- Canto di Ameto
- Giovanni Boccaccio
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- CANTO DI AMETO
- Febo salito già a mezz’il cielo
- Con più dritto occhio ne mira, e raccorta
- 3 L’ombra de’ corpi che gli si fan velo;
- E zefiro suave ne conforta
- Di lui fuggire e l’ombre seguitare.
- 6 Fin che da lui men calda ne sia porta
- La luce sua, che nell’umido mare
- Ora si pasce et in terra pigliando
- 9 Il cibo qual a sua deità pare.
- Et ogni fiera ascosa, ruminando
- Quel c’ha pasciuto nel giovane sole,
- 12 Tien le caverne lui vecchio aspettando.
- Fra l’erbe si nascondon le vïole
- Per lo venuto caldo, e gli altri fiori
- 15 Mostran bassati quanto lor ne duole.
- Nessun pastore or è rimasto fuori
- Ne’ campi aperti con le sue capelle,
- 18 Ma sotto l’ombre mitigan gli ardori.
- Taccion le selve, e tace ciò che ’n quelle
- Suol far romore; e ciò che fu palese
- 21 Al basso Febo or è nascoso in elle.
- Le reti ora per venti son distese;
- E gli archi per lo caldo risoluti
- 24 Porger non possono or le gravi offese;
- Nè san sì forti aguale i ferri aguti
- Degli volanti strai, fatti ferventi
- 27 Da’ caldi raggi allor sopravvenuti.
- E ciascheduna cosa i blandimenti
- Ora dell’ombre cerca. Ma tu sola,
- 30 Lïa, trascorri per l’aure cocenti;
- E, trascorrendo, agli occhi miei s’imbola
- La vista della tua chiara bellezza,
- 33 Che sol di sè ogn’or più mi dà gola.
- Deh! lascia omai degli monti l’altezza;
- Non infestar le selve e te con loro;
- 36 Vieni a riposo della tua lassezza.
- Discendi a questi campi con quel coro
- Piacevole, che teco in compagnìa
- 39 Suol sempre far grazïoso dimoro.
- Vedi qui l’acque, vedi qui l’ombrìa
- E i campi erbosi senza alcun difetto
- 42 Fuor solamente che tu in essi sia.
- Adunque vieni; e l’usato diletto
- Prendi come tu suoli, e gli occhi miei
- 45 Lieti rifa’ col tuo giocondo aspetto.
- Perdona a’ tuoi affanni; a’ quai vorrei
- Più tosto esser compagno che salire
- 48 A far maggiore il numero de’ dèi.
- Perdona all’arco e a’ cani che seguire
- Più non ti possono, et omai discendi
- 51 A questi prati, o caro mio disire.
- Qui dilettevoli ore a trar contendi;
- E ’l dilicato corpo all’ombre grate,
- 54 Lieta posando, sopra l’erbe stendi.
- Qui, come suoli cantando altre fiate,
- Ne vieni omai: perchè dimori tanto
- 57 Di render te all’ombre disïate?
- Le tue bellezze degne d’ogni canto
- Non posson esser tocche col mio metro
- 60 Non degno a ciò; ma pur dironne alquanto.
- Tu se’ lucente e chiara più che ’l vetro,
- Et assai dolce più ch’uva matura
- 63 Nel cuor ti sento ov’io sempre t’impetro.
- E sì come la palma in vêr l’altura
- Si stende, così tu, vie più vezzosa
- 66 Che ’l giovinetto agnel nella pastura,
- E se’ più cara assai e grazïosa
- Che le fredde acque ai corpi faticati
- 69 O che le fiamme a’ freddi o ch’altra cosa.
- E i tuoi capei più volte ho simigliati
- Di Cerere alle spoglie secche e bionde,
- 72 D’intorno crespi, al tuo capo legati.
- E le tue parti ciascuna risponde
- Sì bene al tutto, e il tutto alle tue parti,
- 75 Se non m’inganna quel che si nasconde,
- Che per sommo desìo sempre a mirarti
- Di grazia chiederei al sommo Giove
- 78 Di star, sol ch’io non credessi noiarti.
- Dunque, se quella dea ti guida e muove
- Di cui tu già cantasti, vieni omai:
- 81 Non è quest’ora a te d’essere altrove.
- Fa’ salve le bellezze che tu hai.
- Che dal calor dïurno offese sono
- 84 Ogn’ora più che tu più istarai.
- Vieni, ch’io serbo a te giocondo dono;
- Chè io ho colto fiori in abbondanza,
- 87 A gli occhi bei, d’odor soave e buono.
- E, sì come suol esser mia usanza,
- Le ciriege ti serbo; e già per poco
- 90 Non si riscaldan per la tua istanza.
- Con queste, bianche e rosse come foco,
- Ti serbo gelse mandorle e susine,
- 93 Fragole e bozzacchioni in questo loco,
- Belle peruzze e fichi sanza fine.
- E di tortole ho preso una nidata,
- 96 Le più belle del mondo, piccoline,
- Con le quai tu potrai lunga fïata
- Prender sollazzo. Et ho due leprettini
- 99 Pur testè tolti alla madre piagata
- Dall’arco mio, e son sì monnosini
- Che meritâr perdon veggendoli io.
- 102 Et ho con lor tre cerbi piccolini,
- Che nelle reti entrati con disìo
- Per te gli presi; et ho molte altre cose,
- 105 Le quai ti serbo, donna del cor mio:
- Pur che tu scendi tosto alle pietose
- Ombre, lasciando le selve, alle quali
- 108 Non ti falla il tornar, quando noiose
- Non fien le fiamme, a seguir gli animali.
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- INVOCAZIONE DELL’AMETO
- Quella vertù che già l’ardito Orfeo
- Mosse a cercar le case di Plutone,
- 3 Allor che forse lieta gli rendeo
- La cercata Euridice a condizione
- E dal suon vinto dell’arguto legno
- 6 E dalla nota della sua canzone,
- Per forza tira il mio debile ingegno
- A cantar le tue lode, o Citerea,
- 9 Insieme con le forze del tuo regno.
- Dunque, per l’alto cielo ove se’ dea,
- Per quella luce che più ti fa bella
- 12 Ch’altra a cui Febo del suo lume déa,
- Per lo tuo Marte, o grazïosa stella,
- Per lo pietoso Enea, e per colui
- 15 Che figliuol fu di Mirra sua sorella
- Cui già più amasti nel mondo ch’altrui,
- Per la potenzia del tuo santo foco
- 18 Nel quale acceso sono e sempre fui;
- Se ti sia dato lungo e lieto loco
- Di dietro al sol nell’umile animale
- 21 Che Europa ingannò con falso gioco;
- Metti nel petto mio la voce tale
- Qual sente il gran poter della tua forza;
- 24 Sì che ’l mio dire al sentir sia eguale,
- E più a dentro alquanto che la scorza
- Possa mostrar della tua deitate,
- 27 A che l’ingegno mio s’aguzza e sforza.
- E te Cupido per le tue dorate
- Saette prego, e per quella vittoria
- 30 Che d’Apollo prendesti, e per l’amate
- Ninfe (se alcuna mai di tanta gloria
- Vantar potessi, ched ella piacesse
- 33 Agli occhi tuoi, o nella tua memoria
- Siccome amata cosa loco avesse),
- Che tu perdoni, alquanto allevïando
- 36 Le fiamme nuove dal tuo arco messe
- Nel cor, che sempre notte e dì chiamando
- Va il tuo nome per mercè sentire
- 39 Di ciò che lui con disio tenne amando;
- Sì che io possa più libero dire,
- Non vinto da dolor nè da paura,
- 42 Quel che con gli occhi presi e con l’udire.
- E tu, più ch’altra, bella creatura,
- Onesta vaga lieta e grazïosa,
- 45 Donna gentil, angelica figura;
- A cui suggetta l’anima amorosa
- Di me dimora in pena sì contenta
- 48 Che poco più ne vive altra gioiosa;
- Leva la voce tua et il ciel tenta
- Co’ preghi tuoi, che meritano effetto,
- 51 Se ver nel tuo bel viso s’argomenta;
- E prega sì che possa il tuo suggetto
- Della tua gran bellezza a pien parlare
- 54 Ciò che ne sente nel ferito petto.
- Chi sarà quello iddio ch’a te negare
- O voglia o possa quel che chiederai?
- 57 Nullo, ch’io creda; ch’a ciaschedun pare
- Te degna del lor luogo: ove se mai
- Sarai (che vi sarai), nel divin seno
- 60 Me che più t’amo ancor riceverai.
- Ecco, ch’io vaglio poco, e molto meno
- Sanza di te i’ spero di valere:
- 63 Dunque l’aiuto grazïoso e pieno
- Di te in me discenda, il cui potere
- Più ch’a te piaccia avanti non si stende:
- 66 A ciò ch’io possa parlando piacere.
- Vedi la mente mia come s’accende
- Quello attendendo; e d’alcun altro iddio
- 69 Quasi non cura; e solo il tuo attende,
- Per dire intero ciò che ha nel desìo:
- Adunque il tuo a lei più ch’altro caro,
- 72 Madonna, presta grazïoso e pio.
- Io mostrerò essere stato avaro
- Negli altri aspetti Giove di bellezza,
- 75 A rispetto di quella che formaro
- Le sorelle fatal nella chiarezza
- Che spande il viso tuo e di coloro
- 78 Che in compagnia della sovrana altezza
- Di te conobbi in grazïoso coro,
- Nel dolce tempo che cantan gli uccelli,
- 81 Istanti all’ombra d’un virente alloro;
- E ’l bel parlare, e gli atti lieti e isnelli,
- E l’operata già somma salute
- 84 Da voi ne’ campi amorosi. Ed in quelli,
- Com’io posso, comincio, tua virtute
- Superinfusa aspettando che vegna;
- 87 Tal che per te le mie cose vedute
- In questo stile che appresso disegna
- La mano acquistin lode, e il tuo valore
- 90 Fino a le stelle, siccome di degna
- Donna, si stenda con eterno onore.
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- ALCESTO E ACATEN
- ALCESTO
- Come Titan del seno dell’Aurora
- Esce, così con le mie pecorelle
- 3 I monti cerco senza far dimora:
- E poi ch’i’ ho là su condotte quelle,
- Le nuove erbette della pietra uscite
- 6 Per caro cibo pongo innanzi ad elle:
- Pasconsi quivi timidette e mite,
- E servan lor grassezza di tal forma
- 9 Che non curan del lupo le ferite.
- ACATEN
- Io servo nelle mie tutt’altra norma;
- Sì come i pastor siculi, da’ quali
- 12 Esempio prende ogni ben retta torma.
- Io non fatico loro a’ disuguali
- Poggi salire; ma ne’ pian copiosi
- 15 D’erbe infinite do lor tante e tali,
- Che gli uberi di quelle fan sugosi
- Di tanto latte, ch’i’ non posso avere
- 18 Vaso sì grande in cui tutto si posi.
- Nè i loro agnei ne posson tanto bere
- Ch’ancor più non ne avanzi. Et honne tante
- 21 Ch’i’ non ne posso il numero sapere;
- Nè perchè il lupo se ne porti alquante
- I’ non me ’n curo, tale è la pastura
- 24 Che tosto più ne rende o altrettante.
- I’ do loro ombre di bella verdura,
- Nè con vincastro vo quelle battendo:
- 27 Come le piace, ognuna ha di sè cura.
- Vicini ha molti rivi che correndo
- D’intorno vanno a loro, ove la sete
- 30 Ispenta, poi la vanno raccendendo.
- Ma voi Arcadi sì poche n’avete,
- Che ’l numero v’è chiaro; e tanto affanno
- 33 Donate lor, che tutte le perdete;
- E non che pascere ma elle non hanno
- Ne’ monti ber che basti: e pur pensate
- 36 Di più saper che noi, con vostro danno.
- ALCESTO
- Le nostre in fonti chiare dirivate
- Di viva pietra beon con sapore
- 39 Tal che le serva in lieta sanitate:
- Ma le tue molte tirano il licore
- Mescolato col limo, e tabefatte
- 42 Corrompon l’altre e muoion con dolore.
- E le tue furibonde rozze e matte,
- Diversi cibi avendo a rugumare,
- 45 Deboli e per ebrezza liquefatte
- Si rendono, e non posson perdurare
- In vita guari; et il lor latte è rio
- 48 Nè può vitali agnei mai nutricare.
- Ma il cibo buono che il peculio mio
- Dalla pietra divelto pasce e gusta
- 51 Lor poche serva buone; e ciò che io
- Ne mungo è saporoso. E quella angusta
- Fatica del salir le fa vogliose,
- 54 E veder chiar dall’erba la locusta.
- L’aria del monte le fa copïose
- Di prole tal che ’n bene ogn’altro avanza,
- 57 Poi l’empie d’anni e falle prosperose.
- Et è sì lor per continova usanza
- Il sol leggier, che ciascuna più lieta
- 60 È sotto lui che ’n altra dimoranza:
- Avvegna che quand’ei già caldo vieta
- Il cibo più, col mio suon le contento,
- 63 Cui ciascheduna ascolta mansueta.
- Io guardo lor sollecito dal vento
- E nella notte vegghio sopra loro,
- 66 Alla salute di ciascuna attento.
- ACATEN
- A me non cal vegghiando far dimoro
- Nè sampogna sonar; chè per sè sola
- 69 Diletto prende ognuna in suo lavoro.
- Nè non mi curo s’alla mia parola
- Non ubbidiscon subito presente,
- 72 Sol ch’io me n’empia la borsa e la gola.
- Com’io le guardo a chi ben le pon mente,
- Le tue veggendo, e ’l numero ne prende,
- 75 All’avanzar mi fa più sofficiente;
- In che la cura nostra più s’accende
- Che ad aver poca gregge e vivace
- 78 D’onde non tra’ si quanto l’uom vi spende.
- Che dirai qui? Or non parla ma tace
- Alcesto al mio cantar, però che vero
- 81 Conosce quello, e già per vinto giace.
- ALCESTO
- Il tuo parlare è falso e non sincero,
- Perch’io non taccio nè credo esser vinto,
- 84 Ma vincitor di qui partir mi spero.
- Tu hai il nostro canto in ciò sospinto,
- Chi è più ricco e chi più mandra tira;
- 87 Dove di miglior guardia fu distinto
- Che cantassimo qui; la qual chi mira
- Con occhio alluminato di ragione
- 90 Vedrà chi meglio intorno a ciò si gira.
- ACATEN
- Dunque a ciò conchïude la quistione:
- Chi più avanza, quelli ha me’ guardato
- 93 E più sa del guardar la condizione.
- ALCESTO
- Non son da por già mai per acquistato
- I tuoi agnei, chè molti a tristo fine
- 96 Si vede tosto, lasso, apparecchiato;
- Ma le mie poche, nell’alto confine
- Vivaci poste, e d’assalto sicure,
- 99 Non curanti di lappole o di spine,
- E tutte fuor delle brutte misture,
- Bianche, con occhio chiaro, e conoscenti
- 102 Di me che lor conduco alle pasture.
- ACATEN
- Tu fai come ti par tuoi argomenti:
- Ma molto è meglio delle mie il diletto
- 105 Che l’util delle tue che sì aumenti.
- Quando vorrò, da cui mi fia interdetto
- Di su salire al monte? ove pasciute
- 108 Assegni delle tue tanto perfetto.
- ALCESTO
- Da quelle erbacce gravi ritenute
- Nell’ampio ventre, ch’affamate e piene
- 111 Sempre le tien, di salir fien tenute.
- ACATEN
- Queste son tue parole: nè conviene
- A te di me parlar, perchè non sai,
- 114 Ne’ monti usato, e l’uso ancor ti tiene.
- ALCESTO
- Ne’ monti dov’io uso i’ apparai
- Da quelle Muse che già li guardaro,
- 117 E nelle braccia lor crebbi e lattai.
- Ma tu più grosso ch’altro, in cui riparo
- Già mai senno non fece nè valenza,
- 120 Tàciti omai: chè gli tuo’ versi amaro
- Suon rendono a coloro a cui sentenza
- Come di savie stiamo: e la tua male
- 123 Di pasturare qui difesa scienza
- Con altrui cerca coprirla di tale
- Mantel, che meco; chè tu se’ inimico
- 126 Di greggia, più che guardia o mandriale;
- Di che ancora anderai tristo e mendico.
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