passi loro in altra parte mossi,
- Cominciaro a seguir velocemente,
- Due cerbi grandi, i quali avviluppati 35
- Le corna a’ rami preser prestamente.
- Non gli avean quasi i cani ancor lasciati,
- Che per la selva si sentì un fracasso
- Di fieri porci da alcun cacciati;
- Rami e frondi rompevan nel trapasso, 40
- Forte rugghiando, superbi e schiumosi,
- Ansando sì, che ciascun parea lasso.
- A quel romore Letizia voltosi
- Con uno spiede in mano, e lasciò gire
- La maggior parte d’essi furïosi; 45
- Ma l’ultimo di questi, che venire
- Vide, aspettò, ad un alber fermata,
- In parte che in lo spiede il fe’ ferire:
- Di dietro a questo forse una tirata
- D’arco venivan cani, ond’e’ fu preso, 50
- E tosto all’altre con el fu tornata.
- Verdella di Berardo che asceso
- Non avea il monte, ma rimasa s’era
- Con sue compagne al pian d’acqua difeso,
- Con un falcone in mano alla riviera 55
- Si stava, e Caterina di Bolino
- Con un girfalco; e con esso loro era
- La Lucciola, seguendo il lor cammino.
- Andando queste intorno al fiumicello,
- E Giovannola Coppola con loro,
- Per far levar malardo o altro uccello,
- Del lito si levò sanza dimoro
- Una gran grue, e volando salio 5
- Tanto, ch’appena la vedean costoro;
- Ma il girfalco tosto la seguio,
- E più presto di lei salito ad alto,
- In giù volando forte la ferio:
- Nè cadde però quella al verde smalto, 10
- Ma ripigliato vol, più prestamente
- Si dipartia per cessar l’altro assalto.
- Ma il fuggir non le giovò niente,
- Chè la seconda volta fu ferita,
- Ben ch’ella sostenesse fortemente, 15
- E pur ripreso il volo fu salita
- Più alta che non era assai in prima,
- Tanto ch’agli occhi d’elle fu smarrita.
- Era il girfalco in parte più sublima
- Di quella assai, e riferita lei, 20
- La pinse in parte vie troppo più ima.
- Poi ritornato ancor sopra costei,
- In sul groppone i forti artigli fisse,
- E giù discese in piè con esso lei.
- Presa la preda, Caterina sfisse 25
- I sanguinosi unghioni, lui pascendo,
- Allegra in sè delle passate risse.
- In questo mezzo Verdella vedendo
- Levati più malardi, lasciò gire
- Il suo falcon con l’occhio lui seguendo: 30
- E’ cominciò quanto potè a fuggire,
- Poi rivoltato in giù, veloce venne,
- Ed un per forza ne corse a ferire;
- Non gli rimase in sulla schiena penne
- Nè pelle che non fosse lanïata, 35
- E con gli unghion fortemente il ritenne;
- Tirollo giù, senza far ritornata
- In su per più ferir, perchè già morto
- L’aveva pur nella prima calata.
- Verdella corse là con atto accorto, 40
- Riprese quello e recollosi in mano,
- E a cintola il malardo s’ha attorto.
- La Lucciola e Giovannola nel piano,
- Sopra un braccio del chiaro ruscelletto,
- Tese avean reti, e non mica in pantano; 45
- E ciascheduna in mano un bastonetto
- Portava, l’acqua dintorno frugando,
- Talor toccando di quel fiume il letto;
- E con voci alte talora gridando
- Con diversi atti, sì che uscisser fuori 50
- Gli uccei ch’ascosi gian per l’acqua andando.
- Un marangon, che prima a’ lor romori
- Uscì dell’acqua, nelle reti preso
- Fu, ch’elle tese avean tra l’acqua e fuori.
- Un paolino ancora vi fu offeso, 55
- Malardi ed altri uccelli, i qua’ contare
- Lungo sarebbe in ordine testeso,
- Vi preser, sì con senno sepper fare.
- Mentre con gli occhi fra le verdi fronde
- Mirando giva la caccia, che in esse
- Talor si mostra e talor si nasconde;
- Convenne che altrove mi volgesse
- Per nuovo suon ch’agli orecchi mi venne, 5
- Che l’intelletto a sè tutto riflesse.
- Nè ’l mio veloce sguardo si ritenne
- Fin ch’a quel loco, dond’erano entrate
- Le prime donne, subito pervenne:
- E quivi vidi, con difficoltate 10
- Per lo spazio lontan, gran gente entrare
- Dentro dal pian dell’erbette bagnate;
- E ’l suon de’ corni e de’ can l’abbaiare,
- E ’l romor lor, facean quella valle
- Tutta mirabilmente risonare. 15
- Io mi ristrinsi tutto nelle spalle,
- Credendo nel pensier che altra gente,
- Forse malvagia, fosse per quel calle:
- Ma poi che l’occhio più agutamente
- Ficcai fra loro, conobbi che era 20
- Di donne compagnia bella e piacente.
- E come a me quell’amorosa schiera
- Si fesse appresso, ch’io potea vedere
- Apertamente ciascuna chi era,
- Tututte le conobbi al mio parere, 25
- E immaginai che poi chiamate foro
- Che l’altre, che cacciavano a potere.
- Venute allato alla fonte costoro
- Stavan sospese al cacciare ascoltando,
- Ma così cominciò una di loro: 30
- Chi và per questi monti ora cacciando?
- La Lucciola rispose, ch’era presso,
- Sopra la chiara riva, al suo domando.
- Come ella questo udio, disse: adesso
- Dubitavam noi forte, che nel loco 35
- Altri non fosse, come suole spesso
- Addivenire; e si ritrasse un poco
- Da parte Cecca e Zizzola Fagiana,
- Belle nel viso d’amoroso foco:
- Chiamò ancora Vannella Bolcana, 40
- Lariella Caracciola, e Serella
- Brancaccia nello aspetto umile e piana.
- E questa che chiamava fu Marella
- Caracciola, e con loro al parer mio
- Vi fu ancora d’Arco Peronella. 45
- Disse Marella allora: il mio disio
- È di cacciar fra questi luoghi stretti:
- A cui ciascuna disse: sì vogli’io.
- E ’n ver levante per le belle erbetti
- Preser la via, guernite a quella guisa 50
- Che fa mestieri a sì fatti diletti:
- Fatta dall’altre dovuta divisa
- Gìr; ed io torsi l’occhio e lasciail ire,
- A veder che dall’altre si divisa:
- E vidi là cominciare a salire 55
- Al mezzodì Iacopa Aldimaresca,
- Ed a cinque altre la vidi seguire,
- Ciascuna inghirlandata d’erba fresca.
- Quella ch’avante all’altre si seguiva
- Mi par ch’era Mariella Passerella,
- A cui Costanza Galiotti giva
- Di dietro e Mariella Piscicella,
- Dalfina di Barasso ancora v’era, 5
- E dopo lei de’ Brancazzi Vannella,
- Salendo per la nuova primavera:
- Ma a quel monte, ch’è in ver ponente,
- Si dirizzava più piacente schiera;
- Ch’io vidi all’altre andar principalmente 10
- Zizzola Faccipecora, la quale
- Vidi seguir, se ben mi torna a mente,
- Ardita assai Tuccella Serisale,
- E Biancola Caraffa dopo lei
- Con Caterina, nello andare eguale. 15
- Veniva appresso di dietro a costei
- Giacopella Embriaca, e della Cerra
- Tanzella grazïosa conoscei.
- Ma, se la mia memoria non erra,
- Catrina Sighinolfi alla campagna 20
- Si volse rimaner pigliando terra;
- A cui Covella Dona s’accompagna,
- E Mitola Caracciola, e Berita
- Galeota, e Zizzola d’Alagna:
- Covella d’Arco ancor v’era, fornita 25
- Di buono uccel ciascuna, se n’andaro
- All’altre che nel luogo avean partita.
- Marella e l’altre ardite incominciaro
- La caccia forte dietro ad un castoro,
- Che nel vallon, dove giron, trovaro. 30
- Ma Vannella Bolcana fra costoro
- Più presta fu con buon can seguitando,
- Per ch’ella il prese prima di coloro.
- E mentre ch’elle andavan sì cercando,
- Mariella si fisse, ed ascoltava 35
- Che fosse ciò ch’ell’udiva mugghiando,
- E quanto più nella foresta entrava,
- Più il mugghiar vicin se le faceva,
- Di ch’ella forte si maravigliava.
- Nè conoscer di lor nulla poteva 40
- Ciò ch’ella fosse, ma Serella disse,
- Ch’uno elefante veder le pareva
- Giacere in terra, onde ciascuna fisse
- Il passo dubitando, e dilivrarsi
- Per gire ad esso, che che n’avvenisse. 45
- E come alquanto ver quello appressarsi,
- Giacendo in terra lo videro stare,
- Nè si poteva in modo alcun levarsi.
- Cessossi allor da loro il dubitare,
- E correndoli sopra colle scure 50
- Lance e saette incominciargli a dare.
- Ucciso quello, ritornar sicure,
- Ed a Mariella presentar la testa,
- Che lor guida era nelle vie oscure.
- Quella ne fece mirabile festa, 55
- Dicendo: i cacciator, ch’ebbono affanno
- Co’ lori ingegni forse a prender questa,
- Trovandola esser presa, si dorranno".
- Di frondi coronata, in mezzo cinta,
- Col corno al collo e col turcasso allato,
- Di bellezza piacevole dipinta,
- E con un arco insieme accompagnato
- Con due saette, seguiva Carella, 5
- Con gli occhi ognor facendo nuovo aguato;
- E ’n simil forma seguiva Serella,
- Quando trovar le reti, onde già tratti
- Li cerbi avien Biancifiore e Catella,
- Le qua’ prestar si fenno, e ne’ burratti 10
- Di quel luogo più folti le spiegaro,
- In guisa ch’assai tosto vi fur catti
- Ben quattro cerbi, i quali poi saettaro,
- Perchè non ne potean nessun pigliare,
- E di quel luogo seco glien portaro. 15
- Ma Peronella faceva un gridare
- Dietro a due can ch’un capriol seguieno,
- Che tutto il bosco facean risonare;
- E questo appena quelli giunto avieno,
- Che ella sopraggiunse, e lui ferio, 20
- Da lui cacciando li can che ’l tenieno.
- E Zizzola Fagiana con disio
- Con Cecca insieme due n’avevan presi,
- E ’n collo li recavano; quand’io
- Forte gridare un piglia, piglia intesi 25
- Di dietro a me, per ch’io mi rivoltai
- Subito al pian, dov’io vidi discesi
- Tre gran cinghiar, de’ quali io dubitai,
- Fiata fu; ma più di venti cani
- Dietro lor viddi, ond’io m’assicurai; 30
- E dietro a questi con piene le mani
- Di archi e di saette correr vidi
- Tre donne preste con tre grandi alani;
- Lasciando que’ con altissimi gridi,
- Com’io già dissi, ed e’ sopra que’ giro 35
- Feroci assai; nè in prima m’avvidi,
- Che Vannella Brancaccia con disiro
- Vidi discender sopra l’un che vinto
- Era da’ cani e dal grieve martiro,
- E quel di sangue quasi tutto tinto 40
- Se ne tirò: ma poi vidi Dalfina
- Uccidere il secondo, e ’l terzo, avvinto
- Da’ can, Costanza con fiera rapina
- Ferì con uno spiedo sì feroce,
- Che di morte li fe’ sentir ruina. 45
- Poi, richiamando i cani, ad una voce,
- Tutti raccolsero, addietro tornando
- Con loro insieme con romore atroce.
- Iacopa Aldimaresca che cercando
- Con Mariella Passerella andava 50
- Per la piacevol selva riguardando,
- Com’ella ad una ripa trapassava,
- A costa, i can si fermar di presente
- Ad una buca, e ciascuno abbaiava:
- Quella guardava e non vedea niente, 55
- Li can volea cacciar, ma ecco fore
- Di quella uscia la coda d’un serpente,
- E dentro ritornossi al lor romore.
- Mariella Piscicella che vicina
- A costoro era, udì il lor romore,
- E con le sue compagne ancor Dalfina;
- Corsero adunque tutte con furore
- In quella parte, e trovaron coloro 5
- Quasi smarrite tutte del tremore.
- Allora s’accostò Dalfina a loro
- Dicendo: che vedeste che non pare
- Che in questa vita facciate dimoro?
- Iacopa allora cominciò a parlare: 10
- Oimè, che in questa buca è un serpente,
- Terribil cosa pure a riguardare.
- Disse Dalfina: Non dubbiar niente,
- Noi siam qui con buon cani e ben armate,
- Ben lo potremo uccider salvamente. 15
- Iacopa, le compagne assicurate,
- Allor rispuose: sed e’ v’è in piacere,
- Alquanto il mio consiglio seguitate.
- Disse Dalfina: di’ lo tuo parere:
- Iacopa allora istette, e pensò un poco, 20
- E poi rispose: questo è ’l mio volere:
- Mettiamo in questa buca acceso foco;
- La fiamma e ’l fumo lui uccideranno,
- O il cacceranno fuor di questo loco;
- Se forse fuor di qua uscir lo fanno, 25
- Le vostre lance e le saette preste
- Con voi aggiate, se non vogliam danno".
- A tal consiglio s’accordaron queste,
- E ritirar li cani, e fiamme accese
- Misser nel luogo della fiera peste. 30
- Sostenne quella alquanto quelle offese,
- Poi non potendo avanti sostenire,
- Fuor furioso si gittò palese.
- Ciascuna allora il cominciò a ferire,
- E’ cani l’addentar, de’ quali assai 35
- Dintorno a sè co’ denti fè morire.
- Ma non gli valse, che gli ultimi guai
- Gli apparecchiava quella, che seguita
- Era dall’altre, com’io avvisai,
- Con grave colpo gli levò la vita 40
- Con una lancia Iacopa, e la testa
- Gli tagliò poi vigorosa e ardita.
- E mentre che di ciò facevan festa,
- Ben sei altri n’usciron piccioletti,
- Figliuoi di quel con noiosa tempesta. 45
- Con lieve affanno a morte fur costretti,
- Perchè già el fumo gli avea consumati,
- Mentre da quel nel buco eran distretti.
- Così da queste tututti pigliati
- Li vidi e morti, ond’io ad altra cosa 50
- Rivoltai gli occhi già di quel saziati;
- E al ponente vidi valorosa
- Zizzola Faccipecora andar suso,
- Leggiadra, gaia, bella e poderosa;
- Ma nel bel monte delle frondi chiuso 55
- Non andò guar con gli suo can guardando,
- Ch’un leopardo, lieve oltre a nostro uso
- L’apparve avanti ver di lei andando.
- Ella non dubitò, ma l’arco aperse,
- E quel ne’ fianchi ferì sì profondo,
- Che le sue forze tutte gli disperse;
- Ed allo primo stral giunto il secondo,
- Che dandoli nel petto toccò il core, 5
- Onde morì, e li can cerchio tondo
- Fatto gli avean, facendo romore
- Gli s’appressaro e preser, con costei
- Oltre correndo mostrando valore.
- Ma Biancola Carafa innanzi a lei 10
- Coronata di fior, tant’è piacente
- Quanto alcun’altra che fosse con colei,
- Giva correndo sì velocemente
- Dietro ad un daino ch’avanti le giva,
- Che parea che volasse veramente; 15
- E con lei insieme alcun can la seguiva,
- Ma non però che giugner si potesse,
- Tanto era presto que’ che sì fuggiva.
- O che lui ramo o altro ritenesse,
- Non so, ma ella il giunse, e lui ferio 20
- D’un dardo nella gola, donde spesse
- Guizzate diede e poi pur si morio
- Davanti a lei, che altro non parea
- Ch’ella attendesse con tutto il disio.
- Alto nel bosco al mio parer vedea 25
- Due leggiadre e belle giovinette,
- Le qua’ ciascuna assai ben conoscea;
- Inghirlandate di due ghirlandette
- Di rose rosse, tanto rilucenti,
- Che a veder parean due fiammette; 30
- Vestite strette sì belle e piacenti,
- Che facean rider tututto quel loco,
- Dond’elle andavan colli passi lenti:
- Le quali andando sì a poco a poco,
- D’archi e di saette bene armate, 35
- Fra sè cantando e facendosi gioco,
- Vider discender dell’estremitate
- Del monte una pantera; onde Covella
- Embriaca sonò molte fiate
- Il corno, e ’l simigliante fè Tanzella, 40
- Chiamando i cani, li qua’ poi venuti
- Fur, si drizzaro ver la fiera snella.
- Covella corse avanti, e con tre aguti
- Istrali ferì quella nella fronte,
- E sì v’entrar, ch’appena eran veduti, 45
- Fuor che le penne; laonde le pronte
- Gambe della pantera non potero
- Portarne lei, ma cadde a piè del monte:
- Diece can credo, o più ve l’assagliero,
- Ed a Covella che già là giunt’era, 50
- In terra morta e vinta la rendero.
- Ma a Tanzella più usata fiera
- Apparve avanti, andando per atare
- Iacovella nel loco dov’ell’era;
- Ch’un picciol fosso volendo passare, 55
- S’attraversò un furïoso toro,
- Rompendole la via nel suo andare,
- Ond’ella fè per quel quivi dimoro.
- Salvossi questa alquanto in alto loco
- Sonando un corno raccogliendo i cani,
- Ch’erano avanti qual molto e qual poco,
- Impignendoli al toro con le mani,
- Ciuffa, gridava piglial, buon pezzuolo, 5
- Piglial dragone, e piglial, graffiacani.
- E poi ch’ad esso l’abbaiante stuolo
- Gli ebbe drizzato, quale per la coscia,
- Chi per l’orecchie gli porgeva duolo;
- E da tutti la mortale angoscia 10
- Cacciava a suo potere, or con l’un corno
- Ferendo l’uno, ed or coll’altro poscia;
- E simile co’ calci a sè dintorno
- Non ne lasciava nessuno appressare,
- Sì passò prima gran parte del giorno; 15
- Tanzella non facea se non gridare,
- E spesso in fallo saette gittava,
- Non parendogli mai colpo donare.
- Tuccella Serisal, che quindi andava,
- Un dardo le prestò, e quella allora 20
- Con tutta la sua forza gliel gittava;
- Nel mezzo de’ duo corni un poco fora
- Li colse con tal forza, che si fisse,
- E quivi si morì senza dimora.
- Trasseli quella il core, e poscia disse: 25
- Tuccella andiamo ove ti piace omai,
- Ch’io me n’andrei contenta s’io morisse.
- Disse Tuccella: certo ragion hai,
- Sì fatta pugna hai vinta; e preser via
- Al traverso del monte, e giro assai 30
- Pria che trovasser bestia, tuttavia
- Mirando ogni cespuglio; e sì andando,
- Caterina Caraffa in compagnia
- Preser con loroe e givan ragionando
- Del lor cacciare e de’ loro accidenti, 35
- Una parola poi l’altra tirando.
- Ma con le punte agute in sè battenti
- Videro allora un istrice vicino,
- Che ruppe loro i lor ragionamenti;
- E fermatasi quivi nel cammino, 40
- Tuccella aperse l’arco e lui ferio,
- E di quel colpo si morì il tapino.
- Caterina Caraffa allor seguio
- Con li suoi cani un caprio, che fuggiva
- Quanto poteva al monte con disio; 45
- Ma li can di Covella, che reddiva
- Al pian, trovaron quello, onde fu morto
- Da Caterina, che forte il seguiva.
- . Prendeva al piano mirabil diporto
- Catrina Fighinolfi sopra il lito 50
- Del fiumicello, il cui correre è corto:
- Ell’avea funi nel fondo pulito
- Del fiume poste con lacci ravvolte,
- Per un’idria pigliar da lei sentito;
- La quale dando per lo fiume volte, 55
- Incappò in quelle, onde costei ridendo
- La tirò suso, e risersene molte
- Con lei insieme, l’ingegno vedendo.
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- Covella d’Arco a piè del monte s’era
- Tra giunchi e canne con Berita ascosa,
- Galeotta, al lito di quella riviera;
- E ciascheuna con nota amorosa
- Sonava un’arpa grazïosamente, 5
- In voce come il suono e dilettosa.
- E mentre elle sonavan dolcemente,
- Due cigni bianchi si calar nel loco,
- Assai vicini a lor, tacitamente.
- Col capo ad alto gíano a poco a poco 10
- Appressandosi al suon che piacea loro,
- Faccendo in atti di quel suono il giuoco.
- Non s’appressaro a lor quasi costoro,
- Ch’essi incapparo ne’ tesi lacciuoli;
- E dalle donne poi sanza dimoro 15
- Pigliati furon, rimutando in duoli
- Lor diletti: e altri a quel romore
- Se ne fuggiron con non lenti voli.
- Ma Mitola Caracciola un astore
- Portava in mano ardito nell’aspetto, 20
- Di più vol ch’altro, e di maggior valore;
- E giva, andando sopra il ruscelletto,
- E Zizzola d’Alagna era con lei,
- Un naccaro sonando con diletto.
- E mentre che sonando gía costei, 25
- Usciron più malardi di quell’acque,
- Forte fuggendo davanti da lei:
- Perchè lasciar l’astore allor le piacque,
- Il qual montando uno ne ferio,
- Sì che ’n sull’erba morendo si giacque; 30
- E senza tardar punto risalio
- Mentre se ne scendeva, giù calando,
- Infino in terra con un altro gío.
- Mitola andando dietro a quel gridando,
- E Zizzola con lei, l’astor riprese, 35
- Co’ due malardi al fiume ritornando.
- Covella Dona i suoi passi distese
- Di dietro ad uno struzzo che fuggiva
- Giù per lo piano temendo l’offese,
- Ma nol poteva tanto andar seguendo 40
- Ched e’ più non fuggisse, e spesse volte
- Si rivoltava con l’ali battendo.
- Il molto correre e le frasche folte
- Avevano a Covella tutti i panni
- Quasi stracciati, e quali a sè ravvolte; 45
- Ond’ella piena e d’ira e d’affanni
- Tututta ardeva nella faccia accesa,
- Di quello uccel desiderando i danni.
- Con più vigor nuova forza ripresa
- Seguitandol, si fè prestare un arco, 50
- Fra sè dolente di cotale impresa.
- Ma dopo molto andare ad un gran varco
- Il colse e saettollo, e quegli allora
- Quivi morì con dolente rammarco.
- Covella il prese sanza più dimora, 55
- E tirollosi dietro infino al piano,
- Riferendol da capo ad ora ad ora,
- Istroncandoli il capo colla mano.
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- Ma già il sol saliva a mezzo giorno,
- E ’l vapor caldo a’ corpi dilicati
- Noia facea, perchè senza soggiorno
- Dïana disse a quelle: a’ freschi prati
- Scendiamo omai, e lasciam riposare 5
- I nostri uccelli ed i cani affannati:
- Non è ora ben tempo da cacciare,
- Riposiamoci omai, perocchè lasse
- Siemo, e facciamo quest’altre chiamare.
- E comandò ad una che andasse 10
- Sull’alto monte, e tutte ad una ad una
- Le donne e le pulcelle richiamasse;
- Quella n’andò in sull’eccelsa cruna
- Del monticello, ed a chiamar costoro
- Incominciò per nome ciascheduna. 15
- E sì come agli orecchi di coloro
- Da lunga venne il chiamar di colei,
- Tutte s’apparecchiar sanza dimoro
- Di scender tostamente giuso a lei;
- E presi i cani, e archi, e reti stese, 20
- E ciò che ognuna vi portò con lei,
- E con le prede ch’elle avean prese,
- Chi le portava in collo e chi tirando,
- Giuso al fiorito prato se ne scese.
- E già eran discese tutte, quando 25
- Zizzola Dona venne, che soletta
- Sanza richiesta era gita cacciando;
- Molti animali avea con sua saetta
- Feriti e presi, ma nessun tenere
- N’avea potuto nè seguir con fretta. 30
- Con l’altre questa si pose a sedere,
- Che della preda avean fatto un gran monte,
- Come a Dïana suto era in piacere.
- Levossi Dïana poi con lieta fronte,
- Dicendo: donne gentili e donzelle, 35
- Ch’ardite, vigorose,liete e pronte,
- Avete prese queste bestie snelle,
- Sotto mia provvedenza e con mio ingegno,
- Io vo’ che voi sacrificio d’elle
- Facciate a Giove, re dell’alto regno, 40
- Ed a onor di me, che esser deggio,
- Reverita da voi in modo degno;
- Così vi prego e così vi richieggio
- Quanto più posso, onde non siate lente,
- Acciò che nel mio coro aggiate seggio. 45
- Udito questo, la Donna piacente
- Si dirizzò turbata nello aspetto,
- Dicendo: e’ non sarà così nïente:
- Infino a qui, sì come avete detto
- E comandato a noi qui adunate, 50
- Così abbiam seguito con effetto;
- Or non vogliam più vostra deitate
- Seguir, perocchè accese d’altro foco
- Abbiamo i petti e l’anime infiammate.
- Come Dïana questo udì, nel loco 55
- Non stette guari più, ma sen salío,
- Partendosi turbata, a poco a poco,
- Fin che nel ciel tornò dond’ella uscío.
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- Rimaser queste adunque quivi, e quando
- Più non poteron Dïana vedere,
- Chinaron gli occhi tacite aspettando.
- Poi la Donna gentile, che a sedere
- Già s’era posta, si dirizzò, e loro, 5
- Così farete, disse, al mio parere:
- Chiamando in voce prima l’aiutorio
- Di Venus santa Dea, madre d’Amore,
- E coronata ciascuna d’alloro
- Sacrificio faremo al suo onore 10
- Della presente preda lietamente,
- Sìcchè s’accresca in noi il suo valore.
- A tutte piacque; onde liberamente,
- Acceso il foco nella preda, a dire
- Cominciar tutte assai devotamente: 15
- O santa Dea, poich’è nostro disire,
- Per la virtù del nostro sacrificio,
- Non isdegnar le nostre voci udire,
- Ma pïetosa al tuo giocondo officio
- Per merito de’ nostri preghi umili 20
- Ricevi noi e per tuo beneficio
- Caccia de’ petti nostri i pensier vili,
- E per la tua virtù fa’ eccellenti
- Gli animi nostri, e’ cor larghi e gentili.
- Deh fa sentire a noi quanto piacenti 25
- Sieno gli effetti tuoi, e facci ancora,
- Alcuno amando, gli animi contenti.
- Così pregando, non fer gran dimora,
- Che una chiara e bella nuvoletta
- Venendo si fermò sovr’esse allora; 30
- Sopra la quale ignuda giovinetta
- Apparve lor dicendo: i’ son colei
- Da cui, pregando voi, ciascuna aspetta
- Grazia, e prometto a voi, per gli alti Dei
- Che ciascheduna avrà l’ addimandata, 35
- Ch’è degna di seguire i passi miei.
- E poi, verso del foco rivoltata,
- Non so che disse: se non che di fuori
- Ciascuna fiera che v’era infiammata,
- Mutata in forma d’uom, di quelli ardori 40
- Usciva giovinetto gaio e bello,
- Tutti correndo sopra ’l verde e’ fiori;
- E tutti entravan dentro al fiumicello,
- E, quindi uscendo ciascun, d’un vermiglio
- E nobil drappo si facean mantello, 45
- Ciascuno era fresco come un giglio.
- A cui Venus rivolta disse: state
- Per mio comando e per util consiglio
- Suggetti a queste donne, e loro amate,
- Fin che meriterete aver vittoria 50
- Del vostro affanno insieme con pietate.
- E questo detto, al ciel della sua gloria
- Veloce sen volò, lasciando a’ petti
- Di tutti segno d’eterna memoria:
- Nel verde prato diversi diletti 55
- Alcun prendieno, e sospirando alconi
- Givan cogliendo diversi fioretti,
- Tutti aspettando li promessi doni.
- {{Conteggio pagine|Speciale:Statistiche}
- Io, che veduto lungamente avea
- Le nuove cacce e ’l ritornare al piano,
- E ’l rimontar della turbata dea;
- E lo scender dell’altre e’l sovrumano
- Miracol fatto in non lunga stagione, 5
- Maraviglioso ad intelletto umano,
- Quasi ripien di nuova ammirazione,
- Mi ritrovai di quel mantel coperto,
- Che gli altri usciti dello ardente agone;
- E vidimi alla bella Donna offerto, 10
- E di cervio mutato in creatura
- Umana e razionale esser per certo;
- Ma non ingiustamente, che natura
- Non mise mai valor nè gentilezza,
- Quant’è in lei onestissima e pura; 15
- Il viso suo angelica bellezza
- Del ciel discesa veramente pare,
- Venuta a dare agli occhi uman chiarezza
- Discreta e saggia nel suo ragionare,
- E signorevol donna nello aspetto, 20
- Lieta e baldanzosa nello andare;
- Onde, s’agli occhi miei die’ tal diletto,
- Che, donandomi a lei uom ritornai
- Di brutta belva, ad uomo d’intelletto,
- Non pare ingiusto nè mirabil mai, 25
- Chè l’eterno signor credo che gioia
- Abbia, dicendo in sè: io la formai.
- Ell’è ispegnitrice d’ogni noia,
- E chi la mira ben negli occhi fiso,
- Torna pietoso, o convien che si muoia. 30
- Quanta sia la virtù che il bel viso
- Suo spande in quella parte ove si gira,
- Soll’io, che per dolcezza son conquiso.
- Superbia, accidia, ed avarizia, ed ira
- Quando la veggio fuggon della mente, 35
- Che i contrarii lor dentro a sè tira:
- Ond’io prego ciascun devotamente,
- Che subietto è com’io a quel signore,
- Che ingentilisce ciascuna vil mente,
- Ched e’ prieghin per me, che nell’amore 40
- Di questa donna lungamente io sia,
- E che io d’onorarla aggia valore;
- E simile orazion sempre mai fia
- Fatta per me, in servigio di quelli
- Che allegro possiede o che disia: 45
- E per coloro ancor che son rubelli
- Con le lor donne, acciò ch’egli abbian pace,
- E che angoscia più non gli flagelli.
- Il più parlare omai qui non mi piace,
- Perocchè in parte più di lode degna 50
- Serbo di dir con laude più verace
- Quella biltà che l’anima disegna,
- Di quella per cui son l’altre onorate,
- E cui servire il cor sempre s’ingegna;
- E torno a contemplar quella pietate 55
- Ne’ verdi prati e l’altra gran virtute
- Ch’ha questa Donna fregia di biltate,
- Da cui ancora spero aver salute.
- FINE DELLA CACCIA DI DIANA.
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