- Amorosa visione
- Giovanni Boccaccio
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- AMOROSA
- Visione
- DI
- GIOVANNI BOCCACCIO
- NUOVAMENTE CORRETTA SU I MANOSCRIRITTI
- Firenze
- PER IG. MOUTIER
- 1833
- Indice
- Frontespizio I
- Frontespizio II
- Ai cortesi Lettori
- Amorosa visione
- Sonetto I
- Sonetto II
- Sonetto III
- Capitolo I
- Capitolo II
- Capitolo III
- Capitolo IV
- Capitolo V
- Capitolo VI
- Capitolo VII
- Capitolo VIII
- Capitolo IX
- Capitolo X
- Capitolo XI
- Capitolo XII
- Capitolo XIII
- Capitolo XIV
- Capitolo XV
- Capitolo XVI
- Capitolo XVII
- Capitolo XVIII
- Capitolo XIX
- Capitolo XX
- Capitolo XXI
- Capitolo XXII
- Capitolo XXIII
- Capitolo XXIV
- Capitolo XXV
- Capitolo XXVI
- Capitolo XXVII
- Capitolo XXVIII
- Capitolo XXIX
- Capitolo XXX
- Capitolo XXXI
- Capitolo XXXII
- Capitolo XXXIII
- Capitolo XXXIV
- Capitolo XXXV
- Capitolo XXXVI
- Capitolo XXXVII
- Capitolo XXXVIII
- Capitolo XXXIX
- Capitolo XL
- Capitolo XLI
- Capitolo XLII
- Capitolo XLIII
- Capitolo XLIV
- Capitolo XLV
- Capitolo XLVI
- Capitolo XLVII
- Capitolo XLVIII
- Capitolo XLIX
- Capitolo L
- Indice dei capitoli dell’Amorosa visione
- OPERE
- VOLGARI
- DI
- GIOVANNI BOCCACCIO
- CORRETTE SU I TESTI A PENNA
- * * *
- EDIZIONE PRIMA
- * * *
- VOL. XIV.
- FIRENZE
- PER IG. MOUTIER
- MDCCCXXXIII.
- Col benigno Sovrano rescritto del dì 9 Giugno 1826, fu conceduta ad Ignazio Moutier la privativa per anni otto della stampa delle Opere volgari di Giovanni Boccaccio.
- IMPRESSO CON I TORCHI
- DELLA
- STAMPERIA MAGHERI
- AMOROSA
- Visione
- DI
- GIOVANNI BOCCACCIO
- NUOVAMENTE CORRETTA SU I MANOSCRIRITTI
- Firenze
- PER IG. MOUTIER
- 1833
- AI CORTESI LETTORI
- * * *
- Proseguendo il mio assunto di fare di pubblica ragione le Opere volgari di Giovanni Boccaccio emendate accuratamente sopra i più antichi e migliori testi a penna, mi compiaccio di farvi offerta dell’Amorosa Visione, ridotta alla sua vera lezione con quella maggior diligenza che dalla mia tenuità è stato permesso. Questo Poemetto, che io riguardo come la miglior produzione poetica del Certaldese, è un vero gioiello di poesia italiana del secolo decimoquarto, ma disgraziatamente da pochi conosciuto e apprezzato. Le poche e rare edizioni di questo poema furono il principale ostacolo onde potesse essere diffusamente conosciuto; e se alla scarsità degli esemplari si aggiunga il poco o niun merito delle edizioni, perchè ricolme di errori e infedelissime, n’avremo la convinzione della dimenticanza in cui era caduta quest’opera pregevolissima. I compilatori del Vocabolario della Crusca sul principio del passato secolo riconobbero l’infedeltà delle edizioni dell’Amorosa Visione, e vollero preferire a queste i manoscritti, e si servirono per testo di un codice Riccardiano O. IIII. 39, che ora si trova sotto il N. 1066. Sopra questo manoscritto fu fatta in Palermo nel 1818 la più recente edizione dell’Amorosa Visione, la quale però è riuscita scorrettissima. Per una cieca venerazione a quel manoscritto, che non ha altra prerogativa che di esser servito per gli spogli all’ultima edizione dal Vocabolario della Crusca, non fu tenuto conto della manifesta trascuratezza del testo, che indica l’ignoranza del suo copista, e fu rifiutato il soccorso che avrebbero potuto ampiamente fornire tanti altri più antichi e corretti codici delle nostre doviziosissime biblioteche. Due codici della stessa Libreria Riccardiana 106o, e 1139 mi hanno somministrato importantissime correzioni, e qualche volta ho avuto ricorso al codice Magliabechiano, già Stroziano, palchetto secondo codice 28. Col loro soccorso ho potuto correggere notabilmente il testo dell’Amorosa Visione, e pubblicarla adesso secondo la mente dell’autore, che usò il bizzarro studio di formare un Acrostico di tutte le prime lettere del primo verso d’ogni terzina, il che fu interamente omesso nella citata edizione di Palermo, ove non si fa parola di quest’Acrostico, e si omettono del tutto i tre componimenti, che sotto la denominazione di sonetti precedono l’Amorosa Visione.
- * * *
- AMOROSA VISIONE
- DI
- GIOVANNI BOCCACCIO
- * * *
- Qui cominciano tre sonetti, i quali contengono per ordine tutte le lettere principali del primo verso di ogni terzina di tutta l’Amorosa Visione1.
- SONETTO I.
- Mirabil cosa forse la presente
- Visïon vi parrà, donna gentile,
- A riguardar, sì per lo nuovo stile,
- Sì per la fantasia ch’è nella mente.
- 5 Rimirandovi un dì subitamente
- Bella, leggiadra et in abit’umíle,
- In volontà mi venne con sottile
- Rima trattar parlando brievemente.
- Adunque a voi, cui tengo Donna mia,
- 10 Et chui sempre disio di servire,
- La raccomando, madama Maria:
- E prieghovi, se fosse nel mio dire
- Difecto alcun, per vostra cortesia
- Correggiate amendando il mio fallire.
- 15 Cara Fiamma, per cui ’l core ó caldo,
- Que’ che vi manda questa Visïone
- Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.
- ↑ Non si maravigli il lettore di vedere questi tre sonetti stampati con barbara ortografia. Per conservare esattamente l’Acrostico è stato forza scriverli appunto come qui si leggono, e come furono scritti originalmente dall’autore.
- Note
- SONETTO II.
- * * *
- Il dolce inmaginar che ’l mio chor face
- Della vostra biltà, donna pietosa,
- Recam’una soavità sì dilectosa1,
- Che mette lui con mecho in dolcie pace.
- 5 Poi quando altro pensiero questo disface2
- Piangemi dentro l’anim’angosciosa,
- Cercando come trovar possa posa,
- Et sola voi disiar le piace.
- Et però volend’i’ perseverare
- 10 Pur nello ’nmaginar vostra biltate,
- Cerco con rime nuove farvii onore.
- Questo mi mosse, Donna, a compilare
- La Visïone in parole rimate,
- Che io vi mando qui per mio amore.
- 15 Fatele onor secondo il su’ valore,
- Avendo a tempo poi di me pietate.
- ↑ Questo verso è troppo lungo, ma fu scritto così.
- ↑ Questo pure è fuori di misura.
- Note
- SONETTO III.1
- * * *
- O chi che voi vi siate, o gratïosi
- Animi virtuosi,
- In cui amor come ’n beato loco
- Celato tene il suo giocondo focho;
- 5 I’ vi priego c’un poco
- Prestiate lo ’ntelletto agli amorosi
- Versi, li quali sospinto conposi,
- Forse da disiosi
- Voler troppo ’nfiammato: o se ’l mio fioco
- 10 Cantar s’imvischa nel proferer broco,
- O troppo è chiaro o roco,
- Amendatel’acciò che ben riposi.
- Se in sè fructo, o forse alcun dilecto
- Porgesse a vo’ lector, ringratïate
- 15 Colei, la cui biltate
- Questo mi mosse affar come subgiecto.
- E perchè voi costei me’ conosciate,
- Ella somigli’amor nel su’ aspecto,
- Tanto c’alcun difecto
- 20 Non v’á a chi già ’l vide altre fïate;
- E l’un dell’altro si gode di loro,
- Ond’io lieto dimoro.
- Rendete allei il meritato alloro,
- E più non dic’omai,
- 25 Perchè decto mi par aver assai.
- * * *
- ↑ Questo componimento è intitolato sonetto, ma è piuttosto una ballata.
- Note
- CAPITOLO I.
- * * *
- Incomincia l’Amorosa Visione: come all’autore gli par vedere in visione le presenti cose come per innanzi è scritto.
- Muove nuovo disio la nostra mente,
- Donna gentile, a volervi narrare
- Quel che Cupido grazïosamente
- In visïon li piacque di mostrare
- 5 All’alma mia per voi, bella, ferita
- Con quel piacer che ne’ vostri occhi appare.
- Recando adunque la mente smarrita
- Per la vostra virtù pensieri al core,
- Che già temea della sua poca vita,
- 10 Accese lui di sì fervente ardore,
- Che uscita di sè la fantasia
- Subito entrò in non usato errore.
- Ben ritenne però il pensier di pria
- Con fermo freno, e oltre a ciò ritenne
- 15 Quel che più caro di nuovo sentia.
- In ciò vegghiando, in le membra mi venne
- Non usato sopor tanto soave,
- Ch’alcun di loro in sè non si sostenne.
- Lì mi posai, e ciascun occhio grave
- 20 Al sonno diedi, per lo qual gli aguati
- Conobbi chiusi sotto dolce chiave.
- Così dormendo, in su’ liti salati
- Mi vidi correr, non so che temendo,
- Pavido e solo in quelli abbandonati,
- 25 Or qua or là null’ordine tenendo;
- Quando Donna gentil piacente e bella
- M’apparve, umíl pianamente dicendo:
- Se questo luogo solo, e gire a quella
- Somma felicità, che alcuno dire
- 30 Non potè mai con intera favella,
- Abbandonar ti piace, il mio seguire
- Ti poserà in sì piacente festa,
- Ch’avrai sicuro e pieno ogni disire.
- Fiso pareva a me rimirar questa,
- 35 Ed ascoltare intento sue parole;
- Quando s’alzò alla sua bionda testa,
- Ornata di corona più che sole
- Fulgida, l’occhio mio, e mi parea
- Il suo vestire in color di viole:
- 40 Ridente era in aspetto, e in man tenea
- Reale scettro, ed un bel pomo d’oro
- La sua sinistra vidi sostenea.
- Sopra ’l piè grave non senza dimoro
- Moveva i passi; e lei tacendo, ed io
- 45 Pensato di volere suo aiutoro,
- Ecco, risposi, Donna, il mio disio
- È di cercar quel ben che tu prometti,
- Se a’ tuoi passi di dietro m’invio.
- Lascia, diss’ella, adunque i gran diletti,
- 50 E seguiraimi verso quell’altura
- Ch’opposta vedi qui a’ nostri petti.
- Allor lasciar pareami ogni paura,
- E darmi al tutto a seguitar costei,
- Abbandonando la strana pianura.
- 55 Poi che salito fui di dietro a lei,
- Non già per molto spazio, il viso alzai,
- Istato basso in fin lì verso i piei,
- Rimirandomi avanti, i’ mi trovai
- Venuto a piè d’un nobile castello,
- 60 Sopra al sogliar del quale i’ mi fermai.
- Egli era grande, ed altissimo, e bello
- E spazïoso, avvegna che alquanto
- Tenebroso paresse entrando in quello:
- Siam noi ancora là dove cotanto
- 65 Ben mi prometti, Donna grazïosa,
- Di dovermi mostrar? diss’io intanto.
- Ed ella allora: più mirabil cosa
- Veder vuoi prima che giunghi lassuso,
- Dove l’anima tua fia glorïosa.
- 70 Noi cominciammo pur testè qua giuso
- Ad entrar a quel ben; quest’è la porta,
- Entra sicuro omai nel cammin chiuso.
- Tosto ti mostrerò la via scorta,
- Per la qual fia ad andarvi diletto,
- 75 Se non ti volta coscïenza torta.
- Ed io: adunque andiam, che già m’affretto,
- Già mi cresce il disio, sì ch’io non posso
- Tenerlo ascoso più dentro nel petto.
- Vedi com’io mi son sicuro mosso,
- 80 Vedi ch’io vegno, e trascorro di voglia,
- D’ogni altra cura nella mente scosso.
- Ir si conviene qui di soglia in soglia
- Con voler temperato, che chi corre,
- Talor tornando convien che si doglia.
- 85 Sì era il suo dir vero, che apporre
- Nè contro a darvi io non are’ potuto,
- Nè dal piacer di lei potuto torre,
- In ciò ancor ch’io avessi saputo.
- * * *
- CAPITOLO II.
- * * *
- Dove l’autore tratta come seguendo una bella donna perviene a una porta d’un nobile castello.
- O somma e grazïosa intelligenza,
- Che muovi il terzo cielo, o santa Dea,
- Metti nel petto mio la tua potenza;
- Non sofferir che fugga, o Citerea,
- 5 A me l’ingegno all’opera presente,
- Ma più sottile e più in me ne crea.
- Venga il tuo valor nella mia mente,
- Tal che ’l mio dir d’Orfeo risembri il suono,
- Che ’l mosse a racquistar la sua parente.
- 10 Infiamma me tanto più ch’io non sono,
- Che ’l tuo ardor, di ch’io tutto m’invoglio,
- Faccia piacere quel di ch’io ragiono.
- Poi che condotto m’ha a questo soglio
- Costei, che cara seguir mi si face,
- 15 Menami tu colà ov’io ir voglio;
- Acciocch’e’ passi miei, che van per pace,
- Seguendo il raggio della tua stella,
- Vengano a quello effetto che ti piace.
- Ragionando con tacita favella
- 20 Così m’andava nel nuovo sentiero,
- Seguendo i passi della donna bella.
- Ruppemi tal parlar nuovo pensiero,
- Ch’un muro antico nella mente mise,
- Apparitoci avanti tutto intero.
- 25 Allor la bella donna un poco rise,
- Me stupefatto e d’ammirazion pieno
- Veggendo, e disse: forse tu divise
- Del cammin nostro che qui venga meno?
- O se più è, non vedi da qual loco
- 30 Li passi nostri su salir porriéno;
- Oltre convien che venghi ancora un poco;
- Ed io mostrandol, vederai la via
- Che ci merrà al grazïoso gioco.
- Non fummo guari andati, che la pia
- 35 Donna mi disse: vedi, qui la porta
- Che la tu’ alma cotanto disia.
- Nel suo parlar mi volsi, e poi che scorta
- L’ebbi, la vidi piccioletta assai,
- E stretta e alta, in niuna parte torta.
- 40 A man sinistra allora mi voltai,
- Volendo dir, chi ci potrà salire,
- O passar dentro, che par che giammai
- Gente non ci salisse? E nel mio dire
- Vidi una porta grande aperta stare,
- 45 E festa dentro mi vi parve udire.
- E dissi allor: di qua fia meglio andare
- Al mio parere, e credo troveremo
- Quel che cerchiam, che già udir mel pare.
- Non è così, rispose, ma anderemo
- 50 Su per la scala che tu vedi stretta,
- E ’n sulla sommità ci poseremo.
- Tu guardi là, e forse ti diletta
- Il cantar che tu odi, il qual piuttosto
- Pianto si dovria dire in lingua retta.
- 55 Il corto termine alla vita posto
- Non è da consumare in quelle cose,
- Che ’l bene eterno ci fanno nascosto.
- Levarsi ad alto alle glorïose
- Utilemente s’acquista virtute,
- 60 Che lascia le memorie poi famose.
- E stu non credi forse che a salute
- Questa via stretta meni, alza la testa,
- Ve’ che dicon le lettere scolpute.
- Alzai allora il viso, e vidi: Questa
- 65 Picciola porta mena a via di vita,
- Posto che paia nel salir molesta:
- Riposo eterno dà cotal salita:
- Dunque salite su senza esser lenti,
- L’animo vinca la carne impigrita.
- 70 Io dissi: Donna, molto mi contenti
- Col ver parlar che tua bocca produce,
- E più m’accertan le cose parventi,
- Guardando quelle: ma dimmi, che luce
- È quella che io veggio là entr’ora,
- 75 Perchè in questa così non riluce?
- Voi che nel mondo state, vostra mora
- Fate in un loco tenebroso e vano,
- E però gli occhi alla dolce aurora
- Alzare non potete, a mano a mano
- 80 Che voi di quello uscite, a veder quanta
- Sia la chiarezza del fattor sovrano:
- Rompesi poi la nebbia che v’ammanta,
- Quando ad entrar nel vero incominciate,
- E conoscete poi la luce santa.
- 85 Dirizza i piedi alle scale levate;
- Su non sarai, che vie maggior chiarezza
- Vedrai, ch’ella non è mille fïate;
- Adunque che fia in capo dell’altezza?
- * * *
- CAPITOLO III.
- * * *
- Nel quale si contiene come l’autore vede scritto sopra la porta lettere d’oro, e come due giovani li si fanno incontro, ed è un con loro.
- Ristata era la Donna del parlare,
- E rimirava ch’io entrassi dentro
- Di dietro a lei, che già volea montare.
- Sed e’ vi piace, prima andiam là entro,
- 5 Diss’io a lei; e quella: tu disii
- Di ruinar con doglia al tristo centro,
- Io dico insino a qui, se là t’invii
- In cose vane, l’anima disposta
- A bene oprar, convien che si disvii.
- 10 Pon l’intelletto alla scritta ch’è posta
- Sopra l’alto arco della porta, e vedi
- Come ’l suo dar val poco e molto costa.
- Ed io allora a riguardar mi diedi
- La scritta in alto che pareva d’oro,
- 15 Tenendo ancora in là voltati i piedi.
- Ricchezza, dignità, ogni tesoro,
- Gloria mondana copïosamente,
- Do a color che passan nel mio coro:
- Lieti li fo nel mondo, e similmente
- 20 Do quella gioia che Amore promette
- A’ cor che senton suo arco pugnente.
- Or hai vedute ed amendune lette
- Le scritte, e vedi chi maggior promessa,
- E più utile fa; dunque che aspette?
-
- 25 Non istiamo più omai, che ’l tempo cessa,
- E ’l perder quello spiace a’ più saputi:
- Adunque omai sagliam, mi dicev’essa.
- Ver è, Donna gentil, ch’io ho veduti,
- Risposi, scritti i don, però vedere
- 30 Vorre’ provando quai son posseduti.
- Ogni cosa dello mondo sapere
- Non è peccato, ma la iniquitate
- Si dee lasciare, e quel ch’è ben tenere.
- Venite adunque qua, che pria provate
- 35 Devono esser le cose leggieri,
- Ch’entrare in quelle c’han più gravitate.
- Ora che siamo quasi nel sentieri,
- Andiam, vediamo questi ben fallaci,
- Più caro fia poi l’affannar pe’ veri.
- 40 Se tu sapessi quanto son tenaci,
- E quanto e’ traggon l’uom di via diritta,
- Non parleresti siccome tu faci.
- Togliamci quinci, disse, che già fitta
- Veggo la mente tua, se più ci stai,
- 45 A quel che dice la seconda scritta.
- Il che lasciar a chi il prende, mai
- Impossibile par, finchè si more,
- E per que’ va poi agli eterni guai.
- La Donna giva già, ed ecco fore
- 50 Della gran porta due giovani uscire,
- L’uno era corto e bianco in suo colore,
- E l’altro rosso, e incominciaro a dire:
- Dove cercando vai gravoso affanno?
- Vien dietro a noi, se vogli il tuo disire.
- 55 Sollazzi e festa, come molti fanno,
- Qua non ti falla, e poi il salir suso
- Potrai ancor nell’ultimo tuo anno.
- Il luogo è chiaro e di tenebre schiuso:
- Vien, vedi almeno, e saliratten poi,
- 60 Se ti parrà noioso esser quaggiuso.
- Piacevami il dir loro, e già, con voi,
- Dir voleva, io verrò: ma mi diceva
- Colei: lascia costoro, andiam su noi.
- E per la destra man preso m’aveva,
- 65 Seco tirando me in su, e l’uno
- La mia sinistra e l’altro ancor teneva,
- Ridendosene insieme, e ciascheduno
- Tirandomi diceva: vienne, vienne,
- Cerchi sola costei il cammin bruno.
- 70 Lì d’una parte e d’altra mi ritenne
- L’esser tirato, dond’io, ben sapete,
- Volto alla Donna, che io non ho penne
- A poter su volar, come credete,
- Nè potrei sostener questi travagli,
- 75 A’ quai dispormi subito volete.
- Fermata allor mi disse: tu t’abbagli
- Nel falso immaginar, e credi a questi,
- Ch’a dritta via son pessimi serragli.
- A trarti fuor d’errore, e di molesti
- 80 Disii, discesi, e per voler mostrarti
- Le vere cose che prima chiedesti,
- Nè mai avrei lasciato d’aiutarti
- Col mio veder nelle battaglie avverse:
- Ma poichè d’altri t’è paciuto darti,
- 85 Trova il cammino dell’opere perse,
- Ch’io non ti lascerò, mentre che io
- Vedrò non darti tra quelle diverse,
- A voler seguitar bestial disio.
- * * *
- CAPITOLO IV.
- * * *
- Dove l’autore dimostra in una sala una storia, dove vede dipinte le sette scienze, e assai filosofi.
- Seguendomi la Donna, com’io lei
- Pria seguitava, co’ due giovinetti,
- A man sinistra volsi i passi miei.
- Intra lor due avean noi due ristretti,
- 5 E con più spesso passo n’andavammo
- A riguardare i men cari diletti.
- Andando in tal maniera, noi entrammo
- Per la gran porta insieme con costoro,
- Ed in una gran sala ci trovammo.
- 10 Chiara era e bella e risplendente d’oro,
- D’azzurro di color tutta dipinta
- Maestrevolemente in suo lavoro.
- Humana man non credo che sospinta
- Mai fosse a tanto ingegno, quanto in quella
- 15 Mostrava ogni figura lì distinta:
- Eccetto se da Giotto, al qual la bella
- Natura, parte di sè somigliante
- Non occultò, nell’atto in che suggella.
- Noi ci traemmo nella sala avante,
- 20 Quasi nel mezzo d’essa, e quivi stando,
- Vedevam le figure tutte quante.
- Ell’era quadra; ond’io che riguardando
- Giva per tutto, dirizzai il viso
- Ver l’una delle facce in piede stando.
- 25 Là vid’io pinta con sottil diviso
- Una donna piacente nell’aspetto,
- Soave sguardo aveva e dolce riso.
- La man sinistra teneva un libretto,
- Verga real la destra, e’ vestimenti
- 30 Porpora gli estimai nell’intelletto.
- A piè di lei sedevan molte genti
- Sopra un fiorito e pien d’erbette prato,
- Alcuni meno e alcuni più eccellenti.
- Ma dal sinistro e dal suo destro lato
- 35 Sette donne vid’io, dissimiglianti
- L’una dall’altra in atto ed in parato.
- Elle eran liete, e lor letizia in canti
- Pareami dimostrassero, ma io
- Con l’occhio alquanto più mi trassi avanti.
- 40 Nel verde prato a man destra vid’io
- Di questa donna, in più notabil sito,
- Aristotile star con atto pio:
- Tacito riguardando in sè unito
- Pensoso mi pareva; e poi appresso
- 45 Isocrate sedea quasi smarrito.
- Eravi quivi ancor Platon, con esso
- Melisso, Anassimandro v’era, e Tale,
- E Speusippo lei mirando spesso.
- Raclito ancora, e Ippocras il quale
- 50 In abito mostrava d’aver cura
- Ancora di sanare il mondan male.
- Ivi sedeva con sembianza pura
- Galeno, e con lui era Zenone,
- E ’l Geometra ch’a dritta misura
- 55 Mosse l’ingegno, sicchè con ragione
- Oggi s’adopra seguendo suo stile:
- E dopo lui Democrito e Solone.
- Insieme con costoro in atto umile
- Si sedea Tolomeo, e speculava
- 60 Il ciel con intelletto assai sottile,
- Riguardando una spera che lì stava
- Ferma davanti, e Tebico con lui,
- E Abracis ancora in ciò mirava.
- Averrois e Fedon dopo colui
- 65 Sedevan rimirando la bellezza
- Di quella donna che onora altrui.
- Nassagora ancor quella chiarezza
- Mirava fiso insieme con Timeo,
- Mostrando in atto di sentir dolcezza.
- 70 Dioscoride ancor v’era, ed Orfeo,
- Ambepece e Temistio, e poi un poco
- Esiodo, e Lino, e Timoteo.
- O quanto quivi in grazïoso gioco
- Pittagora onorato si vedea,
- 75 E Diogene in sì beato loco!
- Vie dopo questi ancora mi parea
- Seneca riguardando ragionare
- Con Tullio insieme, che con lui sedea.
- Innanzi a loro un poco, ciò mi pare,
- 80 Parmenide sedea e Teofrasto,
- Lieto ciascun della donna mirare.
- Vestito d’umiltà pudico e casto
- Boezio si sedeva ed Avicena,
- Ed altri molti, i qua’ s’a dir m’adasto,
- 85 Non fosse troppo rincrescevol pena
- Dubbio al lettor, però mi taccio omai,
- E dirò di color che seco mena
- Dalla man manca, ov’io mi rivoltai.
- * * *
- CAPITOLO V.
- * * *
- Come l’autore vede dipinto nella detta sala appiè delle donne, Virgilio, e molti altri poeti, e Dante.
- Io dico che dalla sinistra mano
- Di quella donna vidi un’altra gente,
- L’abito della qual non guari strano
- Sembrava di color, che primamente
- 5 Contati abbiam, benchè la vista loro
- Si stenda ver le donne più fervente.
- Virgilio mantovan infra costoro
- Conobb’io quivi più ch’altro esaltato,
- Siccome degno per lo suo lavoro:
- 10 Ben mostrava nell’atto che a grato
- Gli eran le sette donne, per le quali
- Sì altamente avea già poetato:
- Il ruinar di Troia ed i suoi mali,
- Di Dido, e di Cartagine e d’Enea,
- 15 Lavorar terre e pascere animali,
- Trattar negli atti suoi ancor parea.
- Omero e Orazio quivi dopo lui,
- Ciascun mirando quelle, si sedea.
- A’ quai Lucan seguitava, ne’ cui
- 20 Atti parea ch’ancora la battaglia
- Di Cesare narrasse, e di colui
- Magno Pompeo chiamato, che ’n Tessaglia
- Perdè il campo, e quasi lagrimando
- Mostra che di Pompeo ancor gli caglia.
- 25 Eravi Ovidio, lo quale poetando
- Iscrisse tanti versi per amore,
- Come acquistar si potesse mostrando.
- Non guari dopo lui fatt’era onore
- A Giovenal, che ne’ su’ atti ardito
- 30 A mondar falli ancor facea romore.
- Terenzio dopo lui aveva sito
- Non men crucciato, e Panfilo, e Pindáro,
- Ciascun per sè sopra ’l prato fiorito.
- E Stazio di Tolosa, ancora caro
- 35 Quivi pareva avesse l’aver detto
- Del teban male e del suo pianto amaro.
- Bell’uom’ tornato d’asino soletto
- Si sedeva Apuleio, cui seguiva
- Varro e Cecilio lieti nell’aspetto.
- 40 Euripide mi par che poi veniva,
- Antifone, Simonide ed Archita,
- Parea dicesser ciò ch’ognun sentiva
- Lì di diletto, e di gioconda vita
- Insieme ragionando; e dopo questi
- 45 Sallustio quasi in sembianza smarrita
- Là parea che narrasse de’ molesti
- Congiuramenti che fe’ Catilina
- Contra’ Roman, ch’a lui cacciar fur presti.
- Al qual Vegezio quivi s’avvicina,
- 50 Claudïano, Persio, ed Agatone,
- E Marziale in vista non meschina.
- L’antico e valoroso buon Catone
- Quivi era nel sembiante assai pensoso,
- Tenendo con Antigono sermone.
- 55E vago ne’ suoi atti di riposo,
- Da una parte mi parve vedere
- Quel Livïo che fu sì copïoso,
- Guardando que’ che innanzi a sè sedere
- Tanti vedea, nell’aspetto contento
- 60 D’avere scritte tante storie vere.
- Geloso di cotal contentamento
- Valerio appresso parea che dicesse:
- Breve mostrai il mio intendimento.
- Ivi con lor mi parve ch’io vedesse
- 65 Paolo Orosio stare, e altri assai,
- De’ qua’ non v’era alcun ch’i’ conoscesse.
- Allora gli occhi alla donna tornai,
- A cui le sette d’avanti e d’intorno
- Stavano tutte in atti lieti e gai.
- 70 Dentro del coro delle donne adorno,
- In mezzo di quel loco ove faciéno
- Li savii antichi contento soggiorno,
- Riguardando vid’io di gioia pieno
- Onorar festeggiando un gran poeta,
- 75 Tanto che ’l dire alla vista vien meno.
- Aveali la gran donna mansueta
- D’alloro una corona in sulla testa
- Posta, e di ciò ciascun’altra era lieta.
- E vedend’io così mirabil festa,
- Per lui raffigurar mi fe’ vicino,
- Fra me dicendo, gran cosa fia questa.
- Trattomi così innanzi un pocolino,
- Non conoscendol, la donna mi disse:
- Costui è Dante Alighier Fiorentino,
- Il qual con eccellente stil vi scrisse
- Il sommo Ben, le Pene, e la gran Morte:
- Gloria fu delle muse mentre visse,
- Nè qui rifiutan d’esser sue consorte.
- * * *
- CAPITOLO VI.
- * * *
- Come l’autore vede dipinto nella bella sala la Gloria del mondo in atto d’una donna.
- Al suon di quella voce grazïosa,
- Che nominò il maestro, dal qual’io
- Tengo ogni ben, se nullo in me sen posa:
- Benedetto sia tu, eterno Iddio,
- 5 C’hai conceduto ch’io possa vedere
- In onor degno ciò ch’avea in disio,
- Incominciai allora, nè potere
- Aveva di partir gli occhi dal loco,
- Dove parea il signor d’ogni savere,
- 10 Tra me dicendo: deh perchè il foco
- Di Lachesi per Antropo si stuta
- In uomo sì eccellente, o dura poco?
- Viva la fama tua, o ben saputa
- Gloria de’ Fiorentin, da’ quali, ingrati,
- 15 Fu la tua vita assai mal conosciuta!
- Molto si posson riputar beati
- Color che già ti seppero, e colei
- Che ’n te s’incinse, onde siamo avvisati.
- Io riguardava, e mai non mi sarei
- 20 Saziato di mirarlo, se non fosse,
- Che quella Donna che i passi miei
- Là entro con que’ due insieme mosse,
- Mi disse: che pur miri? Forse credi
- Rendergli col mirar le morte posse?
- 25 E’ c’è altro a veder che tu non vedi:
- Tu hai costì veduto; volgi omai
- Gli occhi a que’ del mondan romore eredi;
- I quali, quando riguardati avrai,
- Di quinci andremo, che lo star mi sgrata.
- 30 A cui io dissi: Donna tu non sai
- Neente, perchè tal mirar m’aggrata
- Costui cui miro, che se tu il sapessi,
- Non parleresti forse sì turbata.
- Veramente se tu il mi dicessi
- 35 Nol saprei me’, rispose quella allora,
- Ma perder tempo è pur mirare ad essi.
- Oltre passai senza far più dimora
- Con gli occhi a riguardar (lasciando stare
- Quel ch’io disio di rivedere ancora)
- 40 Là dove a colei piacque che voltare
- Io mi dovessi, e vidi in quella parte
- Cosa ch’ancor mirabile mi pare.
- Odi: che mai natura con sua arte
- Forma non diede a sì bella figura;
- 45 Non Citerea allor ch’ell’amò Marte,
- Nè quando Adon le piacque, con sua cura
- Si fe’ sì bella, quanto infra gran gente
- Donna pareva lì leggiadra e pura.
- Tutti lì soprastava veramente
- 50 Di ricche pietre coronata e d’oro,
- Nell’aspetto magnanima e possente:
- Ardita sopra un carro tra costoro
- Grande e trionfal lieta sedea,
- Ornato tutto di frondi d’alloro,
- 55 Mirando questa gente: in man tenea
- Una spada tagliente, con la quale
- Che ’l mondo minacciasse mi parea.
- Il suo vestire a guisa imperïale
- Era, e teneva nella man sinestra
- 60 Un pomo d’oro: e ’n trono alla reale
- Vidi sedeva, e dalla sua man destra
- Due cavalli eran che col petto forte
- Traeano il carro tra la gente alpestra.
- E intra l’altre cose, che iscorte
- 65 Quivi furon da me intorno a questa
- Sovrana donna, nemica di morte,
- Nel magnanimo aspetto fu, ch’a sesta
- Un cerchio si movea grande e ritondo
- Da’ piè passando a lei sopra la testa.
- 70 Nè credo che sia cosa in tutto ’l mondo,
- Villa, paese dimestico o strano,
- Che non paresse dentro da quel tondo.
- Era sopra costei, e non invano,
- Scritto un verso, che dicea leggendo:
- 75 Io son la Gloria del popol mondano.
- Così mirando questa, e provedendo
- Ciò che d’intorno, di sopra e di sotto
- Le dimorava, e chi la gía seguendo,
- O lei mirava; senza parlar motto
- 80 Per lungo spazio in ver di lei sospeso
- Tanto stett’io, che d’altra cura rotto
- Nella mente sentimmi, e il viso steso
- Diedi a mirar il popolo che andava
- Dietro a costei, chi lieto e chi offeso,
- 85 Siccome nel mio credere estimava:
- E quivi più e più ne vidi, e quale
- Conobbi, se ’l parer non m’ingannava,
- Onde al disio di mirar crebbi l’ale.
- * * *
- CAPITOLO VII.
- * * *
- Dove si contiene chi seguì la fama del mondo, fra’ quali fu Giano, Saturno, Nembrotto e altri assai.
- Tra gli altri che io vidi presso a questa,
- Fu Giano, ch’esser stato abitatore
- Dell’italici regni facea festa.
- Turbato nello aspetto, e di furore
- 5 Pien seguiva Saturno, cui il figlio
- Mandò mendico per esser signore.
- Il superbo Nembrotto, che ’l gran piglio
- In Senaar fe’ per voler gire a Dio,
- Stordito v’era senza alcun consiglio.
- 10 Lunghesso Fauno e Pico là vid’io
- Seguire, ed il gran Belo dopo loro,
- Mirando ognun la donna con disío.
- Elettra ed Atalanta con costoro
- Givano insieme, e dopo lor seguire
- 15 Italo vidi senza alcun dimoro.
- Robusto si mostrava e pien d’ardire
- Dardano quivi con un freno in mano,
- E nello atto parea volesse dire:
- Io fui colui nel mondo primerano,
- 20 Il qual col freno in Tessaglia domai
- Il caval primo in uso ancora strano
- Mirabilmente, e sì edificai
- Primo quella città, che poscia Troia
- Chiamaro i successor ch’io vi lasciai.
- 25 Appresso il qual mostrando in atto gioia
- Seguia Sicul, che l’Isola del fuoco
- Prima abitò in pace e senza noia.
- Troilo ancora in quel medesmo loco
- Coverto d’oro tutto risplendea,
- 30 Facendosi alla donna a poco a poco.
- Rigido e fiero quivi si vedea
- Nino, che prima il suo natural sito
- Per battaglia maggior fe’, che parea
- Ancor che minacciasse insuperbito;
- 35 E dopo lui seguiva la sua sposa
- Con sembiante non men che ’l suo ardito:
- Tanto rubesta, e così furïosa
- Vi si mostrava, come quando a lui
- Succedette nel regno valorosa.
- 40 Tamiri poi seguitava, nel cui
- Viso superbia saria figurata,
- Con gli occhi ardenti spaventando altrui.
- Anfion poi con labbia consolata
- Vi conobb’io al suon, dal cui liuto
- 45 Fu Tebe prima di muri cerchiata.
- Retro a lui Niobe, il cui arguto
- Parlar fu prima cagion del suo male,
- E del danno de’ figli ricevuto.
- Poi seguitava Danao, dal quale
- 50 L’antico popol greco veramente
- Trasse il suo principio originale.
- A cui di dietro quel Serse possente,
- Che fe’ sopra Ellesponto il lungo ponte,
- Venia, freno all’orgoglio della gente.
- 55 Riguardando la donna colla fronte
- Alzata, venia Ciro poco appresso,
- Di cui l’opere furo altiere e conte.
- Laumedon sen veniva dopo esso
- Con molti successor dietro alle spalle,
- 60 De’ qua’ giva Priamo oltre con esso.
- Anchise seguitava nel lor calle:
- Appresso il qual, colui venía correndo
- Che le Dee vide nell’oscura valle:
- Nello aspetto parea ch’ancor ridendo
- 65 Andasse di ciò ch’egli aveva fatto,
- Quando di Grecia si partì fuggendo.
- Dopo costui Enea seguia con atto
- Pietoso molto, e non molto distante
- Giulio Ascanio il seguitava ratto.
- 70 O quanto ardito e fiero nel sembiante
- Quivi pareva Ettor sopra un destriere,
- Tra tutti i suoi di molto oro micante.
- Bello e gentil nell’aspetto a vedere
- Era, con una lancia in mano andando
- 75 Ver quella donna lieto al mio parere.
- Risplendea quivi ancora cavalcando
- Alessandro, che ’l mondo assalì tutto,
- Con forza lui a sè sotto recando,
- Il qual con fretta voleva al postutto
- 80 Toccare il cerchio, ove colei posava,
- Cui questi disiavan per lor frutto.
- E il re Filippo e Nectaneb gli andava
- Ciascuno appresso rimirando quello,
- Che nello aspetto se ne glorïava.
- 85 Veniva in su un caval corrente e snello
- Darïo corrucciato nello aspetto,
- E con sembiante dispettoso e fello,
- E senza aver di tale andar diletto.
- * * *
- CAPITOLO VIII.
- * * *
- Della medesima Fama, e come dopo costoro seguita Salomone, e Assalonne e altri.
- Mirando avanti con ferma intenzione,
- Veder mi parve quel re eccellente
- Che fu sì savio, io dico Salomone.
- Eravi ancor Sansone, che possente
- 5 Di forza corporal più ch’altro mai
- Fu che nascesse fra l’umana gente.
- Nel riguardar più innanzi affigurai
- Il viso d’Assalon, che più bellezza
- Ebbe nel mondo che altro giammai.
- 10 Tra questi pien d’orgoglio e di fierezza
- Seguendo cavalcava Capaneo,
- Che ne’ suoi atti ancora Iddio sprezza.
- Eteocle era quivi con Tideo,
- Adrasto re pensante e doloroso
- 15 Del perder che d’intorno a Tebe feo.
- Ancora si mostrava il valoroso
- Polinice; Broccardo il seguitava,
- E ’l re Licurgo, e Giasone animoso.
- Di retro al quale Pelleo cavalcava,
- 20 Con quella lancia in man che prima morte,
- Poi medicina a sua ferita dava.
- Veniva appresso vigoroso e forte
- Achille col figliuol, che sì spietata
- Vendetta fe’, quando l’antiche porte
- 25 Non serraron più Troia, che l’entrata
- Avevan data al gran caval ripieno
- Della nemica gente tutta armata.
- Questo crudel senza mezzo seguieno
- Diomede ed Ulisse, e ad aguati
- 30 Andare ancor pensando mi pariéno.
- Vigoroso di dietro a loro, armati
- Patricolo veniva ed Antenóre,
- Ciascun cogli occhi ver la Donna alzati.
- Ercole v’era, il cui sommo valore
- 35 Lungo saria a voler recitare,
- Perch’ebbe già d’assai battaglie onore.
- Anteo dopo lui vi vidi stare,
- Ch’ancor parea che ’n atto si dolesse
- Di ciò che già gli fe’ Ercol provare.
- 40 Veniva poi Minos, come se stesse
- Ancor davanti Atene tutto armato,
- Nè d’Androgeo parea più gli calesse.
- O quanto d’ira pareva infiammato,
- D’ira e di mal talento Menelao,
- 45 Seguendo Agamennon dal destro lato!
- Il qual seguiva poi Protesilao,
- Bello e grazïoso nello aspetto,
- E dopo lui cavalcava Anfiarao;
- Che i suoi lasciò ad oste nel cospetto
- 50 Di Tebe, ruinando a’ dolorosi
- C’hanno perduto il ben dell’intelletto.
- Venivan dopo lui molti animosi,
- Insieme con Teseo Demofoonte,
- Di toccar quella Donna disïosi.
- 55 I qua’ seguia con dolorosa fronte
- Egeo, che per veder le vele nere
- Si gittò in mar dall’alta torre sponte.
- Turno pareva quivi che di vere
- Lagrime avesse tutto molle il viso,
- 60 Dogliendosi del troian forestiere.
- Ed Eurialo ancora v’era, e Niso,
- Mostrandosi piagati, come foro
- Ciascun di lor, l’un per l’altro conquiso.
- Non molto spazio poi dietro a costoro
- 65 Latino sen veniva a piccol passo,
- Pallante e Creso poi, e dopo loro
- Giarba veniva nello aspetto lasso,
- Andandosi di Dido ancor dolendo,
- Perchè ad altro uom di lui fece trapasso,
- 70 Helena dopo lui portava ardendo
- Di foco un gran tizzone; e pur costei
- Miravan molti sè stessi offendendo.
- Oreste niquitoso dopo lei
- Con un coltello in man sen giva fello,
- 75 Nell’atto minacciando ancor colei
- Del corpo a cui uscì: e poi dop’ello
- Venia broccando la Pantasilea
- Lieta nel viso grazïoso e bello.
- O quanto ardita e fiera mi parea,
- 80 Armata tutta con uno arco in mano,
- Con più compagne ch’ella seco avea!
- Non era lì alcun che del sovrano
- E altiero portamento maraviglia
- Non si facesse, tenendolo strano.
- 85 Non molto dopo lei venia la figlia
- Del re Latino lieta, e dopo Jole;
- Poi Deianira con bassate ciglia,
- Ancora quivi d’Ercole si duole.
- * * *
- CAPITOLO IX.
- * * *
- Dove conta della medesima Fama, e massimamente di Dido, e d’Ecuba e d’altre.
- Moveasi dopo queste quella Dido
- Cartaginese, che credendo avere
- In braccio Giulio, vi tenne Cupido:
- Isconsolata giva, al mio parere,
- 5 Chiamando in boci ancora: pio Enea,
- Di me, ti prego, deggiati dolere:
- Ancora, com’io vidi, in man tenea,
- Tutta smarrita, quella spada aguta
- Che ’l petto le passò, che mi facea,
- 10 Essendole lontan, nella veduta
- Ancor paura, non ch’a lei, ch’ardita
- Fu dar di quella a sè mortal feruta.
- Trista piangendo in abito smarrita,
- E come can nella voce latrare,
- 15 Ecuba vidi con poca di vita.
- Con lei la mesta Polissena stare
- Quivi parea, in aspetto ancor sì bella,
- Che me ne fe’ in me maravigliare.
- Hoëta poi seguitava dop’ella
- 20 Piangendo a’ Greci aver piaciuto mai,
- Quand’elli andar per le dorate vella.
- Vedevasi colei che sentì guai
- Ercole partorendo; e dopo lei
- Isifile dolente affigurai.
- 25 In abito crucciato con costei
- Seguia Medea crudele e dispietata,
- Con voce ancor parea dicere: omei,
- Se io più savia alquanto fossi stata,
- Nè sì avessi tosto preso amore,
- 30 Forse ancor non sarei suta ingannata.
- Eravi ancor Cammilla, che ’l dolore
- Della morte sentì per Turno fiera,
- Mostrando ne’ sembianti il suo vigore.
- Non molto dopo lei ancora v’era,
- 35 Col capo basso e umil nel sembiante,
- Ilia vestale vestita di nera,
- Portando in ciascun braccio un piccol fante,
- Romolo e Remo amendue nomati,
- Traendo lor quanto poteva avante.
- 40 Ratto tra gli altri di sopra contati
- Si facea Foroneo, che prima diede
- Legge civile, acciò che ordinati
- E’ suoi vivesser, siccome si crede:
- E dopo lui venia Numa Pompilio,
- 45 Che lieta ne fe’ Roma, com’ si vede.
- Dop’esso cavalcava Tullio Ostilio,
- E Anco Marzio, e il Prisco Tarquino,
- E dopo lui seguia Tullio Servilio.
- Ivi Tarquin Superbo, e Collatino
- 50 Parian, e ’l re Porsenna, che andando
- Ferocemente seguia lor cammino.
- Seguivali Cornelio ancor mostrando
- L’inarsicciata man, ch’uccise altrui,
- Che ’l core non volea, nescio fallando.
- 55 Il valoroso Bruto, per lo cui
- Ardir fu Roma dal giogo reale
- Diliberata, seguiva, e con lui
- Orazio Cocle v’era, per lo quale,
- Tagliato il ponte a lui dietro alle spalle,
- 60 Libera Roma fu dal toscan male.
- Dietro veniva quel Curzio, ch’a valle
- Armato si gittò per la fessura,
- In forse di sua vita o di suo calle,
- Intendendo a voler render sicura
- 65 Piuttosto Roma e’ suoi abitatori,
- Che di sè stesso aver debita cura.
- Seguía Fabrizio, che gli eccelsi onori
- Più disiò che posseder ricchezza,
- Avendo que’ per più cari e maggiori.
- 70 Eravi quel Metel, ch’alla fierezza
- Di Giulio, Tarpea tanto difese,
- Mostrando non curar la sua grandezza.
- Riguardando oltre mi si fe’ palese
- Curïo, che diede per consiglio,
- 75 Ch’al presto sempre l’indugiare offese.
- Vedevavisi Mario, che lo impiglio
- Con Lucio Silla fe’ nella cittate,
- Mettendo a’ colpi il padre contro al figlio.
- Juba, ed Amilcare e Mitridate,
- 80 Manastabal e Codro v’era ancora,
- E poi Giugurta voto di pietate.
- Rigido nello aspetto vi dimora
- Catilina, e pensando par che vada
- Allo esilio, che ’n vista ancor gli accora.
- 85 Evvi Clelïa appresso, che la strada
- Fece a’ Roman, quand’ella si fuggío
- Per lo Tevere in parte u’ non si guada,
- Lo cui tornar Roma rinvigorio.
- * * *
- CAPITOLO X.
- * * *
- Dove tratta della medesima Fama, e come la seguita Annibale, Cleopatra, Cornelia, e Giulia, e molti altri.
- Ahi quivi fiero ed orgoglioso quanto
- Vi vid’io Annibal sopra un destriere,
- Ch’alli Roman levò riposo tanto!
- Rubesto gli parea ancor tenere
- 5 Cartagine sub sè, col viso alzato
- In ver la Donna andando a suo potere.
- Asdrubal gli era dal sinistro lato,
- Con non men di fierezza nello aspetto,
- Con una lancia cavalcando armato.
- 10 Corïolan, che lo infiammato petto
- Ebbe contra i Romani, e giustamente,
- Quando leal cacciar lui per sospetto,
- Come vedendo quella umilemente,
- Che ’l genero piegando la sua ira
- 15 A’ preghi suoi era quivi presente,
- Oltre con gli altri andava ver la mira
- Bellezza della Donna; dopo il quale,
- Come colui che tristo ancor sospira,
- Massinissa seguiva, del suo male,
- 20 A freno abbandonato cavalcando,
- Sè stesso avendo poco a capitale.
- Allegro Cincinnato seguitando
- L’andava; e Persio poi come potea
- Giocondo sè nel sembiante mostrando.
- 25 Nobile nello aspetto si vedea
- Possente oltre venir intra costoro
- Cesare, che in vista ancor ridea
- D’avere a forza avuto da coloro
- Nome d’imper, che real dignitate
- 30 Per istatuto avean cassa fra loro.
- Ornato di bell’arme, e incoronate
- Le tempie avea di quelle fronde care,
- Che fur da Febo già cotanto amate.
- Mirabilmente bello a campeggiare
- 35 In uno scudo lo divino uccello,
- Nero nell’oro lì vidi, mi pare;
- Ancora in una lancia un pennoncello
- Che in man portava, e simigliante
- Vid’io quella ventilarsi in quello.
- 40 Di quanti a lui ve n’andasser davante,
- Nullo ne fu che tanto mi piacesse,
- Nè tanto valoroso nel sembiante.
- Appresso poi parea che gli corresse
- Volonteroso e sì forte Ottaviano,
- 45 Che dentro al cerchio già parea ch’avesse
- Messa più che nessun la destra mano:
- Bello era nell’aspetto e grazïoso
- Quanto alcuno altro fosse mai mondano.
- A lui seguiva poi molto pensoso,
- 50 Pallido nello aspetto il gran Pompeo,
- Tal che di lui mi fe’ tornar pietoso.
- Mirando dietro a sè a Tolomeo,
- Che il seguiva, cui fe’ re d’Egitto,
- Che poi uccider là vilmente il feo.
- 55 Allora Marco Antonio quivi ritto
- Seguiva, e Cleopatra ancor con esso,
- Che in Cilicia fuggì senza rispitto
- Ridottando Ottavian, perchè commesso
- Le parea forse aver sì fatta offesa,
- 60 Che non sperava mai perdon da esso:
- Ivi non potendo ella far difesa
- Al foco che l’ardeva forse il core,
- Di libidine e d’ira ond’era accesa,
- A fuggir quello oltraggioso furore,
- 65 Con due serpenti in una sepoltura
- Sofferse sostener mortal dolore:
- E ancora quivi nella sua figura
- Pallida, si vedieno i due serpenti
- Alle sue zizze dar crudel morsura.
- 70 Prima che questi, credo più di venti,
- Era ’l primo Affricano Scipïone,
- Ch’a Roma fe’ con sua forza ubbidienti
- Ritornar già con degna punizione
- Que’ di Cartago, che insuperbiti
- 75 Eran per Annibal lor campïone.
- Ivi Cornelia in sembianti smarriti
- Seguia dietro a color, cui dissi suso,
- Ch’avanti a Scipïon non erano iti.
- E poi dopo ad essa, gli occhi in giuso
- 80 Traian vidi venir, e dopo lui
- Marzia col viso di lagrime infuso.
- Giulia veniva poi dietro colui
- In atti riposati e mansueta,
- Quasi alle spalle a Cesare, di cui
- 85 Honesta sposa fu Calfurnia, lieta
- Venia, senza parer che disïasse
- Altro veder che lui, e in lui quieta
- Ogni altra voglia che la stimolasse.
- * * *
- CAPITOLO XI.
- * * *
- Conta di que’ della Tavola ritonda, che seguitano la Fama del mondo, e delle gesta di Mongrana e altri.
- Venia dopo costor gente gioconda
- Ne’ loro aspetti, tutti cavalieri
- Chiamati della Tavola ritonda.
- Il re Artù quivi era de’ primieri,
- 5 A tutti armato avanti cavalcando,
- Ardito e fiero sopra un gran destrieri.
- Seguialo appresso Bordo speronando,
- E con lui Prenzivalle e Galeotto
- A picciol passo insieme ragionando.
- 10 E dietro ad essi venia Lancillotto
- Armato, e nello aspetto grazïoso,
- Con una lancia in man senza far motto:
- Ferendo spesso il caval poderoso
- Per appressarsi alla Donna piacente,
- 15 Di cui toccar pareva disïoso.
- O quanto adorna quivi ed eccellente
- Allato a lui Ginevra seguitava,
- In su un palafreno orrevolmente!
- Stella mattutina assomigliava
- 20 La luce del suo viso, ove beltate
- Quanta fu mai tututta si mostrava;
- Sorridendo negli atti, di pietate
- Piena, e parlando a consiglio segreto
- Con tacite parole e ordinate,
- 25 Era con que’ che già ne visse lieto,
- Lunga fïata lei senza misura
- Amando, ben che poi n’avesse fleto.
- Non molto dietro ad esso con gran cura
- Seguiva Galeotto, il cui valore
- 30 Più ch’altro di compagni si figura.
- E lui seguiva Chedino ed Astore
- Dimare, insieme con messer Suano,
- Disïosi ciascun di più onore.
- L’Amoroldo d’Irlanda ed Agravano,
- 35 Palamides seguiva, e Lionello,
- E Polinoro con messer Calvano.
- Mordietto appresso e con lui Dodinello,
- E ’l buon Tristan seguiva poi appresso
- Sopra un cavallo poderoso e snello.
- 40 Isotta bionda a lato a lato ad esso
- Venia la man di lui colla sua presa
- E rimirandol nella faccia spesso:
- O quanto ella parea nel viso offesa
- Dalla forza d’amor, di che parea
- 45 Ch’avesse l’alma dentro tutta accesa,
- Di che negli atti fuor tutta lucea:
- Tu se’ colui cui io sola disio,
- Timida nello aspetto gli dicea;
- In qua ti prego ch’alquanto, amor mio,
- 50 Tu ti rivolghi, acciò ch’io vegga il viso,
- Per cui vedere in tal cammin m’invio.
- Retro a costor sopra un cavallo assiso
- Rubesto e fiero Brunoro venía,
- E altri molti, i qua’ qui non diviso,
- 55 Eran con lui: ma io la vista mia,
- Dopo la lungha schiera discendendo,
- Conobbi più mirabil baronia.
- Di porpore vestito oltre correndo
- Quel Carlo Magno sen veniva avante,
- 60 Ch’al mondo fu cotanto reverendo.
- In su un forte e gran destrier ferrante,
- Ancora di trionfi coronato,
- Ch’egli acquistò sopra le terre sante,
- Fiero e ardito e tutto quanto armato,
- 65 Co’ gigli d’oro nel campo cilestro,
- E ’l nero uccel davanti nel dorato.
- Erali Orlando dal lato sinestro
- Con una spada in man fiero ed ardito,
- E Ulivier lo seguiva dal destro.
- 70 Cavalcando tra questi oltre pulito
- Da Montalban Rinaldo giva avanti
- Intra’ due suoi fratelli reverito.
- Tra loro era Dusnamo con sembianti
- Lieti, e molti altri ancor v’eran, li quali
- 75 Io non pote’ conoscer tutti quanti.
- Oltre venia, che parea ch’avesse ali,
- Il duca Gottifrè dopo costoro
- Per volere esser pur de’ principali.
- Appresso lui seguiva con coloro
- 80 Umilemente Ruberto Guiscardo,
- Che fu signor già in Terra di Lavoro.
- Lui seguitava frontiero e gagliardo
- Federigo secondo; e ’l Barbarossa
- Sopr’un forte roncion di pel leardo,
- 85 Cavalleroso e di persona grossa,
- Dietro sovra ’l destrier in atto altiero,
- Nel sembiante avvilendo ogni altra possa,
- Via se ne giva per esser primiero.
- * * *
- CAPITOLO XII.
- * * *
- Dove tratta della medesima Gloria mondana, e come poi la seguita Carlo di Puglia, e Gottifrè, e Curradino, e molti altri.
- Non senza molta ammirazion mirando
- M’andava riguardando quella gente,
- Fra me di lor nuovi pensier recando:
- Parevami nel creder veramente,
- 5 Che loro eccelsa fama glorïosi
- Far li dovesse sempiternamente.
- E fra gli altri che molto disïosi
- Negli atti si mostravan di venire
- A quella Donna per esser famosi,
- 10 Rubestamente in aspetto seguire
- Armato tutto sopra un gran destriere
- Vid’io quivi un grandissimo sire,
- Vestito di cilestro, al mio parere,
- Lucente tutto di be’ gigli d’oro,
- 15 Ch’ogni altra luce facean trasparere.
- Ognun, qualunque fosse di coloro
- Che gian davanti, rimirava lui,
- Sì fiero andava fuggendo dimoro.
- Se ben ricordo, e’ mi parve costui
- 20 Quel Carlo Ardito, ch’ebbe il maschio naso
- Insieme con virtù molta, da cui
- Tutto il pugliese regno fu invaso
- E conquistato, e funne coronato,
- Del qual signore il suo seme è rimaso:
- 25 Rimirandosi innanzi quasi irato,
- Con una spada che in man tenea
- Da ogni parte si facea far lato.
- Appresso a lui al mio parer vedea
- Il Saladin risplender tutto quanto
- 30 Entro ad un drappo ad or che indosso avea.
- Costui seguiva dal sinistro canto
- Tutto armato Ruggieri di Loría,
- Che in arme ebbe già valor cotanto.
- Ontoso tutto appresso li venia
- 35 Il re Manfredi, e con dolente aspetto,
- E con lui Curradino in compagnia.
- Retro a costoro assai che io non metto
- Qui ne seguien, perocchè troppo avrei
- A fare a dirli tutti, ed il mio detto
- 40 Tireria lungo più ch’io non vorrei,
- Posto ch’alla man manca ed alla dritta,
- Ch’io non ne conto, più ne conoscei.
- E la mia mente da disio trafitta
- Di vedere oltre, pur mi stimolava,
- 45 Perchè la vista non teneva fitta.
- Similemente quella con cui andava,
- Colle parole sue facendo fretta,
- Sovente all’altre cose mi chiamava.
- Il dir ch’io le faceva, un poco aspetta,
- 50 Non mi valeva, per ch’io mi voltai
- Verso la terza faccia a man diretta.
- Aveavi certo d’ammirare assai
- Più ch’io dir non potrò, tal che me stesso
- Assai fïate men maravigliai:
- 55 Con gli occhi alzati mi feci più presso
- Al detto luogo, acciò ch’io conoscessi
- Chi e che cose vi stessero in esso.
- Oro ed argento un gran monte, e con essi
- Zaffiri e ismeraldi con rubini,
- 60 Ed altre pietre assai credo vedessi.
- Riguardando più basso, con uncini,
- Chi con picconi, e chi avea martello,
- E chi con pale, e chi con gran bacini;
- Ronconi alcuni, ed altri intorno ad ello
- 65 Con l’unghie, e chi co’ denti uno infinito
- Popol vi vidi per pigliar di quello.
- E ciaschedun parea pronto ed ardito,
- Non onorando il piccolo il maggiore,
- A suo poter fornía suo appetito.
- 70 Gente v’avea di molto gran valore
- In vista, avvegna che la lor viltate
- Pur si scopria, veggendo con romore
- Gli altri che quivi per cupiditate
- Givan, cacciarli con duoli e con morte
- 75 Per prendern’essi maggior quantitate;
- Iniqua tirannia rubesta e forte
- Usando, chi con fatti e chi con detti,
- Prendendo più che la dovuta sorte.
- Alcun v’avea che i loro mantelletti
- 80 Se n’avean pieni, e per volerne ancora
- Abbandonavan tutti altri diletti.
- Tra quella gente che quivi dimora
- Conobb’io molti, e vidivene alcuno
- Ch’aver preso di quello ora ne plora,
- 85 E forse ne vorrebbe esser digiuno;
- Ma a cosa fatta penter non ti vale,
- Nè puolla addietro ritornar nessuno:
- Adunque ogni uom si guardi di far male.
- * * *
- CAPITOLO XIII.
- * * *
- Contiene di coloro che già acquistaron tesoro per avarizia, fra’ quali racconta Mida, e Marco Crasso, e Attila.
- Mirando quella turba sì golosa,
- Di quel perchè s’affanna la più gente
- Per esserne nel mondo copïosa;
- Entrato infra ’l tesoro più fervente,
- 5 Vi vid’io Mida, in vista che sazia
- Saria di tutto appena possedente:
- Non bastandoli avere avuta grazia
- Dagl’iddii, che ciò che e’ toccasse
- Ritornasse oro ver senza fallazia.
- 10 Di dietro a lui parea che ne tirasse
- Giù Marco Crasso assai, avvegnadio
- Che della bocca ancor li traboccasse.
- A lato a lui con isciolto disio,
- Quell’Attila, che ’n terra fu flagello,
- 15 S’affaticava forte al parer mio;
- Nelle sue man tenendo uno scarpello
- Con un martel ferendo sopra ’l monte,
- Gran pezzi e grossi levando di quello.
- Dall’altra parte con superba fronte
- 20 Era Epasto con un piccone in mano
- Con punte agute bene ad entrar pronte.
- Ognor che su vi dava, non invano
- Tirava il colpo a sè, ma gran cantoni
- Giù ne faceva rovinare al piano;
- 25 Impiendo di quel sè e i suoi predoni,
- Ed ogni isciolta voglia adoperando,
- Dannando le giustizie e le ragioni.
- Là vi vid’io ancora furïando
- Nerone imperadore, ed avea tesa
- 30 Sopra ’l monte una rete, e già tirando
- Molta gran quantità n’aveva presa
- Di quel tesoro, e qual gittava via,
- E qual mettea in disordinata spesa.
- Ivi di dietro un poco a lui seguia
- 35 Con una scure in man Polinestore,
- E quanto più potea quivi feria,
- Ora col colpo facendo romore,
- Ora mettendo biette alla fessura,
- Quando la scure sua tirava fore;
- 40 Forse temendo che non l’apritura
- Si richiudesse, e molto ne levava,
- Continovando pur colla sua cura.
- Appresso lui, tutto ’l monte graffiava
- Pigmaleon con uno uncino aguto,
- 45 E molto giuso a sè ne ritirava.
- L’acerbo Dionisio conosciuto
- V’ebbi mirando fra la gente folta,
- Ch’a tor dell’oro non voleva aiuto.
- Là si ficcava tra la turba molta
- 50 Con un roncone in man tagliando, e presto
- Di quella a’ piè si faceva raccolta,
- Impiendo con affanno il suo molesto
- Voler, cacciando misura e pietate
- In modo sconcio assai e disonesto.
- 55 Rubesto appresso la sua crudeltate
- Falaris dimostrava, ricidendo
- Con una accetta una gran quantitate,
- E via di quindi di quel trasferendo;
- Poi arrotata la ingrossata accetta
- 60 Ancora quivi tornava correndo,
- Con furïosa e minaccevol fretta.
- Quivi si vedea Pirro, accompagnato
- Con mal disposta e dispiacevol setta;
- A molti lì per forza avean levato
- 65 A cui cesta di collo, a cui di seno
- Avean rubato l’or ch’avea cavato,
- Ridendo poi fra lor se ne faciéno
- Beffe ed istrazio di que’ cattivelli,
- Ch’a cavar quel fatica avuta aviéno.
- 70 Ancora vidi star presso di quelli
- Il dispietato ed iniquo Tereo
- Di quel tesoro prender, nel quale elli
- Fatica non durò mai, come feo
- Quelli a cui il toglieva: e dopo lui
- 75 Pien d’oro dimorava Tolomeo.
- Ivi era Pisistráto, per la cui
- Cura più scrigni ripieni e calcati
- Quivi ne vidi tirati da lui.
- Avea in un lembo de’ panni piegati
- 80 Siracusan Geronimo tesoro,
- E egli e molti altri ne gían caricati.
- Ma di Navarra Azzolin con costoro
- Con molto se ne giva, per tornare
- Con maggior forza a sì fatto lavoro.
- 85 Molti altri ancora vi vidi cavare,
- Ed isforzarsi per volerne avere,
- Ma niente era il loro adoperare,
- Anzi ozïosi stavano a vedere.
- * * *
- CAPITOLO XIV.
- * * *
- Dove si contiene di coloro che seguitano l’Avarizia, dei quali racconta gente ecclesiastica.
- Più altra gente ancor v’avea, fra’ quali
- Gran quantità di nuovi Farisei
- Ad aver del tesor battevan l’ali:
- E sconfortando gli altri, e come rei
- 5 Erano a posseder, nel lor parlare
- Mostrando; e s’io nel rimirar potei
- Riguardar vero il loro adoperare,
- Per possederne maggior quantitate,
- Li vi vedeva forte affaticare.
- 10 Correndo sen portavan caricate
- Le some, e con iscrigni e piene ceste
- Si ritornavan quivi molte fiate.
- Ver è, che ben ch’avesser lunghe veste
- Non gli ingombravan però, ma parea
- 15 Che più che gli altri avesser le man preste.
- Infra lor riguardando, assai v’avea
- Di quelli cui altra volta avea veduti,
- E ch’io per nome ben riconoscea.
- Li quai, perocchè sono conosciuti,
- 20 Non bisogna ch’io nomi, benchè pari
- Potrebbono esser tututti tenuti.
- Con questi avanti al mio parer non guari,
- Quasi tra que’ ch’erano più eccellenti,
- E che parean de’ suddetti vicari,
- 25 Ornato di be’ drappi e rilucenti,
- Il nipote vid’io di quel Nasuto,
- Ch’a glorïar si va con procedenti,
- Recarsi in mano un forte biccicuto,
- Dando ta’ colpi sopra ’l monte d’oro,
- 30 Che di ciascun saria un mur caduto.
- E d’esso assai levava, e quel tesoro
- In parte oscura tutto si serbava,
- E quasi più n’avea ch’altro di loro.
- Oltre grattando il monte dimorava
- 35 Con aguta unghia un, ch’al mio parere
- In molte volte poco ne levava.
- Con questo tanto forte quel tenere
- In borsa gli vedea ch’appena esso,
- Non ch’altro, alcun ne potea bene avere.
- 40 Al qual facendom’io un poco appresso
- Per conoscer chi fosse, apertamente
- Vidi, che era colui che me stesso
- Libero e lieto avea benignamente
- Nudrito come figlio, ed io chiamato
- 45 Aveva lui e chiamo mio parente.
- Davanti e poi, e d’uno e d’altro lato,
- Tanti su per lo monte e giù scendiéno
- A prender del tesoro disïato:
- Ogni lingua verrebbe a dirlo meno,
- 50 Però qui m’aggia lo lettore alquanto
- Scusato, s’io non gli ritraggo appieno.
- Quand’io ebbi costor mirati tanto
- Ch’a me stesso increscea, io mi voltai,
- Com’altri volle, verso il destro canto.
- 55 Ver è che disiato avrei assai
- D’essere stato della loro schiera,
- Se con onor potesse esser giammai.
- E s’io vi fossi stato, come v’era
- Alcun ch’io vi conobbi, io avrei fatto
- 60 Sì, che veduta fora la mia cera,
- Credo, più volentier da tal, che matto
- Or mi riputa, perocchè i’ ho poco,
- E più caro m’avrebbe in ciascun atto.
- Ha! lasso, quanto nelli orecchi fioco
- 65 Risuona altrui il senno del mendico,
- Nè par che luce o caldo abbia ’l suo foco.
- E ’l più caro parente gli è nemico,
- Ciascun lo schifa, e se non ha moneta,
- Alcun non è che ’l voglia per amico.
- 70 Vnque s’ogni uomo pur di quello asseta,
- Mirabile non è, poichè virtute
- Senza danari nel mondo si vieta.
- Il cui valor, se fosse alla salute
- Di quel pensato ch’uomo pensar dee,
- 75 Non le ricchezze sarian sì volute;
- Ma io mi credo, che parole ebree
- Parrebbono a ciascun chiaro intelletto,
- Il dir che le ricchezze fosser ree.
- Avvegnachè in me questo difetto,
- 80 Piuttosto che in altro caderia,
- Tanto disio d’averne con effetto.
- Nè da tal desidero mi trarria
- Alcun, tanto il pregar mi par noioso,
- Che di danar sovvenuto mi sia.
- 85 Dopo molto pensar, desideroso
- Di veder tutto, dirizzai il viso,
- E vidi figurato poderoso
- Amor, siccome qui sotto diviso.
- * * *
- CAPITOLO XV.
- * * *
- Dove l’autore conta d’una bella storia dipinta nella bella sala dov’è figurato l’Amore e Venus, e assai gente che li seguitano.
- Quella parte dov’io or mi voltai,
- Cogli occhi riguardando e colla mente,
- Di storie piena la vidi ed assai.
- Volendo adunque d’esse pienamente,
- 5 Almen delle notabili parlare,
- Rallungar si convien l’opra presente.
- E però dico, che nel riguardare
- Ch’io feci, a guisa d’un giovane prato
- Tutta la parte vidi verdeggiare.
- 10 Similmente fiorito ed adornato
- D’alberi molti e di nuove maniere,
- E l’esservi parea gioioso e grato.
- Tra’ quali in mezzo d’esso al mio parere
- Un gran signor di mirabile aspetto
- 15 Vid’io sopra due aquile sedere.
- Al qual mentre io mirava con effetto,
- Sopra due lioncelli i piè tenea,
- Ch’avean del verde prato fatto letto.
- Vna bella corona in capo avea,
- 20 E li biondi cape’ sparti sott’essa,
- Che un fil d’oro ciaschedun parea.
- Il viso suo come neve mò messa
- Parea, nel qual mescolata rossezza
- Aveva convenevolmente ad essa.
- 25 Senza comparazion la sua bellezza
- Era, ed aveva due grandi ali d’oro
- Alle sue spalle stese in ver l’altezza.
- In man tenea una saetta d’oro,
- E un’altra di piombo, alla reale
- 30 Vestito al mio parer d’un drappo ad oro.
- Orrevolmente là il vedea cotale,
- Tenendo un arco nella man sinestra,
- La cui virtù sentir già molti male.
- Nè però era sua sembianza alpestra,
- 35 Ma giovinetta e di mezzana etate,
- Dimestica e pietosa e non silvestra.
- E ’ntorno avea senza fine adunate
- Genti, le qua’ parea che ciascheduno
- Mirasse pure a sua benignitate.
- 40 Gai e giocondi ve ne vidi alcuno,
- Tristi e dolenti sospirando gire
- Altrui vi vidi, in isperanza ognuno.
- Io che mirava il grazïoso sire,
- Immaginando molto il suo valore,
- 45 Per molti ch’io vi vidi a lui servire,
- Ornata come lui con grande onore
- Li vidi allato una donna gentile,
- La qual parava, sì com’egli è Amore,
- Vaga negli occhi, pietosa ed umile:
- 50 Ver è ch’era d’alloro incoronata,
- E in tanto era ad Amor dissimile.
- Angiola mi parea nel cielo nata;
- E in me pensai più volte ch’ella fosse
- Quella che in Cipri già fu adorata.
- 55 Non so quel che ’l cor mio sì percosse
- Mirando lei, se non che l’alma mia
- Pavida dentro tutta si riscosse,
- Nè senza a lei pensar fu poi nè fia.
- Sì eccellente e tanto grazïosa
- 60 Quivi a lato ad Amor vidi Lucia.
- In fronte a lei più ch’altra valorosa
- Due begli occhi lucean, sì che fiammetta
- Parea ciascun d’amore luminosa.
- E la sua bocca bella e piccioletta,
- 65 Vermiglia rosa e fresca somigliava,
- E parea si movesse senza fretta.
- D’intorno a sè tutto il prato allegrava,
- Come se stata fosse primavera,
- Col raggio chiar che ’l suo bel viso dava.
- 70 Io non credo ch’al mondo mai pantera
- Col suo odor già animal tirasse,
- Facendoli venir, dovunque s’era,
- Blandi e quieti, ch’a lei somigliasse;
- E sì parean mirabili i suo atti,
- 75 Ch’Amor pareva lì se n’ammirasse.
- O come nello aspetto in detti e fatti
- Savia parea, con alto intendimento,
- Pensando al suo sembiante ed a’ suoi tratti,
- Contemplando, ad Amore il suo talento
- 80 Parea fermasse in la sua chiara luce;
- Com’aquila a’ figliuoi nel nascimento
- Con amor mostra, ond’ella li produce
- A seguir sua natura; così questa
- Credo che faccia a chi la si fa duce.
- 85 A rimirar contento questa onesta
- Donna mi stava, che in atti dicesse
- Parea parole assai piene di festa,
- Come lo immaginar par che intendesse.
- * * *
- CAPITOLO XVI.
- * * *
- Dove tratta d’Amore, e quando Giove si congiunse con Europa in forma di toro.
- Costei pareva dir negli atti suoi:
- Io son discesa della somma altezza,
- E son venuta per mostrarmi a voi.
- Il viso mio, chi vuol somma bellezza
- 5 Veder, riguardi, là dove si vede
- Accompagnata lei a gentilezza;
- Ò pietà per sorella, e di mercede
- Fontana sono: Iddio mi v’ha mandata
- Per darvi parte del ben che possiede.
- 10 Donna più ch’altra sono innamorata,
- E mai sdegno in me non ebbe loco;
- Però Amor m’ha cotanto onorata.
- Ancor risplende in me tanto il suo foco,
- Che molti credon talor ch’io sia ello,
- 15 Avvegnachè da lui a me sia poco:
- Cortese e lieta son di lui vasello,
- Nè mai mi parran duri i suoi martirj,
- Pensando al dolce fin che vien da quello.
- E bene è cieco quei che i suoi disiri
- 20 Si crede senza affanno aver compiuti,
- E senza copia di dolci sospiri.
- Riceva in pace dunque i dardi aguti,
- Ch’alcun piacer di belli occhi saetta,
- Que’ che attendon d’esser provveduti.
- 25 Tal, qual vedete, giovane angioletta
- Qui accompagno Amor che mi disia,
- Poi tornerò al cielo a chi m’aspetta.
- Ancor più intesi, ma la fantasia
- Nol mi ridice, sì gran parte presi
- 30 Di gioia dentro nella mente mia
- Lei rimirando, e’ suoi atti cortesi,
- Il chiaro aspetto e la mira biltate,
- Della qual mai a pien dir non porriési.
- Da lato Amor con tanta volontate
- 35 Vidi mirarla, che nel bello aspetto
- Tutto si dipingeva di pietate.
- Ognor a sè colla sua mano il petto
- Tastando, quasi non si avesse offeso,
- Perchè a guardarla avea tanto diletto.
- 40 Io stetti molto a lei mirar sospeso,
- Per guardar s’io l’udissi nominare,
- O ch’io ’l vedessi scritto breve o steso.
- Lì nol vid’io nè ’l seppi immaginare,
- Avvegnachè, com’io dirò appresso,
- 45 In altra parte poi la vidi stare;
- D’ond’io il seppi, e lì il dico espresso:
- Però chi quello ha voglia di sapere
- Fantasiando giù cerchi per esso.
- Oimè, che lei mirando il mio volere
- 50 Non avrei sazio mai, ma stretta cura
- Di mirare altro mi mise in calere.
- Levando adunque gli occhi in ver l’altura,
- Vidi quel Giove che ’n forma di toro,
- Non già rubesto, mutò sua figura,
- 55 Che qui avendo per umil dimoro
- Europa sottratta a cavalcarsi,
- Per me’ compir l’avvisato lavoro;
- E’ parea quindi correndo levarsi,
- E gir su per lo mar, come cacciato
- 60 Fosse, e poi pianamente posarsi
- In quel paese, che poi fu nomato
- Da quella che d’addosso si dispose,
- Ripigliando sua forma innamorato.
- Nel loco poi con parole pietose
- 65 Pareva a me che la riconfortasse,
- Narrando ancor le sue piaghe amorose;
- Ma con disio parea poi l’abbracciasse,
- E con diletto l’avuto disio
- Senza contasto parea terminasse.
- 70 Alquanto appresso ancora questo iddio,
- Com’una gotta d’oro risplendente
- Trasformato, e cadendo, lui vid’io
- Gittarsi in una torre, e prestamente
- A una giovinetta ch’entro v’era,
- 75 Per ben guardarla chiusa strettamente;
- Il qual forse l’amava oltre maniera
- Dovuta, e infra le sue bianche tette
- E belle, in prova gir lasciato s’era.
- Nè dell’inganno già saper credette
- 80 Quella, ma lui ritenne nascoso,
- E guadagnato forse aver credette.
- Alla vera statura luminoso
- Quivi vedeasi tornato, e costei
- Abbracciando e baciando disïoso,
- 85 Riguardando essa, nè giammai da lei
- Partir senza il disiato giugnimento,
- Di che parea ch’ella dicesse: omei,
- Ch’io son gabbata dal tuo argomento.
- * * *
- CAPITOLO XVII.
- * * *
- Come Giove trasmutò la figliuola d’Inaco in una vacca, e diella a guardia a Giunone.
- Ha! come bella seguiva una storia
- Della figliuola d’Inaco, mi pare,
- Se ben mi rappresenta la memoria.
- Era lì Giove, e vedendo tornare
- 5 Sola dal padre quella giovinetta,
- Il suo disio le vedeva narrare.
- Lungo un boschetto con essa soletta
- Sotto piacevoli ombre con costei
- Star lor vedea sopra la verde erbetta.
- 10 Ma così dimorandosi con lei,
- Giuno vi sopravvenne furïosa,
- Temendo dello inganno fatto a lei.
- Intanto la persona grazïosa
- Giove di quella in una vacca bella
- 15 Mutò, e lei donò alla sua sposa.
- Or poichè Giuno aveali presa quella,
- Per tema forse di simile offesa,
- Argo pien d’occhi guardian fece d’ella.
- Colui appresso che l’aveva presa
- 20 A guardia, in atto un pastore chiamava,
- Ch’una sampogna sonar gli avea intesa:
- Hermete quel pastor a lui n’andava,
- Sotto alberi sonando dolcemente,
- Con colui quivi riposando stava.
- 25 Onde sonando vedea chetamente,
- Con tutti e cento gli occhi ch’Argo avea,
- Addormentarsi e non sentir nïente.
- Rigido poi l’altro pastor vedea
- Trarsi di sotto un ritorto coltello,
- 30 Col qual colui prestamente uccidea.
- Fu lì da Giuno mutato in su’uccello,
- La quale irata poi parea seguire
- La vacca, per cui era morto quello.
- A lei davanti vedeasi fuggire,
- 35 E già teneva il Nil, quando lo Dio,
- Giunone rattemprò, e le sue ire.
- Così tornò ogni bellezza ad Io
- Ch’ell’ebbe mai, e lasciò la pigliata
- Forma bestial, che Giove le diè pio:
- 40 E poi la vidi lì deificata,
- E dalla gente lì divota assai
- Con molti incensi la vidi onorata.
- Dopo essa alquanto avanti riguardai,
- E ’l detto iddio in forma femminile
- 45 In un fronzuto bosco affigurai;
- E riguardando lui, che nel gentile
- Aspetto e bello Diana mi pareva,
- Negli atti suoi mansueto e umile,
- Là affannato forse si sedeva,
- 50 E un forte arco con molte saette
- Dal suo sinistro lato posto aveva.
- Lui mirando una delle giovinette
- Che per lo bosco con Diana gía,
- Che questa dessa fosse si credette:
- 55 A lui venendo in atto onesta e pia
- Per lei baciar, che forse consueto
- Era, sicura presa la sua via.
- Ver lei si fece Giove, e tutto lieto
- Prendendola, la trasse seco appresso
- 60 Entro in un luogo del bosco segreto;
- Ove baciando lei, essa con esso
- Si stava cheta, che semplice e pura
- Aveva rotto il boto già commesso.
- Sola lì mi parea che con paura
- 65 Gravida rimanesse di colui,
- Che la ingannò sotto l’altrui figura.
- Tacquesi un tempo la donna, nel cui
- Ventre piacevol peso era nascoso,
- Ma pur convenne poi paresse altrui.
- 70 Ricevenne ella allor dal grazïoso
- Coro di Diana l’esserne divisa;
- Di che poi Giove essendone pietoso,
- A lei diè forma d’orsa, e fella assisa
- Essere intorno al pol piena di stelle,
- 75 Per guiderdon della colpa commisa.
- Bianco al mio parer di dietro a quelle
- Istorie il vidi in cigno figurato,
- Con bianche penne rilucenti e belle;
- In dentro andato, se l’avea pigliato
- 80 Nelle sue braccia disïosa Leda,
- E ’n camera di lei l’avea portato.
- Là come tosto la infinta preda
- Si vide inchiusa, lieto ritornossi
- Nella sua vera e consueta seda.
- 85 Tutta negli atti lei maravigliossi,
- Ma concedendo sè alla sua voglia,
- Quivi mostrava come racchetossi,
- Acciocchè luogo avesse in alta soglia.
- * * *
- CAPITOLO XVIII.
- * * *
- Come Giove giacque con Semele, e come ell’arse, e come stette con Asteria.
- Dopo costei si vedeva seguitare
- Come già di Semele egli arse il core,
- E come l’ebbe ancora vi si pare.
- Ornata come vecchia, e di dolore
- 5 Piena, era quivi Giuno invidïosa
- Perchè Giove portava a quella amore;
- Nascosa in forma tale, la graziosa
- Giovane domandava, s’ella fosse
- Ben dell’amor di Giove copïosa.
- 10 Nel viso a riso a quel parlar si mosse
- Non conoscendo lei, e le rispose:
- Altro che me non disian sue posse.
- Allor si turbò Giuno, e ben l’ascose
- Con falso aspetto, e disse: ora ti guarda,
- 15 Che non ti inganni con viste frodose:
- Più furon quelle già cui la bugiarda
- Vista ingannò, ed io ne so alcuno:
- Ma se tu vuoi saper se per te arda,
- Istea con teco sì come con Giuno:
- 20 Se elli il fa, ben ti dico ch’allora
- Dirò che non ci sia inganno niuno;
- E fa’ che ’l faccia: e senza far dimora
- Da lei si dipartía: questa aspettando
- Rimase con disio la sua mal’ora.
- 25 Tacita e sola così dimorando,
- Parve che Giove nella casa entrasse,
- A cui ella dicea così pregando:
- Or negheraimi tu, s’io domandasse,
- Un caro dono? A cui e’ rispondea,
- 30 E rispondendo, parea che giurasse,
- Sè a ciò non mancar ch’ella volea:
- Come con Giuno ti congiugni, disse,
- Così con meco ti prego che stea.
- Ahi come a Giove dolse! ma non sdisse
- 35 Quel che impromise; ma invito, quello
- Fe’, perchè ’l saramento non perisse:
- Rilucer lì d’un foco grande e bello
- Semele si vedeva, e in cener trita
- Ritornar tosto giacendo con ello.
- 40 E così trista finì la sua vita,
- Per lo disio che ’l consiglio dolente
- Le porse, e Giuno rimase gioita.
- Conforme poi si vedea similmente
- Asterïa ad aquila seguire,
- 45 Cui elli amava molto carnalmente.
- A lato a lei, ed or di sopra gire
- Per alti boschi quivi si vedeva,
- E poi coll’ali lei presa covrire.
- Molto dubbiosa lì quella pareva,
- 50 Perchè rivolta contra il grande Iddio
- Con fiebol possa cacciar lo voleva.
- Valeale poco, perocchè ’l disio
- Suo ne prendeva quel, come che a lei
- Ne’ suoi sembianti ben paresse rio.
- 55 Nel luogo appresso si vedea colei
- Che partorì i due occhi del cielo,
- Secondo che apparve agli occhi miei.
- Assai timida l’isola di Delo
- La riteneva quasi fuggitiva,
- 60 Umile e piana sotto bianco velo.
- Soletta appresso Antiope seguiva,
- Con la qual quivi Giove, in forma quale
- Un satiro alla mia estimativa,
- Ove allato sedeale, e quanto male
- 65 Amor per lei li facesse narrava,
- Nè come alcun rimedio ne li vale.
- Assai negli atti suoi la lusingava,
- Tanto che ’n fine alla sua volontate
- Con impromesse e preghi la recava.
- 70 Vedeasi appresso quivi la biltate
- In una storia che venia d’Alcmena,
- Piena di grazia e di tutta onestate,
- In suoi sembianti gioconda e serena,
- A cui Giove in forma del marito,
- 75 Che dallo studio tornava d’Atena,
- Tutto il suo disio avea compito.
- Vedevavisi Geta doloroso,
- Perchè un altro n’avea ’n casa sentito.
- Appresso v’era Birria nighittoso
- 80 Caricato di libri, a picciol passo
- Parea venisse tutto dispettoso,
- Senza alcun ben, dicendo: oimè lasso,
- Quando sarà ch’io posi questo peso,
- Che sì m’affolla, ponendolo abbasso?
- 85 In ver lo ciel ne gia, poich’ebbe preso
- Giove il diletto che di lei li piacque,
- Pregna lasciandola al salire inteso,
- Di cui appresso il forte Ercole nacque.
- * * *
- CAPITOLO XIX.
- * * *
- Come Marte si congiunse con Citerea, e come furono soprappresi da Vulcano.
- Ivi più non seguia, perchè finiva
- Quella facciata con gli antichi autori,
- Che stanno innanzi a quella Donna diva.
- Laond’io tornaimi in ver li predatori,
- 5 Ricominciando a quel canto primiero
- A rimirar gli antichissimi amori.
- E umile tornato v’era il fiero
- Marte prencipe d’arme fatto amante,
- Per la qual cosa più non era altiero.
- 10 Con tal disio il piacevol sembiante
- Mirava della bella Citerea,
- Che non parea che più curasse avante.
- Tra que’ luoghi medesmi mi parea
- Con essa lui veder dentro ad un letto,
- 15 D’intorno al quale al mio parere avea
- Ordinata di ferro tutto eletto
- Una rete sottil che gli avea presi,
- Come per coglier loro in quel diletto.
- Sovra la sua vergogna i lacci tesi
- 20 Avea Vulcano, il qual veder venia
- Ridendosi d’averli così offesi.
- Aveva quivi ciascun dio e dia,
- Che nel ciel fosser, tututti chiamati
- Vulcan, per mostrar lor cotal follia.
- 25 Commosso a preghi di Nettuno grati
- Fatti a Vulcan per Marte umilemente,
- Di quella fuor eran da lui cacciati.
- Ha! come poi ciascuno apertamente
- Faceva il suo piacer, perocchè aviéno
- 30 Vergogna ricevuta interamente.
- E sì avviene a quei che non vorriéno
- Trovar le cose, e vannole cercando,
- Che molto meglio cheti si stariéno.
- Molto consiglio ciascuno, che quando
- 35 Pur divenisse che cosa vedesse
- Che gli spiacesse, con gli occhi bassando
- E’ se ne passi, perchè molto spesse
- Son quelle volte che t’hai a vendicare,
- Tal vuol che saria me’ che se ne stesse.
- 40 Tutto focoso vid’io seguitare
- Quivi Febo Penéa grazïosa,
- E lei con dolci voci lusingare.
- Temendo fuggiva ella impetuosa
- Quivi da lui, e di sopra le spalle
- 45 Colli capelli sparti, più focosa
- Entrava in Febo, che ’l dolente calle
- Seguiva, in fin che stanca fe’ dimoro,
- Più non potendo, in una bella valle.
- Là ritornata in grazïoso alloro,
- 50 Sopr’essa il sol la sua luce fermava,
- Facendole coi raggi chiaro coro.
- Veder pareami, secondo mostrava,
- Che si dolesse di tal mutazione,
- E ne’ sembianti si rammaricava.
- 55 Ivi era appresso poi come Scitone
- Maschio, da lui senza fine amato,
- Mutava in femminil sua condizione.
- Con esso lui si stava quivi allato,
- E lei tenendo in braccio con amore,
- 60 Mostrava ch’altro non gli fosse a grato.
- Or con costei finito il suo ardore,
- Rinchiuso vidi in una vecchia oscura,
- Più là un poco, tutto il suo splendore,
- Nell’aspetto pareva la figura
- 65 Della madre di quella, per cui questo
- A far ciò il sospignea con tanta cura.
- Mirabilmente là si vedea presto
- Chiuso tornare in sè, onde colei
- Dicea maravigliando: or che è questo?
- 70 E poi il vedeva starsi con costei;
- Ma morta quella, per la sua potenza
- In albero d’incenso mutò lei.
- Così appresso in forma, e l’accoglienza
- Che in sè li fe’ quando con essa giacque,
- 75 Tutto vi si vedea senza fallenza.
- Habituato v’era com’ li piacque
- Climene, dallo cui congiugnimento
- Feton che guidò il carro poi ne nacque.
- Oltre tra questi poi molto contento
- 80 Era Nettuno in forma d’Euristeo
- Ifimedia abbracciando a suo talento.
- Innanzi riguardando discerneo
- La vista mia costui in braccio tenere
- Cerere, cui amò quanto poteo,
- 85 Non senza molti baci al mio parere
- La stimolava: ma io mi voltai,
- Non potend’io più quivi vedere,
- D’onde a riguardar prima cominciai.
- * * *
- CAPITOLO XX.
- * * *
- Come Bacco in forma d’uva ama la figliuola di Licurgo; e di Pluto ch’ama Proserpina, e di Piramo e Tisbe, e di molti altri.
- Ora io vidi in ordine dipinto
- Siccome Bacco per forza d’amore
- In forma d’uva ad amar fu sospinto
- La figlia di Licurgo, il cui ardore
- 5 Quivi con lei in braccio si vedea
- Temperar, non in forma nè in colore
- Che si sdicesse: e ’l simil mi parea
- D’Erigone, e del suo gran disio
- Così sè quivi si soddisfacea.
- 10 Ivi seguiva poi al parer mio
- Pan, che Siringa gia perseguitando,
- Ch’avanti si fuggiva in atto pio,
- E lei fuggente l’andava pregando,
- Ma ’l pregar non valeva, anzi tornata
- 15 In canna poi la vidi in forma stando.
- Poi di quella i bucciuoli spessa fiata
- Sonati fur, perocchè primamente
- Da esso fu la zampogna trovata.
- Appresso lui vi vid’io il dolente
- 20 Saturno in forma di cavallo stare,
- A Filira accostarsi dolcemente.
- Così appresso vi vidi, o ciò mi pare,
- Pluto li tristi regni abbandonati
- Avere, e quivi intender ad amare;
- 25 E a lui presso con atti sfrenati
- Prender vedea Proserpina, e con essa
- Fuggirsi a’ regni di luce privati:
- Pur con istudio, e con noiosa pressa,
- Come se stato fosse seguitato
- 30 Da Giove, per volerlo privar d’essa.
- Oltre nel loco vidi figurato
- Mercurio con Erse molto stretto,
- Amando lei dimorava abbracciato,
- Insieme avendo piacevol diletto.
- 35 Dopo ’l quale io vedeva tutto bianco
- Borea quivi con un freddo aspetto:
- Questi gli regni abbandonati, stanco
- In Etiopia giugneva a vedere
- Ortigia, che a sè dal lato manco
- 40 Vedeva quivi in la faccia sedere,
- E abbracciata lei tenendo stretta,
- Appena seco gliel pareva avere.
- A lui seguiva poi la giovinetta
- Tisbe, che fuor di Babilonia uscia,
- 45 E verso un bosco sen giva soletta;
- Nè lì guari fornita la sua via,
- Lontano un velo lasciava fuggendo
- Per un leon che pure a ber venia
- Della fontana, dov’ella attendendo
- 50 Piramo, si posava nell’oscura
- Notte: così se n’entrava correndo
- Ove già fu la vecchia sepoltura
- Di Nino: e poi si vedeva venire
- Piramo là con sollecita cura:
- 55 A sè intorno mirando, se udire
- O veder vi potesse se venuta
- Vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.
- Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,
- Perchè la luna risplendeva molto,
- 60 La vesta che a Tisbe era caduta;
- Tutto stracciato e per terra rivolto
- Con un mantello il bel vel sanguinoso,
- Perchè tututto si cambiò nel volto:
- Ricogliendol, sì parea che doglioso
- 65 Dicesse: oimè Tisbe, chi ti uccise?
- Chi mi ti tolse, dolce mio riposo?
- Ontoso tutto lagrimando mise
- La mano ad uno stocco ch’avea seco,
- Col qual dal corpo l’anima divise.
- 70 Parea dicesse piangendo: con teco,
- Tisbe, moro, acciocch’all’ombre spesse
- Di Dite, lasso, ti ritrovi meco;
- E sbigottito parea che cadesse
- Quivi sopra ’l mantello a piè d’un moro,
- 75 E del suo sangue i suoi frutti tignesse.
- Non dilettava a Tisbe il gran dimoro
- Colà dond’era; uscì, e disse: forse
- Quella bestia è pasciuta, e già non loro
- Son use a noi far male: e oltre corse
- 80 Alla fontana; e non credea che fosse
- Essa, quando le more rosse scorse.
- In ciò mirando tutta si percosse,
- Quando Piramo vide ancor tremante,
- E dal suo petto il ferro aguto mosse,
- 85 E ’n su quel si gittò, dicendo: amante,
- Io son la Tisbe tua, mirami un poco
- Anzi ch’io muoia: e più non disse avante,
- Rimirandolo cadde morta al loco.
- * * *
- CAPITOLO XXI.
- * * *
- Come Giasone s’innamorò d’Isifile, e di Medea e di Creusa.
- Or miri adunque il presente accidente
- Qualunque è que’ che vuol legge ad Amore
- Impor, forse per forza strettamente.
- Quivi credo vedrà, che ’l suo furore
- 5 Ha da temprar con consiglio discreto
- A chi ne vuole aver fine migliore.
- Vivean di questo i padri ciascun lieto
- Di bel figliuolo, e perchè contra voglia
- Gli strinser, n’ebber doloroso fleto.
- 10 E così spesse volte altri si spoglia
- Di ciò che ei si crede rivestire,
- E poi convien che senza pro si doglia.
- Sì riguardando, poi vidi seguire
- Giasone in mezzo di tre giovinette,
- 15 Le quai ciascuna fu al suo disire.
- Tutte e tre furon già a lui dilette,
- E nominate, Isifile, e Medea,
- Al mio parer con Creusa sospette.
- O senza fede alcuna, mi parea
- 20 Che Isifile dicesse, o dispietato,
- O più crudel ch’alcuna anima rea:
- Deh, or hai tu ancor dimenticato
- A quanto onor tu fosti ricevuto
- Nel regno ond’ogni maschio era cacciato?
- 25 Io non credo che mai fosse veduto
- Uom volentier in nulla parte strana,
- Nè cotal dono a lui mai conceduto
- Simile a quel che io benigna e piana
- A te concessi, portando fidanza
- 30 Alla tua fede, come ’l vento vana.
- Facendo saramenti a me, speranza
- Nel tuo partir mi desti, che giammai
- Non cambieresti me per altra amanza.
- Andastitene, e me, come tu sai,
- 35 Pregna lasciasti di doppio figliuolo,
- Ed a tornar ancor verso me hai.
- Con sospiri, e con pianto e con gran duolo
- Gran tempo stetti, dicendo: omai tosto
- Verrà Giasone qui collo suo stuolo.
- 40 Ed appena credetti quel che sposto
- Mi fu di te, ch’avevi nuova amica
- Presa ne’ Colchi, e mutato proposto.
- Più avanti non so ch’io mi ti dica,
- Se non ch’io ardo, e tu in giuoco e festa
- 45 Ora ti stai colla mia nemica.
- In tanto questa doglia mi molesta,
- Che dir nol posso, ma tu stesso pensa
- Chente parriati averla tal, qual questa.
- Assai ti prego dunque, se offensa
- 50 Non ho commessa, non mi abbandonare,
- Ma con pietà al mio dolor dispensa.
- Non rispondea Giasone: ma poi stare
- Vidi negli atti molto dispettosa
- Medea in verso lui così parlare:
- 55 Giasone, in tutto ’l mondo non fu cosa
- Ch’io tanto amassi, nè per cui facessi
- Quanto feci per te siccome sposa.
- E non mi credo ancor che tu sconfessi
- Com’io ti die’ mirabile argumento
- 60 Per cui sicur co’ tori combattessi.
- Mostraiti ancora per farti contento
- Come ’l drago ingannassi, acciò ch’appresso
- Fornito avessi tuo intendimento.
- Insieme me ne venni teco stesso,
- 65 E sai, che io il mio picciol fratello
- Uccisi, acciocchè ’l mio padre sopr’esso
- Dimorasse piangendo, e quindi snello
- Senza noia passasse il nostro legno,
- Già cominciato a seguitar da ello:
- 70 E sai ancora, ch’io col mio ingegno
- Il tuo antico padre e vecchio Esone
- Di giovinetta età il feci degno;
- Nè riguardai ancora a riprensione,
- Ch’io non facessi morire il tuo zio,
- 75 Per signor farti della regïone.
- Tu il ti conosci, e sai per certo ch’io
- Ogni cosa avria fatto per piacerti,
- Non credendo che mai il tuo disio
- Rivoltassi da me, per più doverti
- 80 Dare ad altrui di te altro diletto
- Se non di me, due be’ figli vederti
- Ognor davanti, non t’avesse stretto,
- Non dovevi giammai donna nessuna
- Più abbracciar nel mio debito letto,
- 85 Lo qual tu ora possiedi con una:
- Che s’io non fossi stata, alla tua vita,
- Nè lei nè me avevi, nè altra alcuna;
- Adunque a me per Dio ti rimarita.
- * * *
- CAPITOLO XXII.
- * * *
- Dove racconta di Teseo, e d’Arianna e d’Ippolito, e come Pasife s’innamorò del toro, e d’altre.
- Non rispondeva a nulla di costoro
- Quivi Giason, ma Creusa abbracciando,
- Con lei traea dilettevol dimoro.
- Io che andava avanti riguardando,
- 5 Vidi quivi Teseo nel Laberinto
- Al Minotauro pauroso andando.
- Ma poichè quel con ingegno ebbe vinto,
- Che gli diede Arianna, quindi uscire
- Lui vedev’io di gioïa dipinto;
- 10 Al quale appresso Arianna venire,
- E con lei Fedra salir nel suo legno,
- E quindi forte a suo poter fuggire.
- Nel quale avendo già l’animo pregno
- Del piacer di Arianna, lei lasciare
- 15 Vedea dormendo, e girsene al suo regno.
- Gridando desta la vedeva stare,
- E lui chiamava piangendo, e soletta
- Sopr’un diserto scoglio in mezzo al mare:
- Oimè, dicendo, deh, perchè s’affretta
- 20 Sì di fuggir tua nave? Abbi pietate
- Di me ingannata, lassa, giovinetta.
- Segando se ne gía l’onde salate
- Con Fedra quegli, e Fedra si tenea
- Per vera sposa per la sua biltate.
- 25 Costei più innanzi un poco si vedea
- Accesa tutta di focoso amore
- D’Ippolito, cui per figliastro avea.
- Ivi vedeasi lo sfacciato ardore
- Di Pasife, che il toro seguitava,
- 30 Di sè chiamandol conforto e signore;
- Ove con le man proprie ella segava
- Le fresche erbette nel fogliuto prato,
- E con quelle medesime gliel dava.
- Spesso li suo’ capei con ordinato
- 35 Stile acconciava, e della sua bellezza,
- Prima l’occhio allo specchio consigliato,
- Adorna venia innanzi alla mattezza
- Bestiale, e quivi parea che dicesse:
- Aggradati la mia piacevolezza?
- 40 Certo se io solamente vedesse,
- Che più ch’un’altra vacca mi gradissi,
- Non so che più avanti mi volesse.
- Era di dietro a lei con gli occhi fissi
- Sopra ’l suo padre Mirra scellerata,
- 45 Nè da lui punto li teneva scissi.
- Riguardando io costei lunga fiata,
- Quivi la vidi poi di notte oscura
- Esser con lui in un letto corcata.
- Correndo poi fuggir l’aspra figura
- 50 Del padre la vedea, che conosciuta
- Avea l’abominevole mistura.
- Albero la vedeva divenuta,
- Che ’l suo nome ritien, sempre piangendo
- O ’l fallo o forse la gioia compiuta.
- 55 Narciso vid’io quivi ancor sedendo
- Sopra la nitida acqua a riguardarsi,
- Di sè oltre ’l dovuto modo ardendo.
- Deh quanto quivi nel rammaricarsi
- Nel suo aspetto mi parea pietoso,
- 60 E talor seco sè stesso crucciarsi:
- Oimè, dicendo, tristo doloroso,
- La molta copia ch’io ho di me stesso,
- Di me m’ha fatto, lasso, bisognoso.
- Cefalo poi alquanto dietro ad esso
- 65 Vid’io posati aver l’arco e li strali,
- E riposarsi per lo caldo fesso.
- O Aura, deh vien colle fresche ali,
- Entra nel petto nostro; tutto steso
- Stava dicendo parole cotali;
- 70 Ma questo avendo già Procris inteso,
- Cui, ascosa, vedea tra l’erbe e’ fiori
- In quella valle con l’udire inteso,
- Essendo in sospezion de’ nuovi amori,
- Credendo forse ch’allora venisse,
- 75 Volle, e nol fece, intanto farsi fuori;
- Tutta l’erba si mosse, e cefal fisse
- Gli occhi colà, credendo alcuna fiera,
- E preso l’arco suo lo stral vi misse,
- Rizzando quel fra l’erba u’ Procris era,
- 80 E lei ferì nello amoroso petto:
- Ella sentendo il colpo, in voce vera,
- Oimè, gridò, perchè ebb’io sospetto
- Di quel ch’io non dovea? Così diria
- Chi la vedesse ch’ella avesse detto.
- 85 Venuto Cefalo: l’anima mia,
- Or che facevi qui? oimè lasso,
- Dicea, dogliosa omai mia vita fia,
- Avendo te recato a mortal passo.
- * * *
- CAPITOLO XXIII.
- * * *
- Dove tratta come Orfeo andò all’inferno a starsi con Euridice; e come Achille era nel monastero con Deidamia.
- Ristrinsemi pietà l’anima alquanto
- Ad aver compassion di quel dolente,
- Cu’ io vedeva far così gran pianto.
- Poi rimirando ad altro ivi presente,
- 5 Vidi colui che il dolente regno
- Sonando visitò sì dolcemente:
- Orfeo dico, che col suo ingegno
- Fece le misere ombre riposare
- Colla dolcezza del cavato legno.
- 10 Sonando ancora quivi il vidi stare
- Con Euridice sua, e mi parea
- Che il vedessi sonando cantare,
- Sollazzandosi in verso, e sì dicea:
- Amore, a questa gioia mi conduce
- 15 La fiamma tua, che nel cor mi si crea.
- Amor, de savii grazïosa luce,
- Tu se’ colui che ingentilisci i cori,
- Tu se’ colui che in noi valore induce,
- Per te si fuggono angoscie e dolori,
- 20 Per te ogni allegrezza ed ogni festa
- Surge e riposa dove tu dimori.
- O spegnitor d’ogni cosa molesta,
- O dolce luce mia, questa Euridice
- Lunga stagion con gioia la mi presta.
- 25 Sempre mi chiamerò per te felice,
- Per te giocondo, per te amadore
- Starò come fa pianta per radice.
- A veder quel mi s’allegrava il core,
- E immaginando quelle parolette,
- 30 A me non che a lui crescea valore.
- E poi appresso a queste cose dette,
- Diomede e Ulisse si vedeano
- Divenuti merciai vender gioiette
- Tra suore quivi, che queste voleano
- 35 In vista comperar, ma dall’un lato
- E spade e archi forti questi aveano,
- Saette ancor, de’ quali avea pigliato
- Uno una suora ch’ivi stava presso,
- E infino al ferro l’arco avea tirato.
- 40 Onde parea dicesser: questi è desso,
- Questi è Achille, cui andiam cercando,
- E gir se ne volean quindi con esso.
- La qual cosa vedendo, sospirando,
- Una sorella quivi contastava
- 45 A que’ che lui andavan lusingando.
- Achille gir con essi disïava,
- E spogliandosi allor la veste fitta,
- Come buon cavalier presto s’armava.
- Vedendo ciò Deidamia, trafitta
- 50 Da grave doglia tutta scolorita,
- Parea dicesse a lui a lato ritta:
- Oimè, anima mia, o dolce vita
- Del cor dolente che tu abbandoni,
- Di cui fia tosto credo la finita,
- 55 In qua’ parti vai tu? quai regïoni
- Cerchi tu più graziose che la mia?
- Deh, credi tu a questi due ladroni?
- Deh, non t’incresce di Deidamia?
- Io son colei che più che altra t’amo,
- 60 E che più ch’altra cosa ti disia:
- In quant’io possa più mercè ti chiamo,
- Non mi ti torre, deh, non te ne gire,
- Non privar me di quel che io più bramo:
- Sola mia gioia, solo mio disire,
- 65 Sola speranza mia, se tu ten vai
- Subitamente mi credo morire:
- In continova doglia e tristi guai
- Istarò sempre; deh, aggi pietate
- Di me, se grazia meritai giammai.
- 70 Ahi lassa, or son così guiderdonate
- Tutte le giovinette ch’aman voi,
- Che di subito sieno abbandonate?
- Ricordar credo certo che ti puoi
- Quanto onor abbi da me ricevuto,
- 75 E ancora puoi ricever, se tu vuoi.
- L’abito che ti ha fatto sconosciuto
- Sì lungo tempo, per me ’l ricevesti,
- Per me segreto se’ stato tenuto.
- E quando prima vergine m’avesti,
- 80 Di mai partirti nè d’altra pigliarne
- Sopra la fede tua mi promettesti;
- Perchè adunque altrove vogli andarne?
- Di me t’incresca, e del comun figliuolo
- Ch’abbiam, se non ti duol la propria carne.
- 85 Io so che tu vuo’ gire al tristo stuolo
- Ch’è intorno a Troia, ov’io dubito forte
- Che morto non vi sii, e per gran duolo
- A me medesma fia sicura morte.
- * * *
- CAPITOLO XXIV.
- * * *
- Dove tratta di Briseida, dell’amore che portava ad Achille, ed appresso di Polissena.
- Così pareva che costei dicesse,
- Ed altro assai; a’ preghi della quale
- Non mi pareva ch’Achille intendesse,
- E seguitava quelli al troian male,
- 5 Contento più che d’esser lì rimaso
- Dove quella era, a cui tanto ne cale.
- E innanzi a lui, incerto del suo caso,
- Briseida era trista inginocchiata
- Col viso basso e di baldanza raso.
- 10 Tra l’altre cose quella sconsolata
- Piangendo mi parea che li dicesse:
- Deh, perchè m’hai, Achille, abbandonata?
- Per te convenne che io mi dolesse
- De’ miei fratelli, i quali io più amava
- 15 Che altra cosa ch’io nel mondo avesse:
- E per l’amore che io ti portava,
- E porto, quella morte, che tu desti
- A lor dolenti, non mi ricordava.
- Rapita me per forza ancor m’avesti,
- 20 Come tu sai, e mia verginitate
- A forza e contro a voglia mi togliesti.
- Oimè, che allora la tua crudeltate
- Non conobb’io, che l’animo sdegnoso
- Non t’avria mai l’offese perdonate.
- 25 Veduta sempre in abito cruccioso
- M’avresti certamente, e così forse
- Non avrei dentro amor per te nascoso.
- Oimè quanto soperchio ve ne corse,
- Quando con atti falsi mi mostrasti
- 30 Ch’io ti piacessi, e questo il cor mi morse.
- Levastimi da te, poi mi mandasti
- A Agamennon come schiava puttana;
- In quello il falso amor ben dimostrasti.
- Eimè lassa, misera profana,
- 35 Briseida cattiva, che farai
- Abbandonata in parte sì lontana?
- Non mi lasciar morire in tanti guai,
- Achille, aggi pietà di me dolente,
- Che t’amo più che donna uomo giammai.
- 40 Deh guardami coll’occhio della mente,
- E prendati pietà di me alquanto:
- Dicea colei, ma non valea nïente.
- Ivi appresso costui vid’io che tanto
- Ardeva dell’amor di Polissena
- 45 Con gran miseria ed angoscioso pianto,
- Periglio, affanno, guai, e grave pena
- Delle suddette vendicava amore,
- Il qual fervente gli era in ogni vena:
- E per lei spesso mutava colore
- 50 Preghi porgendo, e non erano intesi,
- Onde lui costringea greve dolore.
- Rimirando ivi ancora vediési
- Sesto ed Abido, picciole isolette,
- E ’l mar che le divide ancor pariési.
- 55 Sovvennemi ivi quando vi cadette
- Elles, andando di dietro al fratello
- All’isola de’ Colchi, ove ristette.
- Era notando, ignudo nato, in quello
- Mare Leandro, andando in ver colei,
- 60 Cui più amava, vigoroso e snello.
- Venuta là alla riva costei,
- Vedea con panni ricever costui,
- Tutto asciugando lui dal capo a’ piei:
- E poi vedeva quivi lei e lui
- 65 Con tanta gioia standosi abbracciati,
- Che simil non si vide mai in altrui.
- Ritornar poi il vedea per gli usati
- Mari alla casa, e di far quel cammino
- Suoi membri non parien mai affannati.
- 70 A questo mare alquanto era vicino
- Minos, Alcatöe tenendo stretta
- Per forte assedio, volendo il destino
- Romper di quel capel che nella vetta
- Del capo a Niso stava, che per esso
- 75 L’oste di fuori non avea sospetta.
- E quivi quella torre, ove fu messo
- Già lo strumento d’Apollo sonante,
- Vi si vedea rilucere appresso.
- Pareva in quella Scilla fiammeggiante
- 80 Dell’amor di Minos, che a vedere
- Istava l’oste a sua terra davante:
- Venir la mi parea poscia vedere,
- Avendo il porporin capel cavato
- Al padre, a Minos darlo, che ’l volere
- 85 Robusto suo facea del disarmato
- Niso, privando lui della sua gloria:
- Scilla gittata poi nel mar salato,
- N’andava lieto della sua vittoria.
- * * *
- CAPITOLO XXV.
- * * *
- Dove tratta de’ medesimi innamorati, e in parte di Biblide, che s’innamorò del fratello.
- Era più là Alfeo colle sue onde
- Piegate intorno e dietro ad Aretusa,
- Con quelle terre che correndo infonde.
- Là era Egisto ancor, che per iscusa
- 5 Del sacerdozio non andò a Troia,
- Ma Clitennestra si temea inchiusa,
- Lei imbracciata, e prendendone gioia
- A suo piacere, benchè poco appresso
- Le ne seguisse sconsolata noia.
- 10 O come quivi alquanto dop’esso
- Seguian Canace e Macareo dolenti,
- Divisi per lo lor fallo commesso!
- Non molto dopo lor così scontenti
- Biblide vidi lì, che seguitava
- 15 Il suo fratel con atti molto ardenti.
- Molto pietosamente a lui andava
- Dietro parlando, siccome parea
- Negli atti suoi, che quivi dimostrava.
- Ahi, dolce signor mio, ver lui dicea,
- 20 Deh, non fuggir, deh prendati pietate
- Di me, che per te vivo in vita rea:
- Guarda con l’occhio alquanto mia biltate,
- Pensi l’animo tuo il mio valore,
- Lo qual perisce per tua crudeltate.
- 25 Io non t’ho per fratel, ma per signore:
- Vedi ch’io muoio per la tua bellezza,
- Per te piango, per te si strugge il core.
- Non tener più ver me questa fierezza,
- E ’l superfluo nome di fratello
- 30 Lascialo andar, ch’a tenerlo è mattezza.
- Aiutami, che puoi, e farai quello
- Che più aspetta quella che si sface,
- Considerando il tuo cospetto bello.
- Riso, conforto, e allegrezza e pace
- 35 Render mi puoi, se vuoi: dunque che fai?
- Deh, contentami alquanto, se ti piace.
- Vedi, ch’io mi consumo in tanti guai,
- Ch’altra neuna mai ne sentì tanti
- Per te, cu’ io disio, e tu ’l ti sai.
- 40 Oimè, fortuna trista degli amanti!
- Come coloro che non sono amati
- Amando altrui da tua rota son franti!
- Se tu riguardi però che chiamati
- Sorella e fratel siam, non è nïente,
- 45 Com’ dissi, e minor fiéno i tuoi peccati
- Togliendomi dolor, che se dolente
- Morir mi fai per non acconsentire
- A quel che sol disia la mia mente.
- Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire,
- 50 Pensa ch’ogni animal tal legge tiene,
- Quale a te chiede il mio forte disire.
- A te molto più tosto si conviene
- In questo atto fallir, che dispietato
- Farmi perir nelle noiose pene.
- 55 Biblide trista, quanto t’è in disgrato
- Veder colui che ti dovria aiutare
- Da chi noia ti desse in alcun lato,
- Il tuo dolore in te forte aggregare,
- E non che voglia fare il tuo disio,
- 60 Ma tue parole non vuole ascoltare.
- Là poi appresso al mio parer vid’io
- Fillis a lato star a Demofonte,
- E pianger sè di lui in atto pio.
- Tutta turbata sue parole conte
- 65 Li profferia, ricordandoli ancora
- Quant’ella e le sue cose tutte pronte
- Al suo servigio furono, e com’ora
- A lei fallita la promessa fede
- Per troppo amor dolor greve l’accora.
- 70 Tra questi oltre nel prato vi si vede
- Meleagro e Atalanta, che ciascuno
- Segue un cinghial con sollecito piede;
- E quanto ad esso sforzandosi ognuno
- Offende, accesi d’amoroso foco,
- 75 Non lasciandoli far danno nessuno.
- Costor preiva più avanti un poco
- Aconzio in man colla palla dell’oro,
- Ch’a Cidippe gittò nel santo loco.
- E quella quivi ancor facea dimoro,
- 80 Dicendo a lei Aconzio, che sua era,
- Ella negandol, parlavan fra loro:
- Riguardando l’un l’altro, in tal maniera
- Cidippe a lui dicendo: se ingannata
- Fui da te, la mia voglia non v’era;
- 85 Che s’io mi fossi della palla addata,
- Non l’avria mai rimirata nè letta,
- Anzi l’avrei tosto indietro gittata,
- Onde mai non m’avrei a questo aspetta.
- * * *
- CAPITOLO XXVI.
- * * *
- Come l’autore trova nel detto giardino Ercole, e la sua donna Deidamia, e di Jole.
- Com’io mirando andava quel giardino,
- Vidivi in una parte effigïato
- Ercole grande a Cidippe vicino,
- Ove con lui sedeva dall’un lato
- 5 Jole piacente e bella nello aspetto,
- Cui presa avea nel paese acquistato.
- Non mirava Ercole altro che ’l cospetto
- Di lei, e qui tanta gioia prendea,
- Che duol li fora stato altro diletto.
- 10 Rammaricando dopo lui vedea
- Istar tutta turbata Deianira,
- Perch’a sè ritornarlo non potea.
- Il molle petto acceso in foco d’ira
- Mostrava ch’ell’avesse, ognor soffiando,
- 15 Forse per rabbia che in lei s’aggira.
- Ma poco spazio parea che parlando
- Dicesse a lui: o signor valoroso,
- Volgiti a me, come tu suoli, amando,
- E lascia cotestei, cui poderoso
- 20 Guadagnasti per serva, e ’l suo paese
- Insieme con vittoria glorïoso.
- Non senti tu, ch’a ogni uomo è palese
- Quel che la fama ora in contrario sona
- Di te alle passate tue imprese?
- 25 Veramente di te ogni uom ragiona,
- Che tu col forte dito quella lana
- Fili, che Jole pesando ti dona.
- Ogni uomo ancora ch’abbia mente sana
- Crede, che tu il canestro colle fusa
- 30 Porti di dietro alla giovane strana.
- Vogliono ancora dire, ch’ella t’usa
- In ciascuno atto come servidore,
- Nè ti giova donare alcuna scusa.
- Ed è così smarrito il tuo valore,
- 35 Che tu non pensi alle cose passate,
- Ogni virtute obliando ed onore.
- Forse t’ha ella le forze levate
- Con alcun suo ingegno falsamente,
- Come le donne fanno alle fïate?
- 40 Almen non dovria mai della tua mente
- Trar quel che tu in culla ancor facesti,
- L’uno uccidendo e poi l’altro serpente.
- Ricordar deiti ancora che uccidesti
- Busiris, e in Libia il grande Anteo
- 45 Della Terra figliuolo ancor vincesti.
- Vinto traesti quel Cerbero reo
- Ch’avea tre teste, e tu con tre catene
- Legasti lui poi ch’a te si rendeo.
- Il drago ancora con sudanti pene,
- 50 Ch’ognor senza dormir i pomi d’oro
- Guardando stava, fu morto da tene.
- I forti corni al furïoso toro
- Rompesti, e’ Centauri domasti
- Quando di pria combattesti con loro.
- 55 Or non fostu colui che consumasti
- L’Idra, che doppii capi in suo aiuto
- Rimettea, quando gliele avevi guasti?
- Non fu da te il guastator feruto
- D’Arcadia? sì fu: e fu colui,
- 60 Ch’avea di carne umana rïempiuto
- Ogni suo armento togliendo l’altrui,
- Date ucciso; e quel Caco rubesto
- Tu uccidesti, rubato da lui.
- Reggendo ancora dopo tutto questo
- 65 Il ciel gravante sopra le tue spalle,
- Ch’a ogni altro uom saria stato molesto.
- E s’io volessi andar per dritto calle,
- Ogni vittoria a tua mente rendendo,
- Io avrei troppo a fare a ricontalle:
- 70 Queste so c’hai a mente; or dunque essendo
- Senza pazzia talora fra te stesso,
- Non ti vergogni tu Jole seguendo?
- Volesse Iddio, che tu giammai a Nesso
- Non m’avessi levata, che mi amava,
- 75 E forse in gioia or mi sarei con esso.
- E non per tanto io non immaginava
- Che mai per altra donna mi lasciassi,
- Poichè te per altrui io non lasciava.
- Se quella con cui tu ora ti passi,
- 80 Ismemorato in festa ed allegrezza,
- Tanta virtù in lei forse trovassi,
- Tanto piacere e tanta di bellezza
- Quanta in me, io non riputerei
- L’aver lasciata me fosse mattezza;
- 85 Ognora più di ciò ti loderei;
- Ma s’io ho ben la sua bellezza intesa,
- Certo io son molto più bella di lei:
- Molto mi tengo in questa parte offesa:
- Ma torna a me, e tutto ti perdono,
- 90 E la tua forza in ben ovrar palesa:
- Io chieggo a te di grazia questo dono.
- * * *
- CAPITOLO XXVII.
- * * *
- Dov’era figurato come Paris dà per sentenza la palla dell’oro a Venus; e come va per Elena in Isparta, e rapiscela per forza.
- Mostravasi ivi ancora effigïata
- La valle d’Ida profonda ed oscura,
- D’alberi molti e di frondi occupata:
- Ove io discernetti la figura
- 5 Di quel Paris piacevole Troiano,
- Per cui Troia sentì la sua arsura.
- Sol si sedeva là nel loco strano,
- Davanti al qual Pallade, Giuno e Venere,
- Eran con una palla d’oro in mano
- 10 Senza alcun vestimento, ignude, tenere,
- Bianche e vermiglie quivi e delicate
- Le mi pareva nel sembiante scernere;
- E diceano a Paris: in cui biltate
- Di noi più vedi, questo pomo d’oro
- 15 Donalo a lei, quando ci avrai avvisate.
- Dal capo al piè rimirava costoro
- Paris, ciascuna bella li parea,
- Onde fra sè dicea: deh, quale onoro?
- Ognuna d’esse a esso promettea,
- 20 Chi senno, e chi ricchezze, e chi amore
- Di bella donna, pur ch’a lei lo dea.
- Non si sapea esaminar nel core
- Paris qual d’esse più biltate avesse,
- Nè qual ben si pigliar per lo migliore.
- 25 Nel lungo esaminare infine elesse
- Venus per la più bella, e diéllo a lei,
- Su condizione ch’ella gli attenesse
- A farli avere in sua balía colei,
- Cui ella avea lodata per sì bella,
- 30 Che nulla n’era simile di lei.
- A cui pareva che rispondesse ella:
- Va’ tu per essa, che col mio aiuto
- Io farò sì che tua si sarà quella.
- Costui vid’io poco appresso saluto
- 35 Sur una nave, e dar le vele al vento,
- E tosto in Isparta esser venuto;
- Ove disceso senza tardamento,
- Andando Menelao inverso Creti,
- A fornir cominciò suo intendimento.
- 40 Ma dopo molte cose quivi lieti,
- Egli ed Elena bella e grazïosa
- Saliti in nave, pe’ salati freti
- Poste le vele senza alcuna posa
- Tornava a Troia; e quivi si mostrava
- 45 La vita lor quanto fosse gioiosa.
- Ivi Enone ancora lagrimava
- Il perduto marito, e con pietose
- Parole a sè invano il richiamava.
- Là si vedea Ifi e Jante amorose
- 50 Far festa pria che maschio ritornasse
- Que’ che ’l suo sesso tanto tempo ascose.
- Appresso mi parea che seguitasse
- Laodamia bella sospirando,
- Come se del suo mal s’indovinasse.
- 55 Ravviluppata tutta, e non curando
- Di sè, Protesilao di bella cera
- S’aveva fatto, lui raffigurando,
- E poi a quella innanzi posta s’era
- In ginocchion, dicendo: signor mio,
- 60 Se io ti sono amanza, e donna vera
- Leal, come dicesti, fa’ che io
- Ti veggia ritornar con quella gloria,
- Ch’io l’arme tue presenti al forte Iddio.
- A que’ c’hanno mestier della vittoria
- 65 Lasciali pria combatter, che ’l periglio
- Proprio fuggi; ch’ognor ch’a memoria
- Viemmi quel ch’io già in alcun pispiglio
- Udii d’Ettor, che tanti cavalieri
- Contasta combattendo, ogni consiglio
- 70 In me fugge di me, e volentieri
- Nel tuo andare ti vorrei aver detto,
- Ch’alla battaglia tu fossi il derrieri.
- Sola mia gioia, solo mio diletto,
- Fa sì ch’io sia di tua tornata lieta,
- 75 Che senza te mai gioia non aspetto.
- In tal maniera quivi mansueta
- Si stava Laodamia, talvolta
- D’angosciosi sospir tutta repleta.
- Or era ancora inverso lei rivolta
- 80 Penelope, che ascoltando Ulisse
- Giammai non fu dal suo amor disciolta,
- Nella qual tenend’io le luci fisse,
- Fra me volgea quanto fosse il disire
- Di que’ che mai non cre’ ch’a lei reddisse:
- 85 E quanto volle del mondo sentire,
- Che per voler veder trapassò il segno,
- Dal qual nessun potè mai in qua reddire,
- Io dico, forza usando nel suo ingegno.
- * * *
- CAPITOLO XXVIII.
- * * *
- Dove l’autore tratta dello innamoramento di Dido e d’Enea, e come Enea si parte; e nell’ultimo della morte di Dido.
- Non so chi sì crudel si fosse stato,
- Che quel ch’io vidi appresso rimirando,
- Di pietà non avesse lagrimato.
- Pareva quivi apertamente quando
- 5 Dido partissi in fuga dal fratello;
- E similmente come edificando
- A più poter Cartagine nel bello
- E util sito faceva avanzare,
- E come a ingegno l’abitava quello.
- 10 Ricever quivi Enea, ed onorare
- Lui e’ suoi ancor vi si vedea
- Liberamente: e senza dimorare
- Oltre mirando, ancora mi parea
- Vederle in braccio molto stretto Amore,
- 15 Benchè Ascanio aver vi si credea;
- Lo qual baciando spesso, del suo ardore
- Prendea gran quantità occultamente,
- Tuttor tenendol nel segreto core.
- Eravi poi come insiememente
- 20 Costei con Enea ed altri assai
- A caval giva onorevolmente,
- Ripetendo ella in sè quel che giammai
- Più non pareva a lei aver sentito,
- Fuor per Sicheo, siccom’io avvisai:
- 25 Il chiaro viso bello e colorito,
- Mirando Enea con benigno aspetto,
- Tornava bianco spesso e scolorito.
- Ma pervenuti quivi ad un boschetto,
- Lasciando i cani a’ cervi paurosi
- 30 Di dietro, incominciaro il lor diletto:
- Altri cornavano, e altri animosi
- Correvan dietro, e gridando faceano
- I can più per lo grido valorosi.
- Tutto un gran monte già compreso aveano
- 35 I cacciatori, e in una valle scura
- Dido ed Enea rimasi pareano.
- E sì facendo, fuor d’ogni misura
- Un vento quivi pareva levato,
- Che di nuvoli avea già la pianura
- 40 Chiuso, e il monte ancora; onde tornato
- Pareva il sole indietro, e divenuto
- Oscura notte il dì in ogni lato.
- Horribili e gran tuon ciascun sentuto
- Aveva, e’ lampi venivano ardenti,
- 45 Con piover tal che mai non fu veduto.
- Enea e Dido là fuggian correnti
- In una grotta, e la lor compagnia
- Perduta avean, di ciò forse contenti.
- Ivi parea che Dido ad Enea pria
- 50 Parlasse molte parole amorose,
- Dopo le quali suo disio scovria,
- Ove Enea ad ascoltar quelle cose
- Vedeasi, lei abbracciata tenere,
- E quel piacer fornir ch’ella propose.
- 55 Venuti poi a lor reale ostiere,
- E in tal gioia lungo tempo stati,
- L’uno adempiendo dell’altro il piacere;
- In quel luogo medesimo cambiati
- Vi si vedeva dell’uno i sembianti,
- 60 E dell’altro i voleri esser mutati.
- Molto affrettando li suoi naviganti
- Enea vi si vedea per mar fuggire,
- Le vele date a’ venti soffïanti:
- A cui Dido parea di dietro dire:
- 65 Oimè, Enea, or che t’aveva io fatto,
- Che fuggendo disii il mio morire?
- Non è questo servar tra noi quel patto
- Che tu mi promettesti; or m’è palese
- L’inganno c’hai coperto con falso atto.
- 70 Deh, non fuggir, se l’essermi cortese
- Forse non vogli, vincati pietate
- Almen de’ tuoi; che vedi quante offese
- Ognora ti minaccian le salate
- Onde del mar, per lo verno noioso
- 75 Ch’ora incomincia, e già hanno lasciate
- Qualunque leggi nel tempo amoroso
- Sogliono avere i venti, e ciascheduno
- Esce a sua posta e torna furïoso.
- Vedi ch’ad ora ad or ritorna bruno
- 80 L’aere e nebuloso, e molti tuoni
- E lampi lui percuotono, e nessuno
- Impeto surge, e ch’or non s’abbandoni,
- E faccia danno, e tu col tuo figliuolo
- Ora cercate nuove regïoni.
- 85 Posati adunque tu e lo tuo stuolo,
- Lasciami almeno apparare a biasmarmi,
- Immaginando il mio eterno duolo,
- E poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi.
- * * *
- CAPITOLO XXIX.
- * * *
- Dove tratta della medesima visione, e nell’ultimo di Lancillotto, e di Tristano e d’Isotta.
- Riversata piangendo quivi appresso
- Si stava Dido in sul misero letto,
- Dov’era già dormitasi con esso:
- Maladicendo sè, e il tristo petto
- 5 Pien d’aspre cure aspramente battendo,
- Ripetendo ivi il perduto diletto,
- In atto mi parea così dicendo:
- O doloroso luogo, nel qual fui
- Già con Enea, tanta gioia sentendo,
- 10 Oimè, perchè come ci avesti dui,
- Due non ci tieni? Perchè consentisti
- Che te giammai vedessi senza lui?
- A’ miei sconsolati membri e tristi
- Porgi con falsa immagine letizia,
- 15 Quanto per te li spando, ove copristi
- Molte fïate, giacchè con tristizia
- Ora mi fa senza cagione stare
- Per lo suo inganno e coperta malizia.
- Oh come trista lì rammaricare
- 20 La vi vedea con quella spada in mano,
- Che fe’ poi la sua vita terminare!
- Rompendosi le nere vesti, e invano
- Chiamando il nome d’Enea che l’atasse,
- Si pose quella al suo petto non sano;
- 25 E poi sopr’essa parve si lasciasse
- Cader piangendo e sospirando forte,
- Perchè la spada di sopra passasse:
- Forata quivi, dolorosa morte
- L’occupò sopra ’l letto, ove sedea
- 30 Prima piangendo sua misera sorte.
- Appresso questa al mio parer vedea
- Tanto contenti Florio e Biancofiore,
- Quantunque più ciascuno esser potea:
- Tututto il lor trapassato dolore
- 35 V’era dipinto degno di memoria,
- Pensando al lor perfettissimo amore.
- E dopo questa piacevole storia,
- Vi vidi Lancillotto effigïato,
- Con quella che sì lungo fu sua gloria.
- 40 Lì dopo lui dal suo destro lato
- Era Tristano, e quella di cui elli
- Fu più che d’altra mai innamorato,
- E più assai ancora dopo a quelli
- N’avea ch’io non conobbi, o che la mente
- 45 Non mi ridice bene i nomi d’elli:
- Ond’io, che in maggior parte la presente
- Faccia compresa avea, ritornai ’l viso
- A quella Donna più ch’altra piacente.
- Nol so, ma credo che di paradiso
- 50 Ella venisse, come io già dissi,
- Tanta ha biltà, valore e dolce riso.
- O felice colui (con gli occhi fissi
- A lei allora a dire incominciai)
- Cui tu del tuo piacer degno coprissi:
- 55 Ringraziato possa esser sempre mai
- Il tuo fattore, siccom’egli è degno,
- Veggendo le bellezze che tu hai.
- Se un’altra volta il suo beato ingegno
- Ponesse a far sì bella creatura,
- 60 Credo che lieto il doloroso regno
- E’ metterebbe in gioia fuor misura;
- Che i santi scenderiano alla tua luce,
- E que’ d’abisso verrieno in altura.
- Con questa gioia, credo, si conduce
- 65 Ciascun di questi, ch’è pien della grazia
- Di quel (ricominciai) che qui è duce.
- Oh quanto è glorïoso chi si spazia
- Ne’ suoi disiri medïante questo,
- Se con vile atto tosto non sen sazia.
- 70 Non è occulto ciò, poscia che presto,
- Chi più ha pena, più oltre s’invia
- A volerne sentir, benchè molesto,
- Dolendo sè, altrui dica che sia:
- Dunque se questo martíre è söave,
- 75 La pace che ne segue chente fia?
- O quanti e quali già il tenner grave,
- Ch’avriano il collo a via maggior gravezza
- Posto, sapendo il dolce che in sè have.
- Invidïosi alcun dicon mattezza
- 80 Esser, seguir con ragion quello stile
- Che dà questo signor di gentilezza,
- Lo qual discaccia via ogni atto vile;
- Piacevole, cortese e valoroso
- Fa chi lui segue, e più ch’altro gentile.
- 85 Superbia abbatte, onde ciascun ritroso,
- O di vil condizione, esser non puote
- Di sua schiera, e quinci invidïoso
- Va ischernendo que’ cui e’ percuote.
- * * *
- CAPITOLO XXX.
- * * *
- Dove l’autore pone ch’egli trova la prima donna bellissima, e com’egli la seguita.
- Volendo porre fine al recitare,
- Ch’a tutto dir troppo lungo saria,
- Tanto più ch’io non dico ancor vi pare;
- A quella Donna grazïosa e pia,
- 5 Che dentro alla gran porta principale
- Col suo dolce parlar mi mise pria,
- Lei mirando voltaimi: oh quanto vale
- (Dicendo) aver vedute queste cose,
- Che dicevate ch’eran tanto male!
- 10 Or come si potria più valorose,
- Che queste sian giammai per nullo avere,
- O pensare o udir più maravigliose?
- Rispose allor colei: parti vedere
- Quel ben che tu cercavi qui dipinto,
- 15 Che son cose fallaci e fuor di vere?
- E’ mi par pur, che tal vista sospinto
- T’abbia in falsa opinïon la mente,
- E ogni altro dovuto ne sia estinto.
- Adunque torna in te debitamente;
- 20 Ricorditi, che morte col dubbioso
- Colpo già vinse tutta questa gente.
- Ver è, ch’alcun più ch’altro valoroso
- Meritò fama; ma se ’l mondo dura,
- E’ perirà il suo nome glorïoso.
- 25 È questa simigliante alla verdura
- Che vi porge Ariete, che vegnendo
- Poi Libra appresso seccando l’oscura.
- Nullo altro ben si dee andar caendo,
- Che quello ove ci mena la via stretta,
- 30 Dove entrar non volesti qua correndo.
- Deh, quanto quello a’ più savii diletta
- Grazïoso ed eterno, e io il ti dissi,
- Quando d’entrar pur qui avesti fretta.
- Or dunque fa’ che più non stieno fissi
- 35 Gli occhi a cotal piacer, che se tu bene
- Quel ch’egli è con dritto occhio scoprissi,
- Aperto ti saria, che in gravi pene
- Vive e dimora chiunque speranza
- Non saviamente a cotai cose tiene.
- 40 Tu t’abbagli te stesso in falsa erranza,
- Con falso immaginar per le presenti
- Cose, che son di famosa mostranza.
- Ed io, acciocchè i vani avvedimenti
- Cacci da te, vo’ che mi segui alquanto,
- 45 E mostrerotti contro a quel ch’or senti,
- Mostrandoti la gloria e ’l lieto canto
- De’ tristi, che in tai cose ebber già fede,
- Mutarsi in breve in doloroso pianto.
- Potrai veder colei, in cui si crede
- 50 Essere ogni poter ne’ ben mondani,
- Quanto arrogante a suo mestier provvede.
- Or dando a questo, or ritornando vani
- Ciò che diede a quel altro, molestando
- In cotal guisa gl’intelletti umani.
- 55 Per quel potrai veder vero pensando
- Quanto sia van quel ben, che i vostri petti
- Va senza ragion nulla stimolando;
- Onde seguendo que’ beni imperfetti
- Con cieca mente, morendo perdete
- 60 Il potere acquistare poi i perfetti.
- In tal disio mai non si sazia sete:
- Dunque a quel ben che sempre altrui tien sazio,
- E per cui acquistar nati ci siete,
- Dovrebbe ognuno, mentre ch’egli ha spazio,
- 65 Affannarsi ad avere. Omai andiamo,
- Che già il luminoso e gran topazio
- In sulla seconda ora esser veggiamo
- Già sopra l’orizzonte, ed il cammino
- È lungo al poco spazio che abbiamo.
- 70 Ma io spero che ’l voler divino
- Ne farà grazia, e io così gli chieggio,
- Ched e’ non ci fallisca punto, infino
- Entrati sarem là, ove quel seggio
- Del perfetto riposo è stabilito
- 75 Per que’ che non disian d’aver peggio.
- Poi ch’io ebbi sì parlare udito,
- A quella Donna, io le risposi: andate,
- Nullo mio passo fia da voi partito.
- In questo sol vi prego che m’atiate,
- 80 Che là, dove disio mi trasportasse
- Contra vostro piacer, mi correggiate.
- Ella mostrò negli atti ch’accettasse
- La mia dimanda, e mossesi; e rivolta,
- Mi disse allora ch’io la seguitasse.
- 85 Tutti e tre insieme, avvegnachè con molta
- Fatica, la seguimmo, e la cagione
- Fu perchè quistionammo alcuna volta
- A non voler seguir sua mostrazione.
- * * *
- CAPITOLO XXXI.
- * * *
- Dove tratta come vede la Fortuna, e’ ben che dà e toglie; e nell’ultimo come si rammarica di lei.
- Tosto finì il suo cammin costei,
- Che di quel loco per una portella
- In altra sala ci menò con lei.
- Ell’era grande, spazïosa e bella,
- 5 Ornata tutta di belle pitture,
- Siccome l’altra ch’è davanti ad ella.
- Oh quanto quivi in atto le figure
- Si mostravano tutte varïate
- Dall’altre prime, e non così sicure.
- 10 Color con festa e con gioconditate
- Parevan tutti con li vestimenti,
- Costor con doglia e con avversitate.
- Hai, quanto quivi parevan dolenti,
- E spaventati qualunque vi s’era
- 15 Con vili e poverissimi ornamenti!
- Ivi vid’io dipinta in forma vera
- Colei, che muta ogni mondano stato,
- Talvolta lieta e tal con trista cera:
- Col viso tutto d’un panno fasciato,
- 20 E leggermente con le man volveva
- Una gran rota verso il manco lato.
- Horribile negli atti mi pareva,
- E quasi sorda, a niun prego fatto
- Da nullo, lo intelletto vi porgeva.
- 25 E legge non avea nè fermo patto,
- Negli atti suoi volubili e incostanti,
- Ma come posto, talor l’avea fratto,
- Volvendo sempre ora dietro ora avanti
- La rota sua senza alcun riposo,
- 30 Con essa dando gioia e talor pianti.
- Ogni uom che vuol montarci su, sia oso
- Di farlo, ma quand’io ’l gitto a basso,
- In verso me non torni allor cruccioso.
- Io non negai mai ad alcuno il passo,
- 35 Nè per alcuna maniera mutai,
- Nè muterò, nè ’l mio girar fia lasso:
- Venga chi vuol. Così immaginai
- Ch’ella dicesse, perchè riguardando
- D’intorno ad essa vi vid’io assai,
- 40 I qua’ sù per la rota ad erpicando
- S’andavan colle man con tutto ingegno,
- Fino alla sommità d’essa montando;
- Saliti su parea dicesser: regno:
- Altri cadendo in l’infima cornice
- 45 Parea dicessero: io son senza regno:
- In cotal guisa un tristo, altro felice
- Facea costei, secondo che la mente,
- La qual non erra, ancora mi ridice.
- Allor rivolto alla Donna piacente
- 50 Dissi: costei, ch’io veggio qui voltare,
- Conosc’io per nemica veramente:
- Tra l’altre creature, a cui mi pare
- Dover portar più odio, questa è dessa,
- Perocchè ogni sua forza e operare
- 55 Ell’ha contro di me opposta e messa,
- Nè preghi nè saper nè forza alcuna
- Pacificar mi può giammai con essa.
- Ognora nella faccia persa e bruna
- Mi si mostra crucciata, e sempre a fondo
- 60 Della sua rota mi trae dalla cuna,
- Gravandomi di sì noioso pondo,
- Che levar non mi posso a risalire,
- Onde giammai non posso esser giocondo.
- Ridendo allor mi cominciò a dire
- 65 La Donna saggia: e tu se’ di coloro,
- Ch’alle mondane cose hanno ’l disire?
- A’ quai se ella desse tutto l’oro,
- Che è sotto la luna, pure avversa
- Riputerebber lei al voler loro.
- 70 Torrotti adunque di cotal traversa
- Opinïone, e mostrerotti come
- Più son beati que’ che l’han perversa.
- Il dir, Fortuna, è un semplice nome;
- Il posseder quel ch’ella dà, è vano,
- 75 O senza frutto affanno se ne prome;
- Odirai come, e se ’l mio dire strano
- È dalla verità, conceder puossi
- Che seguir vizio sia al salvar sano.
- Solamente da te vo’ che rimossi
- 80 Sieno i pensier fallaci, se procede
- Il mio parlar con ver, sicchè tu possi
- In te vedere come si concede,
- Che quel che più al vostro intendimento
- Aggrada, più con gravezza vi lede.
- 85 Allora rispos’io: io son contento,
- Donna, d’udire, acciò che ’l mio errore
- Io riconosca, perocchè io sento,
- Non aver nulla esser grave dolore.
- * * *
- CAPITOLO XXXII.
- * * *
- Dove l’autore riprova que’ che si rammaricano della Fortuna.
- Incominciò allor costei a dire:
- Voi terreni animai desiderate
- I voler vostri tutti conseguire
- Medïante costei, cui voi chiamate
- 5 Fortuna buona e rea, secondo ch’essa
- Vi dà e to’ mondana facultate.
- In prima alcuni domandano ad essa
- Molta ricchezza, credendosi stare
- Senza bisogno alcun possedendo essa.
- 10 Vaghi sono altri soldi poter fare,
- Sicchè avuti sieno in reverenza
- Da tutti, e ’n ciò s’ingegnan d’avanzare.
- In alcuni altri aver somma potenza
- Par sommo bene, e questo van cercando,
- 15 Tanto gli abbaglia la falsa credenza.
- Risplendere altri si vanno ingegnando
- Di nobil sangue, ed il nome famoso
- O per guerra o per pace van cercando.
- Tai son che credon, ch’esser copïoso
- 20 Di volontà carnal, ch’è van diletto,
- Faccia chi ciò possiede glorïoso.
- Vogliono alcuni, acciò che il difetto
- Del non poter si rivolga in potere,
- Ricchezza, e per poter porre in effetto
- 25 Ogni libidinoso lor piacere:
- E così figli alcuni, altri altre cose,
- E questo interamente hanno in calere.
- Se forse una di queste hanno ritrose
- Al lor volere, qualunque s’è quello,
- 30 Ch’alcuna aver nell’animo propose,
- Incontamente con animo fello
- Contra questa si turba, ed essa dice
- Nemica, e forse fu difetto d’ello.
- Intendi adunque e vedi, che felice
- 35 Costei non puote giammai fare alcuno,
- Posto che del mondan sia donatrice.
- Non vedi tu, che e’ non è nessuno,
- Che abbondi in ricchezze, che non sia
- D’ogni riposo e diletto digiuno?
- 40 Continovo nell’animo li fia
- Pensiero e cura di poter guardarle,
- Temendo di nascosa tirannia.
- Vedi adunque che bene ha d’ammassarle;
- Poichè insidie tutto tempo teme,
- 45 E in più quantità voler recarle.
- Il povero uom di tal cosa non geme,
- Nè perde sonno, nè lascia sentiero,
- Sol di sua vita tal pensiero il preme:
- Alla quale, a voler narrare il vero,
- 50 Poco gli basta; ma il ricco avaro
- Di molto aver non ha suo disio intiero.
- Me’ puote ancora il ricco dar riparo
- Alle fami ed a’ freddi, benchè puro
- Le sente alcuna volta, o spesso o raro.
- 55 Or quinci segue al pover, che sicuro
- Vive di non cader, nè spera mai
- Che caso fortunal li paia duro.
- Ricchezza adunque, quand’ella è assai,
- Più fa indigente il suo posseditore,
- 60 Con più pensier, con più cura, e più guai.
- Colui che vuol per dignitate onore,
- Veggian, se la fortuna gliel concede,
- S’egli avrà quello ch’e’ disia nel core.
- Or non agli occhi di qualunque vede
- 65 È manifesto, che tornan viziosi
- Tantosto che neuna ne possiede?
- Ma se per quelle forse virtüosi
- Ne ritornassero, io consentirei
- Che tutti voi ne foste disïosi.
- 70 E d’altra parte dignità i rei
- Fa manifesta, e ogni lor mancanza
- È conosciuta più ch’io non potrei
- Nè parlar, nè mostrar: dunque v’avanza
- Questa se vi si mostra allor turbata,
- 75 Quando chiedendo state in tale erranza.
- Beati alcuni si dirian, se data
- Fosse lor forse potenza reale,
- Non conoscendo il mal, di ch’è vallata.
- E questa podestà nïente vale,
- 80 Ch’ella non può fuggire il duro morso
- Della sollecitudine, che male
- A lei non faccia, nè può dar soccorso
- A quel noioso e rigido tormento,
- Che di paura dà l’amaro sorso.
- 85 Togliendo questa cotal reggimento
- Pace vi dona, dove guerra avreste,
- E voi nol conosceste, onde scontento
- Ogni uom pur quel, che dar non vuol, vorreste.
- * * *
- CAPITOLO XXXIII.
- * * *
- Della medesima Fortuna, e di molti di cui non conta per nome se non l’operazioni loro.
- La nobiltà del sangue altri a costei
- Domanda, come se veracemente
- Sì fatto don procedesse da lei.
- Oh quanto a domandare stoltamente
- 5 Si muovon questi, se l’operazioni
- Non seguono il disio della lor mente.
- Colui che con perpetue ragioni
- Governa il mondo, come sol fattore
- D’esse, crea nelle sue regioni
- 10 Ogni anima che nasce, con amore
- Eguale, e quella si muove da lui
- Vegnendo lieta al generato core.
- Considerando dunque che costui
- Sia solo a farle eguai, conosceremo
- 15 Così gentil costui come colui.
- E però manifesto vederemo,
- Che chi seguisse la diritta via
- Delle virtù, come da lui avemo,
- L’un come l’altro così gentil fia;
- 20 E chi da questa torce, si può dire
- Non che villano ma una bestia sia,
- A questi puo’ tu dir, che in disire
- Vien d’esser forse tenuti gentili,
- E cercan ciò per lor vizii coprire;
- 25 Tieni or ben mente, e vedi quanto vili
- Sien lor domande, che s’ella concede,
- Superbi tornan dov’erano umili.
- Onde da questo poi spesso procede,
- Ched elli scoppian, nïente tornando,
- 30 Perchè s’ella nol fa, vie men li lede;
- Tratti ciascun con virtute operando
- D’aver tal lode, che questa giammai
- Non gliel torrà la sua rota voltando.
- E chi la vuole in altro modo, guai
- 35 Va dimandando, e ’l come gli è coperto,
- E se ben guardi tu te n’avvedrai.
- Nè ciò è lungamente lor sofferto,
- Che degno guiderdon dalla giustizia
- Eterna è lor di ciò in breve offerto.
- 40 Ed alcuni altri son che gran letizia
- Fanno, quando costei concede loro
- Lussurïando poter lor malizia
- In operazïon porre, e di costoro
- È il numero grande; i qua’ beati
- 45 Tengonsi, quanto più a tal lavoro
- Lusingando ne recano i malnati:
- E se questo costei forse lor nega,
- Incontamente ver lei son turbati.
- Se ella forse copiosa si spiega
- 50 Tal grazia addomandando, in aspra pena,
- Non conoscendolo essi, i tristi lega.
- Vorrieno alcuni aver la borsa piena
- Per poter comandare. Oh quanto senno
- Poco costor per via malvagia mena!
- 55 Or credon che minaccevole cenno
- Faccian le lor ricchezze, anzi il faranno
- Quelli a cui per guardarle subietti enno.
- Già puoi veder che gli uomin poco sanno,
- Che per aver delle cose mondane
- 60 Consuman sè con non utile affanno.
- In breve adunque queste cose vane
- Si consumano e passano, e dovreste
- In ciò voi tutti aver le menti sane,
- Ognor veggendo ciò ch’avvien di queste,
- 65 Come partendo e tornando talvolta
- Le menti vostre fanno liete e meste.
- Costei, di cui parliam, s’a voi rivolta
- Con tristo viso vi si mostra spesso,
- Sebben hai tutta mia ragion raccolta,
- 70 Ov’io ho quasi tutto quanto messo
- Il suo poter, vi dovria rallegrare,
- E non porger dolor negandovi esso.
- Nostro verace e util ragionare
- Troppo si stenderia, volendo intero,
- 75 Ciò che dir si porria, d’essa parlare.
- Di ciò ch’è detto basti, e con sincero
- Parere fa’ che il prendi, sicchè forse
- Non traggi error del mio lucido vero.
- Ogni parer che ’l rimirar ti porse
- 80 Di là vedendo, caccia, e quel disio
- Massimamente che di lor ti morse
- Fiso mirando quello, perchè io
- Qua entro ti menai, fa’ che col viso
- Segui com’io col mio parlar m’invio.
- 85 Ogni mondan valor vedrai conquiso
- In termine assai breve: fa’ ch’ascolti,
- E che non sia dal tuo intender diviso,
- Ciò ch’io dirò qui appresso di molti.
- * * *
- CAPITOLO XXXIV.
- * * *
- Della medesima Fortuna, e di quelli che di lei si rammaricano, ed ella di niente si cura, anzi fa suo corso.
- Horribilmente percuote costei,
- Cominciò ella a dir, chiunque sale
- Sulla sua rota fidandosi a lei:
- Onde ciascun che è qui, per cotal male
- 5 Piangendo si rammarca, ed essa vedi
- Che di tal pianto niente le cale.
- Il suo officio fa, e vo’ che credi,
- Che rade volte aspetta il suo girare,
- Che lo stato di uno a’ terzi eredi
- 10 Venga, ma con mirabile voltare
- Dà costei a questo, a quel altro levando,
- Come vedi un salire altro abbassare.
- Intento dunque quivi riguardando
- Puo’ tu veder quella città caduta,
- 15 Che Cadmo fece lo bue seguitando,
- Potente e grande più ch’altra tenuta
- Ch’al mondo fosse allora fu, ed ora
- Di pruni e d’erbe la vedi vestuta;
- Rovinati gli ostier, nè vi dimora
- 20 Altri che bestie salvatiche e fiere,
- E quanto fosse grande parsi ancora.
- Jocasta trista vi puo’ tu vedere,
- Ch’al figlio moglie misera divenne,
- Bench’avvenisse senza suo sapere.
- 25 E vedi que’ che questa tutta tenne
- Con tal voler del frate, per cui questo
- Distruggimento misera n’avvenne,
- Giace con lui in quel fuoco molesto,
- E quivi vedi il frate, che amendui
- 30 Fu l’uno all’altro uccider così presto.
- Oltre un poco poi vedi colui,
- Che sopra al mur da Giove fulminato
- Fu, dispregiando ancor negli atti sui.
- Con questi vedi Adrasto allato allato
- 35 Con gli altri regi, che l’accompagnaro
- A quel distruggimento dispietato.
- Vedi Tideo, vedi il pianto amaro
- Che fér le triste, che a compimento
- In ristoro del duol la consumaro.
- 40 Non t’è occulto or quanto mutamento
- Dal bene al mal fosse quel di costoro,
- E quasi fu in un piccol momento.
- Pon mente poi un poco, dietro a loro
- Troia vedrai e ’l superbo Ilione,
- 45 Ch’appena alcuna parte par di loro:
- Ora non v’ha nè tetto nè magione,
- Ma qual caduto e quale arso si mostra,
- Come tu vedi, e sai ben la cagione.
- Così costei con cui le piace giostra,
- 50 Sempre abbattendo chi s’oppone ad essa:
- Ma perseguiamo alla materia nostra.
- Or mira a piè della città depressa,
- E vedi que’ che già ne fu signore,
- Quando da’ Greci fu con forza aggressa;
- 55 Priamo dico, il cui sommo valore,
- La sua ricchezza, la fama e l’ardire,
- I molti figli, il potere e l’onore
- Raccontar non porriansi mai nè dire:
- Questa arsa, e’ figli morti innanzi ad esso
- 60 Tutti li vide avanti il suo morire.
- Ecuba trista puoi vedere appresso
- Per doglia andar latrando come cane,
- Morte chiamando che l’uccida spesso.
- Similemente ancor delle troiane
- 65 Genti vi vedi assai in sanguinoso
- Lago star morte, e d’ogni possa vane.
- Tra gli altri puoi vedere il valoroso
- Ettor giacer, e non li valse niente
- Contra costei il suo esser famoso.
- 70 Ivi Paris ancora, insiememente
- Troilo, Polidoro, e Polissena
- Veder puoi tu giacere assai vilmente.
- Agamennone insieme, e la sua pena,
- Poich’ebbe Marte e Nettuno avanzato,
- 75 Vedi ch’Egisto a lui l’ultima cena
- Togliendoli la vita dà, ingannato
- Lui col vestir malizioso e fallace,
- Nel quale e’ tristo s’è ravviluppato.
- E vedi ancor Senacherib che giace
- 80Morto dentro a quel tempio, e vedi Enea
- Che Turno, il qual si credea stare in pace,
- Lui caccia via. E appresso parea
- Serse dolente e tristo nello aspetto
- Del passare Ellesponto ancor piangea.
- 85 Oh quanto pien di furia e di sospetto
- Atamante Teban che uccise i figli,
- Quivi parea nel sembiante dispetto,
- Nelle lor carni ancor con tristi artigli!
- * * *
- CAPITOLO XXXV.
- * * *
- Della medesima Fortuna, dove pone Alessandro vinto il mondo, esser poi alla morte, non poter niente.
- Tu puoi, ricominciò la Donna a dire,
- Veder qui Alessandro, ch’assalio
- Il mondo tutto, per velen morire,
- E non esser però il suo disio
- 5 Pien, ma più che giammai esser ardente,
- E ’n tale ardor, come vedi, morio:
- Lo qual fu quanto alcuno altro possente.
- Nè però averia questa lasciato,
- Che se fosse vivuto, che vilmente
- 10 Lui non avesse in infimo voltato
- Della sua rota, ma quel che costei
- Non fe’, morte adempiè nel nominato.
- E poi appresso puoi veder colei
- Che pugnò con Pallade come stolta,
- 15 Ch’ancor del fallo suo par dica, omei.
- Come la vedi ancor quivi ravvolta
- Ne’ suoi stracci, in ragniuol trasmutata
- Fu dalla Dea, e dal laccio disciolta.
- Tu puoi appresso vedere effigiata
- 20 La sembianza di Darïo, la quale
- Di lieto aspetto in tristo par mutata.
- Oh come poco al presente li vale
- Essere stato grande, anzi gli è noia,
- Or che si vede in disperato male.
- 25 Aver puoi già udito quanta gioia
- Avesse Niobe de’ suoi figliuoli,
- E agual qui pare di dolor si muoia.
- Guarda un poco innanzi, se tu vuoli,
- Superba lei potrai quivi vedere
- 30 Ancora incerta de’ suoi tristi duoli.
- Lor poi appresso ad uno ad un cadere
- Morti d’intorno a lei ancor vedrai
- Per la superbia e suo poco sapere.
- In trista angoscia ed in amari guai
- 35 La vedi quivi ritornata umile,
- Senza suo pro di sè piangendo assai.
- Appresso vedi que’ che con sottile
- Magisterio del padre uscì volando
- Del Laberinto, che tenendo vile
- 40 Miseramente ciò, ch’ammaestrando
- Il padre gli avea detto, per volare
- Troppo alto, in giù le sue reti spennando
- Ora si cala, e appresso affogare
- Più là il vedi ne’ salati liti:
- 45 Questo avvien de’ non savii seguitare.
- Riguarda poi più là, vedi smarriti
- Il fiero Ciro e Persio, e ne’ sembianti
- L’ardir perduto paiono inviliti.
- Or vedi ancora a mano a man da quanti
- 50 Uccelli il corpo di Nabuc è roso,
- Temendo il figlio, che per tempo avanti
- Surgendo del sepulcro poderoso
- Non ritornasse, e lui cacciasse fore
- Del regno dove vivea glorïoso.
- 55 Ivi ve’ tu ancora il gran romore,
- Che fanno le figliuole di Piëro
- Voltate in piche per grieve dolore?
- Veggon senza lor pro ora quel vero,
- Ch’a lor superbamente s’occultava
- 60 Nel lor parer fallace e non intero.
- E quivi appresso costei mi mostrava
- Cartagine in rovina, tutta accesa
- D’ardente fuoco che la divampava.
- Riguardar quella con sembianza offesa
- 65 Mi mostrò quella Donna Scipïone,
- Al cui valor non potè far difesa.
- Seguiva con non poca ammirazione
- Annibale turbato nello aspetto,
- O di quella o di sua distruzïone.
- 70 In abito dolente e con sospetto
- Quivi Asdrubale ancora vi vedea
- Col capo basso mirandosi il petto.
- Là similmente veder mi parea
- La distruzion della antica cittate
- 75 Di Fiesole, la qual tutta cadea.
- Ivi pareva la gran crudeltate,
- Che ’l Pistolese pian sostenne pieno
- Di Catellino, le cui opre spietate
- Quasi narrando non verrian mai meno,
- 80 Avvegna ch’a ragion posto li fosse
- Nella effrenata bocca cotal freno.
- Vedevanvisi ancora le percosse,
- Che Marïo da Lucïo sostenne,
- Quando la briga cittadina mosse.
- 85 A’ quai, così come a colui n’avvenne,
- Possa avvenir, che nelle città loro
- A suscitar battaglia metton penne,
- Lasciando il comun ben per suo lavoro.
- * * *
- CAPITOLO XXXVI.
- * * *
- Dove si contiene della medesima Fortuna, e in parte di Dionisio tiranno.
- Intento ora ti volgi a riguardare
- La vendetta di Dio, che non oblia
- Mai fallo alcun che si debba purgare.
- Se in parer posto forse ad alcun fia
- 5 Ch’ella si muova con un lento passo,
- Non è così, ma que’ troppo disia.
- O se va forse adagio al tristo lasso,
- Ch’aspetta quella per la fatta offesa,
- Non giova già, che più greve fracasso
- 10 Segue per quello indugio, sì compesa
- Al fatto fallo, sicchè egualmente
- Da ogni parte la bilancia pesa.
- Pon mente là a colui che sì vilmente
- Veste, e si tien la mano alla mascella,
- 15 Mostrando sè nel sembiante dolente,
- Incominciò colei, oh quanto fella
- Fu l’aspra signoria che ’n Siragusa
- Tenne, mentre per lui si guardò quella!
- Nel tempo avanti che li fosse chiusa,
- 20 Tiranneggiando fieramente in essa,
- Senza ricevere o priego o scusa,
- Tenea la gente sì vilmente oppressa,
- Ch’ognun piangeva, e dicer non osava
- La doglia sua per tema d’altra ressa.
- 25 Oh come fiero li tiranneggiava,
- E Dionisio il fiero fu chiamato,
- Per la fierezza la quale egli usava.
- Così avvenne, ch’e’ ne fu cacciato
- Con tanta noia e con tanto furore,
- 30 Ch’a lui parve aver vinto esser campato.
- Onde fuggendo ad Atene, il dolore
- Mitigato, pensò, per non morire
- Di fame, farsi in lettera dottore.
- Nol vedi tu, ched e’ fa là aprire
- 35 I libri a’ garzonetti, e mostra loro
- Com’una lettera altra dee seguire?
- Poi guarda avanti nel dolente coro,
- E vederai Tessaglia sanguinosa,
- Del roman sangue mistiata e di ploro.
- 40 Or guarda quivi, e vedi sconcia cosa,
- Tanti grandi uomin, tanti valorosi,
- Esser sommessi a rovina angosciosa.
- Simile guarda quanto ponderosi
- Son gli alberi del sangue che portati
- 45 V’hanno li piè degli uccellon golosi,
- I qua’ si son prima ben satollati
- De’ corpi morti, che senza alcun foco
- O sepoltura stanno qui gelati:
- Fra’ folti boschi, o in tane o altro loco,
- 50 Leon nè lupo nè can par rimaso,
- Che non si pascan quivi o molto o poco.
- Ondeggiar vedi del dolente caso
- I tristi fiumi, e ispumanti e rossi
- Del tristo sangue non isparto in vaso.
- 55 Riguarda là Pompeo con volti dossi,
- Che fuggendo abbandona il campo tristo,
- E ancor ve’ come a Lesbos posossi.
- Se là rimiri, con sembiante misto
- Di lagrime Cornelia accoglier lui
- 60 Vedrai, poichè sconfitto l’ebbe visto.
- E vedi ancor come quindi con lui
- Si parte, e vanne per mare in Egitto,
- In sè immaginando, che colui
- Dovesse lui ricevere, respitto
- 65 Avendo al regno che avuto avea
- Da lui, ma ’l suo pensier non venne dritto.
- Avanti mi mostrò, dov’io vedea
- Come scendea del suo legno Pompeo,
- Perchè carico troppo li parea,
- 70 Di quello entrando in un che Tolomeo
- Per Achillas insieme con Potino
- Sotto spezie d’onor menar li feo:
- In quel già assettato lui meschino,
- I traditori alquanto indi lontani
- 75 Pigliaron lui, quasi al suo mal vicino,
- Siccom’ parea, il capo l’aspre mani
- A lui tagliaro, e ’l tronco in mar gittaro,
- E quello al sir portaron de’ Romani.
- Ivi pareasi ancora il duolo amaro,
- 80 Che Cordo fece quando vide il busto
- Del capo, ch’a’ Roman fu tanto caro:
- Onde dolente, povero e vetusto
- Prendea di notte quello al mio parere,
- E poi con picciol fuoco lui combusto,
- 85 Sotterratto ebbe secondo il potere
- In piccoletta fossa, ricoprendo
- Lui del sabbione, e con lagrime vere
- Il suo infortunio ripetea piangendo.
- * * *
- CAPITOLO XXXVII.
- * * *
- Della medesima Fortuna, e di Cesare, e dove essendo fu morto da’ senatori.
- Vedevavisi appresso quanto e quale
- Già fosse stato Cesare, tenendo
- In prima in Roma offizio imperïale.
- Oh quanto poco questo possedendo
- 5 Il vedea glorïar, che quivi a lato
- Tra’ senatori il vedeva morendo,
- Lui avendo essi tutto pertugiato
- Co’ loro stili, e quegli era piggiore,
- Cui egli aveva già più onorato.
- 10 E simile la rabbia e ’l gran furore
- Di Neron, si vedeva terminare
- In breve tempo con molto dolore.
- Risplendevavi ancora, ciò mi pare,
- Ciò che fe’ Giuba mai, e ivi appresso
- 15 Dopo ’l salir, il suo tristo calare.
- Tarquin, Porsenna, e Lentulo dop’esso,
- Ovidio, Tullio, Amilcar si vedieno,
- E altri molti, i quali io con espresso
- Riguardo non mirai, perchè già pieno
- 20 Di tal materia aveva l’intelletto,
- Ed eran tanti che non venien meno.
- O beato, diss’io, quel che l’affetto
- Ad altre cose tira, che a queste,
- Le quali stato mostrano imperfetto;
- 25 Più vili ch’altre sono e più moleste,
- Piene d’inganno e d’affanno gravoso,
- E la lor fine è sola mortal peste.
- Poi mi voltai al viso grazïoso
- Di quella Donna che m’avea condotto,
- 30 Dicendo: il mio voler che fu ritroso,
- Or è tornato dritto, e già non dotto,
- Che questi ben terren son veramente
- Que’ che a’ vizii ciascun mettono sotto.
- Nessun porria pensar, che tanta gente
- 35 Così famosa e di tanta virtute,
- Fortuna avesse fatti sì vilmente,
- Forse chi nol vedesse; o chi salute
- Spererà oramai, se non coloro
- Che le vere ed eterne han conosciute?
- 40 Il più far qui omai lungo dimoro,
- Donna, mi spiace, però giamo omai
- Dove volete, e qui lasciam costoro.
- Allor disse la Donna: or t’è assai
- Aperto, che costei esser turbata
- 45 Vi dà salute, ed iscemavi guai.
- Ma se tu fossi stato altra fïata
- Così disposto, come ora ti sento,
- Già meco fori in capo alla montata;
- Ma poichè del seguirmi se’ contento,
- 50 Ed hai vedute le mondane cose,
- Volubili e caduche più che vento,
- Appresso viemmi, che le glorïose
- Eterne vederai. Ma non torniamo
- Onde venimmo per le impetuose
- 55 Tralciute vie, ma sì di qua tegnamo,
- Che picciola rivolta alla portella
- Prima ci menerà, che noi volgiamo.
- Ora si mosse questa, ed io dop’ella,
- Di quelle cose molto ragionando,
- 60 Ch’eran dipinte nella sala bella:
- Ognor seguendo lei, così mirando
- Intorno a me per veder ciò che v’era,
- E nella mente ogni cosa recando,
- Sì vidi io per una porta ch’era
- 65 Alla sinistra mano, un bel giardino
- Fiorito e bello com’ di primavera.
- Entriam, diss’io, in questo orto vicino,
- Donna, se piace a voi, che poi alquanto
- Ricreati terrem nostro cammino.
- 70 Là entro udiva io festa e gran canto,
- Onde mi crebbe d’esservi il desio,
- Sicch’altri mai non disiò cotanto.
- Mirandomi allor dopo vi vid’io
- I due primier, che dicean: che non passi
- 75 Dentro, poichè ardi di volere? Ed io
- In fra me gía dicendo: se tu lassi
- Costei per colà entro voler gire,
- S’ella non vien, chi guiderà i tuoi passi?
- Oh, cominciò costei allora a dire,
- 80 Che credi tu che colà entro sia?
- Troppo ti volge ogni cosa il disire.
- Facciam, mentre avem tempo, nostra via,
- Che come tu costà pinto hai veduto,
- Così v’è dentro mondana vanía.
- 85 Il ver è che ora avanti conosciuto,
- Secondo il tuo parlar, avendo tutto,
- Seguilo, e non voler con non dovuto
- Operar, seguir danno e perder frutto.
- * * *
- CAPITOLO XXXVIII.
- * * *
- Dove tratta che trova un nobile giardino, dov’era una bellissima fontana intagliata.
- Comincia’ io allora: a te che face
- L’entrar là entro, e un poco vedere?
- Io verrò poi là ovunque ti piace.
- Or veggio ben, che tu il tuo piacere
- 5 Vuoi pur seguire in ciascheduna cosa,
- E fai quel che tu vogli a me volere.
- Così mi disse, e quasi dispettosa
- Soggiunse: andiam, che ne potrà seguire,
- Che quando tu in più pericolosa
- 10 Angoscia ti vedrai, vorrai reddire
- Con meco addietro, e non esser forse ito,
- E io ti lascerò in tal martire.
- Non fu il suo parlar da me udito
- Allor per poco; tanto avea la mente
- 15 Pure al giardin verdeggiante e fiorito:
- Tutti e quattro v’entrammo insiememente,
- Tanta gioia vi vidi, che ciò ch’io
- Dinanzi vidi, ivi m’uscì di mente.
- Ahi quanto egli era bello il luogo ov’io
- 20 Era venuto, e quanto era contento
- Dentro da me l’ardente mio disio.
- Rimirando m’andava intorno attento
- Per lo gioioso loco, scalpitando
- L’erbette e’ fior col passo lento lento.
- 25 Sì con diletto per lo loco andando
- Vidi in un verde e piccioletto prato
- Una fontana bella e grande, e quando
- Io m’appressai a quella, d’intagliato
- E bianco marmo vidi assai figure,
- 30 Ognuna in diverso atto ed in istato.
- Mirando quelle vidi le sculture
- Di diversi color, com’io compresi,
- Qua’ belle, e qua’ lucenti, e quali scure.
- Vidi lì un bel marmo, e quel sediési
- 35 Sopra la verde erbetta, di colore
- Sanguigno tutto, e ’n su quella stendiési
- In piano, e s’io già non presi errore
- Nell’avvisare, una canna per verso,
- Quadro e basso, e lucido di fore.
- 40 Sovr’ogni canto di quel marmo terso
- Di marmo una figura si sedea,
- Benchè ciascuna avea atto diverso:
- Ch’umil, bella, soave mi parea
- L’una di queste, e due spiritelli
- 45 Con l’una mano appiè di sè tenea.
- Habituati parlando con quelli
- Gli aveva sì in un voler recati,
- Che ciascuno contento è di quel ch’elli
- All’altro vedea in voglia, e colorati
- 50 Eran li suoi vestir, di tanti e tali
- Colori, ch’io non gli avre’ mai avvisati.
- Nell’altro canto a man destra, ch’eguali
- Spazio occupava, una donna vi stava
- Ad ogni creatura diseguali.
- 55 Ella nel capo suo quivi mostrava
- Tre visi, ed è vestita, ciò mi pare,
- Come di neve, e così biancheggiava.
- Là vid’io poi nel terzo angolo stare
- Una donna robusta tutta armata
- 60 Ad ogni affanno presta di portare.
- Parea di ferro questa ivi formata
- Tutta a veder, e dopo lei seguia
- Un’altra sopra ’l quarto angol fermata.
- Rimirando colei ognun diria
- 65 Che di fino smeraldo fatta fosse,
- In abito piacente, umile e pia.
- Or quel che più a mirarle mi mosse
- Fu un vaso vermiglio grande e bello,
- Che tutte sostenean colle lor posse:
- 70 Fermato sopra loro il bel vasello
- Più che ’l sanguigno marmo si spandeva
- Sopra ’l fiorito e verde prato, e quello
- Egli era tondo, e ’n mezzo d’esso aveva
- Formata una colonna piccioletta,
- 75 Che dïamante in vista mi pareva,
- Rotonda e bella, e sopra quella eretta
- Un capitel v’aveva di fino oro
- Fatto con maestria non miga in fretta.
- E sopra quel tre figure dimoro
- 80 Faceano ignude, e le spalle rivolte
- Erano l’una all’altra di costoro.
- Rideva l’una in atto, benchè molte
- Lagrime fuor per gli occhi ella gittasse,
- Che poi nel vaso parevan raccolte:
- 85 Bruna era e nera, e poi che somigliasse
- Foco pareva l’altra, e dalla poppa
- Acqua gittava, e la terza sopr’a sè
- Rampollava ancor bianca, ma non troppa.
- * * *
- CAPITOLO XXXIX.
- * * *
- Dove tratta della medesima fonte, e di suo ornamenti come spande pel giardino.
- Oh quanto bella tal fonte pariami,
- E quanto da lodar, talchè giammai
- Di mirarla saziato non sariami.
- Com’io a basso al vaso riguardai
- 5 Dove l’acqua cadea, ch’era gittata
- Da quelle tre, se bene immaginai,
- O vidi il vero, io vidi ch’adunata
- Era da parte quanta ne gittava
- La bianca donna, e là effigiata;
- 10 Onde uscia quella del vaso, vi stava
- Un capo d’un leone, e ’n ver levante
- D’un picciol fiume il bel giardin rigava.
- Tolto di quivi e fattomi più avante,
- Ciò che la donna vermiglia spandea
- 15 Nel vaso, vidi fare il simigliante.
- Rimirando esso ancora vi vedea
- Una testa d’un toro al mio parere,
- Del qual quell’acqua ad un’asta scendea.
- Oltre ver mezzogiorno il suo sentiere
- 20 Tenendo mi parea, che se ne andasse
- Ancor rigando il piacente verziere.
- Poi mi parve ch’alquanto mi tirasse
- In ver la terza donna tutta nera,
- Che ridendo parea che lagrimasse.
- 25 Parevami, che poich’adunato era
- Suo lagrimar nel vaso, che scendesse
- Per una testa ancora che quivi era;
- Ove mirando, parve ch’io vedesse
- Che lupo fosse, e questa se ne gía
- 30 Or qua or là, nè parea che tenesse
- En l’andar suo nulla diritta via,
- Ad aquilon talora, e ’n ver ponente
- Scendendo, non so dove si finia.
- Ciò che dal leon cade, pianamente
- 35 Dico che corre, e sopra li suoi liti
- D’erbe e di fior si vede ognor ridente.
- Herba non v’ha nè frutti che smarriti
- Teman dell’autunno, ma tuttora
- Con frutta e fronda, be’ verdi e fioriti
- 40 Ivi dimoran, nè mai si scolora
- Prato, ma bel di varïati fiori
- La state e ’l verno sempre vi dimora.
- A quel ruscel, che al toro di fuori
- Cade di bocca, similmente è bello
- 45 D’erbe e di fior di diversi colori,
- Rivestito di ciascuno albuscello
- È il dolce lito che porta verdura,
- E similmente d’ogni gaio uccello.
- Odesi alcuna volta in la pianura
- 50 Le frondi risonar per dolce vento,
- ll qual si move da quell’aere pura.
- Ogni pratel di quel lito è contento
- Di mutar condizione a tempo e loco,
- Secondo c’ha ’l vigore acceso o spento.
- 55 Rallegravisi ogni animal, e gioco
- Vi fa, secondo che amor lo strigne
- Sotto la forza sua, o molto o poco,
- Ovunque la natura più dipigne
- La terra di bellezza, e a rispetto
- 60 Null’è di quello che quel fiume tigne.
- Così veduto quel con l’intelletto,
- Io corsi a quel che fuor del lupo usciva,
- Ov’io non vidi un albero soletto,
- O altra pianta, la qual verde o viva
- 65 Vi sia, ma secca la pianura trista
- Biancheggiar tutto coll’occhio scopriva.
- Aveva ben del fiumicel la lista
- Tinta la terra d’un suo color perso,
- Che quasi lo schifava la mia vista.
- 70 Mossimi allora quindi, e a traverso
- Presi il sentiero per lo bel giardino,
- Per gire al fiume del bel toro emerso.
- E quella Donna, con cui il cammino
- Impresi prima, disse: se ti piace
- 75 Andiam per questa via, che più vicino
- Ne fia ’l sentier che ci merrà a pace:
- Dove tu vai, come tu hai veduto,
- È del ben transitorio e fallace,
- Del qual se tu ti se’ bene avveduto,
- 80 Come dicevi, e come il tuo parlare
- Mostrava che avessi conosciuto,
- A quel non guarderesti, ma andare
- Il lasceresti come cosa vana,
- E intenderesti a sol me seguitare.
- 85 Trai della mente tua quello che insana
- Esser la fa, giovi quel ch’io ti dico,
- E per quel fálla che ritorni sana,
- E non esser di te stesso nemico.
- * * *
- CAPITOLO XL.
- * * *
- Dove nel detto giardino trova molte donne, delle quali s’innamora d’una sopra tutte l’altre.
- La Donna mi parlava, ed io mirando
- Con l’occhio andava pure ove ’l disio
- Mi tenea fitto, non so che ascoltando.
- Avevavi davanti al parer mio
- 5 Su quella riva assai donne vedute,
- Di cui veder in tal voglia venn’io,
- Ch’io dissi: Donna mia, a mia salute
- Non pensar più ch’io voglia, a tempo e loco
- Farò d’adoperar la tua virtute;
- 10 Ch’ora di nuovo m’è nel cuore un foco
- Venuto d’esser là; però o vienci,
- O tu m’aspetta in fin ch’io torni un poco:
- In qual parte vorrai poi insieme andrenci,
- Nostra stanza fia poca veramente,
- 15 Che noi da veder quelle liberrenci.
- Oltra n’andai senza più dir nïente
- Co’ due che mi traevano, e costei
- Quasi scornata mi teneva mente
- Con intentivo sguardo, ed io a lei
- 20 Senza dir nulla la vi pur lasciai,
- O bene o mal non so qual io mi fei.
- Hardito con costoro oltre passai,
- E sulla riva del bel fiumicello
- Vidivi donne ch’io conobbi assai:
- 25 E riguardando lor con occhio snello,
- Qual gía cantando, e qual cogliendo fiori,
- Chi sedea e chi danzava in un pratello.
- Bello era il loco, e di soavi odori
- Ripien per molte piante che ’l copriano
- 30 Dal sole e dalli suoi già caldi ardori:
- E’ suoi cavalli al mio parer saliano
- Già sopra la quarta ora, e mezzo il segno
- Dello Friseo monton co’ piè teniano.
- Non credo ched e’ sie sì alto ingegno,
- 35 Che interamente potesse pensare
- Le bellezze di quelle ch’io disegno:
- Rimanga adunque qui questo lodare,
- Sol procedendo a’ nomi di coloro
- Ch’io vi conobbi degne di nomare.
- 40 Infra quel bello e grazïoso coro
- Di tante donne vidi una bellezza,
- Ch’ancora stupefatto ne dimoro.
- Pietoso Apollo alquanto dell’altezza
- Del tuo ingegno mi presta, o tu ispira
- 45 Ora ver me con la tua sottigliezza;
- Omero, Maro, Naso, o chi più mira
- Descrizïone, o di donna o di dea,
- Si saria poco a quella che si gira
- Sopra quel prato, ov’io vidi sedea
- 50 Giovinetta leggiadra, e tanto bella,
- Ch’io la pensai per fermo Citerea.
- Inginocchiaimi per volere ad ella
- Far reverenza, ma poscia m’avvidi
- Ch’era mondana, e somigliava stella.
- 55 Sallosi Amore, che i pietosi gridi
- Del cor sentì a sì mirabil vista,
- Ch’io nol so dir, che non ho chi mi guidi;
- E se pure conforto l’alma trista,
- Poichè per gli occhi sentì ’l dolce raggio
- 60 Di tal bellezza per obliqua lista;
- Istesi adunque in ver di lei il visaggio;
- E s’a sua posta l’alma, ch’altra guarda,
- Dar si potesse, io muterei coraggio.
- Nel viso, che d’Amor sempre par ch’arda,
- 65 Affigurai mirando con diletto
- Che costei era la bella Lombarda.
- Signore eterno, a cui nessuno effetto
- Mai si nascose, alla giusta preghiera
- Rispondi, e di’, fu mai sì bello aspetto?
- 70 Essa sopra la verde primavera
- Si riposava con altre d’intorno,
- Delle quali il bel luogo ripien’era,
- Facendo colla luce dell’adorno
- E bellissimo viso, riflettendo
- 75 Con lume troppo più il chiaro giorno;
- Rimirando talor, fra sè ridendo,
- Ver me, di me, che arso m’accendeva
- Di nuova fiamma ancora lei vedendo.
- Udire appresso questa mi pareva
- 80 Cantar tanto soave in voce lieta,
- Che me di me sovente mi toglieva.
- Così al canto libera e quïeta
- Tutta la mente avea disposta, allora
- Che con benigna voce e mansueta,
- 85 Troppa qui lunga dispendiam dimora,
- I due mi dissero; a’ qua’ rivoltato
- Risposi: andiam, sed e’ vi pare ancora,
- Oltre la via prendiamo per lo prato.
- * * *
- CAPITOLO XLI.
- * * *
- Dove nel medesimo giardino trova un ballo di nobili donne.
- Oltre passando tra’ fiori e l’erbette,
- In loco pien di rose e d’albuscelli
- Venimmo, ove ciascun di noi ristette.
- Fra li qua’ canti piacenti d’uccelli
- 5 S’udivan tai, che io mi saria stato
- Quasi contento pure ad udir quelli.
- Or mirando più là nel verde prato,
- Donne vi vidi una carola fare
- A uno strano suon, ch’una dal lato
- 10 Ritta a me mi parve udir sonare:
- Io non conobbi lei, posto ch’assai
- Bella paresse a me nel riguardare,
- Sì ch’io avanti all’altre riguardai:
- Onrata, quale a sua somma grandezza
- 15 Si conveniva, in atti lieti e gai,
- Esser la mira e piacevol bellezza
- Di Peragota, nata genitrice
- Dell’onor di Durazzo, e dell’altezza.
- Ah quanto allor mi reputai felice,
- 20 Non risparmiando gli occhi a mirar quella,
- Che per bellezza si può dir fenice.
- La qual non donna, ma Dïana stella,
- Con passo rado la menava attenta,
- Non altrimenti che si voglia ella:
- 25 Con gli occhi bassi, del mirar contenta
- Che io faceva in lei, che già sentia
- Come d’altrui per biltà si diventa.
- Vaga e leggiadra molto la seguia
- L’amica Fiorentina, al cui piacere
- 30 Appongon tai, che non san ch’e’ si sia,
- Nel viso lei parere un cavaliere,
- Onesta andando sì umilemente,
- Ch’oltre al dovere me ne fu in calere.
- Dopo essa attenta al suon similemente
- 35 Veniva quella Lia, che trasse Ameto
- Dal volgar uso dell’umana gente,
- In abito soave e mansueto,
- Inghirlandata di novella fronda,
- Con lento passo e con aspetto lieto.
- 40 Lì dopo lei bianca e rubiconda,
- Quanto conviensi a donna nel bel viso,
- Tutta gentil grazïosa e gioconda
- Era colei, di cui nel fior d’aliso
- Il padre fu dall’astuzia volpina
- 45 Col zio e col fratel di lei conquiso,
- Con molta della gente fiorentina,
- Li qua’ livraron lor; poscia per merto
- Troppo più che ’l dover parea vicina.
- Tra tanto ben, quanto a’ mie’ occhi offerto
- 50 Era in quel loco, vid’io poi seguire,
- Come ’l rammemorar me ne fa certo,
- Ognor più belle e più conte nel gire
- Donne altre assai, i nomi delle quali
- Io non saprei di tutte ben ridire;
- 55 Però le taccio, ma con disuguali
- Passi e maniere si movea catuna,
- Siccome il suon ne porgeva segnali,
- Oltre al parer mio, e ciascheduna
- A tal bisogna cotal lieta e presta
- 60 Mi pareva che fosse, perch’ognuna,
- Ridendo in sè, prendeva gioia e festa,
- Senza mostrar negli atti ch’altra cura
- Le fosse dentro forse al cor molesta.
- Givansi adunque su per la verdura,
- 65 E sopra i fior, che nuovi produceva
- Allato al rivo la bella pianura,
- E talor quella che le conduceva
- Fino alla bella fonte se ne giva,
- E intorno ad essa in giro si torceva,
- 70 Sopra tornando per la chiara riva
- Del fiumicello, e poi nel pian tornando,
- Che di diversi odori tutto oliva.
- Sempre con l’occhio quelle seguitando
- M’andava io, e dentro l’intelletto
- 75 La lor bellezza giva immaginando,
- E di quelle prendea tanto diletto
- In me, ch’alcuna volta fu che io
- A tal piacer credetti far subietto
- Alla mia voglia quivi ritta il mio
- 80 Libero arbitrio, ma pur si ritenne
- Con vigorosa forza il mio disio.
- Voltatomi a que’ due allor mi venne,
- Ch’eran con meco, verso lor dicendo:
- Oh quanto a queste natura sovvenne,
- 85 Ogni bellezza in esse componendo;
- Beati que’ che della grazia d’esse
- Son fatti degni, quella mantenendo,
- La qual volesse Iddio che io l’avesse.
- * * *
- CAPITOLO XLII.
- * * *
- Dove nel medesimo giardino trova un’altra danza, dov’era la figliuola di Carlo.
- E mentre ch’io n’andava sì parlando
- Con questi due, ed ecco d’altra parte
- Molte donne gentili assai danzando.
- Certo non credo che natura od arte
- 5 Bellezze tante formasser giammai,
- Quanto ne’ visi a quelle vidi sparte:
- Tra me medesmo men maravigliai,
- Ma volto il viso a lor come venieno,
- Così nella memoria le fermai.
- 10 Onde mi par, che quella cui seguieno,
- Danzando a nota d’una canzonetta,
- Che due di quelle cantando dicieno,
- Raffigurando, era una giovinetta
- Dell’alto nome di Calavria ornata,
- 15 Di Carlo figlia, gaia e leggiadretta,
- Reggendo quella, alla nota cantata
- Con molti degni passi a cotal danza,
- Come mi parve appresso seguitata,
- Ivi dall’alta ed unica intendanza
- 20 Del Melanese, che col Can lucchese
- Abbattè di Cardona l’arroganza.
- Nella man della qual poi la cortese
- Donna di quel cui seguita Ungheria,
- Bellissima si fece a me palese,
- 25 Grazïosa venendo onesta e pia,
- Con lieta fronte in atto signorile,
- Fece maravigliar l’anima mia.
- Riguardando oltre con sembianza umile
- Venía colei, che nacque di coloro,
- 30 Che tal fïata con materia vile
- Aguzzando l’ingegno a lor lavoro,
- Fer nobile colore ad uopo altrui,
- Multiplicando con famiglia in oro.
- Tra l’altre è nominata da colui
- 35 Che con Cefas abbandonò le reti
- Per seguitare il Maëstro, per cui
- I tristi duoli e gli angosciosi fleti
- Fur tolti a’ padri antichi, e parimente
- Da lui menati negli regni lieti.
- 40 Appresso questa assai vezzosamente
- Se ne veniva la novella Dido,
- Di nome, non di fatto veramente,
- Tenendo acceso nel viso Cupido;
- Di tale sposa, ch’assai mal contenta
- 45 Credo la faccia nel marital nido:
- Ed il nome di lui di due s’imprenta,
- D’un albero, e d’un tino, e ’l paro fatto
- Dal suo diminutivo s’argomenta.
- Costei seguiva con piacevol atto
- 50 Donna, che del sussidio d’Orïone
- Il nome tiene quando son per patto.
- O quanto ella vorria, ed a ragione,
- Vedova rimaner Partenopea,
- Di tal c’ha nome di quel c’ha menzione
- 55 L’agosto da Dascesi; e poi vedea
- Dopo essa molte, le qua’ raccontare
- Per più breve parlar meglio è mi stea.
- E com’io dissi ad un dolce cantare,
- In voce fatto angelica e sovrana,
- 60 Era guidata, qual di sotto pare:
- In chiunque dimora alma sì vana,
- Ch’esser non voglia suggetta ad Amore,
- Da nostra festa facciasi lontana.
- Lo suo inestimabile valore,
- 65 Che adduce virtute e gentilezza,
- A ciascuna di noi disposto ha il core
- A sempre seguitar la sua grandezza,
- E lui servendo staremo in disire
- Tanto, che sentirem quella dolcezza
- 70 Ched e’ concede altrui dopo ’l martire:
- Null’altra gioia al suo dono è iguale,
- Poichè per quel sembra dolce il morire.
- Vita, che senza lui dura, non vale
- Nè più nè meno, che se ella fosse
- 75 Cosa insensata, o d’un bruto animale.
- In quel disio adunque che ci mosse,
- Quando a noi fe’ sua signoria sentirsi,
- A sostenere inforzi nostre posse.
- Benivol poi essendoci a largirsi,
- 80 Sicchè e’ non ci paian le ferute
- Di te noiose, nè grave il soffrirsi,
- In cui consiste la nostra salute,
- Quando parralli la dobbiamo avere,
- Dandola tosto con la sua virtute.
- 85 L’altre poi tutte appresso al mio parere
- Rispondendo, diceano: o signor nostro,
- In te si ferma ogni nostro volere,
- Tutte disposte siamo al piacer vostro.
- * * *
- CAPITOLO XLIII.
- * * *
- D’altre donne che trova nel detto giardino.
- Aveami già quel canto e la bellezza
- Delle giovani donne l’alma presa,
- E riempiuta di nuova allegrezza,
- Tanto che ad altro la mente sospesa
- 5 Con gli occhi non tenea, che non faceano
- Alli raggi di lor nulla difesa;
- E com’io loro alzai, vidi sedeano
- Donne più là quasi sè riposando,
- Che forse fatta festa innanzi aveano.
- 10 Queste, mentre io andava riguardando,
- D’erbe e di frondi tutte coronate
- Vidi, ed insieme d’Amor ragionando.
- Ver è, ch’ell’eran di maturitate
- Di costumi, e di senno, e di valore,
- 15 E di bellezza molto, e molto ornate.
- E volto verso là, il primo ardore
- Della bellezza dell’altre fu spento
- Di tutte fuor che d’una nel mio core.
- Sicch’io con passo mansueto e lento
- 20 A quelle m’appressai com’io potei,
- Ed a mirarle mi disposi attento.
- Tra l’altre che io prima conoscei
- Fu quella ninfa Sicula, per cui
- Già si maravigliaron gli occhi miei.
- 25 Oh quanto bella lì negli atti sui
- Biasimando le fiamme di Tifeo,
- Si sedea ragionando con altrui,
- Mostrando come per quelle perdeo
- L’amato sposo in cieco Marte preso,
- 30 Allor che tutto vinto si rendeo
- In Lipari lo stuolo, ond’elli offeso
- Col bianco monte nel campo vermiglio
- Ne fu menato, ove ancora è difeso,
- Mutando inchiusa dell’aureo giglio,
- 35 Donde doleasi, perch’a lui riavere
- Non valean preghi, denar, nè consiglio.
- Ove costei così al mio parere
- Quivi doleasi, attenta l’ascoltava
- Giovine donna di sommo piacere,
- 40 Simile a cui nessuna ve ne stava,
- Per quel ch’a me paresse, nel suo viso,
- Che d’ogni biltà pien si dimostrava.
- Sariasi detto che di paradiso
- Fosse discesa, da chi ’ntentamente
- 45 L’avesse alquanto rimirata fiso.
- E com’io seppi ell’era della gente
- Del Campagnin, che lo Spagniuol seguio
- Nella cappa, nel dire, e con la mente;
- A sè facendo sì benigno Iddio,
- 50 Che d’ampio fiume di scïenza degno
- Si fece, come poi chiar si sentio;
- Facendo aperte col suo sommo ingegno
- Le scritture nascose, e quinci appresso
- Di Carlo Pinto gì nello Dio regno,
- 55 Facendo sè da quella in cui compresso
- Stette Colui che la nostra natura
- Nobilitò, nomar, che poi l’eccesso
- Asterse della prima creatura
- Colla sua pena, e quivi coronata
- 60 Della fronda pennea con somma cura
- Raggiugnea fior per farsi più ornata,
- Mostrando sè tal fïata pietosa
- Della noia dell’altra a lei narrata.
- Con questa era colei ch’essere sposa
- 65 E figliuola perdè quasi in un anno,
- Di brun vestita e nel viso amorosa:
- Oggi tornando dove i fabbri stanno
- Vulcanei, e Miropoli, e coloro
- Ch’ornan di freno e di sella, all’affanno
- 70 Me’ sostener l’animal, ch’al sonoro
- Percuoter di Nettuno apparve fuori
- Nel bel cospetto del celeste coro.
- Ed il bel nome che i gemmier maggiori
- Danno alla perla, è il suo cognome,
- 75 Gli Asini legan di que’ guardatori.
- Splendida, chiara e bella era siccome
- Nel ciel si mostra qual più luce stella,
- Di vel coperte l’aurate chiome.
- Vaga più ch’altra si sedea con ella
- 80 Un’altra Fiorentina in atto onesto,
- Assai passante di bellezza quella.
- Ben m’accors’io chi era, e che dal sesto
- Cesare nominato era il marito,
- Qual, chi ’l conosce, il pensa a lei molesto.
- 85 Guardando adunque nel piacente sito
- Costoro, e altre che v’erano assai,
- Sentiva ben da me mai non sentito
- In guisa tal, ch’io men maravigliai.
- * * *
- CAPITOLO XLIV.
- * * *
- Dove nomina le donne che trova, e di cui sono, e delle lor bellezze.
- Era più là di donne accompagnata
- La Cipriana, il cui figliuolo attende
- D’aver la fronte di corona ornata,
- Con quello onore che ad essa si rende,
- 5 Dell’isola maggior de’ Baleari,
- Se caso fortunal non gliel contende.
- Tra le quali era in atto non dispari
- Della gran Donna un’altra tanto bella,
- Che mi fur gli atti suoi a mirar cari.
- 10 Ognuna quivi riguardava ad ella
- Per la sua gran bellezza, ed io con loro,
- Che già in me riconosceva quella:
- Ell’è colei, di cui il padre nell’oro
- L’azzurro re de’ quadrupedi tiene
- 15 Nel militare scudo, e tra coloro
- Posata stassi come si conviene,
- Isposa d’un che la fronzuta pera
- D’oro nel ciel per arma ancor ritiene.
- E con queste a seder bellissim’era,
- 20 Simile a riguardare ad una dea,
- La sposa di colui, che la rivera
- Rosseggiar fe’ di Lipari, Eolea
- Isola, poi togliendo in guiderdone
- L’Ammiraglia da chi dar la potea.
- 25 Con essa questa ancora ad un sermone
- Conobb’io quella, che fu tratta al mondo
- Onde fuggita s’era in religione,
- Honesta e vaga nel viso giocondo,
- Moglie di tal, che me’ saria non fosse,
- 30 Ma chi più sia non mostrerò del fondo.
- E l’altre oltre mirando, mi percosse,
- Ma non so che, e tutto quasi smorto
- Subito altrove gli occhi e me rimosse.
- Venend’io così men senza conforto,
- 35 Tremando tutto, mi ritornò a mente,
- Ch’io vidi in una parte di quell’orto
- Onesta e grazïosa e umilemente
- Una donna sedere, il cui aspetto
- Tutto d’intorno a sè facea lucente.
- 40 In questo alquanto nel tremante petto
- Con forza ritornò l’alma smarruta,
- Rendendo forze al debile intelletto.
- Così mi ricordò che io veduta
- Avea costei tra quelle donne prima,
- 45 E ’n altra parte ancora conosciuta:
- Onde se sua bellezza la mia rima
- Quivi al presente per fretta non dice,
- Maraviglia non è, ma tanto estima
- Sentendo l’alma mia, che uom felice
- 50 Mirando quella dovria divenire,
- Se la memoria mia ver mi ridice.
- Tenendo mente lei, sommo disire
- D’entrarmi venne dentro allo splendore,
- Che dalli suoi begli occhi vedea uscire.
- 55 E ’n ciò pensando, subito nel core
- Punger sentimmi, e quasi in un momento
- Mi ritrovai nel piacevol lustrore.
- Ivi mirabile il dimoramento
- Pareami, e quasi in me di me faceva
- 60 Beffe di sì notabile ardimento.
- Ma lì essere stato mi pareva
- Tanto, che quattro via sei volte il sole
- Con l’orizzonte il ciel congiunto aveva.
- E come nell’orecchia talor suole
- 65 Subito dolce suon percuoter tale,
- Che quelle udendo poi le piace e vuole;
- Così orribil mi venne cotale,
- E spaventommi per lungo soggiorno,
- Nè mi fe’ già, bench’io temessi, male.
- 70 O tu, dicendo, che nel chiaro giorno
- Del dolce lume della luce mia,
- Che a te vago sì raggia d’intorno,
- Non ischernir con gabbo mia balia,
- Nè dubitar però per mia grandezza,
- 75 La quale umil, quando vorrai, ti fia,
- Onora con amor la mia bellezza,
- Nè d’alcun’altra più non ti curare,
- Se tu non vo’ provar mia rigidezza.
- Sentimmi poi il cor dentro legare
- 80 Co’ cari crini del suo capo, e ad esso
- Più volte intorno avvolgere e girare.
- Così mi parve, se bene in me stesso
- Ricordo, che costei dicesse: ond’io
- Risposi: Donna, a te tutto sommesso
- 85 Io sono, e sarò sempre, e ciò disio.
- * * *
- CAPITOLO XLV.
- * * *
- Dove tra le dette donne ve n’è una di cui l’autore s’innamora.
- A tal partito nel beato loco
- Standomi io, mi senti’ nel core
- Raccendere più ardente questo foco;
- Talch’io pensai che ’l novello ardore
- 5O ltre al dovuto modo mi tirasse,
- Tal nel principio suo mostrò furore.
- E ’l cor che ciò pareva che pigliasse
- A sè l’incendio quantunque potesse,
- Oltre a dovuta parte a sè ne trasse.
- 10 E così stando parea ch’io vedesse
- Questa Donna gentile a me venire,
- Ed aprirmi nel petto, e poi scrivesse
- Là entro nel mio cor posto a soffrire
- Il suo bel nome di lettere d’oro,
- 15 In modo che non ne potesse uscire.
- La qual non dopo molto gran dimoro
- Nel mio dito minore uno anelletto
- Metteva tratto di suo gran tesoro,
- Al qual pareami, se ’l mio intelletto
- 20 Bene estimò, che una catenella
- Fosse legata, che infino al petto
- Si distendeva della Donna bella
- Passando dentro, e con artigli presa,
- Come áncora scoglio, tenea quella.
- 25 Oh quanto da quell’ora in qua accesa
- Fu la mia mente del piacer di lei,
- Che mai non era più istata offesa.
- Moveami questa ove pareva a lei
- Co’ suoi belli occhi, e sol pensando andava
- 30 Com’io potessi piacere a costei.
- Infra quel circuito che occupava
- La luce sua, quasi come irretito
- A forza a rimirarla mi girava.
- Gravoso mi parea l’esser fedito,
- 35 E più fïate lagrime ne sparsi,
- Non potendo durar l’esser partito
- Là onde quella soleva mostrarsi
- Agli occhi miei gentile e grazïosa,
- E più nel cor sentia ’l foco allumarsi.
- 40 Io non trovava nella mente posa,
- Sì mi stringea pur di lei vedere
- La mente ardente di sì bella cosa.
- Adunque seguitando il mio volere,
- Dovunque era costei, così tirato
- 45 Parea ch’io fossi dal suo bel piacere.
- Ma certo in ciò amor m’era assai grato,
- Sol che ’l disio non fosse oltre misura
- Nell’amoroso cor troppo avanzato.
- Ognora che la sua bella figura
- 50 Disïava vedere, amor facea
- Di ciò contenta la mia mente scura,
- Rendendo lei umil quand’io volea:
- E questo più m’accendeva vedendo
- Che ’l mio disio adempier si potea,
- 55 Nè per lei rimaneva, ma sentendo
- Forse maggior periglio, consentia
- Che io avanti mi stessi piangendo,
- E grazïosa mostrandosi e pia
- Verso di me con sua benignitate
- 60 In conforto tenea la mente mia;
- Lungamente seguendo sua pietate,
- Ora in avversi ed ora in grazïosi
- Casi reggendo la mia volontate.
- Sollecito del tutto mi proposi
- 65 Di pur sentire l’ultima possanza,
- Che in loro hanno i termini amorosi.
- Ver è, che molto prolissa speranza
- Mi tenne in questa via, non però tanto
- Che ’l mio proposto gisse in oblianza.
- 70 Alla seconda con sospiri e pianto,
- Quando con festa, sempre seguitai
- Il mio proponimento, infino a tanto
- Sottilmente guardando m’avvisai,
- Che la Donna pensava terminare
- 75 Con savio stile i disïosi guai.
- Però alquanto io mi lasciai il pensare,
- Dicendo tosto: credo provveduto
- Fia da costei il mio grave penare;
- Ell’ha ben ora tanto conosciuto
- 80 Del mal ch’io sento, e del mio disio,
- Ch’io credo che di me le sia incresciuto.
- Così fra me gía ragionando io,
- Pure aspettando che la sua grandezza
- Si dichinasse alquanto, il dolor mio
- 85 Torre potere colla sua bellezza,
- La qual l’anima mia più ch’altra brama,
- E più che altra alcuna in sè l’apprezza,
- Onorandola sempre quanto l’ama.
- * * *
- CAPITOLO XLVI.
- * * *
- Dove l’autore tratta della Donna, dove a lui pare aver gran piacere.
- Tenendo me il valore di colei
- Dentro a sua luce in tal modo costretto
- Sempre collo intelletto volto a lei;
- Avendo spesso dolore e diletto,
- 5 Riposo e noia con speranza assai,
- Com’io ho qui poco di sopra detto;
- Non sappïendo a che termine mai
- Si dovesse finire, un poco appresso
- In ver di lei alquanto mi voltai,
- 10 Traendomi più là, e con sommesso
- Parlar le chiesi, che al mio dolore
- Fine ponesse, qual doveva ad esso,
- Ognor servando quel debito onore
- Che si conviene a’ suoi costumi adorni,
- 15 Di gentilezza pieni e di valore.
- Cinque fïate tre via nove giorni
- Sotto la dolce signoria di questa
- Trovato m’era in diversi soggiorni,
- Allora ch’io sentii, che la molesta
- 20 Pena, che m’era nello cor durata,
- Convertirsi doveva in lieta festa:
- Lasciando adunque la mia vesta usata,
- In parte più profonda del verziere
- Mi parea ritrovar quella fïata,
- 25 Con gioia smisurata al mio parere,
- E nelle braccia la Donna pietosa
- Istupefatto mi parea tenere.
- Vinceva tanto l’anima amorosa
- La gioia, che la lingua stando muta,
- 30 Divenuta pareva dubitosa,
- Nè diceva nïente, ma l’aguta
- Voglia di star dov’esser mi parea
- Facea parermi falsa tal paruta.
- Dond’io fra me spesse volte dicea:
- 35 Sogni tu? o se’ qui come ti pare?
- Anzi ci son, poi fra me rispondea.
- In cotal guisa spesso a disgannare
- Me, quella Donna gentile abbracciava,
- E con disio la mi parea baciare.
- 40 Fra me dicendo pur, ch’io non sognava,
- Posto che mi pareva grande tanto
- La cosa, ch’io pur di sognar dubbiava.
- E se a comparazion volessi quanto
- Fu la mia gioia porre, esemplo degno
- 45 Nol crederia trovar. Ma dopo alquanto,
- Con quella gioia che io qui disegno,
- La quale immaginar non si porria
- Da alcuno mai per altezza d’ingegno,
- Tratto un sospiro, grazïosa e pia
- 50 La Donna verso me, disse: or dimmi
- Come venisti qui, anima mia?
- Ond’io a lei: poich’Amore aprimmi
- Gli occhi a conoscer la vostra biltate,
- A cui io per mia voglia consentimmi,
- 55 Nel cerchio della vostra potestate
- Entrato con affanno e con sospiri,
- Sempre sperando in la vostra pietate,
- Ó lui pregato, che a’ miei martirj
- Dia fine grazïoso, ed e’ menato
- 60 M’ha qui per fine porre a’ miei disiri.
- Nel giardin là ver è ch’io ho lasciato
- Stare una donna, la qual lungamente
- Prima m’avea benigna accompagnato
- Venendo qui: e non lasciai nïente
- 65 A dire a lei, e di que’ due ancora,
- Con cui io venni quivi similmente.
- Alquanto stette quella Donna allora
- In abito sospesa in sè pensando,
- E poi non dopo molto gran dimora,
- 70 Andrai, mi disse, la Donna cercando,
- E lei seguisci, perocch’ella è quella
- Che ’n dritta via ripon chi va errando:
- Ciò ch’ella vuol, vuo’ facci, fuorchè s’ella
- Me ti volesse far di mente uscire,
- 75 In ciò non voglio che ubbidischi ad ella.
- Humilïati sempre al suo disire,
- E me porta nel cuor, nè ti sia grave,
- Che ben tu ne vedrai, credo, seguire.
- Il portar te in me tanto soave
- 80 M’è, che per pace corro a tua figura,
- Quando gravezza alcuna il mio cor ave.
- Giammai non fu neuna creatura,
- Che tanto mi piacesse; fátti lieto,
- E di ciò tien l’anima tua sicura.
- 85 Io volli ora al presente far quiëto
- Il tuo disio con amorosa pace,
- Dandoti l’arra che finirà il fleto;
- Adunque va omai quando ti piace.
- * * *
- CAPITOLO XLVII.
- * * *
- Dove l’autore piglia congio dalla detta Donna, e dove ritrova la Donna che lo guida.
- La Donna tacque allora, ed io congedo
- Presi in un atto in me molto contento,
- E ’n altro più dolente, che mai credo:
- Ver quella parte ritornando lento,
- 5 Dov’io aveva la Donna lasciata,
- Che fu mia guida nel cominciamento.
- Io mi giva pensando con bassata
- Testa a quel ben che io avuto avea,
- E doleami di sì corta durata.
- 10 Di più disio ancora mi parea
- Tutto arder dentro nel trafitto core
- Vie più che nel principio non facea,
- E diceva fra me: deh, se l’ardore
- Ora non manca, non credo che mai
- 15 Egli esca a me della mente di fore.
- Avuto ho quel che io più disiai:
- Deh, che cercherò io per mia salute?
- Chi stuterà cotal fuoco oramai?
- La volontà, che d’Amor le ferute
- 20 Mi porsero, non è in me finita,
- Ma è cresciuta in me la sua virtute.
- Tra’ fiori e l’erba con vista smarrita
- M’andava in me in tal guisa pensando,
- Dispregiando e lodando la mia vita.
- 25 Riguardandomi a’ piedi così andando
- Mi trovai alla fonte, non avendo
- Vedute quelle donne festeggiando:
- E ’l viso alzai me stesso riprendendo
- Del perduto diletto, e ver me vidi
- 30 Quella Doma venir, cui io caendo
- Fra quel giardino andava: ove ti fidi?
- Ver me dicendo, e colle braccia aperte
- Mi prese, e non cre’ tu che io ti guidi
- In qual parte vorrai? Perchè perverte
- 35 Tua volontà il mio consiglio vero,
- Per vanità lasciando cose certe?
- Allor risposi: madonna, sincero
- M’è il tuo mostrar tornato, di colei
- Grazia che m’ha disposto a tal sentiero.
- 40 Tu verrai se ti piace in fino a lei,
- E quivi insieme ci dimoreremo,
- Quanto piacer sarà tuo e di lei,
- E poi insieme tutti e tre andremo
- Dove vorrai, che io credo segnare
- 45 Sotto il piacer di lei il dì estremo.
- Ed ella allora: il tuo addimandare
- È d’ordine di fuor, che io so bene
- Quel che tu vo’ che io vi venga a fare.
- La Donna meco assai più si conviene,
- 50 Che tu non fai, dove menar mi vuoi,
- E ben conosco qual disio ti tiene.
- Vieni con meco, ed a lei andrem poi.
- Ma andiam là, risposi, prima, ed essa
- Insieme menerem con esso noi.
- 55 Non c’è bisogno d’aver sì gran pressa,
- Ancora il sole al cerchio di merigge
- Non è, e ’l nostro andar però non cessa.
- Diss’ella allora: io so che ti trafigge
- Di lei il piacer, e non ti puoi partire,
- 60 Però pur qui tua volontà si figge.
- E però s’è in questo il tuo disire,
- Io seguiro, tu giurerai di fare
- Quel ch’io vorrò, ed altro non seguire.
- La mia risposta fu: non comandare
- 65 Ch’io non ami costei, ogni altra cosa
- Al tuo piacer mi fia lieve osservare,
- La qual se io sol per libidinosa
- Voglia fornire amassi, in veritate
- Con dover ne saresti corrucciosa;
- 70 Anzi con quella intera caritate,
- Che prossima persona amar si dee,
- Amo, servo, ed onoro sua bontate.
- La qual siccome manifesto v’ee
- Non trova pari in atti nè in bellezza,
- 75 Nè in saper nel mondo simil’ee.
- Tu hai, mi disse quella con dolcezza,
- Sì presa me pur di voler vedere
- Costei, cui Donna fai di gentilezza
- Real posseditrice, che potere
- 80 Non ho senza vederla d’ire altrove,
- Nè di negare a te il tuo piacere:
- Or dunque insieme ce n’andiam là dove
- Tu l’hai lasciata, e veggiam manifesto
- Se quello è vero a che il tuo dir mi move.
- 85 Subitamente ragionato questo
- Insieme ci movemmo, e nel cospetto
- Venimmo di colei, che in atto onesto
- Incontro venne a noi con lieto aspetto.
- * * *
- CAPITOLO XLVIII.
- * * *
- Dove l’autore pone che la Donna che ’l guida si fanno festa colla sua amanza.
- Graziosamente si feciono onore
- Quivi le Donne insieme, ed in brïeve
- L’una dell’altra conobbe il valore.
- Ora mi fia, la prima Donna, lieve,
- 5 Ver me rivolta disse, farti quella
- Grazia, che per addietro m’era grieve;
- Dolce, cara, e benigna mia sorella
- Tengo costei, e stu m’avessi detto
- Di lei il nome, già saremmo ad ella
- 10 È gran pezza venuti nel cospetto:
- Costei senza ’l fedel consiglio mio
- Non ferma fatto, nè compon suo detto.
- Dunque per tale esemplo il tuo disio
- Raffrena, e serva il verace piacere,
- 15 Il qual più volte t’ho già mostrat’io.
- Intero fa’ che servi il suo parere,
- Altro che ben non ti potrà seguire,
- Perocch’ell’ha ver te il mio volere.
- Lei prese poi per mano, e così a dire
- 20 Incominciò: figliuola di virtute,
- Cui questi qui del tutto vuol servire
- Ognor con più disio, per sua salute
- Pensa, sicch’egli ch’ogn’altra ha lasciata
- Per servir te, con laude dovute
- 25 Ringrazi te, cui elli ha esaltata
- Nel mio cospetto, tanto che giammai
- Nulla ne fu per tal modo lodata.
- Ond’io udendo ciò, immaginai,
- Che fuor che tu, altro esser non potea,
- 30 E però a venir qui m’inviai.
- Ove poi per la destra mi prendea,
- E davami a costei così dicendo,
- Ancora in ver di lei ciò mi parea:
- Non ebbe questi mai fren, che tenendo
- 35 Andasse in modo buon sua giovanezza,
- Se non ch’io ora di porgergli intendo;
- Dirizzando esso verso quella altezza,
- Onde tu discendesti a dimostrare
- Alli mondan quaggiù la tua bellezza:
- 40 Imperciocch’io il sento ancora a fare
- A te ogni servigio molto presto,
- Per la fe’ che mi déi ti vo’ pregare,
- Ogni cagion rimossa, che in questo
- E’ sia in quanto può raccomandato,
- 45 Drizzando lui col tuo parlare onesto
- Là ove sia onorevole stato
- Di lui, e tuo e suo contentamento,
- In modo che a me non sia disgrato.
- Io il ti dono tutto, io ’l ti presento,
- 50 Sempre sia tuo, nè giammai sia ardito
- Di sè partir dal tuo comandamento.
- E poi rivolta a me mi disse: udito
- Hai ch’io t’ho dato a questa: fa’ che ’n guisa
- La servi, che il mio dono sia gradito:
- 55 Tiella per donna tua, nè mai divisa
- Sia da lei l’alma tua, finchè la vita
- Dal mortal colpo in te non è conquisa.
- Or qui alquanto per questa fiorita
- Campagna dolcemente ti riposa,
- 60 Sicchè poi síe più forte alla salita,
- Dove menarti intendo, e la gioiosa
- Donna con noi, acciocchè la via
- Del tutto paia a ciascun dilettosa.
- Io dissi allor: madonna, così sia,
- 65 Se tal grazia mi fai, quando ti piace
- A tal cammin con noi dietro t’invia.
- Manifesto conosco altro che pace
- Io non potrei aver, poi questa viene,
- Che per conforto sola nel cor giace,
- 70 Ond’io sento alleggiare le mie pene,
- Dio voglia ch’ella ci stia lungamente
- Con allegrezza aggiugnendoci bene:
- Ridendo e festeggiando insiememente
- Su per l’erbette insieme n’andavamo,
- 75 E d’Amor ragionando lietamente.
- Ora innanzi ora addietro tornavamo,
- E talora cogliendo erbette e fiori
- Sopra li verdi prati abbassavamo,
- Rinnovando cogli occhi più gli ardori
- 80 Degli animi, e andando per la riva
- Soave al naso per diversi odori.
- E con colei, ch’a me più aggradiva,
- Cercando ogni boschetto, noi soletti
- Senza la Donna, ch’a dietro veniva,
- 85 N’andavam ratti prendendo diletti,
- Tanto che quella, entrati in chiuso loco,
- Più non vedemmo, onde ciascun s’assetti,
- Dicendo, qui, or aspettiamla un poco.
- * * *
- CAPITOLO XLIX.
- * * *
- Dove in visione era per pigliare colla detta Donna l’ultimo diletto.
- Era quel loco dove ci trovamo
- Soletto tutto, nè persona appresso
- Di nulla parte a noi non sentivamo;
- Tutto d’intorno, e ancora sopra esso
- 5 Era di frondi verdi il loco pieno,
- E di quelle era ben follato e spesso.
- Entrar non vi potea sol nè sereno,
- E di vermiglie rose incircuito
- Gran quantità ancor vi si vediéno.
- 10 Allor vedendo il dilettevol sito,
- E me con quella dimorar soletti,
- E d’ogni altra compagna esser partito,
- Là fra me dissi: io non so ch’io m’aspetti:
- Perchè, poi qui son solo, ora non prendo
- 15 Di questa in tanto affannati diletti?
- Lo loco, ov’ora dimoriam sedendo,
- D’ogni sospetto è scevro, nè trovarci
- Quella potria, che ci venía seguendo;
- Ed altro non cred’io che impacciarci
- 20 Potesse: costei vuole, e io ’l disio,
- Dunque perchè cercar più d’indugiarci?
- In cotal ragionar m’accosta’ io
- A quella, e presi lei, che ’n sull’erbetta
- Sonniferava già al parer mio,
- 25 Lei nelle braccia mi recai stretta,
- Mille fïate credo la baciai,
- Pria si volgesse la bella angioletta.
- Ma subito stordita, a dir, che fai?
- Cominciò isvegliata, deh, non fare:
- 30 Se quella Donna vien come farai?
- Ed io allora cominciai a parlare:
- Donna, io non so quand’io mi riavesse
- Quel che tu ora mi vuoi far lasciare:
- Ragion sarebbe ch’io sempre piangesse,
- 35 Se per preghiera, che non dee valere,
- Quel ch’io ho mattamente perdesse.
- In cotal guisa stando a mio parere,
- Già questa bella donna stava cheta,
- Consentendo umilmente, al mio piacere
- 40 Tutta disposta: quando l’alma lieta
- Di cotal bene tanta gioia prese
- In sè, che ritener dentro a sua meta
- Allora non potè, ma ’l sonno offese
- Là dov’io dolce allor facea dimora,
- 45 Perchè si ruppe, e più non si difese.
- Tutto stordito mi riscossi allora,
- E strinsi a me le braccia, e mi credea
- Infra esse madonna avervi ancora.
- Oimè, quanto angosciosa e quanto rea
- 50 Tal partita mi fu, e quanto caro
- Mi fu il dormir mentre in braccio l’avea!
- Ahi, come ritornò in duolo amaro
- Quel diletto che ’l sonno m’avea porto,
- Ch’a ogni affanno avea posto riparo!
- 55 Lasso angoscioso, e senza alcun conforto
- Levato, pur d’intorno mi mirava,
- Immaginando ancora star nell’orto.
- La fantasia non so come m’errava,
- E mentre avea sognato, mi credeva
- 60 Non sogno avesse, e così estimava.
- Ora stordito sognar mi pareva,
- E lungo spazio non seppi ov’io m’era,
- Nè vero sentimento in me aveva.
- Ritornato ch’io fui poi nella vera
- 65 Conoscenza di prima, e lagrimato
- Ebbi per certo spazio quivi ov’era,
- Oimè, dicendo, ove son io stato
- Con tanta gioia? Ora fosse piaciuto
- A Dio, ch’io non mi fossi mai svegliato,
- 70 E in cotal gioia sempre sare’ suto:
- Ancor mi fora leggiero il dormire,
- Se più tal don mi fosse conceduto.
- Pianto ed angoscia e noioso martire
- Di ciò mi crebbe, e moltiplicò ’l foco
- 75 In me vie più d’amoroso disire,
- Il quale io sento, che a poco a poco
- Tutto mi sface, e già saria finita
- La vita mia, se non che a quel loco
- Veracemente spero, che reddita
- 80 Ancor farò con essenza perfetta,
- Allor prendendo la gioia compita,
- Nella quale ora dormendo imperfetta
- Stetti, e questo l’amorosa mente
- Solo disia, e fermamente aspetta:
- 85 Ove colui, che di tutto è potente,
- Mi rechi e servi nella vostra grazia,
- Quanto vi piace, madonna piacente,
- Nella qual sempre fia mia mente sazia.
- * * *
- CAPITOLO L.
- * * *
- L’ultimo dell’Amorosa visione, dove l’autore si sveglia dal sonno.
- Dico, che poichè ’l sonno fu partito
- Tutto di me, che stava lagrimando
- Ancora in me di tal bene smarrito,
- In piè drizzato, e intorno a me guardando,
- 5 Vidi la bella Donna, la qual voi
- Per lo giardin mi festi andar cercando.
- Che pensi? disse a me, e poco poi
- Soggiunse: andiam, ch’egli è voler di quella,
- Che nel tuo sonno mi ti diede ancoi.
- 10 Ond’io risposi stupefatto ad ella:
- E dove andremo? e tornerem noi forse
- Dov’io era or con quella donna bella?
- Mai sì, mi disse allora, e ciò che porse
- Il tuo dormire alla tua fantasia
- 15 Tutto averai, se da me non ti smorse.
- Ancora più per me dato ti fia
- Di grazia di veder ciò che perdesti,
- Quando lasciasti la mia compagnia.
- In quella parte là dove or dicesti,
- 20 Senza consiglio molto esaminato
- Ir non si vuol, che tu ten pentiresti.
- Primieramente là dove m’è grato
- Seguita, che senza dubbio intenta
- Sarò di farti a tempo consolato.
- 25 E quel disio che or più ti tormenta
- Porrò in pace, con quella bellezza
- Che l’alma al cor tuttora ti presenta.
- Ristette allora, ed io tanta dolcezza
- Presi della promessa, che nel viso
- 30 Tututto sfavillava d’allegrezza.
- Con voce piena e tutto pien di riso
- Risposi a lei: Donna gentile, io vegno,
- Nè più da te voglio esser mai diviso.
- Humile e pian, quanto io posso, m’assegno
- 35 A te, fa’ sì ch’al piacer di colei,
- Di cui io sono, io non trapassi il segno.
- Ell’ha del mio voler, disse costei,
- In mano il fren, sicch’io non posso fare,
- Se non sol quel che è in piacere a lei.
- 40 Di tanto sempre mi veggo onorare
- Da essa, che io le lascio, che giammai
- Oltre alla voglia mia non vuol mutare.
- E questo detto, disse: andiamo omai,
- Che ’l tempo è breve a quel che vuoi fornire.
- 45 Per ch’io senza più dir la seguitai.
- Così adunque vo’ per pervenire,
- Donna gentile, al loco, ove essendo
- Voi, ebbi tanta gioi’ nel mio dormire;
- Tuttor notando quel ch’andrò vedendo
- 50 Dietro a costei per la portella stretta,
- E di scriverlo oltre ancora attendo.
- Or vi voglio pregar, Donna diletta,
- Che poi che la passata visïone
- Tuttora con diletto avrete letta,
- 55 Mirando dove cade riprensïone
- Mi correggiate, e cara la tegnate,
- Pensando alla mia buona affezïone.
- Io non mi curo poi se dispregiate
- Sien forse le sue o sua sentenza,
- 60 Sol che a voi sian dilettose e grate.
- Per vostro onore, e somma reverenza
- Della fè ch’io vi deggio, e come a Donna
- Di virtuosa e somma intelligenza,
- Atando me la possa, che s’indonna
- 65 In ciascun cuor gentil, che da virtute
- Per accidente alcun mai non si sdonna,
- Rispetto avendo ancora alla salute,
- Che da voi speranza mi promette
- A mitigar l’amorose ferute,
- 70 Aggio composte queste parolette
- In rima, e fine faccio col piacere
- Di voi, in cui l’alma tutta si rimette.
- Vaga e contenta solo di potere
- Far cosa che v’aggrada, e questo vuole,
- 75 Questo disia, e questo l’è in calere,
- Ed il contrario più ch’altro le dole.
- Dunque, Donna gentile e valorosa,
- Di biltà fonte, com’ di luce sole,
- Rimirate alla fiamma, che nascosa
- 80 Dimora nel mio petto, ed ispegnete
- Quella, coll’esser verso me pietosa.
- Amor mi diede a voi, voi sola sete
- Il ben che mi promette la speranza,
- Sol la mia vita in gioi’ tener potete.
- 85 Solo mio ben, sola mia disïanza,
- Solo conforto della vaga mente,
- Sola colei che mia virtute avanza
- Sete, e sarete sempre al mio vivente,
- Nè più disio, nè disïar più voglio,
- 90 Fuor che d’esser a tal biltà servente.
- Adunque quello ardor, in cui m’invoglio,
- Terminerete omai quando vi piace,
- Ch’io vi sono entro ognor più ch’io non soglio:
- Io v’accomando al Sir di tutta pace.
- FINITA L’AMOROSA VISIONE.
- INDICE DEI CAPITOLI
- DELL’AMOROSA VISIONE
- * * *
- Capitolo I. Incomincia l’Amorosa Visione: come all’autore gli par vedere in visione le presenti cose come per innanzi è scritto Pag. 5
- Cap. II. Dove l’autore tratta come seguendo una bella donna perviene a una porta d’un nobile castello « 9
- Cap. III. Nel quale si contiene come l’autore vede scritto sopra la porta lettere d’oro, e come due giovani li si fanno incontro, ed è un con loro « 13
- Cap. IV. Dove l’autore dimostra in una sala una storia, dove vede dipinte le sette scienze, e assai filosofi « 17
- Cap. V. Come l’autore vede dipinto nella detta sala appiè delle donne, Virgilio, e molti altri poeti, e Dante « 21
- Cap. VI. Come l’autore vede dipinto nella bella sala la Gloria del mondo in atto d’una donna « 25
- Cap. VII. Dove si contiene chi seguì la fama del mondo, fra quali fu Giano, Saturno, Nembrotto e altri assai « 29
- Cap. VIII. Della medesima Fama, e come dopo costoro seguita Salomone, e Assalonne e altri « 33
- Cap. IX. Dove conta della medesima Fama, e massimamente di Dido, e d’Ecuba e d’altre « 37
- Cap. X. Dove tratta della medesima Fama, e come la seguita Annibale, Cleopatra, Cornelia, e Giulia, e molti altri « 41
- Cap. XI. Conta di quei della Tavola ritonda, che seguitano la Fama del mondo, e delle gesta di Mongrana e altri « 45
- Cap. XII. Dove tratta della medesima Gloria mondana, e come poi la seguita Carlo di Puglia, e Gottifrè, e Curradino, e molti altri « 49
- Cap. XIII. Contiene di coloro che già acquistaron tesoro per avarizia, fra’ quali racconta Mida, e Marco Crasso, e Attila « 53
- Cap. XIV. Dove si contiene di coloro che seguitano l’Avarizia, dei quali racconta gente ecclesiastica « 57
- Cap. XV. Dove l’autore conta d’una bella storia dipinta nella bella sala dov’è figurato l’Amore e Venus, e assai gente che li seguitano « 61
- Cap. XVI. Dove tratta d’Amore, e quando Giove si congiunse con Europa in forma di toro « 65
- Cap. XVII. Come Giove trasmutò la figliuola d’Inaco in una vacca, e diella a guardia a Giunone « 69
- Cap. XVIII. Come Giove giacque con Semele, e come ell’arse, e come stette con Asteria « 73
- Cap. XIX. Come Marte si congiunse con Citerea, e come furono soprappresi da Vulcano « 77
- Cap. XX. Come Bacco in forma d’uva ama la figliuola di Licurgo; e di Pluto ch’ama Proserpina, e di Piramo e Tisbe, e di molti altri « 81
- Cap. XXI. Come Giasone s’innamorò d’Isifile, e di Medea e di Creusa « 85
- Cap. XXII. Dove racconta di Teseo, e d’Arianna e d’Ippolito, e come Pasife s’innamorò del toro, e d’altre « 89
- Cap. XXIII. Dove tratta come Orfeo andò all’inferno a starsi con Euridice; e come Achille era nel monastero con Deidamia « 93
- Cap. XXIV. Dove tratta di Briseida, dell’amore che portava ad Achille, ed appresso di Polissena « 97
- Cap. XXV. Dove tratta de’ medesimi innamorati, e in parte di Biblide, che s’innamorò del fratello « 101
- Cap. XXVI. Come l’autore trova nel detto giardino Ercole, e la sua donna Deidamia, ediJole « 105
- Cap. XXVII. Dov’era figurato come Paris dà per sentenza la palla dell’oro a Venus; e come va per Elena in Isparta, e rapiscela per forza « 109
- Cap. XXVIII. Dove l’autore tratta dello innamoramento di Dido e d’Enea, e come Enea si parte; e nell’ultimo della morte di Dido « 113
- Cap. XXIX. Dove tratta della medesima visione, e nell’ultimo di Lancillotto, e di Tristano e d’Isotta « 117
- Cap. XXX. Dove l’autore pone ch’egli trova la prima donna bellissima, e com’egli la seguita « 121
- Cap. XXXI. Dove tratta come vede la Fortuna, e’ ben che dà e toglie; e nell’ultimo come si rammarica di lei « 125
- Cap. XXXII. Dove l’autore riprova que’ che si rammaricano della Fortuna « 129
- Cap. XXXIII. Della medesima Fortuna, e di molti di cui non conta per nome se non l’operazioni loro « 133
- Cap. XXXIV. Della medesima Fortuna, e di quelli che di lei si rammaricano, ed ella di niente si cura, anzi fa suo corso « 137
- Cap. XXXV. Della medesima Fortuna, dove pone Alessandro vinto il mondo, esser poi alla morte, non poter niente « 141
- Cap. XXXVI. Dove si contiene della medesima Fortuna, e in parte di Dionisio tiranno « 145
- Cap. XXXVII. Della medesima Fortuna, e di Cesare, e dove essendo fu morto da’ senatori « 149
- Cap. XXXVIII. Dove tratta che trova un nobile giardino, dov’era una bellissima fontana intagliata « 153
- Cap. XXXIX. Dove tratta della medesima fonte, e di suo ornamenti come spande pel giardino « 157
- Cap. XL. Dove nel detto giardino trova molte donne, delle quali s’innamora d’una sopra tutte l’altre « 161
- Cap. XLI. Dove nel medesimo giardino trova un ballo di nobili donne « 165
- Cap. XLII. Dove nel medesimo giardino trova un’altra danza, dov’era la figliuola di Carlo « 169
- Cap. XLIII. D’altre donne che trova nel detto giardino « 173
- Cap. XLIV. Dove nomina le donne che trova, e di cui sono, e delle lor bellezze « 177
- Cap. XLV. Dove tra le dette donne ve n’è una di cui l’autore s’innamora « 181
- Cap. XLVI. Dove l’autore tratta della Donna, dove a lui pare aver gran piacere « 185
- Cap. XLVII. Dove l’autore piglia congio dalla detta Donna, e dove ritrova la Donna che lo guida « 189
- Cap. XLVIII. Dove l’autore pone che la Donna che ’l guida si fanno festa colla sua amanza « 193
- Cap. XLIX. Dove in visione era per pigliare colla detta Donna l’ultimo diletto « 197
- Cap. L. L’ultimo dell’Amorosa visione, dove l’autore si sveglia dal sonno « 201
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